Cranach, Giudizio di Paride
Riprendo uno dei commenti alla poesia La grande casa immersa tra gli aranci di Giorgio Linguaglossa [qui], quello di Leopoldo Attolico, che offre uno spunto notevole per affrontare lo spinoso tema di come giudicare una poesia o la poesia di un qualsiasi autore. Gli replico con una nota. Ma spero che sia solo l'avvio di una riflessione a più voci. [E.A.]
Leopoldo Attolico:
Tentare un giudizio di "valore" su un singolo
testo firmato è impresa non da poco , che si tratti di Calogero , di Ripellino
o di Linguaglossa come in questo caso .
Io preferirei sempre pronunciarmi su un testo anonimo perché credo che nel "giudicare" la creatività firmata esista sempre una sudditanza o comunque un condizionamento psicologico - inconfessabile ai più - mediato dai connotati pubblici , privati , o riconoscibilmente "storici" dell'interessato . Non credo che il pubblico e il privato ( l'anonimo ) siano irrilevanti - almeno qui nella nostra italietta dell'esserci e dell'apparire ; quando come sappiamo basta apparire a certi livelli editoriali per essere percepiti come vincenti oggetto di sviolinate , buonismo critico ecc. .
Poniamo che Ennio Abate pubblichi in forma anonima una poesia introducendola con " Propongo un testo di un poeta emergente ". Già quell'"emergente" scatenerebbe le riserve mentali di larga parte dei commentatori e delle conseguenti valutazioni critiche ( dopodiché Ennio ci svela che l'autore è - poniamo - Lucio Piccolo ... ).
Io preferirei sempre pronunciarmi su un testo anonimo perché credo che nel "giudicare" la creatività firmata esista sempre una sudditanza o comunque un condizionamento psicologico - inconfessabile ai più - mediato dai connotati pubblici , privati , o riconoscibilmente "storici" dell'interessato . Non credo che il pubblico e il privato ( l'anonimo ) siano irrilevanti - almeno qui nella nostra italietta dell'esserci e dell'apparire ; quando come sappiamo basta apparire a certi livelli editoriali per essere percepiti come vincenti oggetto di sviolinate , buonismo critico ecc. .
Poniamo che Ennio Abate pubblichi in forma anonima una poesia introducendola con " Propongo un testo di un poeta emergente ". Già quell'"emergente" scatenerebbe le riserve mentali di larga parte dei commentatori e delle conseguenti valutazioni critiche ( dopodiché Ennio ci svela che l'autore è - poniamo - Lucio Piccolo ... ).
Questa operazione spiegherebbe quali meccanismi entrano in gioco di fronte a un nome e a quello che c'è o non c'è dietro . Non so , io non voglio radicalizzare ma la stessa cosa succederebbe di fronte ad una scultura di Arnaldo Pomodoro o di un anonimo .
Quanto al "valore" della poesia di Linguaglossa se ne può dire tutto il bene ( non tutto ma parecchio dico io ) e tutto il suo contrario . Sta di fatto che in tutti noi - credo - esiste un precipuo fisiologico indice di gradimento , una questione di pelle a cui non si comanda ; però non siamo Contini o De Benedetti con la loro sordina di esperienza , di conoscenza e di oggettività funzionali all'avvicinamento di una "verità"; quindi esterniamo idiosincrasie o solidarietà a ruota libera ( fa tanto bene all'ego ! ) ma non dimentichiamo il piccolo defettibile condizionante perfettibile orticello della nostra maniera di stare al mondo e quindi di scrivere ( e di "giudicare" il lavoro altrui ). .
Grazie dell'ospitalità .
leopoldo attolico -
Ennio Abate:
Non credo che pronunciarsi su un testo anonimo, operazione
che in genere viene adottata da molte
giurie di premi letterari, possa risolvere i veri nodi che oggi s’addensano
attorno al giudizio di valore, che secondo me sono storici e politici e
neppure tipici solo della nostra Italietta.
