di Ennio Abate
a cura di Ennio Abate
di Ennio Abate
1.
Se/
obbligato ai tic e vivaci moine
per salotti e soirées/ fra ceti
medi e alti
hai corso
qualcosa di grandioso e
abietto/ sullo sfondo
e in filigrana
feroci e oscure
circostanze
sveli
la tua cartamoneta scritta
Piena
di leggerezza/ allor
sarà nel crash delle utilitarie
la
tua danza davanti alla ghigliottina
RIORDINADIARIO 2011/ MOLTINPOESIA
di Ennio Abate
Se
sto su una spiaggia affollata da molti bagnanti e vedo una persona
che sta per affogare, mi rivolgo ai pochi a me vicini, che mi possono
sentire e darmi una mano. Non alla folla lontana e distratta, alla
quale le mie grida non arrivano o giungeranno incomprensibili. Per
questa scelta qualcuno mi potrebbe mai accusare di aver voluto
rivolgermi a pochi con l’intento di «creare nuove élites»?
L’immagine
che ho della poesia oggi è proprio questa: una persona che sta per
affogare. Tutti noi vorremmo salvarla. Io però vedo attorno molta
agitazione, troppa confusione. E non m’illudo che alla (difficile)
operazione di salvataggio possano partecipare i *molti*,
ai quali pur si richiama nel nome il nostro Laboratorio. Non è
possibile. Non subito almeno.
Le
cause di questo scarto sono tante e complicate: il tipo di vita
convulso che facciamo; il “rumore di fondo” dei mass media che
comunque ci sommerge; gli orientamenti mutevoli dei singoli, ora più
propensi all’autopromozione individualistica ora affascinati
dall’obiettivo di una libera espressività ora diffidenti verso
certi problemi (critica dei testi, rapporto tra tradizione e
innovazione, ecc.) considerati troppo spesso oziosi o fisime per
“intellettuali”.
Se
questo mio punto di vista non è del tutto campato in aria, non mi
sento affatto in contraddizione per aver scritto:
Conclusioni. La critica – almeno quella che ancora sta addosso a «questa realtà oggettiva» e non occulta l’esistenza dei rapporti di forza diseguali (per cui alcuni accedono attivamente ai mass media e altri possono essere solo pubblico passivo o semipassivo dei mass media) - è oggi l’unico salvagente che possiamo buttare alla poesia. Ed i poeti dovrebbero essere i primi ad esercitarla, anche nei propri confronti. Solo avendo presente questo stato di cose, sfavorevole alla ricerca in generale e alla stessa ricerca poetica, si potrà «tornare a chiamare le cose col loro nome». E (forse)a farsi intendere anche dai molti, oggi irraggiungibili. Non esiste più (e non solo in poesia) nessun «codice condiviso», nessuna «comunità che fa uso di quel codice condiviso». La frammentazione è tale che, anche quando si cerca di “comunicare” con le più oneste intenzioni, non ci si intende. E, allora, credo che il discorso di Fortini, solo in apparenza aristocratico, avesse chiara proprio questa realtà; e chiedesse giustamente di tenerne conto; e di far pulizia delle false idee che circolano anche in poesia.
24 gennaio 2011
istante afferra immenso eterno sconosciuto coscienza onde del campo nulla riflette il lago in superficie
A una volpe saputella Borbottavan le budella. Da più giorni non mangiava Le saliva già la bava All’idea di un bel desco
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di Roberto Bugliani
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Da un’ombra gli amici morti
annunciavano: vorremmo aiutarvi.
Impossibile, tra me dicevo. Esitavo,
però, e, per non rompere con loro,
cominciavo: siamo tanto diversi.
(Voi morti ormai, noi vivi, intendevo).
In sogno ancora vi parliamo, dicevano.
Più in allarme, allora, mi chiedevo:
come fossimo vivi? o tutti già morti?
E, per uscire dal dubbio, proponevo:
su, prendiamo un caffè insieme.
Ma no. Volevano restare nel sogno,
non uscirne. E in coro insistevano:
aiutarvi, guidarvi, passarvi la nostra
saggezza.
