Maria Teresa Rossi era
professoressa al Liceo Parini di Milano nel 1967, quando scoppiò il caso
de “La Zanzara”: i redattori del giornalino scolastico furono processati
per aver aperto un dibattito interno al liceo su argomenti sessuali. Fu
l’unica insegnante che si schierò con gli studenti. E fu ancora l'unica a
stare con loro nel ’68, quando essi occuparono la scuola e il preside si
rifiutò di chiamare la polizia, che intervenne "d’ufficio" scacciando
gli occupanti e portando fuori di peso anche la professoressa. Fu poi una
delle figure di spicco in Avanguardia Operaia. Le poesie che qui
pubblico, traendole da un libretto delle Edizioni Punto rosso del 2004 curato
da una sua ex allieva e amica, Erica Rodari, sono, sì, innanzitutto un omaggio
postumo a una «bella persona, una persona non comune» (p.6): era stata
antifascista; aveva poi rotto con la famiglia d’origine borghese e cattolica
(«nella sua famiglia c’erano uno zio vescovo, una zia suora e un fratello
presidente nazionale dell’Azione Cattolica», p.19) e con il primo marito fino a
separarsi anche dai figli, lasciati al marito; fu con tenacia e
severità una militante fino a quando una malattia non la colpì nei suoi
ultimi anni di vita. Ma esse vanno anche lette come riprova che la poesia, anche
in chi ha scelto una dimensione pubblica e politica di espressione,
è termometro di verità e di mai sopita interrogazione sul “resto”.
Il ‘noi’ di Maria Teresa forse trascurava l’’io’ di Maria Teresa, ma non lo
dimenticava. E queste poesie, al di là del valore letterario da
discutere, lo provano. Ad esse è affidata la possibilità di
alludere al drammatico (e apparentemente contraddittorio) senso di
solitudine di una donna che pure aveva trovato la sua "dimensione pubblica": «…
non cercare il sogno che t’illude / nel volto del vicino / Lascia
intatto il segreto di ciascuno / e serba il tuo / Ogni incontro è
rovina» ( p.121). [E.A.]
Distaccami da te
verso che premi
nell'orecchio proteso
verso che premi
nell'orecchio proteso
ad ascoltar la tua parola amica
Portami via dal cuore questa pena
fanne la nota lieve che consoli
Portami via dal cuore questa pena
fanne la nota lieve che consoli
la mente affaticata
Vorrei cantare come l'usignolo
o stormir come il pioppo sotto il vento
Trovare il ritmo uguale e modulato
Trovare il ritmo uguale e modulato
Perché guardi negli occhi degli uomini
Chiedi al ruscello limpido dei monti
Chiedi al ruscello limpido dei monti
di mostrare le pietre che trascina
sul fondo terso
Chiedi alla superficie dello stagno
che ti riflette il verde dei cespugli
Chiedi alle stelle splendide del cielo
la luce fredda che lo sguardo accoglie
senza patire
che ti riflette il verde dei cespugli
Chiedi alle stelle splendide del cielo
la luce fredda che lo sguardo accoglie
senza patire
Ma non cercare il sogno che t'illude
nel volto del vicino
nel volto del vicino
Lascia intatto il segreto di ciascuno
e serba il tuo
e serba il tuo
Ogni incontro è rovina
Forse questo soffrire di nulla
è un fremito di giovinezza
è un fremito di giovinezza
volo di rondine che torna
impazzita di tempesta
a ritrovare il nido
Vorrebbe restare nell'aria
per sempre
se l'hanno distrutto
Arabeschi di ghiaccio sul vetro
Una rete nasconde lo spettacolo
Una rete nasconde lo spettacolo
mille vetri allineati
da questa alla tua casa
Spazio d'aria
Spazio d'aria
o di tempo
o una
vita di vetro sbriciolata
col sangue alle mani
col sangue alle mani
se tocchi le schegge
Ma l'indifferenza
segna strisce disuguali sul ghiaccio
sulla parete trasparente
sulla parete trasparente
della pena
Ha una sua legge fisica
la vicenda del vivere
la vicenda del vivere
Questa realtà ch'io vivo
ogni altro vive
ogni altro vive
nel medesimo istante
Ma ciascuno cammina sulla terra
solo con le sue pene e non avverte
il fango che gli inzacchera le scarpe
Lo stesso che fa greve il passo
solo con le sue pene e non avverte
il fango che gli inzacchera le scarpe
Lo stesso che fa greve il passo
del suo vicino
Non sento la tristezza
di questa solitudine invernale
di questa solitudine invernale
ma mi turba la pioggia che monotona
batte l'ultime foglie del pioppo nudo
Il fitto velo d'acqua che confonde
batte l'ultime foglie del pioppo nudo
Il fitto velo d'acqua che confonde
le cose agli occhi miei non mi separa
dal mondo che circonda la mia vita
Ho incontrato la pace indifferente
dal mondo che circonda la mia vita
Ho incontrato la pace indifferente
e dell'autunno solo nella carne
avverto il freddo che la fa patire
avverto il freddo che la fa patire
Ma il cielo di primavera
è più chiaro nel vento. Oggi
non ci rattrista la pena di ieri
né di domani
è più chiaro nel vento. Oggi
non ci rattrista la pena di ieri
né di domani
Il chiarore
sprigiona luce di diamante
dalle lacrime inutili
dalle lacrime inutili
Sfiora le nostre palpebre il sorriso del mondo
coi peschi fioriti di rosa
coi peschi fioriti di rosa
e il verde dei prati
tornato alla vita
Stasera saranno terse le stelle
(tratte dalla raccolta Poesie
pubblicata dalle
Edizioni Punto Rosso, Milano 2004)
Edizioni Punto Rosso, Milano 2004)
49 commenti:
Ennio, mi stupisce questa tu scelta diversa dal solito ma molto sulle mie corde. Mi mancava questa musicalità , questo modo di far correre tra i versi sentimento e riflessioni per un io/noi che vorrei tanto tornasse. Intelligenza , amore, lotta interiore. Starò ormai invecchiando , ma queste poesie mi fanno venire la voglia di togliere quell'ormai. Grazie Emy
Caro Ennio,
se possiamo parlare delle poesie di una bella persona qual è stata la prof.ssa M.T. Rossi, nulla quaestio, ma se vogliamo dire qualcosa sulla sua poesia, beh io non posso dire nulla, proprio nulla, sono poesie che rivelano l'agghiacciante ingenuità della prof.ssa Rossi circa lo scrivere poesia, tanto più in tempi come il '68 quando la rivoluzione giovanile era agli esordi e ha cambiato il mondo sicurametne in meglio rispetto a quando negli anni Cinquanta la Chiesa scomunicava le donne che indossavano i pantaloni. Rispetto ai grandi cambiamenti dei suoi tempi la prof.ssa non sa coglierne nulla, di quei tempi rivoluzionari nelle sue poesie non è rimasto nulla, c'è soltanto becero e qualunquista sentimentalismo.
Possiamo dire che M.T. Rossi era (a quanto ne dicono gli allievi) una brava prof.ssa (e coraggiosa) ma non altrettanto dei suoi versi che la rivelano per una amatrice della poesia, ma nulla di più.
In quei tempi oltre alla rivoluzione si faceva anche l'amore così bene che la rivoluzione spesso stava solo a guardare . Emy
Ennio Abate:
In effetti sulla qualità poetica delle poesie di Maria Teresa Rossi ho anch'io delle riserve. Queste sette ho letto. Non so delle altre pubblicate e mi documenterò. Non a caso ho messo l'accento sulla funzione introspettiva che ha la poesia per l''io' della scrivente (in questo caso) e non per il 'noi'.
quasi O.T.
domanda:
ma nella Critica letteraria poetica, esistono critici Donna?
integrazione:
se constatazione è no o molto,abbastanza no, possiamo chiederci perchè?
In queste poesie c'è un io che vuole stare in ognuno di di noi. Per quanto riguarda la qualità poetica, non sarà, a detta dei critici, di buona qualità, ma è sicuramente poesia che io, ripeto, trovo deliziosa. Emy
ciao Emy..quando in generale, non solo in questo luogo, mi trovo di fronte a giudizi netti di "totale" approvazione o al contrario condanna, provo dolore nelle mille sfaccettature che comporta questo suono d-o-l-o-r-e. E' un dolore "primitivo" e " futuro" , è un dolore dentro il tempo e fuori dal tempo.