Sarebbe bello, ma oggi è estremamente difficile, pronunciare
un VERO giudizio di valore. Perché ci vorrebbe una BUONA VISIONE DELLA REALTA’,
una Teoria, una Scienza. Se la possedessimo in misura convincente, credo
che andremmo decisamente contro quei
valori consolidati o comunemente ammessi e di cui ci
lamentiamo. Per superare, perciò, sudditanze e condizionamenti psicologici verso
Tizio o Caio, che pur ci sono,
bisognerebbe poter combattere politicamente e non personalmente contro Tizio o Caio. E, DUNQUE,
IN NOME DI UN VALORE PIU’ ALTO DI QUELLO IMPOSTOCI DA TIZIO O CAIO. Gli ultimi
che lo hanno fatto bene - non discuto qui il risultato - sono per me Fortini e
Pasolini.
Oggi però, essendo in generale venute meno le cosiddette
Grandi Narrazioni o le Ideologie (ma io credo che si siano mascherate e operino più confusamente), cosa
succede?
Nel campo della “politica”(virgoletto, perché mi vergogno di
chiamare tale quello che oggi sui mass
media viene rubricato con questo
termine), abbiamo assistito a una critica personalistica al signor B. e, oggi,
assistiamo ad un appoggio altrettanto personalistico al professor Monti. Eppure
entrambi fanno in sostanza la medesima cosa:
far pagare alla gente comune una crisi prodotta da errori o scelte
politiche di chi governa: banche, politici e imprenditori. E l’”opposizione” si
è barcamenata e si barcamena, faceva e fa le pulci, perché non è in grado di pensare e indicare più NESSUN VALORE PIU’ ALTO.
In piccolo, anche nel campo della letteratura o della
poesia, manchiamo di criteri (canoni) o di teorie; e siamo costretti perlopiù
ad affidarci alla nostra “soggettività”.
Cos’è, infatti, quel quid che tu chiami “un precipuo fisiologico
indice di gradimento” o “questione di pelle a cui non si comanda”? È, secondo me, il ricorso (debole) appunto all’Ego, una specie
di “ultima spiaggia”. Ora, in tempi di crisi, bisognerebbe essere ancora più sinceri che in tempi di
vacche grasse e dirsi la verità: stiamo cercando nuovi criteri di giudizio, ma non li abbiamo;
e siamo costretti ad affidarci ancora una volta all’Io, dei cui limiti dovremmo sapere molto dopo Marx, Nietzsche e Freud. E aggiungere: Cautela,
amici e amiche! Scegliere a scorciatoia
mi pare dannoso. E ad imboccarla più spesso sono proprio i commenti che ricorrono
all’anonimato. Consapevoli in partenza della propria DEBOLEZZA CRITICA, la
mascherano dietro giudizi sprezzanti e non argomentati, invece di ammetterla.
Perciò, caro
Leopoldo, anche se i testi da giudicare fossero anonimi, il problema vero non
sarebbe risolto.
Infine un’ultima osservazione.
Lo spazio commento di un blog va preso per quel che è. Io
non lo vedrei come un’aula dove gli studiosi (accademici o meno) dibattono
e emanano “giudizi di valore”, ma come un bar, una
piazzetta, dove al meglio ci si scambiano impressioni, opinioni non troppo
meditate e battute più o meno veloci o pungenti; o, al peggio, ci si accapiglia
o si viene disturbati da qualche
anonimo.
13 commenti:
La soggettività di cui scrive Ennio è inevitabile.
Ma è condizionata, secondo me, dall'esperienza, dalla cultura, dalla preparazione specifica, dalla sensibilità.
Io ad esempio posso essere attratto da un verso che dice "i suoi occi sono come stelle...". Ennio mi dirà che questa immagine è trita e ritrita, avendo letta in trecento poesie (esperienza) questa similitudine. Che sarebbe stato assai meglio , più efficace, scrivere una metafora (preparazione specifica, ecc.
Alla fine il suo giudizio rimane ugualmente soggettivo ma più consapevole del mio. Perché ha visto cose che io non sono riuscito a vedere.
Ben venga perciò la critica soggettiva, ma ben meditata e motivata.
