Zingonia Zingone L’equilibrista dell’oblio Equilibrista
del olvido Raffaelli, Rimini, 2012
Ho assistito di recente alla presentazione del volume di poesie di Zingonia Zingone (poeta e
scrittrice bilingue: italiano spagnolo) al Santuario delle Tre Fontane in Roma e ne ho tratto una impressione
positiva. Il libro l'ho trovato vivo, intenso, a tratti anche struggente, ingenuo
e sentimentale se diamo a tali termini il senso che gli dava Schiller nel suo
famoso saggio sulla poesia ingenua e
sentimentale. In una certa misura, direi che quella di Zingonia Zingone è una poesia che rientra
nel parametro schilleriano, e questo grazie anche alla sua cultura e alla
lingua spagnola con cui Zingonia si esprime, il che le facilita il compito,
evitandole così le congiunture nelle quali si è andata a cacciare la poesia
italiana del secondo Novecento, con le sue idiosincrasie per tutto ciò che
attiene all’«ingenuo» e al «sentimentale».
Zingonia Zingone, con questo nome
che sembra la perifrasi di un nome occulto, eredita la tradizione americana di
lingua spagnola al meglio e la resa in italiano mi sembra che possa soddisfare
anche i palati più evoluti. Zingonia è, indubitabilmente, anche poeta in
italiano, al pari della lingua spagnola. E poi mi piace quella sfrontatezza (se
così si può chiamare) con cui l’autrice nella poesia «Senza titolo» si presenta
al lettore (mi chiamo Zingonia Zingone...), così senza preamboli e senza
inutili orpelli (purtroppo oggi pratica molto diffusa in Italia), senza pose
stentoree e senza infingimenti; apprezzo inoltre l'economia stilistica e
lessicale con cui l’autrice si esprime, ed anche certe scelte lessicali che sono
il frutto di meditazione e di sincerità di dizione, grazie forse alla madre
lingua spagnola, appunto, che le conferisce quella morbidità e quella esattezza
di dettato che nella tradizione italiana del Novecento è stata una conquista
faticosa. Un libro non gratuito quindi.
Direi che l’aspetto che va messo in maggior evidenza del
lavoro poetico di Zingonia Zingone, quello a mio avviso più convincente, è la ricerca all’interno dell’«io» in una
investigazione che si svolge nella dimensione intermedia tra allucinazione e
realtà.
Basta Don Giovanni
Non c'entra
la fortuna, amore
di chi si è
comportato male
e ha
vissuto nella lussuria
per
comodità o per paura
non c'entra
niente la fortuna con la vita.
È avere la
forza di alzare gli occhi
verso la
verità
dove non
c'è smarrimento.
La fortuna
è di essere te stesso
senza
maschera
nudo nello
scenario del tuo cuore.
Nulla ebbe
a che vedere la fortuna
con Gesù
nella sua Via Crucis:
la nuda
verità dell’uomo.
Antigone
Duemilaotto
Antecedente: Edipo, re di Tebe, è stato
esiliato da Tebe. Suo figlio più giovane, Eteocle, briga per avere il potere ed
esilia il fratello maggiore Polinice, ma questi attacca la città.
Cadono entrambi in battaglia e Creonte, fratello di Edipo, diviene
re di Tebe. Dichiara che Eteocle sarà sepolto e onorato come eroe, mentre il
corpo di Polinice resterà insepolto a decomporsi, preda dei cani, nel disonore.
Antigone: Antigone, sorella di
Polinice, pretende che il corpo del fratello venga sepolto al fine che il
suo spirito possa riposare in pace. Sua sorella Ismene timorosa delle
conseguenze, cerca di scoraggiarla, ma Antigone seppellisce il fratello e
dunque infrange la legge. Viene condannata a morte. Emone, figlio di
Creonte e fidanzato di Antigone, che cerca di intervenire, ma Creonte non cede.
L'indovino Tiresia, avverte Creonte che gli dèi sono molto adirati
per aver egli rifiutato la sepoltura a Polinice, e che per castigo, suo figlio
morirà. Il re è diffidente ma combattuto; decide però di far prevalere la sua
legge su quella della coscienza (degli dèi). Antigone muore. Emone si conficca
un coltello nel petto e sua madre, Euridice, si uccide per il dolore. Creonte è
devastato dalle conseguenze delle sue stesse azioni.
Tiresia:
…
ricorda bene
non
trascorreranno
molti
rapidi giri di sole
senza
che tu
dia in
cambio di un altro cadavere
un morto
sorto dalle tue viscere...
Sofocle
(Antigone)
I
È febbraio
dell’anno duemilaotto,
ci troviamo
a Tebe:
il mondo è
diventato un fazzoletto.
Antigone sa
che morirà
e che i
notiziari annunceranno la sua cospirazione
sdegnati
condanneranno il giorno
(il suicida
schianta un’autobomba
contro un
posto di controllo in Waziristan,
i gendarmi
sparano contro
l’Ambasciata
d’Israele in Mauritania,
due matte
fanno ingresso nel mercato di Baghdad
cinte di
esplosivi; l’esplosione uccide
novantotto
persone
e ne
ferisce oltre duecento),
e verrà
accusata di estremismo
come papa
Benedetto XVI
e la
chiamata alle armi di Osama Bin Laden.
II
Antigone sa
che morirà
veste di
pianto e forza;
non si
ferma: infrange la legge
e abbraccia
il cadavere del fratello.
Noi saremo
Creonte. Noi, i ciechi
abitanti
del villaggio globale andiamo
per la
storia vigliacchi come Ismene;
ci
rifugiamo nella rete, gli occhi bassi
come se
tutto e niente stesse accadendo.