Tanto piu lo provo se si tratta di vivi verso i morti..tanto piu lo provo se si tratta di condanna dei vivi a ex vivi che di per sé non possono replicare..tanto piu lo provo quando delle teste super cervello , super esperte, super critiche, per il fatto di essere "intellettuali" hanno un grave peso da da portare, la perdita irreparabile della vita semplice, nella poesia di base diciamo...ovviamente capisco che la mente piu si alimenta di strutture, spazi, teche, etc etc come quella che immagino degli intellettuali e dei "critici" , piu non si sazierà di semplice pane raffermo bagnato , anche con olio, e pezzetti di pomodoro però a tutto c'è un limite. Leggo qui come altrove ( non è un problema solo di questo sito) un atteggiamento tipicamente "maschile". E' per carita giusto e corretto tenere sempre fermo il faro puntato alla societa di cazzo in cui viviamo, societa per lo piu psuedo sentimentale, pseudo intellettuale, pseudo civile etc etc , sono fra coloro che fuori rete o in rete denunciano le prese per i fondelli del truman show o del matrix in cui hanno sventrato la nostra vita, ma ciò non significa saper far la differenza fra tutto cio che ancora esprime quel che dite come "noi" e che per me ha tutt'altro suono. Corde. In queste ci sono quelle dei ricordi, anche di figure che ai margini erano e ai margini si trovano , sia da vivi che da morti.
Se le èlites che non abbiamo ( tranne chiaramente le pseudo elites de sinistra de noantri), per esserci devono essere quelle in cui si puo essere ammessi tanto come rigettati, dio ce ne scampi e liberi
tutto solo perché qualcuno, pur immenso come Linguaglossa o Abate et simili,ha perso la vita semplice e sentimentale del pane raffermo, per quello piu elaborato, per giunta con la scusa rafforzativa a prova di bomba che al circo barnum dell'industria mediatica editoriale vengono ammessi cani e porci come in ogni settore della vita degli italiani , e non solo, della vita sul pianeta.
Ennio Abate a In soffitta:
Vedi che la critica Donna qui sul blog c'è; e sei tu e sei più immensa di me e Linguaglossa messi insieme.
Ennio, lasciamo per un attimo l'"immensità" alla effe di oggi, del femminile e del fioretto, giornata indimenticabile.
L'immensità a cui mi riferivo , del vostro "sapere" , non era e non è una presa per i fondelli, ma un dato di fatto. E' inoltre giustissima un'altra effe, che è la vostra fame, diversa dalla mia , sul campo dei piatti poetici di cui sapete le ricette e piu ne avete imparate e cucinate e piu è aumentata, GIUSTAMENTE, la vostra fame rispetto alla mia che può ancora fare indietro e avanti, limitarsi a semplice pane o abbuffarsi dei piatti più classici o futuri o originali .
Quando dico che mi immedesimo con la vsotra fame, col vostro sapere , con il vostro saper fare ogni differenza, fra ciò che è o non è, sarebbe o non sarebbe, non vi prendo in giro.
E' un piacere leggere le vostre intellettualità esprimersi, questo non significa che anche voi non possiate muovervi nell'in.verso,o nell'inversione delle parti.Perché non siamo a parlarci fra amanti di poesia e amanti di pseudo-poesia indottrinati dal mercato ( anche se fosse così, proprio per il grande amore, fatica e studio che avete messo in questo vostro campo, dovreste forzarvi con tanta fatica-la capisco-pur di raggiungerci)
Io penso che il sapere è per pochi e divide,e questo mi addolora,ma va così
immagino anche che non tutti possono essere musicisti, artisti o poeti...I critici, come i grandi allenatori, hanno p-alato per piume che devono volare ed è un po' come con il fioretto di oggi, di grandissima emozione, ma non ci sono solo i campioni. Epperò non è detto che siano da escludere anche dai non campioni i vari e le varie, signore e signori, Rossi .
Ovvio che se in questo sito o in altri luoghi , occorre dare come per il mare, una specie di bollino blue, tutto questo conversare, per primo il mio di oggi o di altre situazioni, non ha senso.
un caro saluto
rò
A Ro'
il senso lo diamo noi a tutto ciò che facciamo. Alla fine è il nostro senso che prevale su tutto e spesso , spessissimo io non comprendo quello degli altri. Ognuno di noi ha i propri gusti, i propri modelli , la propria storia. Il fatto che Ennio abbia scelto queste sette poesie , così diverse dal suo modo d'intendere la poesia ci fa capire molto , ed ognuno comprenda ciò che vuole. Emy
Ennio Abate:
"dovreste forzarvi [o sforzarvi?] con tanta fatica-la capisco-pur di raggiungerci)"; "Io penso che il sapere è per pochi e divide,e questo mi addolora,ma va così" ( In soffitta)
Vedi che uno può sforzarsi quanto vuole per spiegare le cose in maniera semplice e tentare di usare il sapere ( o quello che lui sa) in modo da unire e rivolgersi ai molti e non ai pochi - "moltinpoesia" poi è tutto un ... programma! - ma siamo sicuri che chi commenta legge attentamente le cose che questo uno scrive?
Ed che è nello stato d'animo e ha la sintonia intellettuale giusta per intendere?
Io tema di no. Troppo spesso i commenti che vedo su questo blog non sono "a tono". Spesso non sono neppure "in argomento". Sono per lo più delle reazioni istintive - di plauso o di disapprovazione - all'immagine che ci si è fatta del proprio interlocutore o autore del post o autore proposto nel post ( antipatico, simpatico; intellettuale, attento al lato emozionale).
Ma così non si va da nessuna parte. Per dialogare , se io parlo di patate, tu devi riconoscere che sto parlando di patate e fare un discorso sulle patate. Se mi parli di cipolle o di insalate, non dialoghiamo. Facciamo due discorsi destinati a non incontrarsi mai. E lo stesso vale se uno sceglie di descrivere qualcosa e un altro/a si sposta sul piano delle metafore.
Intendersi è arduo, ma la colpa dei malintesi non può essere attribuita solo a chi dice qualcosa in modi più o meno chiari. La colpa - ogni tanto? - può essere anche di chi legge e travisa o parla d'altro.
Di tutto quello che ho letto - sia della presentazione che delle poesie - una sola cosa mi ha colpito come un pugno: che la prof abbia abbandonato i figli per seguire le sue idee rivoluzionarie. Che poi si rivelano alla fine in poesie che mi vedo più scritte dalla gozzaniana amica di nonna Carlotta. Tanto vicina ai suoi allievi, ma poi... e i figli? So che giudicare non si può e non si deve, ma questo dolore che pervade i suoi versi poco mi commuove.
Errata corrige. Carlotta, l'amica di nonna Speranza! Che svarione!
A Francesca:
lasciare i figli al marito, potrebbe non volere dire abbandonarli. Altrimenti tutti i figli lasciati alle mogli sono stati abbandonati dai mariti? Certo che in quei momenti le cose andavano diversamente e questa scelta impressiona. Lasciare i figli secondo me devess'ere terribile, ma qualcuno lo fa e non penso che cessi di amarli (tranne in alcuni casi...terribili). Ciao Emy
Ennio Abate a Francesca Diano:
Eh, no, cara Francesca!
Giudicare si può e anche si deve sia le poesie sia le scelte di vita di Maria Teresa Rossi, come di qualsiasi altro/a, ma senza insinuare nei giudizi la propria ideologia, che nel tuo caso mi pare voglia dare addosso alle “idee rivoluzionarie” causa di ogni malanno o del cattivo comportamento di questa donna.
Forse la mia presentazione (« aveva poi rotto con la famiglia d’origine borghese e cattolica («nella sua famiglia c’erano uno zio vescovo, una zia suora e un fratello presidente nazionale dell’Azione Cattolica», p.19) e con il primo marito fino a separarsi anche dai figli, lasciati al marito»), non datando la sequenza degli avvenimenti, ti ha indotto ad un errore, a un cortocircuito fra due eventi (rottura con la famiglia, scelta “rivoluzionaria”) che in questo caso non sono consequenziali, ma il primo precede il secondo.
E poi “rivoluzionaria” o meglio anticonformista e antifascista Maria Teresa lo era fin da giovane e prima di essere sposa e madre.
