lunedì 12 dicembre 2011

Giorgio Mannacio
Sulle poesie di Emilia Banfi

  
Questa puntuale nota critica di Giorgio Mannacio è un esempio di come  dar senso alla formula I MOLTINPOESIA UNO PER UNO: un lettore-critico, partecipante "da lontano" al Laboratorio Moltinpoesia, ha riflettuto sulle poesie di un'altra partecipante al Laboratorio, Emilia Banfi, e dichiarato onestamente quel che ne pensa.  Altri/e, tra cui la stessa Emilia, potranno ora commentare e ampliare la risonanza di questa nota. In Appendice si trovano le poesie della Banfi a cui Mannacio si è riferito. Altre poesie di Emilia Banfi si leggono in questo blog, scrivendo in 'cerca' il suo cognome. [E.A.]

1.
Il percorso poetico di E.B si snoda tra la lingua e il dialetto ( lombardo ). Di fronte a manifestazioni di tale tipo si è tentati , oggi, ad attribuire l’adozione del secondo modulo ad una volontà di “esperimento “. Si pensa che tale adozione sia il tentativo di trovare una sorta di “ via di fuga “ o di “ uscita di sicurezza “ da una lingua che sta consumando e banalizzando sempre di più il proprio patrimonio di senso. Ma vi è anche un’altra direzione o tentazione di indagine , a cavallo di discipline incerte, come l’antropologia e la psicanalisi . Tale indagine pretende di ricondurre i due differenti momenti di espressione ad istanze o istinti più profondi e originari: dialetto come linguaggio naturale o materno; lingua come idioma culturale o paterno. C’ è qualcosa di arbitrario e insieme di fondante in questo tipo di indagine dato che nell’esperienza poetica non c’è mai qualcosa che sia solo istintivo e naturale ovvero solo culturale. Ma la distinzione può servire a misurare l’esistenza e il peso delle influenze e la loro concreta incidenza sui risultati del lavoro poetico.
2.
Nel caso di E.B – la cui personalità poetica ho incontrato quasi per caso – sarei portato ad escludere con una certa sicurezza che lei pretenda di fare esperimenti linguistici. Almeno tre i motivi di questa affermazione. Vivo da troppo tempo a Milano per non essere in un certo senso sensibile ai nomi e cognomi di questa terra alla quale sono approdato dal sud. Nel caso di E.B, il suo nome e cognome mi rimandano alla “ mia infanzia di immigrato “. In molti cortili della Milano degli anni trenta  operavano fabbriche piccole ma famose o laboratori artigiani sciamanti all’ora di mezzogiorno al suono della sirena in operai e impiegati. Vi risuonava, a volte, il nome Emilia; il cognome Banfi. O forse è un sogno, ma radicato e nascente in e da una realtà che ho vissuto anche nei nomi.
Emilia, secondo appunto, abita in terra padana. Si può e si deve pensare a tale radicamento nel territorio come ad una ulteriore risorsa , almeno rispetto a me che – come forestiero in patria – era vincolato alla “ illustre limitatezza “ di un italiano corretto ma scolastico. Infine, E.B scrive molto,quasi con precipitazione ( “ quasi quotidianamente “, confessa ) e ciò mi sembra davvero lontano da ogni possibile “ tempo di sperimentazione “.
MI sembra dunque che E.B voglia né più né meno , e con estrema naturalezza, realizzare la propria esperienza poetica “ servendosi “ della condizione globale e reale di due “ stati civili” e di
“ due lingue “
3.
Questa sua condizione in un certo senso privilegiata – come sono tutte le condizioni di
“ ricchezza “ – si riflette nel suo modo di fare poesia ? Si può affrontare tale domanda secondo  diverse  prospettive, anche se le risposte che vengono in mente sono largamente discutibili. Ma queste note non vogliono offrire neppure scampoli di verità,  piuttosto stimoli di riflessione.
Mi hanno sempre sorpreso – nei contatti con la poesia di E.B e dunque con la sua “ persona “ – l’abbondanza  di elaborazioni poetiche e la facilità con la quale esse sono state raggiunte , correlate ad una continua e quasi quotidiana applicazione.
A parte ogni rilievo valutativo , a me pare che tali caratteristiche ( che le ho a volte rimproverato )
