sabato 30 giugno 2012

Enzo Di Mauro
Poesie da "Il tempo che non venne"



Il tempo che non venne
Non pare - mi dico mentre scrivo
un mucchietto di versi servili -
l'inverno più freddo della storia.
Ma certo è qualcosa, è certo qualcosa
questa pastetta di terra umida,
questo grumo sporco
che si apparenta al cielo e resta giù
cascando e cascando
desolato e incomprensibile
- come desolata è la mia furia di uomo
che non possiede nulla e zoppica
non sostenuto neppure da catene o dall'artiglio
che strazia col suo gelo di speranza,
ed essere senza nome, impronunciato,
è una grandezza che fa tremare.

Ma non dimenticata resta la freccia della Legge
che dava all' aprile la carezza della vittoria.
La giovinezza del mondo non ebbe peso
e non contarono i suoi muretti scrostati,
i volti su pietra millenaria,
le fabbriche in disuso, i tumuli senza nome.
Si camminò per chi - polvere d'ossa
illacrimata - non ebbe gambe né stampelle.
E nessuno volle essere cosÌ cieco
- nessuno cosÌ pazzo da lanciarsi contro il cielo del futuro
con la dolorosa coscienza di chi sa
l'umiliante pace col proprio cuore borghese.
Non germogliò il seme comune
- la sua grazia è senza casa, sparsa nell' aria
di quelle perdute stagioni - e ora so:
ciò che non fu bruciato si doveva bruciare.
Bisognava sparare meglio e di più
- mirare con zelo al nostro cuore.


Vladimir Nabokov: una poetica

1.
Tu non esisti più, Tschischwit,
manicomio di consonanti, mio prediletto
commentatore di libr
i,
critico disordinato e pigro,
lettore lussurioso.
lo passeggiavo pieno d'orgoglio
sotto il sole di Malag
a
e pensavo a poesIe e ragazze
e anzi a cosa sia la poesia
se non un marzapane a tradimento
- una piccola rovina
.
Più invecchio, mi dico, e più non vivo
senza la rose
tta spoglia
del suo culo adolescente
e le dita che fai scivolare
dentro la mia bocca malferma, incatramata.
Mi basta così.
Non eccelse poesie
e qualche peccato capitale.
Mentre a te questo schianto è negato.
2.
Tu che amavi il cinema e il mare
non sei stata la passante acerba,
la ragazza che fulmina e scompare
o il ricordo lacrimoso di un disastro.
Fu a Berlino che com
inciammo
a passeggiare insieme
scoprendo la felice spossatezza dei sabati
e, già stanchi d
'emigrare,
la mite dolcezza delle domeniche europee
- nei parchi correvamo e in riva al fiume
c'erano mulinelli di polvere, derrate di vento
che costringevano - noi felici per quelle
-
a tornare in albergo mai troppo sbronzi.
Quella stanza fu il nostro liceo,
la chiave universale del futuro.
Oggi arrivi - mi torni in sogno, voglio intendere -
su un infiorato barroccetto nordico
carica di pugnali d'ogni foggia, luccicanti
- e non so che significhi
o dove conduca questo satrapo notturno.
3.
Amo - tra tutti - i versi irregolari,
il crepitio di certe tronche,
le chiuse in volta acuta
che rimano con lei.
Ma tu, invece, avaro lettore,
pessima spia, vittima delle mie imposture,
non riconosci più
- seppure esperto
di buone maniere -
le parole piegate sul mondo
e quanto costarono al briccone che ero
le pagine non aperte
nei lampi delle cancellature.

Agli anni Settanta
Non da questo seme, non da qui,
nei giorni vivi e vili io fui,
mi dicono, un poeta poetante,
innamorato, anche elegante.
Ora perduta ho l'eleganza.
Mi preferisco basculante in arcadia ego
ho imparato che non sempre la poesia
salva i poeti dall'idiozia.

Ògnina
Il pensiero è a pochi secondi,
un palmo o due,
quasi una bruciatura, dici sfogliando il calendario.
Ora c
'è un vuoto che atterra,
dalla vela una saetta
scocca verso il lido di Ògnina
- angolo senza più partenze
e tuffi e nuotatrici, zona morta.
Di dove passi è così
a far tappa nei caffè del dopoguerra
o in freccia curva di blumacchiata notte
- ma tu allora che vai
di casa in cartolina a fare nido,
simulando, per ascese, il disonore?