Aggiungo allora qui precisando (e stavolta citando dal libretto del Punto Rosso):
«Maria Teresa nel ’38 contribuì alla formazione di uno di questi gruppi [universitari antifascisti], pomposamente battezzato Muri(Movimento unitario perla ricostruzione italiana), verosimilmente d’ispirazione liberale di sinistra. […] L’ultima esperienza di questa prima parte della sua vita fu il carcere, che Maria Teresa racconta così: « Un periodo breve di poco più di tre mesi e mezzo, una prima parte passati a Torino, alle nuove, il resto a Firenze, nel carcere femminile di Santa Verdiana» […]. Dopo il periodo di detenzione e uno svogliato ritorno in famiglia, nel 1941 Maria Teresa si sposa con uno studente molto brillante, destinato a una carriera di tutto rilievo […] Nel 1943 nasci il primo figlio, a Tortona, dove lei aveva raggiunto la famiglia sfollata da torino, mentre il marito era lontano perché si era unito alla Resistenza […] Intanto, dopo la nascita di un secondo figlio, si andava esaurendo il rapporto col marito: quello studente tanto brillante si era rivelato dispotico nel rapporto di coppia e troppo appassionato alla sua carriera. Nel ’50 [ecco la data della rottura col marito, nota mia] lascia la sua casa d’impeto, decisione inevitabile per la salvaguardia della sua persona, ma che la condizionerà in tutti gli anni futuri. Uno strappo così violento era del tutto inusuale all’epoca e una donna che tenesse un simile comportamento era soggetta alla generale riprovazione. Trascorrerà un periodo di solitudine molto dura, di difficoltà nel’organizzarsi una nuova vita fino al ’57, quando conosce il nuovo compagno con cui resterà fino alla morte.».
Quanto al comportamento tenuto verso i figli lasciati al marito ecco quanto riferisce Erica Rodari, sua amica e curatrice del libro:
««Questa esperienza fu lacerante, mai completamente riassorbita negli anni; ne parlava spesso, infatti, come se dovesse continuamente rielaborarla.
Le tornava di frequente un incubo: attraversava con la sua carrozzina un ponte sul fiume Po durante l’occupazione nazista di Torino [ Maria Teresa era del 1916 ed era finita anche in carcere durante il fascismo il che spiega la centralità vissuta del suo antifascismo] e i soldati tedeschi che lo presidiavano strappavano fuori il bambini e lo gettavano sotto nel fiume.
A un certo punto nella sua sfera degli affetti scattò un meccanismo di autodifesa che si tradusse in grande disponibilità e flessibilità, perché alla rigidità aveva già pagato un alto prezzo.
Queste scottature avevano bisogno di grande affetto per essere lenite e lei lo cercava nella famiglia, nella scuola, nell’organizzazione politica.
In mezzo ai mille impegni che si accollava trovava sempre il tempo di sobbarcarsi grandi faticacce per i figli dai quali accettava praticamente tutto; in questo si sentiva affiorare quel senso di colpa che le madri per un motivo o per l’altro si trovano sempre a coltivare» (p.19).
[continua]
Ennio Abate (continua):
Quindi direi che il «pugno» che ti ha colpito leggendo questo post non ha ragion d’essere: le informazioni che ora ho aggiunto dovrebbero far meglio capire la complessità del dramma vissuto da Maria Teresa Rossi in ambito familiare prima, che è - ripeto - del tutto precedente alla sua adesione alle “idee rivoluzionarie”, se per questo s’intende la sua partecipazione a lle lotte degli studenti del Parini nel ’67-’68 e poi alla sua militanza in Avanguardia Operaia. E dovrebbe anche far intendere meglio quanto sia difficile il legame fra privato e pubblico(o politico) per tutti/e.
Quanto alle sue poesie, ho già dichiarato le mie riserve sulla loro qualità e ho espresso un giudizio prudente anche perché ho letto solo queste sette. Ma le mie riserve non sono così sprezzanti come quelle di Giorgio Linguaglossa e le tue. E delle ragioni di tale diversità di toni nel giudicare (ormai ricorrenti, vedi il caso anche delle poesie della Febbraro stroncate da Giorgio) dovremmo parlare. Pazientemente e dialogicamente, spero.
[Fine]
@ Ennio
si, sono d'accordo con te..forse occorre una preliminare educazione all'ascolto per poter orientare la ricerca nella molteplicità dei suoni, delle biografie, delle espressioni. Non si vede perché si possa fare in musica, e non in poesia..lo spazio è ampio, profondo ed elevato;lo spazio c'è per poter tentare anche punti preliminari e minimali di rispetto dei temi e delle note. L'unica cosa su cui non sono d'accordo è l'uso , la genesi e l'evoluzione della parola "colpe".
@ Emy
il bello di Ennio è che nelle sue proposte spazia, ciò dà respiro.
quando mi riferivo al senso della mia parola sulla fame e sul pane, era rivolto piu in generale al senso del mio non silenzio in questo contesto di questo post
@Francesca
per fortuna non siamo sempre d'accordo, però mi spiace non esserlo proprio in un ambito dove avevo richiamato di nuovo il femminile. E' a mia opinione, quindi relativissima, molto grave ma anche molto diffuso, che una donna pesi un'altra donna, laddove quest'ultima abbia nella sua biografia qualche filo non omologato soprattutto se nei suoi rapporti materni...aumentando peraltro l'altra omologazione come se fosse , guarda caso piu grave,rispetto al caso inverso.
Questa " signora Rossi" e la sua poesia rientra in tutti quegli "anonimi" che la Storia dimentica, e li dimentica sia che abbiano vissuto in periodi dove il comune orizzonte era più ricercato, sia in periodi dove ognuno è già tanto se da singolo porta avanti la sua resistenza umana.
La poesia di questo fiume anonimo può piacere o non piacere, smuovere o addirittura come dici commuovere e quindi non commuovere, oppure piu semplicmente non smuovere niente, ma c'è stata, c'é e ci sarà sempre...non è questione di gusti mettersi con la puzza sotto il naso ad escluderla, addirittura entrando, nel particolare caso in questione, richiamando qualcosa di personale che peraltro potrebbe essere una parte di dolore che ha generato quell'espressione e quel tipo di poesia,primitiva come la vita è , miti compresi a cui è destinata molta della tua ricerca.
Ma si sa che siamo un groviglio di contraddizioni, piu o meno piacevoli e spiacevoli.
La poesia di questa "Donna" mi ha colpito, non perché mi piacciano i suoi versi o facciano per i miei gusti, ma perché mettono a nudo il contrasto fra ciò che si può essere nel politico, soprattutto in un periodo molto particolare quale quello vissuto dalla "signora Rossi", e ciò che si è nel proprio intimo sentire le cose della vita, della propria vita.
Cari interlocutori del blog,
mi dispiace che alcune mie valutazioni liquidatorie siano state intese come giudizi sprezzanti. Sono valutazioni e nulla più. Ma nel caso della prof.ssa M,T. Rossi si tratta di una poesia "ingenua e sentimentale" nel senso che lei non è una letterata ma una "amatrice" - come ho scritto - della poesia. E questa è sicuramente una bella cosa, una cosa ragguardevole. Se invece passiamo alle composizioni di Paola Febbraro, beh, con tutto il rispetto per le persone che hanno lasciato questo mondo non posso nascondere le mie fortissime perplessità, ma non soltanto per il livello dei versi (che è praticamente vicino allo zero), quanto del fatto che si tratta di pseudo-poesia, di inflessioni del cuore, di fioretti che vogliono illudere il lettore circa una complessità sintattica, intellettuale e pseudo emotiva che, alla lettura, non si rinviene nella significazione. La sintassi contorta e tutta di testa (quindi personalistica) non significa qui una complessità intellettuale, che la Paola Febbraro non ha affatto. È una pseudo-poesia perché, in analogia alla totalità della poesia femminile di oggi vuole allludere a chissà rivolgimenti dell'Anima e del Cuore. In tal senso un esempio impareggiabile di pseudo poesia è fornito dai libri (ben tre pubblicati da Einaudi) di Mariangela Gualtieri così straricchi di emulsione del Cuore e di fleboclisi dell'Anima, così fitti di contorsioni sintattiche e di parole sulfuree da lasciarmi inebetito e meravigliato di come si possa predere sul serio una cosa così posticcia e artefatta. E guardate che io di simili valutazioni le ho espresse e le esprimo in ogni dove, ragion per cui lo scrivente non nutre molte credenziali presso Einaudi e altre Case Editrici cui non ho mai lesinato le mie rimostranze critiche. Ma il «mestieredel critico» è un mestiere difficile, ostico, che ti aliena le simpatie della generalità dei letterati. Il fatto è che io non cerco simpatie ma di stimolare negli interlocutori le capacità critiche dormienti.
