UNA PERSONALE, EXTRA-ACCADEMICA, OPINIONE.
«…‘Vi consiglio di prendere le cose che ho detto e di
buttarne via più della metà, ma la parte che resta tenetevela dentro e fatela
vostra, trasformatela. Combattete!’ »
(Le rose
dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani, Boringhieri, Torino, 2000)
1.
Nel dibattito dei moltinpoesia ho, quando ho potuto, richiamato l’attenzione su Franco Fortini
(1917-1994). Su questo blog tra l’ottobre e il novembre 2010 ho dedicato vari
post (si trovano facilmente scrivendo il suo nome in ‘cerca’) per commentare una sua intervista del 1993
concessa alla RAI, «Che cos’è la poesia». È un esempio di discorso
extra-accademico (non automaticamente antiaccademico) sui suoi scritti e la sua figura, che per me ha una lunga
storia alle spalle. Fortini ha influenzato indirettamente la mia ricerca (qui), pur restando per me, anche quando ho avuto modo d’incontrarlo di
persona, «maestro a distanza». Quel mio rapporto con lui fu tardivo e
problematico, ma profondo; e ne ho dato un dettagliato rendiconto (qui).
Dopo la sua morte nel 1994, ho -
prima in samizdat poi sul Web[1] - praticato,
com’egli suggerì, un buon uso delle
rovine: della tradizione culturale e politica del comunismo (usiamola questa parola, anche se sporcata, demonizzata e
divenuta incomprensibile ai più); e, quindi, anche dei suoi libri, che alla
storia di quel grande movimento, in modi sempre vigili e sofferti, si richiamarono
senza i pentimenti o gli sbrigativi autodafé di tanti voltagabbana.
2.
Se escludo due iniziative
pubbliche, promosse nel 1995 dall’Associazione «Ipsilon» di Cologno Monzese,
dove abito - una raccolta di «testimonianze» su Fortini, diventata poi libretto;
un ciclo di incontri sui suoi scritti, intitolato Ladri di ciliegie e organizzato presso la Biblioteca Civica della
stessa città - in seguito ho potuto discutere di Fortini episodicamente e quasi
sempre in privato. L’ho fatto con amici e conoscenti, presunti o reali
“fortiniani”, alcuni disponibili e amichevoli, altri professorali e spesso (non
so perché) diffidenti e ostili. Constatando uno scarto crescente: mentre io ho
continuato ad attribuire a Fortini e ai suoi scritti un significato positivo - partigiano,
metaletterario, metapolitico - i miei interlocutori, per lo più come me provenienti dalle
esperienze di “nuova sinistra” degli anni Sessanta-Settanta, se ne
allontanavano esprimendo varie riserve.
3.
Intanto, attorno al 1996 se non
sbaglio, grazie al lascito da parte della moglie - Ruth Leiser Lattes -
all’Università di Siena del suo archivio
privato era stato fondato il Centro Studi Franco Fortini; e cominciavano a
uscire i primi volumi della rivista «L’ospite ingrato», ora anche on line. Partecipai con entusiasmo,
muovendomi a mie spese tra Cologno e Siena, ai primi incontri promossi dagli
amici di lunga data di Fortini. C’erano Edoarda Masi, Cases, Mengaldo, Raboni, Ranchetti, Nava, Luperini e
molti altri. Pensai di aver trovato il
luogo pubblico, privilegiato addirittura, nel quale continuare assieme ad altri
la riflessione sulle opere di Fortini. Non mi sentivo né un pesce fuor d’acqua
né un intruso, incoraggiato anche dalla presenza a questi primi incontri di molti
altri “fortiniani di strada” come me. Non
andò come speravo. L’ipotesi, pur ventilata nei primi tempi, di un
confronto “dialettico” tra accademici e non accademici, da praticare magari in incontri seminariali su “temi
fortiniani”, dileguò presto; e l’accademizzazione
del Centro prevalse.