Mario Mastrangelo
Ebbene amici,sono convinto che il commentare un ‘opera in forma anonima consenta, in un certo senso, un avvicinamento “alle cose stesse “dell poesia.Non si tratterebbe di riflessioni o di giudizi esaustivi ma consentirebbe di compiere dei passi nella giusta direzione. Certo si tratterebbe di ripartire da capo,di mettere all’inizio tra parentesi perlomeno l’autore evidente e cosciente dell’opera che non è tutto anche se è importante. In seguito anche questa dimensione andrà recuperata ma dopo che il contatto con la “sua” opera abbia potuto accadere liberamente.
Cord.
Alberto Accorsi
Rita Simonitto:
Non sono molto d’accordo con questo richiamo alle modalità da bar, che Ennio introduce, probabilmente per sventare il rischio di scivolare in un certo accademismo.
Credo che attraverso questo Blog, senza illusioni di sorta e dando spazio anche a momenti ludici, le cosiddette ricreazioni, si tenti di intraprendere comunque un discorso ‘serio’, volto a sfatare certi imperanti luoghi comuni (tipo “il piacere della lettura”).
O che ci si ponga delle domande sul ruolo della poesia oggi.
Non credo si possa ridurre tutto ciò a un discorso ‘da bar’, tipo commenti sul calcio o sulla politica (diventata ormai deprivata del suo senso originario), come Ennio stesso rileva. Ma ciò che Ennio denuncia, lo stile decadente e senza contenuti di rilievo, non fa parte proprio delle modalità tipiche delle ‘sparlazzate da bar’?
E’ pur vero che il mezzo (il Blog) condiziona il messaggio (sto parafrasando McLuhan): pur tuttavia si può anche cercare di mantenere uno stile di confronto e, perché no, anche di ricerca, sia pure utilizzando questo mezzo.
Dopo questo preambolo, ecco un mio pensiero.
“VORREI COMPRARE SCARPE E RESTO LASCIARE PER PANINI KUANDO VADO IN SCUOLA” .
Così mi scrive, nel suo italiano stentato, un bambino adottato a distanza. Poche parole in maiuscolo che da sole riempiono una pagina intera di quaderno a righe, unite ad altre notizie scarne (del tipo ‘io sto bene e tu?), quasi scarnificate dallo stampatello, e i soliti ringraziamenti di prammatica.
Mile (così si chiama questo bambino), in questo suo esprimersi, è, nel suo modo peculiare, “in poesia”, dentro un discorso poetico: anche se non scrive “in” poesia né tantomeno “di” poesia.
Avrebbe potuto anche metterla giù così:
“Vorrei comprare scarpe
E resto lasciare
Per panini
Quando vado a scuola”.
Ma tutto ciò non è sufficiente a dire che si tratti di poesia.
Io, da lettore, potrei aggiungere che i due settenari di inizio e fine contengono, *ritualmente*, il non ritmo della parte centrale, incastrata tra terra e mente, quella pancia dove il disordine della fame viene rappresentato da suoni musicalmente più duri.
Ma questa, oltretutto, è la traduzione che il piccino ha fatto in italiano per farsi capire da me.
Come si sarebbe espresso nel suo idioletto di Rogatica?
Potrei anche dire che, a quella lettura, mi sono emozionata, che sono stata assalita da commozione profonda e rabbia; che avrei voluto buttare via tutto il ‘ciarpame’ di ciò che è oggetto di mio studio e di mia scrittura, in quanto inutili orpelli, inadatti a fronteggiare questa dura realtà.
[Continua]
Rita Simonitto [continua]:
Ma, e poi?
Non accadrebbe nulla di poetico: Mile rimarrebbe ancorato alla sua concretezza ed io rimarrei ancorata alla mia emotività che potrei condividere con qualche altro che la pensa come me. Indubbiamente passerebbero degli affetti, passerebbe eventualmente una sofferta denuncia per la crudeltà del mondo, ma non passa poesia.