Altro problema serio che qualcuno ha sollevato è capire perché in Italia non ci siano critiche di poesia donne. Ma questo lo lascio ai lettori del blog. Quello che io posso dire è che dinanzi ad una sterminata massa di pseudo poetesse si profila l'iceberg di una sterminata massa di ridicole recensioni di sponda e amicali. E mi sembra che in questa attività le donne superino, e di molto, il coté maschile.
@ Ennio. Ti ringrazio di aver aggiunto queste notizie che in parte fanno capire meglio questo gesto e le sue conseguenze. Che però sia un gesto che colpisce come un pugno lo prova anche il fatto che il senso di colpa l'ha seguita tutta la vita. Certo, a quel tempo non esisteva il divorzio e se una donna abbandonava il marito i figli le venivano comunque tolti.
Non vedo come mai tu interpreti il termine da me usato "rivoluzionaria" in senso negativo. Questo è un dato di fatto e la tua interpretazione è tua personale.
Quanto al mio giudizio, non è affatto sprezzante, ma nasce dal constatare questa pesante dicotomia tra il sentimentalismo esasperato ed espresso in forme e contenuti diciamo un po' "antiquati" per non dire altro e l'impegno rivoluzionario della sua vita. Dunque un grande scontro tra mondo interiore e vita agita quello che emerge e che scardina quella che dovrebbe essere la prima qualità di un poeta (o scrittore), la verità di se stessi. La coerenza. Qui non si vede. E da qui nasce il mio giudizio. Poi ci sarebbe ampio spazio per una interpretazione psicologica di tutto questo, ma non mi pare la sede.
@ In soffitta.
Rò, capisco cosa intendi, ma vedi, non ho mai creduto che, nel pormi di fronte a un testo o a un autore, io dovessi giudicare con due diversi metri, uno per le donne e uno per gli uomini. Lo trovo non solo ingiusto ma addirittura razzista. Lo troverei un insulto. Io non vorrei mai essere giudicata su quello che faccio perché sono donna e non uomo. E' proprio da questo che nascono molti problemi e nel ghetto non ci voglio stare. Infatti, l'errore peggiore che si possa fare è di parlare di una "scrittura al femminile", come se non fossimo già state nei ghetti da abbastanza secoli. Ce ne creiamo uno anche da sole?
Nella sfera della mente esistono persone, non uomini e donne e dunque lascio la solidarietà femminile a tutti i casi in cui le donne subiscono soprusi perché sono donne e non ad altri. Ci mancherebbe che, solo perché io sono donna e la Rossi è donna, questo dovrebbe farmi essere di parte se si parla di quello che ha scritto.
Nel commento che ho scritto per Ennio ho spiegato perché non trovo che questi versi abbiano molto valore letterario e questo NON per le scelte di vita o materne di Rossi, ma per la loro mancanza della qualità essenziale che deve avere la scrittura: la coerenza, la verità di se stessi. Ho scritto che di tutto mi ha colpito solo la sua scelta di abbandonare i figli, perché non mi aveva colpita il resto, se non in senso negativo.
Spero che ora tu legga in modo diverso quello che ho scritto.
@ Emy. Sì Emy, anche nel caso in cui siano gli uomini a lasciare i figli alle donne e poi se ne vadano si tratta di abbandono. Spesso per non farsi più vedere. Ed è gravissimo e fonte di inenarrabili sofferenze per i figli.
No Francesca, se mi scrivi così non capisci cosa intendo e il ghetto oppure i due pesi e due misure che non vuoi , come me, non c'entrano un fioretto ieri, o una sciabola oggi, o una mazza domani.
La questione non è "di genere", la questione di genere al massimo l'ho fatta partire ieri,ancor prima del tuo intervento, come dato di fatto : non esiste una ennia abate, o una giorgia linguaglossa. poi possiamo chiederci perchè.
nell'ambito della tua riflessione e sentimentalità, non rientra l'espressività della signora rossi in questione, era perfettamente inutile tirare in ballo altri ed eventuali abbandoni. punto. Se li hai tirati in ballo, non emetto giudizi netti o sprezzanti, né ti confino nel ghetto delle donne contro le donne, tanto come esisterà senz'altro quello corripsondente degli uomini contro uomini, e come quindi i due ghetti ne facciano uno unico del mondo animale pensante.
Pensare inoltre che la signora rossi abbia tradito se stessa perchè come dici non saprebbe dirsi e scrivere la sua verità, nonostante dici che non vuoi condanna, è condanna tanto come quella iniziale con cui hai lasciato il tuo commento...potevi farlo a una donna o a un uomo, il discorso non cambia...inoltre a meno che vogliamo intortarci e girare attorno alle parole, in questo caso il soggetto è donna e l'oggetto pure.La solidarieta femminile c'entra una beata mazza.
ri-preciso -si sa mai che io miei interventi vengano letti come partigiani- che la poesia della "signora Rossi" non rientra fra quelle di mio gusto. Preciso inoltre , a proposito di "ghetto", che tranne eccezioni rarissime, sui temi esistenziali, senti-mentali et simili ( e amaggior ragione su temi politici) le mie orecchie hanno finora raccolto piu voci maschili che femminili. è un dato di fatto, di fatto relativo alle mie orecchie.
Ennio Abate:
Insisto sull’importanza dei commenti. Non sottovalutiamoli!
Qualsiasi commento è un atto critico elementare. Che giudica e può/deve essere, a sua volta, giudicato. Esso nel momento in cui viene pronunciato, svela anche la reazione emotiva e la visione del mondo (o ideologia) di chi lo scrive. Si apre così un processo di repliche e controrepliche, una discussione, che può approfondire quell’atto critico elementare iniziale, mostrarne la validità o i limiti.
Adesso passo all’esempio, che è sempre la questione più delicata. Se Francesca, nel suo primo commento scrive:
«Di tutto quello che ho letto - sia della presentazione che delle poesie - una sola cosa mi ha colpito come un pugno: che la prof abbia abbandonato i figli per seguire le sue idee rivoluzionarie. Che poi si rivelano alla fine in poesie che mi vedo più scritte dalla gozzaniana [Carlotta, l’amica di nonna Speranza]»
e in quello successivo aggiunge :
«@ Ennio. Ti ringrazio di aver aggiunto queste notizie che in parte fanno capire meglio questo gesto e le sue conseguenze. Che però sia un gesto che colpisce come un pugno lo prova anche il fatto che il senso di colpa l'ha seguita tutta la vita. Certo, a quel tempo non esisteva il divorzio e se una donna abbandonava il marito i figli le venivano comunque tolti.
Non vedo come mai tu interpreti il termine da me usato "rivoluzionaria" in senso negativo. Questo è un dato di fatto e la tua interpretazione è tua personale.
Quanto al mio giudizio, non è affatto sprezzante, ma nasce dal constatare questa pesante dicotomia tra il sentimentalismo esasperato ed espresso in forme e contenuti diciamo un po' "antiquati" per non dire altro e l'impegno rivoluzionario della sua vita.»
io potrei essere soddisfatto e tacere?
No, e nel rispetto della regola che seguo (la critica dialogante) replico:
1. Non dovrebbe essere il gesto di Maria Teresa (abbandonare il marito, perdendo anche i figli perché « a quel tempo non esisteva il divorzio e se una donna abbandonava il marito i figli le venivano comunque tolti») a colpirci come un pugno. Semmai il tipo di società e di legislazione allora vigente squilibrata e contro la donna. O, temiamo di passare per estremisti, almeno entrambe le reazioni - la prima di una donna disperata e in sofferenza, la seconda di una legislazione ancora patriarcale e autoritaria - dovrebbero essere pugni per noi oggi.
[Continua]
Ennio Abate (continua):
2. Nel primo commento di Francesca è fin troppo facile pensare che le «sue idee rivoluzionarie» appaiono come la causa del comportamento (riprovevole, anche se umanamente comprensibile) di Maria Teresa Rossi e quindi connotate negativamente.