nascano proprio dalla condizione che è sua propria di partecipare  ad almeno due mondi. Certo tale conclusione deve tener conto del carattere “ istintuale “ dell’autrice , confermata dalla
“ precocità “ ( da lei confessata ) della sua avventura poetica. E.B si misura “ quotidianamente “
( altra confessione ) con lo scrivere. Se da un lato lei ci appare come un sismografo   che registra ogni piccola scossa di diversa natura e qualità, dall’altro l’oscillazione del sismografo appare, più che una risposta: una sorta di preventivo stato di allarme o addirittura una oscillazione permanente e attiva . Non so se anche questo sia stato oggetto di “ confessione “ ma, certo, per E. B.  fare poesia è come respirare. In questa affermazione radicale è contenuta in una sorta di “indifferenza “ per il destino della parola scritta e quindi verso la cristallizzazione del suo lavoro in un tutto organicamente compiuto. In tale posizione sono contenute due conseguenze almeno apparentemente contraddittorie . Da un lato una giusta dose di “ disinteresse “ per ciò che può venire , dopo ed eventualmente, e dall’altro il rischio che la poesia ridotta a puro istinto vitale perda in tutto o in parte un suo significato specifico.
4.
Da quel che traggo dal materiale mandatomi, non c’è quasi intervallo temporale ( ma non si tratta solo di questo: il tempo è solo il substrato necessario di altro lavoro ) tra stimolo e reazione poetica. In questo atteggiamento io vedo un certo pericolo se – come è mia opinione ( e qui entro nel campo decisamente soggettivo della mia esperienza e della opinione che su tale esperienza mi sono fatta  ) – non basta il mero stimolo da emozioni a condurre ad un autentico risultato né basta il mero ricordo che- come dice Rilke ( I quaderni di M.L Brigge , pag. 21 ) non è ancora esperienza. L’immediatezza della risposta allo stimolo, la sua facilità rendono più difficili le associazioni, l’accumulo di senso , il peso della parola ( ma su questo punto la discussione è apertissima ).
5.
Parlando della qualità degli stimoli ho creduto di rilevare ( non vorrei che ciò fosse il frutto di una sorta di fantasia razionalizzatrice ) una distinzione a seconda che essi siano per così dire primordiali ovvero storico / culturali.
Vi sono poesia di E.B che scaturiscono dichiaratamente da “ incontri” storico/culturali. Penso alla poesia Omaggio a Zanzotto legata alla scomparsa del poeta e all’intervento di Moltinpoesia. Oppure a quella scaturita da un dibattito su Fortini (La fine ).Ovvero, ancora, ad alcune nate dopo scambi epistolari tra lei e me.
Altre, invece , sono , almeno all’apparenza, indipendenti da eventi storicamente verificabili e culturalmente significativi. In questa categoria  vi è una certa prevalenza , ma forse non significativa, su temi legati alla mera fisicità della natura ( Vent,La sua bela,Matino, Rob de ca )
Non mi azzarderei , nonostante sia tentato a farlo quasi per esigenza sistematico/razionalizzatrice,
ad istituire una rigida correlazione tra dialetto/ poesie sulla natura e lingua/ poesie d’altro contenuto. Infatti Papaveri,Fiore, Volo sono scritte in lingua.
Il rilievo può però essere utilizzato in un altro senso e cioè nell’osservazione che la lingua è certamente prevalente nelle poesie che definisco per comodità come “ civili “.
E’ interessante, poi, rilevare che uno stesso tema ( alludo alle poesie sul pendolo ) è stato trattato  
sia in lingua che in dialetto. In questo caso credo di vedere delle differenze significative sul piano testuale. Nella poesia in lingua mi pare accentuata una catena associativa ( tempo, fioritura, dolore ) che ha cadenze  di ascendenza quasi ermetica. Essa cede , nell’omologa in dialetto, alla fisicità del vivere in comune ( dormire, svegliarsi etc ). Almeno in questa poesia E.B diversifica l’uso degli idiomi utilizzati a seconda che esperisca la fonte emozionale ( l’oggetto pendolo ) in una direzione culturale ovvero fisica.     
