Un’altra vita
E’ comparsa inattesa,
come una crepa,
sul bordo del tavolo,
nell’angolo;
come per caso,
presa di taglio
da una luce fredda,
come una resa:
l’inattesa scossa,
il tuffo, l’idea
che questa
è un’altra vita.
Fine della Storia
Volevamo essere statue,
solo solcate
dalle lacrime degli
sconfitti
e mosse dal ritmo
dei loro passi.
Siamo solo
acqua smarrita,
impotente
alla forma
e al colore
di sordide bottiglie.
Siamo solo
lische lasciate
sulla polvere
di un muro a secco.
Lontano dal mare.
Ecco il mattino
a metà del viaggio a ritroso
fatta la sosta nel secolo scorso
m’ingegno di fronte all’ignoto.
Ignorami, passato
perché duole e ti duole
il corpo di felce
sopra un greto disfatto di pene.
Tieniti la luna,
che io mi prendo il giorno,
che qui è così corto
per dare l’incipit al mondo.
Conto all’inverso i passi che restano
lungo il collo marino del sonno
dove l’occhio esanime si specchia
senza darsi nome. Dove spiro ogni giorno,
ed ogni giorno mi desto e non lo so(gno).
Rimossa la piastra poetica,
smontate le officine del secolo,
spostata sul ventre la guardia,
cos’altro resta da dire?
Rimetto tra le cose la parola,
metto a bagno i versi,
e premo sull’uscio del giorno,
perché sia giorno benedire.
Rivolgimi un nuovo saluto,
soltanto la vita è scampata,
adesso che Soup non è che soup,
per una pietà umana
nient’altro che parola,
senza più umanità.
Non voglio che mi tocchi, sono
sveglio,
svuotato non sono ancora, mi sento
e sento il tuo tatto febbrile di
ceramica.
Non puoi
sciogliere i miei nodi, li sento
di legno, sebbene io sia presente
ancora,
carne su tronco, corpo su peso.
Io non risorgo, ma resto sospeso
nel sonno
di questo riposto crinale senza
ritorno,
appeso nel vuoto come un sipario
rotto.
Da Il cibo
senza nome (Lietocolle, 2011)
Agli angoli delle strade
I libri non letti,
gli abiti gettati sui
letti
sono corpi di pelle,
la polvere sui cuscini,
la posa del caffè
che ti resta tra le dita,
non mi siedo più,
tiro un respiro sulle
ciocche
dei capelli che mi
restano in mano.
Assomiglia
a se stessa
la vita che raccontiamo
per sentirci diversi dai
libri,
dai letti, dai vestiti,
per non confonderci coi
capelli,
con le mani che senza di
noi
sarebbero piante strane
o radici cucite che non
hanno odore,
insieme alle scarpe o
alle fedi
che non mi hanno spiegato
il viaggio,
forse terminato senza
alcun risultato,
fermo al punto solito,
all’angolo di un
appuntamento mancato.
Il sonno condiviso
E
pensare che ci siamo spartiti il sonno
sopra un plaid a scacchi,
senza che l’arrocco
riuscisse a salvarmi.
Lasciami andare dove vai
tu, in tutte le direzioni.
Quante volte me lo sono
detto,
peggio di un secchio che
perde acqua;
Quante volte ho cercato
di risparmiarmi,
mentre torno a contare i
centesimi della mia insistenza.
E tu, comunque, sei
ancora qui,
mentre io mi trovo via,
sull’altra linea del
quadrante;
a specchiarmi dietro le
vetrine
ed a guardami in tasca,
se ho ancora da vivere.
Qualche
cosa avanza sempre alla fine della spesa.
Questa casa non ha
odore,
non dico il sugo, la frittura,
il calore, che sarebbe kitsch;
non dico il sugo, la frittura,
il calore, che sarebbe kitsch;
dico che non si sentono
passi
dietro i tavoli, sulle tovaglie,
sopra i divani, fuori delle stanze.
dietro i tavoli, sulle tovaglie,
sopra i divani, fuori delle stanze.
