Alberto Cellotto Pertiche La
Vita Felice , Milano, 2012
La sufficiente
sostenutezza colloquiale di questa raccolta di Alberto Cellotto è indice di ciò
che altrove, sul pianeta Terra, viene stimato essere cosa gradita tra
interlocutori che si scambiano convenevoli, fatuità e prolegomeni. Le poesie
sono un po’ i prolegomeni a una vera vita che ancora non c’è. E questa raccolta
sembra quasi scritta da un poeta che non c’è per un mondo che non c’è, ci parla
di una estraniazione dal punto di vista di un estraneo alla vita, ci parla di
un mondo che c’è e non c’è. «Pertiche» potrebbe sembrare un titolo
eccessivamente generico proprio per quel suo restringere il campo semantico
della significazione ad un oggetto di uso quotidiano. Un quotidiano con la
consapevolezza che non in esso c’è il salvagente, un quotidiano che non è più
l’ancora di salvezza cui anelavano le generazioni di poeti del tardo Novecento.
Il quotidiano è oggi diventato moneta corrente, passa di mano in mano al pari
di una moneta, non indica, non significa niente:
…. Io, quelli
che hanno fatto
un pezzo di storia
con me, non
siamo mai stati giovani:
ci hanno
fregato,
hanno bucato
una generazione
intera, forse
anche due. Siamo
chincaglieria,
vecchi che camminano di corsa
rapidamente,
gonfiati di cattiveria
per non portare
neanche un po’
d’aria dentro
un ospedale
di matti
dimenticati dal fare
e dal sognare…
La storia (con
la iniziale minuscola) è qualcosa che è andato nel dimenticatoio, che è caduta
in disuso
assieme alle
retorizzazioni, anch’esse finite fuori corso, tutte intere con i loro bagagli
sinfonici. Anche la tematizzazione di queste composizioni rivela quel qualcosa
di casuale e, insieme, di accessorio, con cui viene edificata (per così dire)
la poesia di Cellotto, non più figlia di «occasioni» né nipote di
quotidianissime vicende (anch’esse destituite di particolare rilevanza). Si
percepisce che c’è come un fondale che è franato dietro queste poesie, il
fondale che un tempo aveva nome di «passato», «tradizione», «retorizzazione»
etc. – Le mezze frasi di cui è piena questa poesia sono frasi realmente tolte
di mezzo dal mezzo, non è più un mezzo parlare, il «balbutire» montaliano.
Come scrive Adorno: «Dietro la demolizione
pseudodemocratica delle formalità, della cortesia vecchio stile e della conversazione
ormai inutile e sospetta non del tutto a torto di non essere che pettegolezzo,
dietro l'apparente chiarezza e trasparenza dei rapporti umani, che non tollera
più nulla di indefinito, si annuncia la pura brutalità. La parola diretta, che
senza dilungarsi, senza esitare, senza riflessione, ti dice in faccia come
stanno le cose, ha già la forma e il tono del comando che, sotto il fascismo, i
muti trasmettono ai muti. La semplicità e oggettività dei rapporti, che elimina
ogni orpello ideologico tra gli uomini, è già diventata un'ideologia in
funzione della prassi di trattare gli uomini come cose.»*
Cicatrici
La punta delle
bandiere vicino
le fabbriche,
la cima ferma dell’albero.
Il rosso sta
scendendo, l’aria
rimane
all’altezza delle formiche.
Chi se lo
immagina un posto
così tra dieci
anni, chi prova
a combaciare
le diverse
epoche che
scantonano dal passato.
Per una volta
chiedere ai piedi
come stanno,
se c’è una radice
che solleva
l’asfalto navigando
nel bitume e
pesca l’ossigeno.
Potrebbe
essere come il tornare
al mondo,
all’angelo
che mi
guardava cadere sempre,
alle croste
rimaste sulle ferite.
Dopo, lì una
pelle sbiancata
poteva
solamente spiegarci
che il sangue
era quello
che ci tocca
davanti,
agli occhi al
naso alla bocca.
Pioggia oggi e domani
Adesso piove,
è notte
o sera e penso
una lamiera
che prende
l’acqua, il pelo del fiume
al buio, il
sottobosco dove
una goccia non
arriva.