6.
In una “ produzione “ quasi giornaliera  e articolata su diversi riferimenti antropologici/culturali è inevitabile e quasi naturale la discontinuità della “ resa estetica “. Intendo con tale termine esprimere non una valutazione critica del lavoro di E.B rispetto ad una canone predefinito che si esprima nel giudizio brutto/bello. Intendo – e spero di riuscire a spiegare il mio pensiero in termini sufficientemente univoci – riferirmi ad una compiutezza e uniformità  di stile
 conformata ad una disciplina autentica che l’autore riesce a darsi e a trasferire nel testo oggettivamente inteso.  Sotto questo aspetto il lavoro di E.B mi sembra ancora non perfettamente compiuto anche se la sua esperienza si realizza in esiti spesso felici ( come si vedrà ).
Nel già ricordato Il pendolo, stilisticamente perfetto in alcune cadenze che salvano e rinnovano cadenze della tradizione (  penso ai versi:….che la voce – ha di antico  ) ,si svolge , in rapidissima sequenza, il passaggio dal tempo al corpo ( che nel tempo fiorisce, sfiorisce , gioisce e pena ): passaggio tutto immagine e non declamazione. Sotto questo aspetto la versione in lingua è più convincente della versione in dialetto . La stessa  concentrazione /traslocazione di senso si ha nel brevissimo Vent e in quella altrettanto breve ma fortemente allusiva Matin. Si coglie in esse una forte concentrazione, una risoluzione compatta del senso nelle parole.
Non sempre ciò riesce nelle poesie più lunghe nelle quali l’urgenza di dire quello che “ il cuore comanda di dire “ si accontenta di mettere insieme una serie di parole che diluiscono la forza dell’emozione originaria ( penso a Sogni ). Tale carenza si riscontra più spesso nelle poesie di ispirazione “ civile “ ( Il poeta operaio, Contadini; ne La fine vi sono accostamenti impropri cioè non giustificati dal contesto ). Non traggo da ciò conclusioni definitive circa la maggior presa estetica delle poesie brevi su quelle lunghe o di quelle “ naturalistiche “ su quelle “ civili “ . Mi limito a rilevare una mia impressione. Tanto più che una poesia “ lunga “ come La cadrega ha un nucleo forte e notevole rappresentato dalla metamorfosi – molto convincente e ricca di implicazioni – della cadrega in  locomotiva. Eguale forza ha l’incipit a Rob de ca nella quale il realismo della scena dell’infilare l’ago si trasferisce e si trasforma con naturalezza magica nell’ago/dolore.
Nelle poesie lunghe si incorre più facilmente nel pericolo di una serie prosastica di parole che si accontenta della linea spezzata quale garanzia di poeticità laddove alla linea spezzata si deve arrivare “ per necessità di ritmo o di senso “. Il ragionamento va condotto senza pregiudizi verso il breve o il lungo ma ricercando, di volta in volta, la necessità di allungare o abbreviare il tempo/spazio del testo. Voglio dire a me e ad E.B che non bisogna farsi travolgere dall’urgenza di affermare o negare qualche cosa, urgenza che porta – inevitabilmente – a privilegiare forme discorsive e lineari anziché quelle allusive e concentrate proprie della frase poetica.
Penso che a tale tipo di esiti E.B possa arrivare sia in lingua come in dialetto  come prova –a mio giudizio –  Fiori ( i primi 4 versi; il resto lo indebolisce )  e Te piaserò. In quest’ultima è notevole il moto retrogrado del tempo – una sorta di flash-back – che colloca qui e altrove un fatto reale. Il tempo, in tale composizione, si ribella a sé stesso in un duplice movimento : anticipa il passato in quella che G.Marcel ( con intenti diversi ) chiamava “ la memoria del futuro “. Insomma la più bella e convincente realizzazione di E.B.
E.B non deve porsi come lo studente che sottopone il proprio compito al professore e chi  scrive deve semplicemente rendere conto di un’analisi condotta su testi poetici che ha giudicato interessanti e degni di essere ascoltati con attenzione nel loro farsi e nel loro esito.

