mercoledì 10 ottobre 2012

Giorgio Linguaglossa
Su "Pertiche" di Alberto Cellotto


Alberto Cellotto Pertiche La Vita Felice, Milano, 2012

La sufficiente sostenutezza colloquiale di questa raccolta di Alberto Cellotto è indice di ciò che altrove, sul pianeta Terra, viene stimato essere cosa gradita tra interlocutori che si scambiano convenevoli, fatuità e prolegomeni. Le poesie sono un po’ i prolegomeni a una vera vita che ancora non c’è. E questa raccolta sembra quasi scritta da un poeta che non c’è per un mondo che non c’è, ci parla di una estraniazione dal punto di vista di un estraneo alla vita, ci parla di un mondo che c’è e non c’è. «Pertiche» potrebbe sembrare un titolo eccessivamente generico proprio per quel suo restringere il campo semantico della significazione ad un oggetto di uso quotidiano. Un quotidiano con la consapevolezza che non in esso c’è il salvagente, un quotidiano che non è più l’ancora di salvezza cui anelavano le generazioni di poeti del tardo Novecento.
Il quotidiano è oggi diventato moneta corrente, passa di mano in mano al pari di una moneta, non indica, non significa niente:

…. Io, quelli
che hanno fatto un pezzo di storia
con me, non siamo mai stati giovani:
ci hanno fregato,
hanno bucato una generazione
intera, forse anche due. Siamo
chincaglieria, vecchi che camminano di corsa
rapidamente, gonfiati di cattiveria
per non portare neanche un po’
d’aria dentro un ospedale
di matti dimenticati dal fare
e dal sognare…

La storia (con la iniziale minuscola) è qualcosa che è andato nel dimenticatoio, che è caduta in disuso
assieme alle retorizzazioni, anch’esse finite fuori corso, tutte intere con i loro bagagli sinfonici. Anche la tematizzazione di queste composizioni rivela quel qualcosa di casuale e, insieme, di accessorio, con cui viene edificata (per così dire) la poesia di Cellotto, non più figlia di «occasioni» né nipote di quotidianissime vicende (anch’esse destituite di particolare rilevanza). Si percepisce che c’è come un fondale che è franato dietro queste poesie, il fondale che un tempo aveva nome di «passato», «tradizione», «retorizzazione» etc. – Le mezze frasi di cui è piena questa poesia sono frasi realmente tolte di mezzo dal mezzo, non è più un mezzo parlare, il «balbutire» montaliano.
 Come scrive Adorno: «Dietro la demolizione pseudodemocratica delle formalità, della cortesia vecchio stile e della conversazione ormai inutile e sospetta non del tutto a torto di non essere che pettegolezzo, dietro l'apparente chiarezza e trasparenza dei rapporti umani, che non tollera più nulla di indefinito, si annuncia la pura brutalità. La parola diretta, che senza dilungarsi, senza esitare, senza riflessione, ti dice in faccia come stanno le cose, ha già la forma e il tono del comando che, sotto il fascismo, i muti trasmettono ai muti. La semplicità e oggettività dei rapporti, che elimina ogni orpello ideologico tra gli uomini, è già diventata un'ideologia in funzione della prassi di trattare gli uomini come cose.»*

 Cicatrici


La punta delle bandiere vicino
le fabbriche, la cima ferma dell’albero.
Il rosso sta scendendo, l’aria
rimane all’altezza delle formiche.
Chi se lo immagina un posto
così tra dieci anni, chi prova
a combaciare le diverse
epoche che scantonano dal passato.
Per una volta chiedere ai piedi
come stanno, se c’è una radice
che solleva l’asfalto navigando
nel bitume e pesca l’ossigeno.
Potrebbe essere come il tornare
al mondo, all’angelo
che mi guardava cadere sempre,
alle croste rimaste sulle ferite.
Dopo, lì una pelle sbiancata
poteva solamente spiegarci
che il sangue era quello
che ci tocca davanti,
agli occhi al naso alla bocca.