Piove solo
fuori, e non è
notizia
che vengano
giù i cartelli,
coi prezzi
urlati, sempre più
bassi, la
pioggia è solamente
ricordo di
tante piogge in fila,
messe in
ordine per sbaglio
nella testa
che vuole questo rumore,
questo
assaggio di limbo
che è pensare
una nuvola, al buio,
e la luna
nascosta dietro
che oggi
illuminerebbe a stento
i volti,
quelli ignoti. E se pioverà
domani,
allora, sappiamo già
che viviamo
nella terra e solo
in quella
avremo la pace.
Simili
Uguale al
treno, quando
tanti scendono
e poi, soli, si sale.
Al centro
della vita
restano i
vestiti e le piante
che precedono
i pensieri.
Si
sostituiscono alle occasioni
le belle
strade.
Resta
l’obbligo di dare
precedenza
agli incroci
tra i volti,
sfollare la memoria.
Giurassico
Né io, o
questi
spazi miei
siamo
un’arca,
abbiamo quasi
niente da
guidare
verso
salvezze. Solo
l’alluvione
dei mattini
guardati sopra
lo
svincolo
ferroviario, il tempo
delle suole e,
forse,
per carità
sola, aquiloni
sugli alberi.
A
un’adolescente
Parla piano
per non farsi
capire, dice
le cose ma non vuole
lasciarle
intendere. A volte parla
da sola per
demolire
un tragitto in
macchina identico
quasi a mille
altri. A. è stata più volte
ripresa: quel
bofonchiare da rospa,
lucente per
poco,
che nei tratti
d’emozione
è acuto e fastidioso,
deve
diventare
fermo e scuro,
pieno di
quella chiarezza
che a volte è
più inutile di tutto.
* (Theodor W. Adorno - Minima
Moralia / Meditazioni della vita offesa - Einaudi, 1994.)
3 commenti:
Per scrivere così bisogna starsene alla larga da sovrastrutture del linguaggio, da lirismi e svenevolezze. Se mai si dà spazio a qualcosa dell'infanzia, chissà, magari a un dialetto che se ne sta sotterraneo come un modo di commentare. E si sente, si vede il paesaggio a nord est che non ha romanticismi, qualche villa sì, ma per lo più sono lamiere, svincoli ferroviari, cartelli. E bisogna azzerare le fantasie, non per delusione o pessimismo, ma perché se ne sente proprio la voglia. Quindi c'è una verità interiore che annulla gli sdoppiamenti, come che la poesia è qui, bella o brutta che sia è l'ultimo dei problemi. Ma infine è luminosa, anche la pioggia, anche le lamiere e tutto il resto.
Davvero mi sono piaciute queste poesie di Cellotto. In qualche modo contengono un insegnamento che mi torna utile, che cercavo, solo che azzerando si ha l'impressione di non volare e questo un po' mi spaventa. Complimenti.
mayoor
Davvero chiarissima l'abolizione della formalità in questo scrivere. Un nuovo da considerare, per me da studiare...
Il percorrere il nuovo con una certa aggrssività , tipica del nostro tempo , mi lascia un po' perplessa , quasi dubbiosa . Forse sarà sempre tutto più nuovo senza sentimentalismi e ricordi . In fondo il ricordo è un morto che qualche volta parla...non ascoltarlo è un'offesa e qui il morto si sente. Complimenti al poeta e al suo coraggioso scrivere. Emy
Mi sembra che in questa poesia ci sia molta novità, molto "studio" e non in senso negativo. Ne scaturisce un linguaggio asciutto,essenziale, disincantato che non cede a compiacimenti e ad illusioni.
Una poesia ancorata alla realtà,immagini e forme si fondono in linee pulite,pregnanti.Molto bravo.
Maria Maddalena Monti
Adolescenti
In quei giorni rissosi
segni sfuggenti
vicendevoli consonanze.
A bada
l'amore che trabocca.
Defilati osservatori
di un'avventura.
Verbi coniugati a distanza.
Parole senza desinenza
note falsate
sul rigo pentagramma.
Piani diversi
monadi che non s'incontrano.
Traiettorie diseguali.
Improvvisa ,a volte,
una luce.
Posta un commento