3. Nel secondo commento di Francesca, «il senso di colpa», che, anche sulla base della testimonianza di Erica Rodari da me riportata, ha travagliato successivamente la vita di Maria Teresa, diventa ancora una prova che quel gesto (l’abbandono del marito e dei figli) resta in fin dei conti moralmente negativo. (Altrimenti non ci capisce perché «colpisce come un pugno»). Ma il senso di colpa, che ha afflitto Maria Teresa, noi sappiamo che è indotto nella stessa ribelle (donna in questo caso) da una morale sociale rigida. E allora, ancora una volta, perché dovrebbe essere chiamata in causa solo la vittima di tale morale sociale? Questo, nel 2012, non mi pare una visione delle cose adeguata. Quasi quasi - butto qui una provocazione - Manzoni, parlando di Gertrude, poi monaca di Monza, è più lungimirante di noi odierni pensatori di tale vicende.
4. Sulla « pesante dicotomia tra il sentimentalismo esasperato ed espresso in forme e contenuti diciamo un po' "antiquati" per non dire altro e l'impegno rivoluzionario della sua vita», mi sento invece in buona parte di poter concordare. È un giudizio severo, ma coglie nel segno.
Francesca ha ancora scritto in proposito: « ho spiegato perché non trovo che questi versi abbiano molto valore letterario e questo NON per le scelte di vita o materne di Rossi, ma per la loro mancanza della qualità essenziale che deve avere la scrittura: la coerenza, la verità di se stessi».
Io sarei più cauto. Aspetterei di vedere anche le altre poesie pubblicate, prima di pronunciarm definitivamente. Ma sono dell’avviso che un buon politico, che poi tira fuori da vecchio le sue poesie dal cassetto (nel caso poi di Maria Teresa a tirarle fuori non è stata neppure lei…), non sia di per sé un buon poeta. (Vi ricordate quelle di Ingrao tempo fa?).
E penso, però, che il provvisorio giudizio severo dovrebbe essere seguito da considerazioni politiche ed estetiche più generali da parte nostra. Perché il fenomeno di questa scrittura poetica o para-poetica “semiclandestina” e di massa è rilevante ed è alla base della riflessione sul «fiume anonimo» dei “moltinpoesia” su cui tento di attirare l’attenzione. Tempo fa nella mailing list dei moltinpoesia abbiamo dibattuto vivacemente e anche dolorosamente su un caso non dissimile da questo…). Qui anche il caso di Maria Teresa Rossi andrebbe inquadrato e pensato, come tenta di fare In soffitta. (Nonsfioro le considerazioni di Giorgio su Paola Febbraro per non intasare la discussione di questo post. Meglio parlarne in quel post).
Fa infine capolino nella discussione un altro intoppo o rimosso generazionale: la cosiddetta «scrittura al femminile».
Troppo facile liquidare come “ghetto” o “ritorno al ghetto” tutto ciò che si è mosso sotto questa bandiera tra anni ’70 e fine Novecento. In un primo momento una certa produzione di scritture fatte da donne ha rappresentato storicamente una rottura di ghetti precedenti. Se poi esponenti di tale movimento hanno perso lo smalto iniziale e si sono adattate a ghetti più o meno dorati, dobbiamo tenerne conto, distinguere, ma senza ammucchiare tutto, come già dicevo in una precedente discussione su questi temi nel post su Kamala Das.
[Fine]
Ho visto donne ( non poche) con figli che dicono di amare, passare tempo nelle palestre, dalle estetiste, scappatelle amorose, partite acarte con le amiche, ecc. ecc. nessuna rivoluzione sicuramente, nessun abbandono? Chiediamolo ai figli. Le apparenze sono ancora , purtroppo importanti per sistemarci le coscienze. Emy
Rò, quando ho tirato in ballo altri abbandoni, era per rispondere a Emy, che diceva "lasciare i figli al marito, potrebbe non volere dire abbandonarli. Altrimenti tutti i figli lasciati alle mogli sono stati abbandonati dai mariti? Certo che in quei momenti le cose andavano diversamente e questa scelta impressiona. Lasciare i figli secondo me devess'ere terribile, ma qualcuno lo fa e non penso che cessi di amarli (tranne in alcuni casi...terribili)".
Per il resto, se abbiamo due visioni diverse, ciò non significa doversi per forza scontrare. Io ho la mia e tu la tua. E va bene così.
Parlo di ghetto femminile a ragione. Esiste tutto un movimento creato dalle donne sulla "letteratura al femminile", che io non condivido per i motivi che ho detto. Una simile visione annulla ogni idea di parità, non solo letteraria e artistica.
In realtà di donne critiche ce ne sono. Forse più nel campo dell'arte che della letteratura, questo è vero. Un abbraccio affettuoso.
Beh, mi sembrano abbandoni anche quelli. Qui non si parla di apparenze Emy.
Non si parla di apparenze, si parla di abbandono certo, ma quelle donne delle quali ho parlato non si sentiranno mai in colpa . I figli vivono con loro e tutto è a posto Francesca. Emy
Emy, si può vivere con un nemico e respirarne il veleno senza accorgersene. Allora non tutto è a posto. Sono molte le forme di abbandono.
@ Emy e Francesca
Provate se volete a rileggere piano piano la carezza nello stomaco che ha lasciato Ennio ma anche Ennia, nel suo intervento di ieri pomeriggio. Poi sempre se volete provate a rileggere " la signora Rossi" . La questione della "molteplicità" abbatte il duale e riporta alla "verità" relativa alla biografia ante e post queste sette note , nude e crude sulla sofferenza "femminile".
L'uscita iniziale di Francesca potrebbe essere definita infelice, ma non lo è. Spersonalizzando la questione e facendo finta per un attimo (specie di finzione terapeutica al proseguire dialogico) , quell'uscita non è della voce della dea che dà voce ad altre dee, ma quella di un coro di pugni che ti mettono a tappeto nella storia...è la rappresentazione di una delle contraddizioni che vorremmo aver guarito, almeno così direbbe la data e l'anno oltre il duemila in cui viviamo, tanto più se in un contesto dove "le apparenze" direbbero che fra quel "noi" ognuno ha smontato il peso di un menù di contraddizioni ed ipocrisie "occidentali" , grazie anche ad avvicinamenti filosofici/spirituali "orientali". Ma accettare la vita nuda e cruda , oltre i gusti personali e piu possibile "incondizionabili" alle diverse omologazioni di archetipi e pseduo archetipi, con_sente l'"abbandono" a poesia tutta purché vera in quanto adesiva a quella singola vita che la esprime senza voler essere un campione o chissà chi. Cosa che traspare immediata da queste della " Signora Rossi" nella sua lacerazione interiore per il peso portato dalla sua voce ribelle a una societa di ipocriti, ereditata nella sua vita e rimasta tale e quale dopo la sua morte. Tanto piu peso per le "colpe" delle donne rispetto a quelli degli " uomini" ...il duale che in modi diversi opprime tanto le une che gli altri, ma che in vite non omologate e pertanto messe ai margini, viene fuori anche in queste sette poesie.
un caro saluto
rò
@Rò.
Giustamente tu osservi che lo strappo di cui parliamo e che in realtà ha preso troppo spazio rispetto alla semplice valutazione dei testi, è un ulteriore segno inequivocabile del destino delle donne. Ho ripensato molto a tutto questo e alle reazioni che il mio breve giudizio iniziale ha scatenato. Provo a rivedere il mio procedimento mentale di fronte a questi testi. Il primo impatto è stato di fastidio di fronte a un dolore sì espresso ripetutamente, ma in forme un po' melense e direi ottocentesche. E' molto più moderna e di rottura una Vittoria Aganoor, ad esempio. L'idea che il dolore possa essere vestito di trine e pizzi mi è parsa di una profonda inautenticità. Poi, solo DOPO aver letto le poesie, ho letto anche la piccola introduzione di Ennio e le brevi notizie biografiche mi hanno fatta giungere a questa conclusione: una donna che viene da un contesto familiare di quella sorta, pretagno, conservatore, e ha altre visioni della vita, perché dovrebbe lasciare i figli al marito, cioè abbandonarli? In una famiglia come quella della sua provenienza, questa donna ha sicuramente sperimentato la solitudine e l'abbandono. Non è necessario che una madre vada dall'estetista e a fare shopping tutto il giorno per lasciare i figli al proprio destino. Lo può fare anche rifiutandosi di capirli. Così anche un padre, ovviamente. Non è una questione sessista. E forse è questo che Maria Teresa ha provato nella sua famiglia d'origine. Allora, come succede in questi casi, si diventa dei ribelli, dei rivoluzionari, perché in qualche modo si cerca di ristabilire nella società quella giustizia che ci è mancata. Ma alla fine, lei ha fatto subire ai suoi figli quello che lei stessa ha subito e poi forse nei suoi allievi ha proiettato un senso materno che aveva negato. Quello era il pugno nello stomaco; la contraddizione tra una scelta di vita personale e quella sociale. Era la cosa più forte che fosse emersa dalla lettura.
