Edward Poynter, Orfeo ed Euridice
I
Dal pontile
parte l'ultimo
caicco
per l'isola greca.
per l'isola greca.
Razionalità e
prudenza
frenano ogni impulso
mentre il sole declina
frenano ogni impulso
mentre il sole declina
tra nuvole sempre
più grigie
e la tua bellezza,
e la tua bellezza,
pallida amica sera,
è immutabile,
come il malessere
della mia anima
divisa,
che il traghetto
potrebbe dividere
per sempre.
II
A commedia finita,
anche se forse
anche se forse
oggi è solo
malattia,
credere, per teatro,
in un incontro
credere, per teatro,
in un incontro
con una vita
recitata altrove?
Di quella vita invidiando,
Di quella vita invidiando,
se tutto è stato
altrove,
anche solo i vestiti smessi,
irrecuperabilmente
anche solo i vestiti smessi,
irrecuperabilmente
chiusi in stanze
e case non mie?
Niente, niente sia
più mio.
Si ripetano pure
Si ripetano pure
i consueti scenari
e sul mio
palcoscenico
calino
calino
sipari di
solitudine
e quinte sempre più
fitte
incrocino ombra su ombra.
incrocino ombra su ombra.
III
Al mio pur smorto
ed afono vibrare
ed afono vibrare
forse qualcosa
risponde:
rinascono le magiche parole,
rinascono i colori dei fiori.
Nell'isola che fluttua,
rinascono le magiche parole,
rinascono i colori dei fiori.
Nell'isola che fluttua,
riflessa e
trasparente
nel mare Egeo del
sogno,
ancora fiorisce la bougainville.
Nell'ultima sera,
ancora fiorisce la bougainville.
Nell'ultima sera,
prima della
partenza inevitabile
contro un nemico invincibile,
l'anello disperatamente
contro un nemico invincibile,
l'anello disperatamente
lanciato nel
futuro,
per ritrovarti,
tu che vieni ora
dall'etere senza
tempo, fu ricordare
il colore dei tuoi fiori,
il colore dei tuoi fiori,
Euridice.
Un appuntamento
vicino alle bougainville
di casa tua.
vicino alle bougainville
di casa tua.
IV
Sorridendo,
forse Socrate,
forse una semplice
saggia ancella,
forse una semplice
saggia ancella,
disse dell'eterna
spirale,
del nostro riapparire
del nostro riapparire
in altalena nei
secoli:
un appuntamento nel
futuro?
N on potresti sopportare
l'abisso del rimpianto.
Giusto è il fiume della morte
che tutto cancella.
N on potresti sopportare
l'abisso del rimpianto.
Giusto è il fiume della morte
che tutto cancella.
Solo a pochi forse
è dato ancora un
incontro.
Sarà allora
Sarà allora
come un girasole di
luce,
un'improvvisa magnetica tempesta;
il riaprirsi di una ferita
un'improvvisa magnetica tempesta;
il riaprirsi di una ferita
mai dimenticata.
v
Venivamo noi pochi
dall'isola madre
dall'isola madre
continente di acqua
e fuoco,
ma destinati a perdersi
nell'affastellarsi fatale
ma destinati a perdersi
nell'affastellarsi fatale
dei secoli del
ferro,
dei secoli del
veleno.
E là nell'Egeo
subito
si dovette partire:
si dovette partire:
dalle navi Ares
guerriero
vibrava il suo bronzo
vibrava il suo bronzo
e agli angoli delle
case
agitati insensibili eroi
già rampognavano
battendo alle porte.
agitati insensibili eroi
già rampognavano
battendo alle porte.
VI
Non temo la spada.
Allora come oggi
Allora come oggi
sento la mia fibra
mentre corro nel vento
gelido di quell'alba,
mentre corro nel vento
gelido di quell'alba,
una bisaccia con
olive e pane
e la spada amata.
e la spada amata.
Amata?
Batte il ferro
sul duro maschio
fianco.
Nessuno e niente
Nessuno e niente
farà mai paura a
me,
semplice per scelta e sfida;
con duri, stupidi muscoli,
inutili intorno
semplice per scelta e sfida;
con duri, stupidi muscoli,
inutili intorno
all'oscuro umido
germogliare
germogliare
di lacrime
profonde,
che non devono ...
Perché non paura
che non devono ...
Perché non paura
ma grande
inspiegabile luce,
indifendibile
indifendibile
di fronte a Gorgia
e agli altri,
ispide barbe,
umani di prima nascita.
umani di prima nascita.
