di Ennio Abate
Ripubblico con alcune ripuliture l’intervento che lessi il 15 marzo 2007 alla Casa della Poesia (Palazzina Liberty, Milano).
«L’artista
non è semplicemente colui che ascolta sé come sorgente di verità… Abbiamo
bisogno di specialisti della letteratura e del mondo; così come abbiamo bisogno di poeti della
poesia e del mondo».
(Giancarlo Majorino (Atti del convegno di Letture, 1997)
1. Parto da una premessa che dovrebbe chiarire subito il senso di quanto dirò. È stato detto: «Per quanto male si possa dire del genere antologico… non se ne può fare a meno» (Parola plurale, pag. 10) E, in effetti, di antologie della poesia contemporanea se ne fanno e se ne faranno ancora. Ma è difficile occultare che la forma-antologia sia in crisi. E aggiungo: come la forma partito.
3. Non nego, tuttavia, che in passato la forma antologia abbia avuto dei meriti. Si pensi, ad esempio, alla trasmissione di saperi di base sulla poesia e sui poeti da una generazione a un’altra. Per cui un pubblico - forse non tanto vasto - di lettori e studenti in formazione ha tratto vantaggio dalla lettura di antologie ben meditate, perché posto da subito di fronte ad una sintesi chiara e autorevole della produzione poetica di un’epoca che gli faceva conoscere, malgrado vuoti o esclusioni, un certo numero di autori-monumenti capaci di parlargli della vita e del mondo in modi insoliti, affascinanti. Non sempre e di sicuro “il meglio” (concetto sempre opinabile e variabile), ma almeno i “fondamentali” venivano assicurati. Il che permetteva d’interrogare – a volte con più libertà, a volte con alcune restrizioni - anche il resto o di spingersi anche verso i margini, i “minori”, gli esclusi; e magari anche verso l’extrapoetico.
5. Oggi l’antologia di poesia contemporanea, perciò, è in partenza un colino con la rete bucata. Dovrebbe filtrare un oceano eterogeneo, limaccioso: quello della «nebulosa poetante» o dei «moltinpoesia», di cui ho parlato altre volte. Ma ancora più eterogeneo e limaccioso, anzi in ebollizione e in guerra permanente, è proprio il mondo contemporaneo a cui l'antologia poetica dovrebbe richiamarsi. Perché è in esso che critici, poeti, poetanti e lettori - loro malgrado - si trovano, senza riuscire più – come tutti del resto - a spiegare o a spiegarsi. E forse bisognerà aspettare che vengano messi a nostra disposizione strumenti diversi da quelli finora usati. Ormai indispensabili per capire il mondo d’oggi, ma altrettanto e forse più per scrivere una qualsiasi antologia di poesia contemporanea.
7. Da qui anche un interrogarsi scettico su canone sì/canone no. Dopo quello raffigurato nella triade Carducci/Pascoli/ D’Annunzio e dopo quello Ungaretti/Saba/Montale chi canonizziamo?Insomma, di fronte al «tempo del gremito» (Majorino), dei sempre più invasivi mass media e Internet, , l’antologia non pare possa avere più la funzione storica positiva che in passato ha avuto: quella di antologia-manifesto (futuristi, Sanguineti); quella di antologia-museo (Mengaldo); e neppure quella di ecologia della letteratura o della poesia di cui parlò a suo tempo Fortini.
8. Nel groviglio confuso di questa crisi collocherei anche le reazioni spicciole, empiriche, quasi mai teorizzate, di quanti, per generica passione, pur non passando attraverso il colino delle odierne antologie di poesia, si interessano di poesia: «la nebulosa poetante» (o moltitudine), i «moltinpoesia». A prima vista è innegabile che - consapevoli o meno della crisi - cercano altri parnasi o parnasetti, sfogano un desiderio confuso in mille rivoli carsici, in una produzione spasmodica e caotica di testi e di piccole pubblicazioni, in fondazioni di riviste, piccole case editrici “alternative” o “indipendenti” e ora di siti su Internet. Alcuni, che li osservano con cipiglio e da collocazioni in apparenza più inattaccabili, li vorrebbero solo come lettori o consumatori paganti e plaudenti. Ma i moltinpoesia non pare vogliano essere più esclusivamente lettori. Sono perlopiù - pare - scriventi o lettori/ scriventi, o lettori/critici. E perseguono - in latente, borbottata, mai del tutto dichiarata contrapposizione con l’elitarismo delle università, delle case editrici maggiori, delle fondazioni - un loro ambiguo elitarismo di massa, frutto indiretto della scolarizzazione della società degli anni 60’-70, sempre più a disagio e fuori tempo nella società dello spettacolo e dei mass media.