 APPENDICE


POESIE  " Dal tempo al tempo"


OMAGGIO A ZANZOTTO.

Fiera di paese
motori accostati fuori
utilità di platani inutili
messi lì ad oscurare il cielo.
La musica, la musica spacca
i muri del pensiero assorti
vanno occhi e piedi insieme
fendono aria e terra afose
senza mete s'infila monotonia
da quattro lati spuntano obesi
carrelli di leccornie e filano
zuccheri dal sole accesi
sulla terrazza s'affaccia sola
la campagna in fondo, nera.


LA FINE.

Vorremmo arrivare supportati
da un'inutile fine?
Con ipocriti pianti sopra
i nostri volti e ghigni
dentro il culo?
Amate la vostra gente
piegati miseri come candele
consunti e fiochi di luce
attendete il sicario l'uomo
che saprà raccontare
al contadino della sua
condanna e sarà cittadino
ormai in divisa aprirà la porta
anche al più stupido di noi
me compresa che scendo
alla campagna ascensore
senza vita.

VENT.

M'avevan di,
fides no del vent
chel vusa
al porta malàn
e amour sbaglià
Alura u specià la pas
u sistemà i mè penser
Ma cume l'era bel
ul vent chel vusa...

VENTO-  M'avevano detto,/non fidarti del vento/che urla/porta malanni/ e amori sbagliati/Allora ho atteso la pace/ho riordinato i pensieri/Ma com'era bello/ -il vento che urla-...


LA SUA BELA.

la sfiurò ul paisan
la buca dèla sua bèla
cumè l'aveva vist fa
ul vent cunt i spig
un po calus i man
sui tètt in del sulc
la tèra i udur
el so nom inscì bèl
poc al pretendeva
dumà ul lasas andà
e grundaven d'amour
nascost de prim volt
al pareva pùsè luntan
ul fragur del turent
dumà ul lur respir
al disfava l'aria
e nient mai pù
l'era ammò me prima.

LA SUA BELLA-  Sfiorò il contadino/la bocca della sua bella/come aveva visto fare/il vento con le spighe/un po' ruvide le sue mani/sui seni nel solco/la terra gli odori/il suo nome così bello/poco pretendeva/solo il lasciarsi andare/grondavano d'amore/nascosto di prime volte/sembrò più lontano/ il fragore del torrente/solo il loro respiroscomponeva l'aria/e niente mai più/fu come prima.


MATINA.

L'unda del mar
la ma porta via
in dèla prima caresa
e l'ùltima stèla
la nega in dèl to nom.

MATTINO. - L'onda del mare/mi porta via/nella prima carezza/e l'ultima stella/annega nel tuo nome.


ROP DE CA.

Basta un fil de lùs
per infilà la gùgia
quèla che poeu
la ta sbùsa el coeur
Basta na parola
per sentit pusè visin
a basam i oeucc
e finì la sera
Basta el runfà
d'un gat sùla man
per purtat via
un poeu de an
Basta ùna cùsina
cunt i piat da lavà
un davansal du piant
per fat sentì a cà
Basta chèl bèl udur
dèl saun dèla mia dòcia
per finì la mia fadiga
cul vapur chèl me cunsula
Basta un fil de lùs
per sta lì a guardà
e vidè ul mund
che ammò per una not
lè bun d'indurmentàs.

COSE DI CASA- Basta un filo di luce/per infilare l'ago/quello che poi/ti buca il cuore/Basta una parola/ per sentirti più vicino/    a baciarmi  gli occhi/e finire la sera/Basta il russare/di un gatto sulla mano /per tirarti via /un po' di anni/Basta una cucina/coi piatti da lavare/ un davanzale due piante/per sentirti i a casa/Basta quel bell'odore/del sapone della della mia doccia/per finire la mia fatica/col vapore che mi consola/Basta un filo di luce/per star lì a guardare/e vedere il mondo/che ancora per una notte/si sa addormentare.

PAPAVERI.

Sgargiante rossezza
di quattro papaveri
tra i binari, al limite.
Tra le scure pietre
e odor di ferraglia,
al passare del treno
tremavano.


 FIORI.

Il carattere dei fiori
è inattaccabile,
ovunque siano
uno muore l'altro spunta.
Avvicendamento
di cromatici profumi
e noi a rinchiuderli
in stupide boccette.
Non sa chi della monotonia
si fa uno scudo,
che giè aldilà del suo grigiore
spunta una pervinca blu.

VOLO,

Sorpresa nel vento
ad inseguire ali
di mille colori
tu non mi volesti
vedere volare
la tua fionda
mi colpì proprio
sull'ala spiegata
verdeazzurra
con una sola
non si può volare
si può saltellare
si può sognare
e così vidi il cielo
riempirsi di sole
e poi di stelle
nubi solitarie
gocce di luce
al canto di chi può
ma non fui così infelice
al mondo tanti hanno
una sola ala ed insieme
si può volare.

IL PENDOLO.