VII
Come sottrarsi?
Ma come non
distruggere
gli stranieri che
hanno sfiorato
gli scogli e le spiagge
gli scogli e le spiagge
e le donne
da noi abbandonate
al richiamo della
caccia
nel giorno di festa.
nel giorno di festa.
Le trovammo che si
stringevano
e piangevano senza parlare.
e piangevano senza parlare.
So solo che non
feci più ritorno.
VIII
Qui, sul mio fiume
lombardo,
come un mulino di ferro
rotola la gabbia del tempo
come un mulino di ferro
rotola la gabbia del tempo
e già proietta
l'ombra
delle sue sbarre.
Occorre
districarsene
con infinita
pazienza,
rinavigando con umiltà
piccoli canali, scivolare
nell'attesa di un'altra notte,
non morire.
rinavigando con umiltà
piccoli canali, scivolare
nell'attesa di un'altra notte,
non morire.
[Da Le rughe della luna Prometheus, Milano 1996]
* Paolo Pezzaglia è nato a Milano nel
1938. Laureato in economia alla Bocconi,
ha lavorato nell’azienda familiare,
coltivando però quasi in segreto
e fin da giovane la sua vocazione di
poeta. Appassionato sportivo
(è stato campione nazionale di hockey su
ghiaccio juniores e vincitore
del trofeo Speranze azzurre nel 1954) è cultore di yoga,
filosofie orientali
e saperi esoterici. Ha pubblicato con la
casa editrice Prometheus tre raccolte
di poesia: L’imbuto rovesciato (1990), Le rughe della luna (1996)
e malincanto (2007). Ha conosciuto
Eugenio Montale e molti altri scrittori
e critici. Nel 1960 è stato
finalista al Settimo Premio "Lerici
Pea".
Di recente ha ottenuto il premio “Sicilia” per Le rughe della luna
e il “Triuggio” per Il Malincanto. Vive a Monza.
Di recente ha ottenuto il premio “Sicilia” per Le rughe della luna
e il “Triuggio” per Il Malincanto. Vive a Monza.
5 commenti:
“Solo a pochi forse è dato ancora un incontro”… “Occorre districarsene con infinita pazienza”
Quale incontro? Con la cultura? Una rassegnata disposizione all’attesa per capire se quella prigione è transitoria o definitiva? A chi si rivolge il poeta? Al suo popolo? Ad un popolo dall’identità incerta, dalla lingua imbastardita e volgarizzata, dall’ analfabetismo di massa di ritorno. Gli strumenti linguistici tradizionali sono a disposizione di tutti, ma pochi li usano e li coltivano. “Al mio pur smorto ed afono vibrare forse qualcosa risponde”. Chi coltiva il buono dei padri si sente in un “mulino di ferro”, è consapevole che occorre districarsene con “infinita pazienza”, prende atto di una nera notte di morte della cultura perché intorno a sé si parla e si scrive un idioma ibrido che consente una comunicazione minima di bassissimo livello. Il padre della cultura ha fatto il contrario di Orfeo, se n’è andato senza voltarsi per non perdere la sua Euridice. Sono i padri che dovranno di nuovo prevalere. In questi nostri giorni assistiamo alla moltiplicazione di tentativi letterari che vanno ognuno per conto proprio e che non ubbidiscono a nessuna logica generale. Perché? Perché non c’è tradizione. Il paese è sbrindellato e privo d’identità. Anche se alcuni sono bravi autori, sono incapaci di darsi un vero orientamento. Facciamolo questo sforzo per recuperare i padri. Cerchiamo di non “morire” nella più feroce delle globalizzazioni. Evitiamo che si diffonda l’ approssimazione perché l’approssimazione è il tratto distintivo dell’assenza di identità culturale. Ci porta a “scivolare nell'attesa di un'altra notte, non morire”.
Mi sembra l’Orfeo di Pavese dei “Dialoghi con Leucò”: “L’ Euridice che ho pianto era una stagione della vita….E si scende nell’Ade a strappare qualcosa, a violare un destino. Non si vince la notte e si perde la luce. Ci si dibatte come ossessi….Non parlare di giorno, di risveglio. Pochi uomini sanno…”
Mi piacerebbe leggere un commento dell'autore.
g.b.