Noto
Così dovessi pensarti a tarlo
di ventura - in un viaggio da fermo
nella stanza - non saprei cosa nascondere:
se il beccuccio di creta
o la piccola stazione di Noto
da dove non parte niente
o così pare nella poca luce
t
agliata dal vento senza vele.
Ora è ferma su di te
la v
elatura del clima
e un po' di febbre che ci stampa nella piazza
nel dormire a stento,
sapendo la luminaria d'agosto.
Ma tutto ricomincia a quota zero
- e sarà stato un chiodo, credo,
piantato nel cielo stinto, il punto alto dell' anno
inciso nella pietra, nel rantolo dell' auto,
un lembo di pellicola
sgranata nell' arancio ne del tramonto.

Sulla tomba di Osip Mandel'Stam
1.
Nel gelo trasporto gli ultimi cavalli
da una parte all' altra del fiume
ma è una falda di sogno meridiano
nel mio cervello rinsecchito come un limone
dietro la casa che rivedo attraversando
la metrica dei poeti antichi
nell' ora più vetrosa del soffocamento.
Ci sono, lo vedo, piccole cose a grappoli
come note al libro imparato a memoria.
Le leggo scritte in lontananza,
con fatica, nella placca d'umido:
tenetemi sveglio, sfrigolate i nervi
dove questo sfidarsi, fidanzarsi
o «lavati i denti, nettali per la tomba,
tienili bianchi come latte»
è un raggiro per brillare
in una notte del futuro.

2.
Senti? Questa musica del secolo
battuta da ossa e
cielo
è come una scossa d'insetto morente
che fa tremare il legno del traghetto
al calore dei cavalli in ansa.
Sterpi e calcinacci dalla finestra chiamano:
un sistema perfetto
di cavi elettrici mi scuote,
incendia il continente
di quest' anno che finisce
scivolando sui vetri di una felicità confusa
a chissà cosa che risponde
- ma che farfalla è?

Sulla tomba di Walter Benjamin
Spezzando il gioco mortale
non volesti essere nemmeno cenere,
rimasuglio, pietra, polvere
- ma senza terra, buio intangibile.
Oggi, qui, in nessun luogo,
guardo la fatica dell' angelo
che soffia dentro una trombetta
che non c'è - perduta per sempre:
annuncia priva di suono
la propria miseria di scricciolo
in ogni orma, in ogni tumulo.
Le gote gonfie di fiato a perdere
- esserino ottuso, mutilato,
buffo da far piangere -
e scheggiate resistono le ali
in un lampo d'ossa che rimane
senza altezza né caduta.
Fuori è sempre una minaccia,
una dedica. Né io né il gelo arretriamo.
Questo mantice che hai nutrito
porta via verso un tempo senza pace
- dove il passo secco delle ronde
nemmeno a giorno fatto ammutolisce.



*Le poesie sono state scelte da E. Di Mauro, Il tempo che non venne, Lavieri ed.

*Enzo Di Mauro è nato a Paternò, in provincia di Catania, nel 1955.
Con Notturna (1987) ha vinto il premio Montale della giuria tecnica.
Ha curato tra l’altro La parola innamorata (1978, con Giancarlo Pontiggia)
e dal 1969 ha esercitato una ininterrotta attività pubblicistica per molte testate,
tra cui «La Fiera letteraria», «La Gazzetta di Genova», «Il Globo»,
«Italia Oggi», «Paese sera», Radio popolare, «Liberazione», Radio Rai,
«Diario», «Corriere della Sera», «Il Messaggero».
Da parecchi anni svolge un intenso lavoro di cronista letterario
per il quotidiano «il manifesto».  Vive tra Milano, Arona e Roma.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Leggo queste poesie e sento il bellissimo connubio tra metafora , malinconia e forza legate da una grande voglia di perfezione, insomma un risultato davvero ottimo. Poesie anche queste come anche quelle del post precedente d'alto impegno e davvero da conservare. Emy