Ah! Quel pendolo
che la voce
ha di antico
M'incarna rosa
con spine in corpo
pericolosa
ma pur sempre
rosa.

SOGNI.

i sogni accompagnano
nei deserti percorsi
da trappole giganti dove
il sole brucia, senz'acqua
ma non muori
nessuno vede la tua storia
ti fermi a chiedere di cambiare strada
nessuno si ferma ad ascoltare
nessuno conosce la tua strada

I sogni accompagnano
nelle case, negli uffici
nel traffico, nelle fogne
della città gaudente
di mille facce mai conosciute
ma non muori
ti fermi a chiedere di cambiare la scena
nessuno si ferma a guardare gli occhi verdi
nessuno conosce il tuo teatro.

I sogni accompagnano
i bambini a scuola ai giardini
sulla giostrina da due euro e via
l'uomo che per due caramelle
ti prende per mano
ma non muori
ti fermi a chiedere di diventare padre
nessuno si ferma a capire il tuo gioco
nessuno conosce il tuo progetto.

I sogni vivono una vita
nella nostra vita ci baciano
o ci scuotono fino alle lacrime
a volte si ride per un po'
e si aspetta ancora
per non morire
si apetta ancora un altro sogno
un'altra storia del tuo libro
un'altra pagina da staccare.

IL POETA OPERAIO.

La maggioranza ha detto sì!
La maggioranza ha detto no!
Ho perso il posto di lavoro
hanno chiuso il nido comunale
aumenta il tiket sui medicinali
mia madre prende la pensione
viene a vivere con noi
dorme in cucina per ora non sta male
Scarico cassette al mercato della frutta
mia moglie non vuole più scopare
è sempre stanca e prende il Lexotan
i bambini al sabato li porto al DISCOUNT
giocano col carrello della spesa
le tortine costano meno e anche la carne
i biscotti fanno schifo e anche il formaggio
Domenica ho invitato il Piero e la fidanzata
faccio la pasta al pomodoro col tonno
e poi ci fumeremo una sigaretta o due
Lei è incinta l'hanno licenziata.
Mia moglie vuole andare in pizzeria
porto anche mia madre così paga lei
Mi piace vedere i tram passare
con la gente che va a lavorare.
Ogni anno cadono le foglie
Ogni anno spuntano le viole.

CONTADINI

Era così
anche quella di tuo padre
l'ombra che stasera
l'impietoso sole allunga.
Dall'avaro cielo
solo un po' di pioggia
ti manda l'odore del sambuco
e il tramonto arrossa il fico
Torni ancora alla stalla
e tasti della vacca gravida
l'affannoso ventre
fra qualche giorno ci sarà festa
Verso casa non vedi l'ora
di portarlo al petto
quel figlio
che non vede la tua stanchezza
il suo abbraccio ti rinfresca il collo,
gli chiedi se ha studiato,
ma no t'accorgi che mentre lo baci
gli lasci sui capelli
l'odore della vecchia terra bruna.

LA CADREGA.

In del liber dèla memoria
u truà na storia de fioeu
piscinit, che cureven
dre a na cadrega
La tirava el pusè grand,
l'era na cadrega scenca,
fada de lègn e de paia
l'era pièna de bùs,
una cadrega vègia,
una cadrega straca.
In del curtil la pulver
la se sulevava, l'era
'l fùm dèla lucumutiva,
luntan i a purtava
in d'un paes pien de surpres.
L'arivava poeu la sera
la cadrega la turnava indua l'era
fèrma là in fund a la ringhera
cun sù la gata indurmentada,
semper in cumpra, strepenada,
ul so cùsin tùt smangià
ruinà,bùtal via l'era un pecà.
La cadrega l'era lì, storta,
prunta per duman, la speciava
dumà chi picul man,
l'era cumpagn d'un sògn,
l'era verda e pièna de carbun,
la fùmava,la cantava, la fisciava,
l'era drisa,bèla, viva,
l'era na gran lucumutiva.