Perché, per me, poesia è anche *poiesis*, operare delle trasformazioni. Che significa aggiungere un di più, ma non in senso quantitativo (più concretezza o più emotività) ma un di più che si gioca nell’ordine del qualitativo. Questo, il valore della poesia (e dell’arte, in cui essa è inclusa). E perché ci siano delle trasformazioni è importante che il poeta sia anche critico, nel senso che metta in ‘crisi’ il legame simbiotico tra sé e la sua creatura, la sua poesia, come giustamente suggerisce il commento di Gianmario. Per questo è stato molto interessante dare a Linguaglossa la opportunità di spiegare la sua poesia.
Là dove il poeta spiega, anzi, *dispiega*, il suo percorso. Ciò che ad altri può sembrare, come dice Gianmario, passatista o di maniera (mare spumoso, algida immortalità, plumbei cavalieri, ecc.) lì, in quello specifico caso (e quindi NON in altri), ha la sua ragione d’essere. E’ quindi importante segnalare la funzione dell’uso che viene fatto di certi termini, in certi contesti. Questi termini e queste forme, dunque, non obbligano, se non TEMPORANEAMENTE, come è giusto che sia, << la sensibilità interpretativa del lettore [a legarsi] alla visione mentale del poeta>> (Gianmario). Io sento che sono là, dove il mare E' spumoso e VEDO i plumbei cavalieri, ecc. ecc. E non potrebbe che essere così. Lì.
L’importante è, per il lettore, poter agganciarsi e poi riuscire a sganciarsi da questo legame ristabilendo le distanze tra il qui ed ora e il là e allora; tra l’esperienza del poeta e quella personale, ecc. ecc.
Grazie dell’ospitalità.
Cin cin e Buon Anno.
Rita S.
[Fine]
Credo che una cosa sia commentare una o due poesie, anonime o meno per me non ha molta importanza; un'altra un sistema poetico più complesso e ampio. In quest'ultimo caso si valuta una poetica e, magari, un'idea di poesia, e non si può prescindere dall'autore. Ciò e' esattamente successo con Linguaglossa. Chi, come me, si e' limitato a valutare la poesia senza altre considerazioni non poteva che concludere che i "plumbei cavalieri" etc. fossero espressione passatista e di maniera.
Ciao!
Flavio
L'antitesi identità/anonimia, tanto come quella accademia/bar , è a mio avviso fuorviante, poco produttiva per giunta prima che di critica , di autocritica per poter poi, forse ma forse, criticare
Il "giudicare" aggiunge inoltre quel "quid" in più assolutamente improduttivo che infatti ha fatto intervenire anche me in mdo scomposto per reazione ad azioni altrui , azioni a cui sono allergica immediatamente
La premessa che è regola di questo sito è che il "duello" ne sarebbe la forza da accademia o da bar che sia, con o senza nome,
Ciò mi ha visto osservare(ed a volte intervenire in)situazioni che come il tema di questo post, o Linguaglossa etc diventano tormentoni senza alcun senso(comunitario, al massimo molto individuale) laddove come di frequente avviene non ci sia volontà di ri-comporre e riunire pezzi dello stesso ubuntu o mosaico , ma volontà conscia o inconscia di dividere pertanto di dividersi ognuno per la sua strada, tanto come è nel declino dell'epoca e tanto più interviene viste le finzioni di alcune paroline (tipo "coesioni" e "con viva e vibrante soddisfazione"), a cui peraltro sempre questo sito si opporrebbe volendo dai suoi commentatori almeno doti critiche politiche storiche , fino a quelle sulla poetica.
Il mezzo in cui ci troviamo è per default un media aperto a tutti,liberi di poter scegliere iscrizioni e facili clic sul nome blogger senza troppe storie, ma soprattutto l'anonimato che è un diritto del sistema rete web ed anzi in parte strumento filosofico da praticare per quella diminuzione di ego ipertrofici della realtà dei corpi, riuscendo a centrare tutto l'emotivo intelettivo sul pensiero e non su altro .