Spesso sintetizzo, perché tendo a scrivere in modo molto sintetico e però non posso pretendere che tutti capiscano il processo mentale che c'è dietro.
Ennio dice giustamente che non è stata lei a voler pubblicare le poesie e che in genere non si fa mai un favore a rendere pubbliche le produzioni poetiche di qualche politico. Ha ragione.
Io non credo che la lacerazione interiore della Rossi sia legata solo e tanto al "peso portato dalla sua voce ribelle a una societa di ipocriti, ereditata nella sua vita e rimasta tale e quale dopo la sua morte." Quanto proprio a quella lacerazione personale forse mai sanata. Forse questo aspetto più intimo era meno gestibile delle azioni pubbliche, che potevano tradursi in atti eclatanti e in attivismo politico. Ecco allora perché viene ammantato di quella leziosità, magari così riusciva a prenderne le distanze e tollerarlo.
Ciò non toglie che questi testi restano inautentici e contraddittori.
Il pugno, ripeto, è qui, in questa lacerazione tra il Sé e l'io, così evidente in questo caso. Purtroppo il prezzo da pagare è alto.
Ricordo una signora, moglie di un conoscente di famiglia, uomo molto aggressivo e gelido (a differenza del primo marito della Rossi, che anzi era un contestatore e in parte condivideva con lei molte idee) che alla fine degli anni 50 si separò dal marito perché la sua era una vita intollerabile. Era una donna dolcissima e sensibile e portò avanti una lunghissima battaglia legale per avere i suoi figli. Tra l'altro era ricca di famiglia e non aveva problemi in questo senso. Ma il marito la fece passare per pazza - cosa assolutamente falsa - e le tolse i figli. A quel punto lei si spezzò davvero, come un albero colpito dal fulmine. Ecco, questo è un terribile esempio di quella persecuzione e ingiustizia che le donne subiscono.
da Rita Simonitto
Vorrei sottolineare queste parole di Ennio:
*E penso, però, che il provvisorio giudizio severo dovrebbe essere seguito da considerazioni politiche ed estetiche più generali da parte nostra. Perché il fenomeno di questa scrittura poetica o para-poetica “semiclandestina” e di massa è rilevante ed è alla base della riflessione sul «fiume anonimo» dei “moltinpoesia” su cui tento di attirare l’attenzione*
mettendole a confronto con queste di G. Linguaglossa:
*tanto più in tempi come il '68 quando la rivoluzione giovanile era agli esordi e ha cambiato il mondo sicurametne in meglio rispetto a quando negli anni Cinquanta la Chiesa scomunicava le donne che indossavano i pantaloni. Rispetto ai grandi cambiamenti dei suoi tempi la prof.ssa non sa coglierne nulla, di quei tempi rivoluzionari nelle sue poesie non è rimasto nulla, c'è soltanto becero e qualunquista sentimentalismo*.
Sono d’accordo con G. Linguaglossa quando afferma che le chiavi di lettura del testo debbano, in qualche modo – e lì sta la creatività dell’artista da non confondersi appunto con la prestidigitazione – appartenere al testo. Ma anche all’extra-testo, come afferma Ennio in altro post a proposito dell’epitaffio di Brecht a Liebknecht o, come afferma più sopra lo stesso Linguaglossa, quando sollecita, nella poetessa in questione, una
maggiore testimonianza ‘poetica’ rispetto all’esperienza rivoluzionaria giovanile del ’68.
Premesso che, PERSONALMENTE (consapevole che incontrerò più o meno la lapidazione per questa eresia) riconsidererei il termine ‘rivoluzione’ riconducendolo ad un concetto di ‘ribellione che ha mancato la rivoluzione’. Il che fa la differenza. Fare dei passi avanti nel processo storico è importante, ma ancora di più lo è se questi vengono accompagnati da consapevolezza. La consapevolezza di ciò che si conquista e di ciò che si perde. Quante ‘cose’ ci ha portato il capitalismo? Le possiamo rinnegare? Quanto è meglio che le donne possano anche portare i pantaloni? Ma a che prezzo?
Leggiamo queste due poesie di M.T. Rossi:
“Questa realtà ch'io vivo
ogni altro vive
nel medesimo istante
Ma ciascuno cammina sulla terra
solo con le sue pene e non avverte
il fango che gli inzacchera le scarpe
Lo stesso che fa greve il passo
del suo vicino
Arabeschi di ghiaccio sul vetro
Una rete nasconde lo spettacolo
mille vetri allineati
da questa alla tua casa
Spazio d'aria
o di tempo
o una vita di vetro sbriciolata
col sangue alle mani
se tocchi le schegge
Ma l'indifferenza
segna strisce disuguali sul ghiaccio
sulla parete trasparente
della pena
Ha una sua legge fisica
la vicenda del vivere
L’autrice ci SEGNALA, appunto attraverso il suo sentimentalismo (che non chiamerei per nulla ‘becero’) la possibilità di due opzioni: a) o che non ha attraversato pienamente alcuna ‘rivoluzione’ (si è trovata nel ‘flusso’ come può essere capitato a molti/e); b) o che, se sì, si è frantumato qualche cosa dentro di lei (non i ‘sissi’, chè quella è prerogativa dei maschietti) che non è stato più possibile ricomporre. E che, probabilmente, ha cercato di ricostituire attraverso le sue poesie.
In esse si coglie appunto la malinconicità (non la rabbia, purtroppo. E' anche questo che le rende poco incisive) di questo ‘sfalsamento’ nel progetto cosiddetto ‘rivoluzionario’: chi ha avuto un 'cuore' che ne farà poi di esso durante e dopo la rivoluzione? Lo travaserà, per l’appunto, nelle sue ‘poesie’, unica testimonianza “di una vita di vetro sbriciolata/ col sangue alle mani/se tocchi le schegge”.
Non sarà poesia che passerà nelle antologie dei poeti vip, ma qualche cosa di “agghiacciante” ce la segnala: non nel senso che intende G. Linguaglossa quando parla di “agghiacciante ingenuità”. Ma è della nostra agghiacciante ingenuità sulle ‘gloriose rivoluzioni’ che sta parlando. De te fabula narratur.
Ennio Abate:
Io distinguerei più nettamente l’essere ribelli (alla famiglia o al marito) dall’essere rivoluzionari. C’è stata troppa confusione tra le due cose attorno al ’68.
La rivoluzione non si fa in casa. E la ribellione al padre, alla famiglia anche quando si appoggia su un’ideologia politica e stabilisce un nesso tra privato e pubblico, tra famiglia e Stato - nesso che esiste e non a caso “dio, patria e famiglia” indicavano una continuità (dal generale al particolare) -
può essere sintomo, metafora di un mutamento sociale rivoluzionario, ma non è rivoluzione. «Padri e figli» di Turgenev, qualcuno ricorda? O, se volete anche «I pugni in tasca» del primo Bellocchio. Sono segnali, solo segnali di qualcosa che si muove nella società.
Quella di Maria Teresa (come quella di tanti altri/e) nel ’50 fu una ribellione. Nient’altro che una ribellione. Magari in anticipo sui tempi rispetto ad altre ribellioni simili “di massa” venute dopo.
Lei e altri/e divennero rivoluzionari/e (volevano essere rivoluzionari/e) più tardi, quando appunto verso il ’68 in Italia si cominciò a PARLARE DI RIVOLUZIONE (va sottolineato); e a tentare di mettere in pratica questa intenzione nei modi diversissimi che si seppero inventare allora: ribellioni individuali, vita nelle “comuni” di giovani , manifestazioni su temi di fabbrica, di quartiere, di scuola, scontri con la polizia, militanza in gruppi “extraparlamentari”, ecc.
