venerdì 27 gennaio 2012

Giorgio Linguaglossa
Sulla poesia
di Silvana Palazzo

Slai, donna che si pettina

La poesia di Silvana Palazzo
Relazioni di psiche Periferia, Cosenza, 2009
Insomnia (a Barcellona) testo spagnolo a fronte, Le nuvole, Cosenza, 2011
Il meme è un seme CjC Editore, Cosenza, 2011

«Andiamo verso la catastrofe senza parole. Già le rivoluzioni di domani si faranno in marsina e con tutte le comodità. I Re avranno da temere soprattutto dai loro segretari». Era l’aprile del 1919 quando Vincenzo Cardarelli scriveva queste parole. Era iniziata la rivoluzione della società di massa, la rivoluzione industriale era ancora di là da venire, e l’epoca delle avanguardie era già alle spalle, il ritorno all’ordine era una strada in discesa, segnato da un annunzio che sembrava indiscutibile».
Oggi, a distanza di quasi un secolo dalle parole di Cardarelli, è avvenuto esattamente il contrario di quanto preconizzato da il poeta de «La Ronda»: oggi andiamo verso la catastrofe con un eccesso di parole; le rivoluzioni di domani non si faranno né in marsina né in canottiera, né con tutte le comodità né con tutti gli incomodi: non si faranno affatto. Al Politico è subentrato il «privato». Ai «maestri» sono succeduti i «pessimi maestri». Il Novecento si è chiuso con una deriva epigonica. La società della comunicazione totale ha posto in soffitta la «poesia», e quest’ultima si è vista relegare all’ultimo scalino della scala gerarchica della comunicazione. A questo punto che cosa poteva fare una poetessa della lontana Calabria che voleva scrivere versi? La poesia della Palazzo decide così di parlare dal punto di vista della sua posizione singolare e marginale quale la geografia e la storia hanno disegnato: adotta un verso breve, a volte brevissimo, formato da una sola parola o da un bisillabo, quasi una spartana economia delle parole troppo abusate dalla civiltà della comunicazione totale.
Una poesia come questa di Silvana Palazzo non poteva nascere che in un’epoca in cui parlare di «rivoluzione» sembra parlare di dodecaedri. Partiamo da qui, possiamo affermare che la poesia della Palazzo nasce appunto nel contesto culturale di una rivoluzione «mancata» e di una rivoluzione «avvenuta»: il cosiddetto post-moderno è questo: lo spazio atopico del «sortilegio», della interruzione, della intermittenza del quotidiano, del privato. Ma che cosa sono le intermittenze del privato? Tento di rispondere in modo indiretto, partendo dagli effetti più che dalla causa, dicendo che un’epoca che non conosce il futuro come tempo dell’attesa non può che partorire un’arte che si solidifica nel flusso del presente, nel continuum del presente. Direi che le intermittenze sono quelle situazioni di sospensione dell’esistentivo; più che di esistenza vissuta questa poesia nasce appunto da uno stato di «sospensione», come quella descritta poeticamente nella poesia tratta da Il meme è il seme (2011) «I miei capelli»:

I miei capelli
lunghi
sono inutili
fili dorati
spezzati
a lungo pettinati.
Percorsi
litoranei
ad un mare in tempesta,
voglio eliminarli
per sempre
dalla mia testa.
Percorrono
la vita
senza ch’io
me ne accorga
s’allungano
sul viso
sul collo
sulle spalle
come una strada
che scende
giù a valle…

La «sospensione» adotta volentieri lo stile gnomico e aforistico nel quale spiccano le capacità della Palazzo, uno stile che si nutre di scetticismo e di didatticismo. La ricerca della «verità» è diventato un esercizio incruento, un esercizio di abilità, un lavoro di fioretto, un affare privato. La Palazzo si occupa delle «risposte», sarebbe più esatto di ricerca delle «risposte», un più congruo diminutivo rispetto alla ampollosa espressione «verità», troppo inquinata, da secolari neologismi, dogmi e ideologie:

Cerco risposte
anche se non sono
Verità.
Datemi delle risposte
che possano saziarmi
di Verità.
Di Verità si muore
perché non la si conosce
mai.
La Verità è che
non esiste
la Verità.