Queste ed altre ragioni, soprattutto per chi vuole una selezione del suo pubblico , partecipante o meno, ma appunto scelto, possono orientare questo sito a limitare la regola di cui sopra dello spazio aperto(in cui tutti hanno diritto di esprimersi con gli strumenti e le risorse a loro disposizione senza essere giudicati da alcuno anche fosse di chissà quale nome o prestigio)
Basta rendere questo luogo( tecnicamente è possibile) , senza ipocrisie, ad accesso riservato agli addetti ai lavori e volontari dei duelli.
L'antitesi identità/anonimia, tanto come quella accademia/bar ed altre analoghe, è a mia opinione personale, fuorviante, poco produttiva prima che di critica , di autocritica per poter poi, forse ma forse, criticare. Inoltre confrontarsi sempre con giganti è autocastrante..perche pur dovendoli e volendoli tenere sempre presenti in mezzo ai vivi/sopravvissuti all'apocalisse quotidiana, non potenziano ma riducono quel quid di ulteriorità evolutiva necessaria alla ribellione produttiva antideclino complessivo. Gli stessi giganti si incazzerebbero non poco.
L'involversi poi dal criticare al "giudicare" aggiunge inoltre quel "quid" in più antirelazionale, improduttivo e s-composto che infatti ha fatto intervenire anche me in modalità inutilmente di scontro, per reazione ad azioni altrui a cui sono allergica immediatamente poiche ricordano quella pseudosinistra radical-chic da cui anche questo luogo vorrebbe distanziarsi
La premessa che è regola di questo sito è che il "duello" ne sarebbe la forza da accademia o da bar che sia, con o senza nome.Ciò mi ha visto osservare(ed a volte intervenire in)situazioni che come il tema di questo post, o Linguaglossa etc diventano tormentoni senza alcun senso(comunitario, al massimo molto narciso-individuale) laddove come di frequente avviene non ci sia volontà di ri-comporre e riunire pezzi dello stesso ubuntu o mosaico che si voglia chiamare l'insieme..quanto sopra avverrebbe al di là di una volontà conscia o inconscia di dividere,ma cmq produce il dividersi in cui ognuno per la sua strada con i suoi tormentoni e tormenti, tanto come è nel declino dell'epoca.E tanto più interviene viste le finzioni di moda sociopolitica attuale su alcune paroline (tipo "coesioni" e "con viva e vibrante soddisfazione")a cui peraltro sempre questo sito si opporrebbe volendo dai suoi commentatori almeno doti critiche politiche storiche , fino a quelle sulla poetica.
Ma ..ma ..ma il mezzo in cui ci troviamo è per default un media aperto a tutti, liberi di poter scegliere o meno iscrizioni google e facili clic sul nome blogger senza troppe storie..però soprattutto l'anonimato è un diritto del sistema rete web al di la di piattaforma google blogspot, ed anzi in parte strumento filosofico concreto da praticare per quella diminuzione di ego ipertrofici della realtà dei corpi..strumento che riesce a centrare tutto l'emotivo intellettivo sul contagio emotivo e pensiero,non puntando su altre individuazioni che distraggono da quel centro di trasmissione .
Queste ed altre ragioni, soprattutto per chi vuole una selezione del suo pubblico , partecipante o meno, ma appunto scelto, possono essere le premesse "aperte" in modo da orientare questo sito a limitare quest'apertura e la regola di cui sopra dello spazio aperto(in cui tutti, ma proprio tutti, hanno diritto di esprimersi con gli strumenti e le risorse a loro disposizione senza "giudicare" ed essere giudicati da alcuno anche fosse di chissà quale nome o prestigio)
Di conseguenza basta essere lineari e rendere questo luogo( tecnicamente è possibile) ,con coerenza e senza ipocrisia, ad accesso riservato agli addetti ai lavori e volontari dei duelli.