La sconfitta di quel moto - fu rivoluzione? Ai posteri l’ardua sentenza! - ha impedito a Maria Teresa, come ad altri/e, di saldare la ribellione individuale alla rivoluzione, che o è collettiva o non è.
Da questo scacco la scissione, i sensi di colpa per aver lasciato i figli al marito e poi il fare i salti mortali per seguirli o soddisfarne (malamente forse, ma un guaio tira un altro…) le esigenze. E ancora le rigidità (a volte necessarie, a volte evitabili) nei rapporti coi compagni o con gli operai o con gli studenti, di cui si parla in altra parte del libro di Erica Rodari.
La lettura che tu fai, Francesca, è sbilanciata.
Quando scrivi: «Allora, come succede in questi casi, si diventa dei ribelli, dei rivoluzionari, perché in qualche modo si cerca di ristabilire nella società quella giustizia che ci è mancata. Ma alla fine, lei ha fatto subire ai suoi figli quello che lei stessa ha subito e poi forse nei suoi allievi ha proiettato un senso materno che aveva negato», stabilisci un filo diretto (e inesistente) tra la ribellione individuale e l’azione politica pubblica. Come se tutto derivasse da quel che succede IN FAMIGLIA: lì manca(va) la giustizia e la si cerca di stabilire altrove, nella società.
Non è così.
Maria Teresa, molto tempo dopo rispetto al momento in cui si ribellò alla famiglia e al marito ( 1950), solo nel ’67-’68 poté entrare in contatto con pezzi di società in ebolizzione.
La giustizia che mancava nella sua famiglia era alquanto diversa dalla giustizia che mancava e manca nella società (capitalistica). Per quanto uno sia ribelle per natura non è detto che, sbarazzatosi della famiglia, riesca a fare la rivoluzione. Se non ci sono certe circostanze reali e certi rapporti di forza (nella società e non nella singola famiglia), nessuna rivoluzione. Come si è verificato - purtroppo, dico io - in Italia negli anni Settanta.
[Continua]
Ennio Abate (Continua):
Una spiegazione tutta psicologica («alla fine, lei ha fatto subire ai suoi figli quello che lei stessa ha subito e poi forse nei suoi allievi ha proiettato un senso materno che aveva negato»), salta ragioni storiche e sociali altrettanto se non più (secondo me) significative nello spiegare la “scissione” in cui si è venuta a trovare poi Maria Teresa come militante.
Quanto a sanare quella «lacerazione» è assodato che la politica o le azioni pubbliche non lo possano fare, eclatanti o meno che siano gli atti che esse producano. ( Sarebbe da rileggere «Un mezzo litro dopo “Sussurri e grida”» (23 novembre 1973), un articolo di Fortini su “il manifesto” su tale questione).
E allora mi pare sbagliato continuare a rimproverare la politica di non saper fare QUELLO CHE NON PUO’ FARE, se manco le religioni (o i miti) ci riescono (se non idealmente).
Credo che di questa impossibilità Maria Teresa avesse piena consapevolezza e nona caso non fu troppo sfiorata neppure dal femminismo.
Se la tenne la sua contraddizione.
E, quando scriveva poesie in segreto, se la guardava un po’ come davanti a uno specchio.
Che il suo fosse opacizzato da ombre un po’ melense o ottocentesche è forse vero (sempre da quel che si vede da queste sette poesie). Forse lo sapeva pure; e infatti se le teneva nel cassetto. Ma se noi oggi le possiamo leggere, leggiamole con più generosità e indulgenza e non da “professori”. Ricordiamoci almeno della lezione di Brecht:
Le forze erano misere. La meta
era molto remota.
La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi inattingibile.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.
Voi che sarete emersi dai gorghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.
Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c'era, e nessuna rivolta.
Eppure lo sappiamo:
anche l'odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l'ira per l'ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si poté essere gentili.
Ma voi, quando sarà venuta l'ora
che all'uomo un aiuto sia l'uomo,
pensate a noi
con indulgenza.
Bertolt Brecht, "A coloro che verranno", 1939.
[Fine]
...
bellissima, Ennio, questa citazione e ben usata. Ero convinta che bastava aspettare un po' e molto di quello che avrei voluto dire sarebbe arrivato.
Scrivevo ieri sera l'inizio di un messaggio che non sono riuscita a completare per via dell'ora avanzata. Ne riporto qui sotto la parte essenziale, o meglio quella relativa a un argomento su cui nessuno è tornato a soffermarsi:
Concordo con Ennio sulla opportunità di spaziare dalla bruschetta più semplice all'elaborato piatto di alta cucina, per usare la metafora culinaria di Rosanna (che mi è piaciuta molto). Dalla sua soffitta aperta al mondo ci ha fatto riflettere alla varietà dei piatti (leggi tipi di poesia) che possiamo gustare con piacere. Chi più uno, chi più un altro, certo. Quella di Maria Teresa Rossi mi fa pensare ad una pasta con la ricotta e lo spek, piatto più borghese della bruschetta (originaria), cotto e non crudo, ma ugualmente semplice da farsi.
Credo sia un valore esser capaci di apprezzare sia la pietanza semplice che quella elaborata, sia quella delicata che quella più saporita. Certo per gustare bisogna avere almeno un po’ di appetito. E soprattutto disporsi al gusto. Lasciarsi cioè prendere dal sapore, qualunque esso sia. Non è operazione automatica, specie con certi tipi di piatto (di poesia). Poi si dirà mi piace o no, gli ingredienti canonici ci sono tutti oppure no (ma magari è buono anche così), è stato ben cucinato o meno, e via di seguito.
A me qualche volta sembra che Giorgio abbia fatto indigestione, o che comunque sia disposto a gustare solo un certo tipo di pietanze. Questo ho l'impressione che non solo lo metta in condizione di non poter gradire, magari anche solo in parte, alcune pietanze per altri gustose (sulla poesia di Paola Febbraro rimando al blog sui suoi testi, dove ho postato uno scritto e dove quanto fatto notare da Fabio Ciriachi mi pare sacrosanto) ma lo induca pure ad una acredine, nell'esprimere il suo non gradimento, che fa pensare a quella dei vecchi un po’ egoisti stretti al dettaglio nelle loro convinzioni giovanili.
Comunque, a me pure non piacerà mai il fegato alla veneziana. Anche per motivi di sapore certo, ma soprattutto perché il mio io più profondo lega il suo sapore, pur circonfuso di spezie, alle interiora animali, che, non soprattutto per sapore, non riesco a mangiare. Però capisco che ad altri possa piacere (non ipotizzo che uno cui piace sia di necessità un inetto nel discriminare i sapori e nell'utilizzare il palato, un incapace di gusto) e non ho difficoltà a considerarlo un piatto della buona cucina italiana di tradizione. Spero che il ragionamento sia, fuor di metafora, comprensibile.
Mi permetto anche di contestare l' affermazione di Giorgio che " la totalità della poesia femminile di oggi vuole alludere a chissà quali rivolgimenti dell'Anima e del Cuore". Ce ne sono di donne che scrivono poesia e non rispondono a questo cliché, forse non sono molte ma ci sono.
Concordo invece sul fastidio per le molte "recensioni di sponda e amicali" presenti sia in campo femminile che maschile. Il processo dovrebbe funzionare – e per me funziona – al contrario: dall'apprezzamento dei versi può svilupparsi conoscenza e magari amicizia.
Un caro saluto a tutti
Marcella
Va bene, mi metto in cucina anch'io. E mi vien da dire che è la solita minestra. Negli anni della depressione, che sono anche questi, ci potrebbe stare, anzi potrebbe anche essere un valido rimedio. Una minestra triste, fatta col dado star. Neanche bio. Come negli anni '60. Cioè, l'avrei detto negli anni '60, quand'ero ragazzino e avevo nella testa ancora tanta poesia scolastica: pioppi e usignoli, ruscelli stagni e stelle splendide, pioggia scarpe inzaccherate e autunno, e naturalmente anche peschi fioriti (di rosa) e prati (verdi).