Ma Antigone
sa
che è l’ora
di morire
al disopra
di Bush,
Chávez e
l’ONU; del petrolio,
l’immigrazione
e il fondamentalismo;
la
manipolazione, le sette e il consumismo.
III
E Tiresia?
Di santoni ce n’è troppi:
penetrano
l’occhio della nostra cecità
emettendo
profezie atroci
in toga,
mascherati da umili
e semplici
mortali.
Noi stolti
seppelliamo denaro
nelle loro
fosse di ambizione
per fermare
il buco
dell’ozono, la fame,
la perdita
imminente dei nostri privilegi.
Qualcuno ha
pensato alle spoglie di Polinice?
IV
È già
tardi.
Antigone è
morta.
Polinice
giace nel girone che gli spetta.
Emone si
lascia cadere sulla lama del giudizio
trascinando
nello strazio
l’esistenza
dei suoi padri. Così morirà Creonte,
tanto
rigoroso e tanto cieco; tanto prevedibile.
E da una
stella
Madre
Teresa e il Che Guevara si domandano:
cosa
sarebbe di noi
se Antigone
avesse deposto
la sua
coscienza.
V
Dirà il
coro:
E il passato e il presente
e il futuro reggerà
questa legge: nulla accade
nella
vita dei mortali senza disgrazia.
Senza
titolo
Mi chiamo
Zingonia Zingone
sono poeta
e non uso pseudonimo.
Negli anni
sessanta mio padre
costruì una
città nel nord Italia
Alessandro
fondò Alessandria
Zingone
crea Zingonia.
Il suo
cuore di fabbriche
palpitava
euforia
ricostruzione
l’economia
della nazione
rastrellava
i frutti guasti della guerra.
Infrastruttura
d’avanguardia
cavi
interrati
edifici
moderni
per
cinquantamila abitanti
operai
capi cantiere imprenditori
un centro
sportivo polivalente
scuole
chiese
e un
ospedale con camera iperbarica.
La città
del capitale.
La città
degli operai.
La città
del futuro?
Annichilita
dalla fame
di cinque
municipi
Zingonia,
la città vivente
mai
fu.
Sottile è
l’ironia
della
vendetta.
Il fallito
compimento
di un sogno
lasciò
edifici vuoti
in balìa
dello sconforto.
Africani
arabi asiatici indiani
puttane
ladri spacciatori travestiti
e gente
onesta
vivono in
palazzi fatiscenti
pavimenti
di marmo
e ascensori
immobili
di acciaio
inossidabile.
Mi dormono
nelle
arterie dormono avvolti
dal
mormorio delle storie
condivise
si
abbracciano nella penombra.
Una sirena
annuncia la retata
li
riporterà all’inferno.
Gendarmi
tagliano l’acqua
l’elettricità
svegliano
le famiglie
all’alba.
Ahmed
imparò a scrivere in italiano:
Odio
Zingonia perché la notte
non
posso dormire, arriva spesso
la
polizia e ci sveglia tutti.
I media
divulgano il trionfo.
Ogni
maledetto rimandato alla sua patria
è un passo
verso il progresso.
Bombe di
gas mostarda
nelle
strade d’Etiopia (*)
che cosa
esploderà oggi
nelle mie
vene?
Mi chiamo
Zingonia
come il
nuovo Bronx
non uso
pseudonimo.
(*) Dal dicembre 1935 al maggio 1936 le forze aeree italiane sganciarono circa 85 tonnellate di iprite (conosciuto anche come gas mostarda) sull’Etiopia.
*Zingonia Zingone nasce Londra nel 1971ma trascorre la prima infanzia tra Milano e Firenze per poi seguire i genitori in Costa Rica nel 1975. Studia all'estero e si laurea all'Università La Sapienza di Roma in scienze economiche. Lavora per un decennio nel mondo della finanza milanese e si trasferisce in Nicaragua sino al 2005, anno in cui ritorna a Roma dove ora risiede.Ha pubblicato in spagnolo due raccolte: Máscara del delirio - Ediciones Perro Azul, 2006;Cosmo-agonía - Ediciones Perro Azul, 2007.
3 commenti:
Ho trovato la poesia "Senza titolo" toccante, nel suo basculare fra ideale, realtà, corpo (/che cosa esploderà oggi/nelle mie vene?//). Una questione che ha a che fare con il destino di un nome attribuito ad un'utopia, ma anche ad un essere umano (/mi chiamo Zingonia/come il nuovo Bronx/), un poeta, nella fattispecie. Una parabola umana che riconosce i limiti di tale utopia, ma, nello stesso tempo, ne accetta il peso fino in fondo (/non uso pseudonimo/). Il calice si beve tutto intero. Bella.
Flavio
Nel mio samgue
ritrovo virus letali
passati con garbo
da chi aveva letto
troppi giornali.
Non scorre più acqua
fra me e il sapere
niente più niente da bere
solo il reale bisogno
mi fa cercare la mi valle
la storia come quella
di Zingone Zingonia.
Emy
Mi piace, va spedita con un fare narrativo dove non serve stare a contare gli accenti e basta il verso breve. Intanto mischia le carte della tragedia con quelle dell'attualità senza trascurare se stessa. Ed è tutt'uno.
Vien da dire che prosa e narrativa siano cose diverse tra loro, che la prosa in poesia abbia fatto il suo corso e che ora la poesia abbia voglia di pareggiare i conti con la narrativa, quella che tanto piace al cinema e a chi viaggia in treno... senza approfondire, che non è il mio mestiere, a me sembra un buon segno.
mayoor
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