C’è un’angoscia sottile che serpeggia nel libro, che rimbalza da un componimento all’altro a formare quel diario di minima inquietudine che è il vero binario nel quale la Palazzo avvia i suoi minuscoli veicoli poetici alla ricerca di un senso che sfugge, si ritira, evade dalle parole che vorrebbero catturarlo. Se la «Verità» non esiste, come dice la Palazzo, a che scopo cercarla? – Per la Palazzo il corporeo è il prioritario, secondario è interrogarsi perché «io esisto», perché l’esistenza si dà anche senza parole (cfr. Insomnia – a Barcellona del 2011), libro quest’ultimo senz’altro rivelatore della sua poetica; quelle parole, di una poetica del privato, che si rivelano durante lo stato di insonnia sono il «seme», il grumo primordiale del senso. È da qui che parte ogni volta la ricerca poetica della poetessa cosentina in un viaggio ellittico attorno ad un centro bipolare che continuamente si sposta verso l’ignoto:

Il mare è grigio
no, è azzurro
anzi è celeste
a volte blu
sì, quello cobalto
che sfora al viola.
Ma no, è verde
come lo smeraldo
come fondi di bottiglia
trasparente
come l’acqua
che non ha colore
che si tinge
a seconda
di com’è
il cielo.
                        da Il meme è un seme

                        Giorgio Linguaglossa

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Belle interessanti...le intermittenze. Emy

Anonimo ha detto...

propongo la poetessa al nobel al posto di maffia....inizio petizione....

Anonimo ha detto...

la presunta poesia dell'autrice, manca di ritmo, musica, non è sonora....è per molti versi puerile.credo che poesia sia ben altra cosa.la critica al testo mi sembra un po esagerata, come se la poetessa fosse portata per raccomandazione dal critico, senza tener presente che alla fine è sempre il lettore che giudica.dora 77

Anonimo ha detto...

le intermittenze di cui parla la presente critica, a mio avviso non sono altro che vuoti sonori.è musica spezzata e non a caso, non ha, è manca di composizione ritmica.non è poesia.manca un vero e proprio testo poetico.sono solo annotazioni,suggestioni, considerazioni e senzazioni poeticizzate. antonio (Trani)

Anonimo ha detto...

non c'è sofferenza,non vedo patòs e manca di catàrsi.E' soltanto poesia esibita senza alcuna motivazione poetica, come se per puro narcisismo la poetessa cerca di ritagliare
uno spazio intellettuale.La "poesia" è rivestita di esteriorità e non di anima.La critica è completamente fuori da qualsiasi contesto di spazio-lettura.Il vero poeta crea emozioni, il vero lettore le legge e piange.Questa è la poesia.Roberto 72

Anonimo ha detto...

le intermittenze sono semplicemente vuoti di scrittura che l'autrice non riesce a riempire. il critico è stato troppo buono, molto probabilmente avrà avuto le sue ragioni.in definitiva siamo fuori da qualsiasi contesto poetico e soprattutto di poesia.tutti siamo poeti, ma nessuno o pochi sono poeti. E' per me, forse giusto, che la poesia non si inflazioni.Mi scuso con l'autrice e anche con la mia sincerità. Federico (sassari)

Anonimo ha detto...

vedo la poesia dell'autrice,molto fredda.da nessun pensiero accompagnata,come se la mente e il sentimento fossero lontani dal testo scritto.Manca di vera scrittura poetica e di un anima che detti la parola:il verso.L'autrice non sa scrivere ovvero manca di una scrittura.la critica poi ,senza offesa per il critico mi sembra un pò ruffiana. come se fosse accordata.non coincide assolutamente in niente.Rosetta (Molise)

Moltinpoesia ha detto...

Ennio Abate:

Da luglio ad oggi un anonimo che sembra essere sempre lo stesso o la stessa, firmandosi in vari modi, non fa che ripetere che questa poesia di Silvana Palazzo non gli/le piace e che il critico si è sbagliato.
Abbiamo capito. Ripeterlo ossessivamente non è una virtù....