Più incontro nel linguaggio della critica la parola "oggetti" e più mi sembra generica, erano paesaggi quelli in cui Leopardi annegava la sua anima pensosa e infelice, ed erano paesaggi anche quelli del primo Montale, ma almeno erano luoghi bel riconoscibili ( Montale li nominava proprio). In queste poesie di Maria Teresa Rossi i paesaggi sembrano manierati, sembrano disegni di ragazzini: qui l'albero, là il ruscello. Siamo all'interno di un edificio scolastico, nella sala della mensa. Ecco, se mai questo l'avrei precisato, che so, avrei scattato qualche foto. Avrei alzato il tiro... ma poi mi avrebbero capito i lettori-studenti? L'insegnante sente il dovere di infondere fiducia e speranza, malgrado tutto. A come albero, C come cielo... la solita minestra, appunto.
mayoor
il mio discorso tentava di avere una valenza generale. Il riferimento ai versi di M. Teresa Rossi, che d'altronde ha scritto proprio negli anni '60 mi sembra, era solo a titolo d'esempio. Quel che non mi convince è l'apertura solo a un certo tipo di poesia, la messa in dubbio dell'onestà intellettuale dell'autore i cui versi non piacciono...
ciao
Marcella
@Marcella
Ciao Marcella..ti ringrazio moltissimo per aver colto nella mia fanciullesca semplicità, sia il senso di quella metafora sul nutrimento, sia il senso "di rispetto" per ogni genere ,stile e periodo di quel nutrimento sia, infine, quello di minima delicatezza. Pur laddove i gusti e gli strumenti siano giustamente piu elaborati, occorre mantenere un minimo di portamento di rispetto...qui peraltro siamo di fronte a persona nata nel 1916, non so se ci rendiamo conto della diversa formazione anche espressiva. Peraltro non credo che il caso di questa "signora Rossi" possa rientrare fra coloro che contemporanei o contemporanee vengano o vogliano spacciarsi poeti e non lo sono. Attribuire addirittura una fraudolenza , è atto che implica quindi l'esistenza di un tribunale poetico. Se deve esserci , che ci sia ma solo per chi inganna il lettore o altre persone, facendole credere poeti, ergo che ci sia solo per il fenomeno industriale del fango di mercato.
Ti abbraccio
rò
Cara Rò, se quella che chiami fraudolenza è ciò che pensi io abbia indicato, temo ci sia stato un grande fraintendimento. Non ho mai detto che sia intenzionale, anzi, tutto l'opposto e ho cercato di spiegarlo con un percorso di lettura molto preciso.
E ancora una volta mi viene da pensare a quanto sia difficile comunicare. Io ho parlato di "inautenticità" che è cosa ben diversa, perché facevo riferimento al fatto che l'arte e con essa quindi la poesia, chiede di esprimere la verità di se stessi. Dato che esiste una profonda dicotomia tra la vita attiva e l'impegno politico della Rossi (nata pure nel 1916, ma presente nel '68 e negli anni della contestazione) e il mondo, come dice mayoor, scolastico ed edulcorato di ciò che in questi testi compare, ci vedo qualcosa di poco autentico. Cioè, questa poesia si limita a un puro esercizio più che alla ricerca di una interiore verità. E probabilmente questo è il motivo per cui Maria Teresa non ha mai pensato di rendere pubbliche le sue poesie.
dai su: qualche tuo esempio di non-poeta. Così animiamo la discussione e diamo anche qui una ripulita a 'sto fango. Per me la Rossi è poeta, me lo dice tra gli altri questo verso semplice: "Forse questo soffrire di nulla / è un fremito di giovinezza...". Forse da ragazza teneva un diario, forse quel diario s'era fatto adulto, forse... forse. Ma i diari delle ragazze non sono meno importanti di qualsiasi altra cosa, ed è vero che ogni poesia, valida o meno che la si ritenga, ha un suo pubblico possibile.
mayoor
Ciao cara Fra'..quando/quanto ho scritto a Marcella,non era specificatamente o indirettamente rivolto ,per contrapposizione, ad un tuo esprimerti sia in quest'ultimo come nel primo che non condivido ma che non per questo mi condiziona nella diminuzione di stima e affetto nei tuoi confronti, della tua esperienza professionale e di vita. Stessa cosa vale per Linguaglossa per il caso in questione( e/o altri analoghi , vedi sempre per Linguaglossa precedenti conversazioni/post "Febbraro", in cui ho partecipato ma da piu semplice lettrice in silenzio, parallelo a questo in cui sono stata meno muta).
Io credo di essere troppo tutta d'un pezzo sia nel caso di condanna della societa degli ipocriti, sia nel caso di escludere di sentirmi dio o quasi, tanto da negare la vita , compresa quella poetica, in qualsiasi sua forma regola e non regola, a qualsiasi altro..a meno che questo altro mi prenda per il culo, senza che io me ne possa accorgere, perchè ben mascherato dal truman show mondiale, in questo caso del truman editoriale.
Per quanto riguarda la fraudolenza, mi basta perchè questa sia ascritta alla vita di una persona(in generale e in questo caso , in particolare alla "signora Rossi"), laddove qualcunaltro pensi di una vita "altra" che non abbia vissuto autenticamente quella "lacerazione" che la vita è di per sé al di la di piani intimi o di piani politici, e via andando in "dicotomie",
..sono nessuno per dire di altri che non siano autentici, tranne forse per gli ipocriti omologati ai modelli vincenti, o peggio ai modelli per lo piu pseudo-vincenti, o ancor peggio per altri ipocriti, molto piu pericolosi, che credono di non esserlo ( non mi dilungo su esempi che hanno ampliato il catalogo negli ultimi tre decenni)
ovviamente capisco le tyue considerazioni sul "divario" che c'è e si legge fra le parole "politiche" di un ambito e quelle di un altro, della vita di questa Signora Rossi, ma se al massimo dovessi circoscrivere sul piano "personale" , non direi "inautenticita", ma piu semplicmente una donna "spezzata"...è questo per me "il fantasma" su cui ci siamo "divisi" allo specchio di queste sette note. Ognuno di noi sa di esserlo,spezzato, chi piu chi meno, poi si prende la scusa delle regole poetiche, della vita intera, dell'ottocento, o del novecento o altre.
un bacione
rò
"pubblico possibile" è veramente suono che mi fa innoriddire, perdona...spersonalizzante al massimo, quando l'ambito persone di riferimento, è per me corrispondente al suono : lettori e lettrici...vite.
Inoltre questo suono mi urta perchè sminuisce il rapporto /relazione, che deve rimanere per primo a cuore nell'interesse dell'autrice/ autore, a meno che viva dall'alto al basso il suo ponte e il suo dono.
al momento non mi vengono esempi di poeti e poetesse che sono stati spacciati per tali, ma ti prometto un elenco .
ciao
rò
ec
inorridire
A Rò:
"Ognuno di noi
sa di essere
spezzato." Grazie per questa poesia. Emy
Perdonata. Il mio è il linguaggio di un un pubblicitario, avessi fatto il cuoco...
ciao
m.
eh eh eh Ehmy, dobbiamo mettere un serio cartello acustico e visivo d'avviso agli altri,vedenti e non, sempre che non l'abbiano ancora toccato,visto o udito...ergo che il mio abbraccio per te e il tuo per me, può essere cos'intero e bambino causa proprio la viscerale,profonda e comune percezione e visione dell'altro..dell'altro spezzato.
Grazie Grazie, Prego Prego
.-)
rò
Cara Rò, credo che stiamo dicendo la stessa cosa con parole diverse. Tu dici "spezzata", riferendoti alla sua anima, andando al cuore della cosa, io dico "inautentica" riferendomi al suo poetare e NON a lei. Dunque non sul piano personale. E' molto diverso. Perché non potrei mai dire di un'altra persona che non è autentica se non la conosco. Quello che io indico come inautentico è l'effetto, l'esito, il segnale, di quella spezzatura interiore che traspare dalla differenza abissale di toni e pulsioni tra la spinta ad agire nel sociale e la fragilità seppur espressa in toni scolastici e antiquati, da antologia, del mondo interiore.
Dunque tu guardi l'origine di quell'effetto, io guardavo solo l'effetto, segnalando come alcune scelte della sua vita l'hanno spezzata, come tu dici, al punto da creare questa dicotomia.
Sei d'accordo?
Un abbraccio
Qui tutto è scolastico e pieno di enfasi. Nella Rossi poetessa si profila il mediocre e mediatico personaggio che al Liceo Parini (c'ero anch'io!) riduceva tutto a ideologia.
Baldo
Posta un commento