A scanso di equivoci, non ho mai svalutato
un serio lavoro accademico, cioè
specialistico, sul lascito fortiniano (o più in generale), anche perché all’università
di Siena Fortini operò intensamente e
per una fase lunga e importante della sua vita. Basta, però, sfogliare alcuni
numeri de «L’ospite ingrato», per rendersi
conto sia dell’ottimo lavoro
archivistico e di commento ai testi fortiniani e persino di un rilancio
attualizzante di alcune delle sue questioni di frontiera; sia, però, del
taglio quasi esclusivamente accademico di
gran parte dei testi ivi pubblicati. Io mi aspettavo, invece, una modalità di
lavoro da «gruppo aperto»[2] (o abbastanza aperto); e col tempo il Centro Fortini mi è parso accartocciarsi in ambiti
esclusivamente interuniversitari. Si è affermato pure, a mio parere, un canone
interpretativo: un “Fortini per tesi di laurea” da una parte; e un “Fortini
poeta” contro o a scapito del “Fortini ideologo”, e cioè politico e comunista, certo fin troppo in primo piano nei poi vituperati anni
Settanta.
Tale canone, sempre a mio parere,
ha depauperato o velato gli aspetti combattenti dell’eredità fortiniana e
ricondotto anche il Fortini più “ingrato” nell’alveo di un umanismo davvero tradizionale
o eccessivamente “etico-profetico”. E proprio
mentre una cultura umanistica, incapace di uscire da certi suoi storici limiti elitari e in crescente difficoltà rispetto al salto politico-tecnologico
e globalizzante del Capitale, si indeboliva, allentando i suoi già tenui legami
con Marx usando come alibi la cosiddetta «crisi del marxismo».
4.
Ho avuto poi solo un’altra, isolata, possibilità di
confrontarmi pubblicamente su Fortini in
un ciclo di incontri (catacombali)
organizzati in occasione del decennale della sua morte dal «Punto Rosso» di
Milano nell’aprile 2004.[3] Al
più importante convegno senese «Dieci inverni senza Fortini», sempre del 2004, non fui invitato neppure tra i “relatori di
contorno”; e ho letto per conto mio gli atti. Nel
frattempo, del resto, quasi tutti i “fortiniani di strada”, che avevano
affollato con me i primi incontri del Centro, si disperdevano. E, dopo qualche
vano tentativo di far presente i limiti di un lavoro da «gruppo chiuso», io
pure ho seguito con crescente distacco e
da lontano le sue attività, preferendo intervenire occasionalmente e da isolato
esodante (nel 2007qui
e nel 2010 qui).
5.
Su questo blog del «Laboratorio
Moltinpoesia» - «gruppo aperto» ed extra-accademico,
che a scanso di illusioni spontaneiste o di snobismi all’inverso ha
anch’esso inconvenienti non trascurabili -, nelle ultime settimane si stava riavviando,
sia pur in modi approssimativi e contraddittori, una discussione della
figura di Fortini e della sua eredità. Le prime tappe le vedevo: 1. nel rilievo, per me
sorprendente, che Giorgio Linguaglossa ha dato alla figura di Fortini nel suo
recente Dalla lirica al discorso poetico.
Storia della poesia italiana dal 1945 al
2010 (e ho dichiarato subito il mio
interesse per questa scelta: qui); 2. nel «Commento al commento di Erminia
Passannanti sulla poesia Neve e faine di Fortini» sempre di
Linguaglossa (qui); 3. in uno scambio sull’eredità di Fortini di mail e commenti sul
blog tra me e Erminia Passannanti. Lei ha difeso la tesi del “Fortini poeta” ed
io - niente di terribile, credo - ho riconfermato un mio dissenso. Che è di lunga data. Lo dimostra una mia
lettera del 2000 - qui - a Luca Lenzini,
che quella impostazione accoglieva fin nel titolo di un suo accuratissimo
studio, Il poeta di nome Fortini
(Manni, Lecce 1999).
6.