Sempre scettico aggiungevo: come
riconoscervi? Siete in una folla
immensa. E stizzito: O avete continuato
a invecchiare e a capire più di noi?
Solo morendo, potremmo darvi retta.
Sorridevano ora: con le vostre guerre
che fate, se non morire e far morire?
Troppo ingrossate il popolo dei morti
e trascinate nella nostra ombra
l’azzurro del cielo e del mare, il vento,
gli amori. Avvertirvi, fermarvi, vorremmo.
(9 settembre 2024)
Nella stanza da pranzo
di casa mia, di adesso.
Piatti sporchi, posate.
Sparecchiavo la tavola.
Attilio dall’ombra
mi mostrava un giornale
- uno speciale de il manifesto
di una volta.
Oggi è la sinistra che governa:
mi annunciava serio.
Stupito io. Come può essere? - tra me dicevo - E’ cosa contraria a quel che pensiamo da anni.
Non volevo però contraddirlo.
E ho cominciato: Attilio,
siamo diversi ma possiamo
ancora parlare ...
E per farlo più a lungo possibile:
Prendi un caffè con me, gli proponevo.
(31 agosto 2024)
Riflessioni sotto forma di filastrocche
di Rita Simonitto
Il Signore del Creato Dalle critiche turbato
A rapporto chiamò i suoi.
“Ecco qua: affido a voi
Di andar di qua e di là
E dirmi poi ciò che non va.
No rimborsi ‘piè di lista’
Tranne qualche intervista.
No incontri pilotati
Per sgamare risultati
Che esprimono dissenso
Ricevendone compenso”
RICORDANDO MASSIMO GORLA1
Da
lui. Un saluto. Un blando incitamento.
Il
verbale concitato del suo ’68 a Parigi.
In
una fredda sera – quando? - un comizio.
Voce arrochita in
piazza Missori. Milano.
Autunno
amaro e greve di Piazza Fontana.
Ero dei loro. In riunione. Lì
vicino. In casa
di Rota. Udimmo il botto. Sarà
una caldaia?
La
caldaia era l’Italia. Assassini gli idraulici.
Scantinato
di via Giason del Majno. Prima
raccolta di figurine proletarie.
Tasselli
della classe dai turni intorpidita. Untumi
familiari.
Fumo di sigarette. Discorsi
di speranze. Nuova pataria di
operai
di studenti di immigrati. Inermi. Corrucciati.
Non
più nenie. Scarpe impacciate poi sulla
ghiaia di via Vetere.
Muti nelle conferenze.
Per anni continuò la
spola. Da Cologno
guanto del Sud terrone rovesciato. A
Milano
clessidra di grigia polvere lussuosa.
Ohi,
Berto presto morto. Cauto il Vincenzo
alla Manuli. Donato
all’Innocenti solitario.
E Ambrogio irruento. E
Linda suicida.
E Aurelio, Michele, Luigi ed Emilio. Più
assottigliate le parole. Sfuggenti gli sguardi.
Con pietosa velenosa coda ripensammo la fine.
Fu
dolce stil novo collegiale, Attilio? Se fu
tra di voi fu. Se fu, non staccò mai i già affini
per
prebende sindacali aziendali e statali. Né
sciolse gli
ammassi. Degli sfigurati dalla fatica.
O dei ricchi di
capitale. Dei cinici arrivisti.
Dei di più conoscenze e di
bombe provvisti.
Resta
un’eco, un brusio la nostra scienza.
(16 novembre 2004/ 29 settembre 2009/ 23 agosto 2024)
1 Massimo
Gorla. Cfr.
https://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Gorla
PER
POETI E POETESSE NAVIGANTI NELL’OMBRA DELLE PAROLE, SGOMITANTI
NELLA CACCIA SPASMODICA AL MISTERO E IGNARI DELLA REALTA' CHE I LORO
PIEDI CALPESTANO
L’importanza
di una più attenta riflessione sulle scritture di servizio è per
Fortini un atto necessario di educazione culturale lontana da ogni
specialismo o boria professorale:
di Ennio Abate