Pioggia oggi e domani



Adesso piove, è notte
o sera e penso una lamiera
che prende l’acqua, il pelo del fiume
al buio, il sottobosco dove
una goccia non arriva.
Piove solo
fuori, e non è notizia
che vengano giù i cartelli,
coi prezzi urlati, sempre più
bassi, la pioggia è solamente
ricordo di tante piogge in fila,
messe in ordine per sbaglio
nella testa che vuole questo rumore,
questo assaggio di limbo
che è pensare una nuvola, al buio,
e la luna nascosta dietro
che oggi illuminerebbe a stento
i volti, quelli ignoti. E se pioverà
domani, allora, sappiamo già
che viviamo nella terra e solo
in quella avremo la pace.



Simili


Uguale al treno, quando
tanti scendono e poi, soli, si sale.
Al centro della vita
restano i vestiti e le piante
che precedono i pensieri.

Si sostituiscono alle occasioni
le belle strade.
Resta l’obbligo di dare
precedenza agli incroci
tra i volti, sfollare la memoria.



Giurassico


Né io, o questi
spazi miei siamo
un’arca, abbiamo quasi
niente da guidare
verso salvezze. Solo
l’alluvione dei mattini
guardati sopra lo
svincolo ferroviario, il tempo
delle suole e, forse,
per carità sola, aquiloni
sugli alberi.



A un’adolescente

Parla piano per non farsi
capire, dice le cose ma non vuole
lasciarle intendere. A volte parla
da sola per demolire
un tragitto in macchina identico
quasi a mille altri. A. è stata più volte
ripresa: quel bofonchiare da rospa,
lucente per poco,
che nei tratti d’emozione
è acuto e fastidioso, deve
diventare fermo e scuro,
pieno di quella chiarezza
che a volte è più inutile di tutto.


* (Theodor W. Adorno - Minima Moralia / Meditazioni della vita offesa - Einaudi, 1994.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Per scrivere così bisogna starsene alla larga da sovrastrutture del linguaggio, da lirismi e svenevolezze. Se mai si dà spazio a qualcosa dell'infanzia, chissà, magari a un dialetto che se ne sta sotterraneo come un modo di commentare. E si sente, si vede il paesaggio a nord est che non ha romanticismi, qualche villa sì, ma per lo più sono lamiere, svincoli ferroviari, cartelli. E bisogna azzerare le fantasie, non per delusione o pessimismo, ma perché se ne sente proprio la voglia. Quindi c'è una verità interiore che annulla gli sdoppiamenti, come che la poesia è qui, bella o brutta che sia è l'ultimo dei problemi. Ma infine è luminosa, anche la pioggia, anche le lamiere e tutto il resto.
Davvero mi sono piaciute queste poesie di Cellotto. In qualche modo contengono un insegnamento che mi torna utile, che cercavo, solo che azzerando si ha l'impressione di non volare e questo un po' mi spaventa. Complimenti.
mayoor

Anonimo ha detto...

Davvero chiarissima l'abolizione della formalità in questo scrivere. Un nuovo da considerare, per me da studiare...
Il percorrere il nuovo con una certa aggrssività , tipica del nostro tempo , mi lascia un po' perplessa , quasi dubbiosa . Forse sarà sempre tutto più nuovo senza sentimentalismi e ricordi . In fondo il ricordo è un morto che qualche volta parla...non ascoltarlo è un'offesa e qui il morto si sente. Complimenti al poeta e al suo coraggioso scrivere. Emy

Anonimo ha detto...

Mi sembra che in questa poesia ci sia molta novità, molto "studio" e non in senso negativo. Ne scaturisce un linguaggio asciutto,essenziale, disincantato che non cede a compiacimenti e ad illusioni.
Una poesia ancorata alla realtà,immagini e forme si fondono in linee pulite,pregnanti.Molto bravo.

Maria Maddalena Monti

Adolescenti

In quei giorni rissosi
segni sfuggenti
vicendevoli consonanze.
A bada
l'amore che trabocca.
Defilati osservatori
di un'avventura.
Verbi coniugati a distanza.
Parole senza desinenza
note falsate
sul rigo pentagramma.
Piani diversi
monadi che non s'incontrano.
Traiettorie diseguali.

Improvvisa ,a volte,
una luce.