Tabea Nineo 1990
Questa è la quinta e ultima parte del mio saggio. Per comodità del lettore che vorrà leggerlo lo pubblico completo in appendice [E.A.]
13. Progettare? Ma scherzi! «Buone rovine» e storie che scottano
Non posso al momento mostrare esempi pienamente convincenti di poesia esodante (i miei li considero, con modestia indispensabile, dei tentativi in tale direzione). E poi oggi, in tempi di crisi, invitare a parlare di progetto (o a presentare dei progetti da confrontare e scegliere) fa storcere il naso.
Diciamocelo lealmente. Di solito ciascuno di noi segue, se non con sufficienza, con la coda dell’occhio qualsiasi discorso “progettuale”. Lo vive come “calato dall’alto”, roba “da critici” o “da intellettuali”. E, se partecipa a iniziative pubbliche, lo fa con saltuaria eleganza (in modo da esserci e non esserci). Si tratterebbe di riti, ai quali presenziare per cortesia o convenienza.
Ora è pur vero che scrivere poesia è atto compiuto in solitudine e l’intervento altrui è previsto semmai a stadio avanzato o ad operazione compiuta. Ma è proprio così? È sempre stato così ed è irrimediabilmente destinato ad essere così?