9. Come reagiscono,
invece, gli addetti ai lavori nelle
università, nelle case editrici, nei giornali? Hanno fissato - mi pare - i loro valli difensivi. Hic
sunt leones. Insistono a farsi antologie alla vecchia maniera elitaria, arrivando a volte
alla loro parodia. (Come Daniele Piccini, La poesia italiana dal
10. Concludendo . Il vero rischio per me oggi è che più che ad una scoperta del plurale ci si rassegni ad una ideologia soporifera del pluralismo, che sostituisce il vituperato monismo di una volta. Vorrei, invece, ragionare sul plurale come problema da cui partire e non come punto d’arrivo assodato e indiscutibile. E porre domande: come sviluppare il plurale nel campo della poesia e della critica? cosa tentare al posto dell’antologia? e per mirare a cosa? Come punto di partenza in un’ottica pienamente plurale, al posto dell'antologismo, vedrei con favore la stesura di dizionarietti della moltitudine poetante e di annuari ben pensati. Meglio mappare tutto il plurale possibile. Anche quello che fa arricciare il naso a qualcuno. Meglio mantenere fluidi, come in vasi comunicanti, livelli alti, medi, bassi che moltiplicare monadi, gruppetti, cordate amicali incomunicanti. Certo, un semplice inventario di testi e di nomi non dirà se e cosa la poesia d’oggi covi in sé di liberatorio o se non si riduca - come molti insinuano o sospettano - a semplice sfogo psichico che produce forme espressive epigoniche o velleitarie. Ciò detto, non mi sento neppure di scartare del tutto l’antologismo. Forse lo si può anche rinnovare. Vorrei evitare, cioè, un aut-aut: o l’antologismo (più o meno elitario) o l’anarchismo delle migliaia di pubblicazioni autoreferenziali. Non approvo, però, l’antologismo elitario. Penserei a una futura antologia della moltitudine poetante, di cui Parola plurale potrebbe essere stato un assaggio. E, se siamo nella postmodernità (cosa su cui non giuro), sarebbe un bene che la moltitudine - anche quella poetante - tenti di costruirsi una propria grammatica (Virno), una propria sintassi, magari imparando qualcosa dal moderno, invece di cancellarlo con una riverenza o uno sberleffo. Far incontrare la critica (un Virgilio collegiale?) con la moltitudine poetante (un Dante fatto di molti?) è un’idea forse utopica, ma stuzzicante. Penso perciò che i moltinpoesia debbano costruirsi i loro luoghi, i loro laboratori (uno lo stiamo provando qui…) e tentare il passaggio all’espressione piena del plurale, alla cooperazione, all’individuazione di un “noi” comune , che ci potrebbe tenere insieme senza farci smettere di essere singoli. Si dice che la poesia contemporaniea sia stata stravolta perché avrebbe surrogato per molti il vuoto lasciato dal tramonto della politica (Tronti) e che le esistenze dei singoli saranno sempre più chiuse; o che essa sia il surrogato a buon mercato di un’analisi, comunque costosa e non a tutti permessa. Facciamo la tara sul disprezzo o lo snobismo presenti in certe diagnosi e andiamo a verificare se in questi laboratori di poesia/sulla poesia si possa imparare o meno a distinguere le spinte estetiche e politiche capaci di generare una buona poesia dei molti. Avendo chiaro che non siamo semplicemente ad una Odissea di Forme poetiche ma anche ad una Odissea delle forme di vita e ciascuno deve farci i conti.
15 marzo 07
Casa
della poesia Palazzina Liberty - Milano
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