LA SEDIA - Nel libro della memoria/ho trovato una storia/di piccoli bambini/che correvano dietro ad una sedia/La tirava il più grande/,era una sedia zoppicante,/fatta di legno e paglia,/era piena di buchi,/una sedia vecchia,/ una sedia stanca./Nel cortile la polvere si sollevava/era il fumo della locomotiva/girava,girava,/lontano li portava/in un paese pieno di sorprese./ Arrivava poi la sera/la sedia tornava dov'era/ferma là in fondo alla ringhiera/con sopra la gatta addormentata,/sempre in cinta,spelacchiata/il cuscino tutto liso,/rovinato,buttarlo via era un peccato./ La sedia era lì ,storta,/pronta per domani,aspettava/solo quelle piccole mani,/era come un sogno,/era verde e piena di carbone,/fumava,cantava, fischiava,/era dritta,bella,viva,/era una gran locomotiva


TE PIASARO'.

Quand serarò i oeucc
te me trueret tusèta
a l'angul suspes dèla vita
a sarò là sul gran sasun
de quei sasun che se sa no cumè
ma riesen a fiurì
cunt i gamb a pensulun
cui scarpèt cul butunin
che se mètèn la dumeniga
un vestidin de cutunèla
un bel naster e un culetin
Te punteret ul did
sùl mè splendid suris
chèl brilerà al su
te piasarò.
Gavarò no sentur de turnà pù
quand i brasc te dervarò
ma camina pian perchè
te cùnterò di rop
che de là te mai sentì.

TI PIACERO'. Quando chiuderò gli occhi/ mi troverai bambina/all'angolo sospeso della vita/sarò là sulla grossa pietra/di quelle pietre che non si sa come/ma riescono a fiorire/con le gambe a penzoloni/con le scarpette col bottoncino/che si mettono la domenica/un vestitino di cotonella/un bel nastro e un collettino/Punterai il dito/sul mio splendido sorriso/ che brillerà al sole/Ti piacerò/ Non avrò sentore del non ritorno/quando ti aprirò le braccia/ma cammina piano perchè,/ti racconterò cose /che di là non hai mai sentito/





3 commenti:

Anonimo ha detto...

a Giorgio Mannacio e a chi vorrà leggermi:

I miei testi sono sempre da me non giudicabili. Valutarli per me è un compito impossibile. Sono i miei testi, le mie idee. le mie emozioni (quest'ultime così insidiose). E' vero la mia poesia sorge in me come una figlia che chiama per capriccio o per impellente bisogno, non posso non ascoltarla ma potrei farla attendere , farla ragionare, avvicinarmi con rispetto e ascoltarla con calma ma per ora con questa figlia ho un rapporto strettissimo che sfugge ad ogni mia più saggia ragione. Quando scrivo è davvero un'avventura a due , strade ogni volta nuove da percorrere, curiosità, movimento, e purtroppo ancora emozioni, forse purtroppo... . Emilia Banfi

Anonimo ha detto...

Vedi Emilia com'è diverso poter leggere più poesie in una volta? :)
Complimenti, il commento lo trovo condivisibile. Mannacio non si addentra nei contenuti, nell'intimità del messaggio tra autore e lettore, ma vi si aggira con fare rispettoso. Non anticipa, non si intromette.
Tempo fa avevo commentato tentando (ma queste cose io non le so fare) un parallelo con la Merini, più che altro perché so che una delle critiche più velenose che le sono state rivolte fu quella, paradossalmente, di aver scritto troppo. In questi commenti ci ho sempre letto dell'invidia. Molti poeti infatti levigano, riscrivono, ci mettono anche anni prima di essere certi di consegnare una poesia che ritengono perfetta. Quindi restano stupefatti e si insospettiscono per tanta ricchezza. Sciocchezze! Scrivere poesia scaturisce da una qualità interiore inesauribile, è un talento e ci si può contare sempre.
Piuttosto: mi meraviglia tanta critica (è la seconda che ricevi :) a titolo gratuito. Davvero non pensavo fosse possibile. Se si sparge la voce questo blog è destinato a sicuro successo.
Un abbraccio.

mayoor

Anonimo ha detto...

Cara Emilia, l'analisi delle tue poesie fatta da Giorgio Mannacio mi ha offerto prospettive di lettura e di comprensione dei testi interessanti e originali.La duplica valenza delle poesie in dialetto e in italiano è senz'altro una chiave interpretativa che va utilizzata.
Ma quello che vorrei farti è un invito a non mutare lo sguardo con il quale contempli tutto ciò che ti appare: gli esseri umani, il mondo,le cose.Continua a trasmettere con la tua poesia, che è musica, i sentimenti ,le emozioni che provi e che fai provare anche a noi.
Maria Maddalena Monti.