27 dicembre 2011
Brodskij legge Miłosz: “Figlio d'Europa” (1946).
Quattro
versioni a confronto
Sara Martinelli, Magdalena Rasmus
scrittura/lettura
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I versi di Miłosz, nati dalle
ceneri disperse di una civiltà, non cantano tanto l’offesa e il dolore, ma ci
sussurrano «il senso di colpa di coloro che sono rimasti tra i vivi», e in
virtù della loro poesia, ci insegnano «a porci in relazione con questa colpa».
Una colpa avvertita, pare, da Brodskij stesso, e che si rivela ancora nelle
parole pronunciate nell’atto di ricevere il Nobel, quando il poeta ricorda
tutti coloro ai quali quell’onore non è spettato, con riferimento ai nomi della
letteratura russa (Mandel’štam, Pasternak, Cvetaeva, Achmatova) falcidiati –
fisicamente o artisticamente – in un secolo “carnivoro” come è stato il XX. Lo
stato d’animo del sopravvissuto traspare costantemente anche dai suoi versi,
per esempio nella lunga ninnananna al figlio rimasto in patria, Kolybel’naja
Treskogo Mysa (Ninnananna di Cape Cod), dove leggiamo: «cтранно думать,
что выжил, но это случилось»14(È strano pensare che sono sopravvissuto. Ma
questo è accaduto). Ma l’ingiustizia e l’orrore subìti non indulgono mai a un
facile compianto né ad alcun tipo di autocommiserazione, secondo quella lezione
impartita dall’arte che Brodskij e Miłosz apprendono dai loro predecessori
classici, così
[…]
ciò che il poeta enuncia è una versione spaventosamente asciutta dello
stoicismo, che non ignora la realtà, per quanto assurda e orribile possa
essere, ma la accetta come una nuova regola che la persona deve assumere senza
rinunciare ad alcuno dei suoi valori, già ampiamente compromessi.
1 commento:
Per chi si cimenta nell'opera di traduzione poetica (tradimento a prescindere?) trovo molto didattica la messa in parallelo delle due versioni. Nel caso specifico, e al fine di un confronto da parte di chi non parla il russo e il polacco, mi domando quanto quella di Brodskij subisca l'effetto ulteriore della traduzione "di servizio" dal russo in italiano, e se quindi la messa in parallelo così fatta sia "scientificamente" attendibile.
Alla fine mi domando: se si deve "tradire" vale la pena di farlo senza timori (almeno così si gode fino in fondo del proprio tradimento)? Rincorrere una fedeltà impossibile è un atto di ipocrisia (o magari solo d'ingenuità)?
Grazie per la segnalazione di questo interessante articolo.
Flavio
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