Magdeburgo in Ratisbona, Annamaria De Pietro, Milanocosa Edizioni, Milano 2012
In questo libro c’è, ecco, questa tensione all’aprirsi del
bianco della pagina, mentre intreccia forme tra pensiero informante e fatti,
nella coscienza del rischio del vuoto di senso. È una tensione che ha
corrispondenze, per me, con lo stato di degrado, disgregazione e disperazione
impotente, subito e vissuto da larghi strati sociali. Il problema è (è stato
già detto) prima di tutto culturale, di una cultura che rielabori un pensiero
adeguato ai vari ambiti della prassi, politica, etica ecc., compresa quella
poetica.
Ambiti interconnessi anche in quest’ultima, che può arrotolarsi nei
più voluttuosi viluppi di parole ma se non esce da sé non si salva. Lo
ribadiscono i versi del secondo palindromo,
che specularmente al primo apre a un nuovo inizio:
Palindromo del trovarsi
Dal falso il segno a stampa che nel
pensiero ritorna
strisciando vuote reti ombra al
guizzare del branco
– rispondo – e il vento in alto le
alte vele frastorna –
di sé compiace l’angolo ritagliato
nel bianco.
A ulteriore riprova, a pag 164, scrive: “Ma porte e
finestre erano, e sono, quello che volevo, e voglio – la fuga dal vuoto, dal
chiuso, dalla solitudine, dal male, attraverso un proditorio (potrei forse
definirlo etico) traino, due tiri di otto cavalli l’uno opposto all’altro
traente, verso un territorio di astanze libero e aperto, pieno di cose
dicibili, dette, il bene di un’auspicata salvezza” tra “due luoghi reali, fisici e logici, sinonimicamente contrapposti:
il primo, Magdeburgo, cava del vuoto (che col suo nome s’identifica), del
chiuso, della solitudine, del male, – il secondo, Ratisbona, mina dicibile
della salvezza, apertura, accoglienza, una cordiale porta spalancata alla
calata dei possibili, al loro vertiginoso irrompere…Perché grazie a Ratisbona,
la sconosciuta città lontana, il vuoto non è qui, il vuoto è altrove.” È l’alito e il sogno di questo libro, che
“Cosí, in due macrosezioni, valve, emisferi di Magdeburgo se vogliamo, da un
lato, la prima città, ho raccolto i testi virati al fosco, dall’altro, la
seconda città, quelli virati al chiaro.” (ibidem)
(da La negazione del vuoto di Adam Vaccato che si legge per intero qui)
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