Non posso dire la
differenza, come
gli inglesi, tra casa e casa, perché
camere e cucina non siano solo mattoni,
gli inglesi, tra casa e casa, perché
camere e cucina non siano solo mattoni,
intonaco e cellofan, ma
anche terra,
ventre e fame che si sazia alla fine
della vita sui muri fino ad annerirli
ventre e fame che si sazia alla fine
della vita sui muri fino ad annerirli
e a farli puzzare delle
nostre giornate.
E invece questa casa è una rimessa,
i cartoni, le scatole di cibo senza nome
E invece questa casa è una rimessa,
i cartoni, le scatole di cibo senza nome
al posto dei libri sugli
scaffali dismessi,
le foto senza alcun luogo, i quadri senza
soggetto, la polvere che ti mangia tutto.
le foto senza alcun luogo, i quadri senza
soggetto, la polvere che ti mangia tutto.
Mi
resta il bagno, utile e integro come una cesta.
Silenzi
Ne ho sentiti di silenzi,
scialbe assenze di volume,
o loquaci più di un corpo autoptico.
Ne ho sentiti di silenzi,
uno spazio bieco, lasciato fuori
dall’altro lato dei volumi.
Non ne ho più trovato uno uguale
a questo risvolto oltre l’intero,
dentro questo insediamento di parole.
Nell’immagine negativa del pieno,
la scia tracciata dopo l’onda
ritratta dalla riva,
via da lettere e da particelle.
Ne misuro il peso col ghiaccio in bocca.
scialbe assenze di volume,
o loquaci più di un corpo autoptico.
Ne ho sentiti di silenzi,
uno spazio bieco, lasciato fuori
dall’altro lato dei volumi.
Non ne ho più trovato uno uguale
a questo risvolto oltre l’intero,
dentro questo insediamento di parole.
Nell’immagine negativa del pieno,
la scia tracciata dopo l’onda
ritratta dalla riva,
via da lettere e da particelle.
Ne misuro il peso col ghiaccio in bocca.
Credi proprio che gli ultimi istanti
della giornata siano proprio uguali
agli ultimi giorni dell’umanità
perché non li puoi mettere in scena.
Ti lasciano appiccicata addosso
l’etichetta della lavanderia,
che nessuno ha il coraggio di
toglierti dalla piega della giacca.
Hai voglia tu a sperare che domani
la storia potrà essere riscritta.
Tutto quello che hai detto, e fatto
si riverserà dentro senza farsi domande.
Quante volte ti sei convinto che
tutto fosse finito, così per ricominciare.
È bene che ti rassegni a ciò che vedi:
non c’è giornata che termini senza umanità.
Non c’è umanità senza le tue giornate.
* Pasquale Vitagliano. Vive a Terlizzi (BA) e lavora nella Giustizia.
Giornalista e critico letterario per riviste locali e nazionali. Ha scritto per
Italialibri, Lapoesiaelospirito, Reb Stein, Nazione Indiana, Neobar. Menzione
speciale nel 2005 al Premio di Poesia Lorenzo Montano Città di Verona – Sezione
Opera Inedita. Nel 2006 è tra i “Segnalati” nello stesso premio – Sezione
Poesia Inedita.
Sul settimanale Diva e
donna ha scritto di cinema e letteratura per la rubrica Scandali e
Passioni. Nel 2006 ha curato la sezione riservata a Italialibri dell’Antologia
della Poesia Erotica (Atì editore). Ha pubblicato le raccolte Amnesie amniotiche (Lietocolle,
2009) e Il cibo senza nome (Lietocolle, 2011). Nel 2010 la silloge di poesie
civili Europa è stata inserita nell’antologia Pugliamondo – un
viaggio in versi, curata da Abele Longo (Edizioni Accademia di Terra
d’Otranto Neobar). Nel 2011 ha partecipato alle opere collettive Impoetico
mafioso – 100 poeti contro la mafia, curata da Gianmario Lucini (Edizioni
CFR) e La versione di Giuseppe – poeti per Don Tonino Bello, curata da
Abele Longo, (Edizioni Accademia di Terra d’Otranto). Nel 2012 la silloge Dieci
Camei è stata inserita nell’antologia Retrobottega 2, curata da
Gianmario Lucini (Edizioni CFR). Nel 2012 è uscito il suo romanzo d’esordio Volevamo
essere statue (Eumeswil).