“Basta essere lineari…la premessa di questo sito è il duello” . Non mi sembra che tu sia tanto lineare, almeno in quello che scrivi. T’attorcigli a certe affermazioni senza alcuna nitidezza, l’ultima tua frase è lunga sette righe. Schiacci il discorso verso un groviglio di affermazioni senza dire nulla di concreto. Gli addetti ai lavori mi sembra abbiano un minimo di limpidezza espressiva e incisività tonale, soprattutto, tutte le buone intenzioni di parlare a tutti. Hanno fortemente bisogno dei “tutti” e hanno fortemente bisogno di essere chiari, altrimenti parlerebbero tra sordi. Il “duello” è costruttivo se è ben articolato, ben argomentato e disputato in modo che possano capire “tutti” anche quelli che scelgono questo blog per aiutarsi a crescere.
7 gen 2012 - 09. 53
É "lineare " la tua reazione, e mi aspettavo/ aspetto qualcosa di molto più feroce. Ovviamente non perché sia masochista .Trovo pertinente la considerazione che fai in particolare su un punto che vale per qualsiasi luogo .. Pur " aperto" che sia, per specifiche tecniche del mezzo, o per dichiarazioni teoriche del medium , è di fatto nella migliore delle ipotesi " semi- aperto" . L' in-sé-mina- azione è crescita per " tutti" coloro che ne hanno" id"- identiche proprietà chimiche ..minerarie.. Etc . Fiorif forano nei duelli con le stesse zolle . Anche in un orto botanico valgono le stesse regole umide o secche , temperate o altro di condizioni climatiche , in questo caso poetiche , diverse: " se me" . Addirittura all interno della stessa condizione specie , il clima ne sviluppa alcune o solo una .
...ritengo molto utile invece che chi pubblica una o più proprie poesie rilasci anche una dichiarazione (non di poetica, per carità!) ma dei criteri di scelta delle immagini e dei tropi che ha usato (e questo senza nessuna tentazione inquisitoria e/o giustificatoria) della propria poesia.
Poi, vorrei sfatare il termine di "giudizio" quando si parla di critica di poesia, e proporrei di sostituirlo con quello di "valutazione", appunto perché il termine "giudizio" è troppo compromesso con la terminologia giuridica di colpa ed espiazione etc.
E poi la critica non è un sistema di "misurazione dei valori estetici", la qual cosa la lasciamo volentieri ai filologi e ai critici imbonitori che suonano il piffero ad ogni volger di serpente...
La valutazione estetica di un testo è un atto (motivato) con il quale una persona esprime il proprio punto di vista, attraversa l'opera (come una sfera) per sbucare dall'altra parte... ovviamente, una critica è sempre parziale e quindi tendente alla tendenziosità. Ma questo lungi dall'essere un difetto è un elemento molto positivo. Senza tendenziosità non c'è sguardo critico. (Una cosa è la tendenziosità e altra cosa è l'animosità...)- Ed è egualmente tendenziosa anche la critica accademica quando si occupa della poesia di Ciro di Pers a 300 anni di distanza o quando tenta di fare di Leopardi uno scrittore cattolico, etc.
Sicuramente “valutare” non ha una connotazione così negativa quanto “giudicare” anche se, nel momento in cui viene attivato il filtro personale, la valutazione diventa “tendenziosa”. Ma, giustamente, non c’è critica se non c’è tendenziosità. Vorrei chiedere: perché criticare a tutti i costi una poesia se ci troviamo di fronte a questo nuovo tipo di poesia/commento? Una poesia così esplicita come questa da sembrare quasi un racconto, supportata anche dal commento dell’autore, sta su da sola, non lascia spazio ad alcuna ambiguità. Qui il critico Linguaglossa ha fatto un duplice lavoro: poeta e arbitro di se stesso. Perché quindi una poesia così concepita dovrebbe essere ulteriormente valutata? Il lettore, nel momento in cui la legge prende tutto ciò che c’è da prendere, condivide tutto quello che c’è da condividere, suoni, immagini, emozioni, contenuti, ecc…ed il lavoro dovrebbe essere finito lì. Invece ognuno ha la pretesa di dirne una attivando un tedioso rimescolamento delle carte. Non me ne vogliano i critici che amo, perché comunque mostrano il “loro” punto di vista, ma questo tipo di poesia/commento è già qualcosa di completo, perché attivare una valutazione estetica se si sa già in partenza che sarà settaria? Di cosa parlerebbero i critici se non avessero più da valutare i testi? Rimarrebbero senza lavoro.