A me pare importante che un tale
ripensamento prosegua su questo blog e nel «Laboratorio Moltinpoesia» con chiunque
- fuori o dentro l’accademia - ci sta e lo considera utile. Per me l’opera di
Fortini è un falò che ancora brucia. Credo che quelli che ne sentono l’esigenza
e l’urgenza possano avvicinarsi, non
solo per scaldarsi, ma per rifornirsi di buoni tizzoni con cui
illuminare il buio in cui ci siamo venuti a trovare. Ridiscutere, perciò, alla
fine del 2011 e in un Paese politicamente e culturalmente alla deriva, la sua
figura, le sue poesie e le sue prose, permetterebbe di recuperare una
potenza di riflessione oggi del tutto mancante nei discorsi che trattano di poesia e letteratura. Lo dovranno fare soprattutto i giovani; e
vincendo una tendenza a vedere in Fortini,
sì, un maestro, ma quasi esclusivamente un “maestro letterario” che potrebbe giovargli
per una carriera professionale, trascurando proprio il Fortini più ingrato e, cioè, il critico della poesia e della letteratura. Certamente Fortini va considerato un classico da riusare tenacemente, ma non per inserirsi nei
riti postmoderni prevalsi nelle
università, nell’editoria e nello stesso
Web. Piuttosto per combatterli. (Tutte da
rileggere e commentare, ad esempio, sarebbero le due voci Classico e Letteratura nella vecchia Enciclopedia
Einaudi). Inoltre penso che questo riuso debba porsi l’obbiettivo di scegliere tra i suoi scritti e delineare, se non
un “Fortini per tutti”, un “Fortini per molti” (diciamo pure ambiziosamente per
i moltinpoesia). Sicuramente non più un
“Fortini per pochi”, se per ‘pochi’ s’intendessero gli intellettuali accademici
odierni, in genere, tranne eccezioni, sempre più scoloriti e «gruppo dominato della classe
dominante» (Preve).
Varrebbe la pena allora di rileggere gli Atti del convegno del 2004 «Dieci inverni senza Fortini» e, distinguendo contributo per contributo, criticare la parte che va criticata. Smontare e rimontare quel volume ricco di saggi (ponderati e/o ponderosi) per scegliere ciò che serve oggi a noi, che abbiamo altri tipi di interlocutori, di possibili destinatari e di problemi. Nel far questo dobbiamo tener conto dei mutamenti avvenuti (che non significa adeguarvisi). Si è avuta una cesura totale - «non c’è più religione, non c’è più comunismo» - tra l’epoca vissuta da Fortini (e Pasolini) e quella in cui noi ancora viviamo. In questa credo che dovremmo muoverci da esodanti e contrabbandieri. È una posizione malvista, che ci renderà indigesti sia agli “umanisti” sia agli “scientifici” troppo convinti di sé, oggi ancora più contrapposti tra loro. Ma è la più adatta per scegliere tra le rovine quelle buone e nel nuovo ciò che non si riduce a «vino dei servi».
Varrebbe la pena allora di rileggere gli Atti del convegno del 2004 «Dieci inverni senza Fortini» e, distinguendo contributo per contributo, criticare la parte che va criticata. Smontare e rimontare quel volume ricco di saggi (ponderati e/o ponderosi) per scegliere ciò che serve oggi a noi, che abbiamo altri tipi di interlocutori, di possibili destinatari e di problemi. Nel far questo dobbiamo tener conto dei mutamenti avvenuti (che non significa adeguarvisi). Si è avuta una cesura totale - «non c’è più religione, non c’è più comunismo» - tra l’epoca vissuta da Fortini (e Pasolini) e quella in cui noi ancora viviamo. In questa credo che dovremmo muoverci da esodanti e contrabbandieri. È una posizione malvista, che ci renderà indigesti sia agli “umanisti” sia agli “scientifici” troppo convinti di sé, oggi ancora più contrapposti tra loro. Ma è la più adatta per scegliere tra le rovine quelle buone e nel nuovo ciò che non si riduce a «vino dei servi».
15 dicembre 2011
[1] Cfr.
la rivista “povera” «Laboratorio Samizdat» e la rubrica Nei dintorni di Franco Fortini su «Poliscritture» (cartaceo e sito:
http://www.backupoli.altervista.org/rubrique.php3?id_rubrique=31).
Nessun commento:
Posta un commento