10 commenti:
Un intimismo che mi piace tanto. Una voglia di vivere anche se arrendersi potrebbe essere una soluzione? Un contrasto di pensieri, momenti e parole che trovano nella metafora un significato forte e vero. Belle,davvero belle. Grazie .Emy
"cos’altro resta da dire?"
E' come chiedere quale sia il significato della vita, perché senza significato potrebbe non avere un senso alzarsi ogni mattina e addormentarsi la sera...
"Ne ho sentiti di silenzi,
uno spazio bieco, lasciato fuori
dall’altro lato dei volumi.
Non ne ho più trovato uno uguale
a questo risvolto oltre l’intero,
dentro questo insediamento di parole."
La domanda sul significato non viene posta direttamente, è sottintesa, in ogni osservazione, in ogni meditazione, in ogni verso.
"È bene che ti rassegni a ciò che vedi:
non c’è giornata che termini senza umanità.
Non c’è umanità senza le tue giornate."
Anche qui una domanda non posta in forma di domanda. Manca un ragionevole interrogativo. E come risposta non ha grande valore, è vaga, non risolve.
Il tema esistenziale batte sulla negatività del soliloquio. Qualcuno potrebbe dire che leggere queste poesie è come lasciarsi guidare da un cieco (?)
mayoor
beh, però se questo cieco fosse Omero...ma non credo che l'intento di queste poesie sia di guidarci da qualsiasi parte, ma piuttosto quello di farci entrare in un labirinto con tante strade senza uscita. Dopo la lettura resta un senso di spaesamento, un non senso del vivere. Mi sembra un'esperienza piuttosto diffusa quella del ripiegamento e della rassegnazione oggi tra gli uomini e quindi tra i poeti. Qualcosa vorrà dire dei nostri giorni e che anche la poesia rifletta questi stati d'animo non mi sorprende.
Annamaria
Ho letto stamani:
"John aveva l'AIDS.
Prima, cominciò a parlare con se stesso.
Lo psichiatra disse:
"se vuoi parlare a te stesso,
fallo in forma di poesia."
(Allen Ginsberg)
mayoor
...non é male come idea, la poesia non salverebbe il mondo ma almeno se stessi:un peso in meno per gli altri...dici poco
Annamaria
Infatti, non è poco. Così intesa, il fatto che possa piacere anche ad altri diventa sorprendente. Esempi non ne mancano, anzi non si possono nemmeno contare. Per comunicare non dovremmo chiederci "per chi scriviamo", a chi ci rivolgiamo? Queste poesie di Vitagliano hanno un tono basso, confidenziale, l'interlocutore sembra esserci perché ogni tanto compare un TU, ma gli dice "Non voglio che mi tocchi"...
mayoor
Annamaria ha già risposto. Omero era cieco. Non era in grado certo di guidare gli altri verso approdi-significati certi. Nell'antichità la "cecità" era attribuita ai poeti e agli oracoli. Non credo che la poesia debba spiegare. La poesia aiuta ad andare "oltre", ma il cammino è rischioso. Noli me tangere. Non voglio che mi tocchi. Quasi che al tatto dell'altro il poeta possa ritrovare il senno ma perdere la sua capacità sapienziale.
Capisco, e potrei essermi sbagliato. Vitagliano potrebbe aver deciso di stare volutamente nel suo guscio per indagine, e qui muoversi con l'estetica della sua scrittura. Questo spiegherebbe il fatto che queste sue poesie manchino, per il momento, di uscite di sicurezza, di "approdi-significati certi".
mayoor
Dibattito interessante. Ringrazio per queste riflessioni. Non credo che la poesia debba indicare strade e fornire significati. La poesia è una forma di rappresentazione. Ai livelli più alti ri-crea realtà e lingua. Ringrazio infine Ennio Abate e Giorgio Linguaglossa per l'ospitalità.
Pasquale Vitagliano
La poesia no, ma vada per la rappresentazione.
grazie a te
mayoor
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