Ennio Abate:
"Una poesia così esplicita come questa da sembrare quasi un racconto, supportata anche dal commento dell’autore, sta su da sola, non lascia spazio ad alcuna ambiguità. [...]perché attivare una valutazione estetica se si sa già in partenza che sarà settaria? Di cosa parlerebbero i critici se non avessero più da valutare i testi? Rimarrebbero senza lavoro" (anonimo 7 gen. 2012 19:22)
Risponderei così: Una poesia (come qualsiasi costruzione umana) non sarà mai un oggetto definito una volta per sempre. E l'interpretazione che ne può dare il suo autore è solo una tra le tante. Sicuramente importante ma mai definitiva. Tanto più che con il tempo certi significati (ma le stesse parole usate) evidenti ai contemporanei possono non esserlo
più per i lettori che vengono dopo.
E poi soprattutto perché i lettori (presenti, futuri) non sono mai passivi fruitori o consumatori di una poesia. Jauss ha sviluppato tutta una interessantissima teoria della ricezione.
Copio scegliendo un brano dal primo link trovato a caso (quello di qualche prof. di liceo) :
Secondo Jauss esiste un rapporto dialogico tra letteratura e lettore e tale rapporto condiziona non poco l’opera letteraria sia nella sua peculiarità artistica che nella sua storicità.
Infatti, da un punto di vista estetico, è possibile affermare che la prima ricezione di un’opera da parte del lettore costituisce una sorta di collaudo del suo valore estetico in rapporto a quanto già letto in precedenza.
In una prospettiva storica, è plausibile ipotizzare una "catena di ricezioni" che si costruisce a partire dal primo lettore e che si arricchisce con le interpretazioni dei lettori successivi.2
Di conseguenza, l’opera letteraria non è più un oggetto a sé stante che appaia uguale a lettori di ogni tempo.
"Essa non è un monumento che manifesti attraverso un monologo la sua natura atemporale: piuttosto, come una partitura, essa è legata alla sempre nuova risonanza della lettura, che libera il testo dalla materialità delle parole e attualizza la sua esistenza: ‘parola che deve, nello stesso tempo in cui egli parla, creare un interlocutore capace di intenderla’".3
Il carattere dialogico dell’opera letteraria spiega perché il lavoro filologico non può basarsi esclusivamente sul confronto col testo, né può limitarsi ad una mera conoscenza di fatti.[ http://www.liceoumberto.eu/cartelle/altro/celentano.htm]
Tropi che arrivano troppo presto, tanto che si arresterebbe la penna sul foglio?
Pensare prima di scrivere, trattenendo allo stesso tempo il verso che non sfugga.
E prima di scriverlo osservare i collegamenti sensati si che andrebbero a creare?
A quel punto il mio quaderno sarebbe un campo di battaglia, pieno di cancellazioni e riscritture.
I criteri di scelta delle immagini: un poeta che abbia immagini, secondo me, può dirsi fortunato; e fortunato se gliene arrivano molte. Figure, situazioni, luoghi da scoprire che appaiono per un secondo…
Ma questa era la visionarietà di Cucchi ( il pittore della transavanguardia). E siamo negli anni '80.
Ricordo un suo quadro, un enorme piede sulla città di Roma. La città sembrava un tappetino. Lì per lì mi parve un' immagine piuttosto drammatica, ma oggi penso che sia un'immagine tanto aperta al significato che ci possono entrare tutti insieme i cavalli di De Chirico.
Il senso di un'immagine drammatica me lo diede evidentemente la sua brutta pittura. Pittura senza fronzoli, ma a suo modo densa d'estetica ecc.
Visionari, sensati, colti. Nessuno che tragga lo scuro dal marmo sol perché sono parole che schiamazzano tra loro, e si cercano. Non avrebbe alcun valore, in questo "momento storico", permettere alle parole di scontrarsi creando nubi di significati ( oltre che di immagini, se ne arrivano)?
Mayoor
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