Gentile G.B.
ti ringrazio per i tuoi commenti: li ho apprezzati e trovati veri, anche se lontani dalle sensazioni e motivi che mi hanno spinto, anni fa, a scrivere (e riscrivere) “Forse Euridice”. Non li saprei identificare di nuovo con sicurezza. Che suscitino però pensieri diversi , come quelli da te espressi mi conforta molto, convinto come sono che quando la poesia raggiunge una certa armonia - lasciami dire magica (ho di queste debolezze) - poi funziona come uno strumento ben accordato: il lettore ne fruisce a modo suo, magari arricchendo il suo valore con nuovi significati, a volte altrettanto affascinanti.
In quella mia lunga poesia esprimo – in tempi e scene diverse - le mie ferme credenze in un mondo più spirituale che materiale, più tolemaico che copernicano, quindi più antiquato di quanto si possa immaginare. Lì tutto era, è, possibile; lì sta, secondo me, l’origine, mitica, della persa verità: eppure quella antica perdita è ancora qui a mordermi: mi fa sognare, soffrire e quindi scrivere.
Immagino tu non condivida, se non in parte, eppure - questo mi conforta - c’è comprensione…
Grazie ancora
Paolo Pezzaglia
Monza 9/1/12
Un viaggio meditabondo, tutto metaforico, fuori dal nostro tempo (uso il plurale volutamente). Paolo Pezzaglia prende le distanze, o chiude gli occhi, sulle parole e i pensieri altrui, per rifugiarsi nel clima trasparente e chiaro di un passato idilliaco tanto più luminoso se pensato in contrasto con quello lombardo. Ma si perde, secondo me, in quella luce ideale (scandisce in sovrabbondanza le metafore luminose rispetto al presente che stenta a descrivere), tanto da finire in un soliloquio condivisibile solo per chi guardi al passato con altrettante speranze. O per trovarvi rifugio.
La chiarezza del paesaggio però è notevole ( ma basta con le bouganville!), e corrisponde certamente ad una sua qualità interiore che non avrebbe bisogno di spade ( qui più narrate che adoperate) per combattere la sua battaglia quotidiana.
Per il resto a me son bastate le parole del commento di g.b.:
"Sono i padri che dovranno di nuovo prevalere. In questi nostri giorni assistiamo alla moltiplicazione di tentativi letterari che vanno ognuno per conto proprio e che non ubbidiscono a nessuna logica generale. Perché? Perché non c’è tradizione."
Appunto, non c'è. Trovo più realistico che se ne prenda atto. Ora toccherebbe ai padri di oggi.
mayoor
Maria Maddalena Monti:
Forse Euridice
Questa lunga poesia è scritta in un linguaggio limpido e luminoso,anche se i significati espressi metaforicamente sono un continuo rimando ad altro, a volte difficile da interpretare.
Il mito in :” forse Euridice” è lo strumento per un ritorno all’”isola madre”,al fine, però, di ritrovare un legame con il presente.
Il richiamo alla bellezza e all’armonia ,che spesso percorre questi versi, non è statico e puramente simbolico, ma si vena d’inquietudine:”..la tua bellezza/pallida amica sera,/è immutabile,/come il malessere/ della mia anima divisa.
L’ombra ,il buio del mito di Orfeo e Euridice avvolge anche il poeta:”..sipari di solitudine/e quinte sempre più fitte/incrocino ombra su ombra/.”
Non è intatta e sicura la voce della poesia,sembra giungere da luoghi remoti. Tuttavia:”..al mio pur smorto/ed afono vibrare/forse qualcosa risponde/:rinascono le magiche parole,/rinascono i colori dei fiori.La contemplazione di luoghi dalla bellezza incontaminata non è intessuta solamente di nostalgia,perché “l’incontro”, quello che forse non potrà più avvenire è anche:::”magnetica tempesta” e ancor più:drammaticamente:”il riaprirsi di una ferita mai dimenticata”.
Dalle lontananze”dell’isola madre”,dal mare azzurro,solcato da guerrieri e lacerato da lotte,l’approdo..:” sul mio fiume lombardo”,dove: come un mulino di ferro rotola la gabbia del tempo”…”rinavigando con umiltà/ piccoli canali,scivolare..non morire.”
Una dichiarazione di poetica e ,insieme di coraggioso impegno per vivere il presente..
Caro Paolo,
le tue parole sono così dense di musica e di te che fanno festa alla vera poesia. La vita difficile e faticosa ma piena di attese.
Davvero scivoliamo nell'attesa di un'altra notte ed io aggiungo: ed è sempre ancora giorno. Grazie Paolo ci hai fatto un grande regalo! Emilia Banfi
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