di Ennio
Abate.
Due frammenti di una discussione del Laboratorio Moltinpoesia. Era stato pubblicato Viaggio alla presenza del tempo di Giancarlo Majorino. Non piacque ad alcuni dei partecipanti al Laboratorio. Ci furono accuse di "gergalità" e di non "comunicabilità". Oltre all'intervista qui sopra riprodotta tentai di sostenere la necessità di una "critica dialogante" con queste due lettere.
Letterina di Natale (2008)
Cari
Moltinpoesia,
siamo
sotto Natale, è vero. Infuriano gli auguri e non voglio guastarvi le
feste. Ma una breve riflessione sulla brutta piega presa dalla nostra
discussione sul poema di Majorino [Viaggio nella presenza del tempo,
2008] non mi sento di rinviarla. Anche perché vedo vanificati i miei
appelli (donchisciotteschi?) alla critica dialogante e preferita la
“critica litigante” addirittura inter nos. Mi chiedo
come mai.
Non
credo di aver sbagliato a proporre la lettura di testi di autori noti
(Majorino, Neri, ecc.) e, se possibile, degli incontro con loro. Né
per aver dato spazio alle posizioni dissenzienti. Ma non mi aspettavo
che un’introduzione come quella di Luisa Colnaghi – informativa,
simpatetica ma senza stravedere, aperta, esplorativa, “di assaggio”
per così dire – o il successivo incontro con Majorino alla
Libreria EquiLibri - non risolutivo, ma che di sicuro ha aggiunto
elementi in più per intendere il senso della sua ricerca poetica,
potessero essere così sottovalutati.
Bisogna
concludere che il Laboratorio non dovrebbe misurarsi con un autore
noto, pubblicato da un grande editore? O che in esso il discorso
critico può essere soltanto liquidatorio?
Acerba
è l’uva o è la volpe che non sa saltare?
Lascio
aperti i problemi e vi auguro buone feste.
Ennio
E-mail a....su gerghi, comunicabilità e mass media
Caro .....,
replico
ancora, anche se ho meno speranze che il dialogo non risulti alla
fine tra sordi anche se "amici". Davvero non riesco a
capirti quando ti chiedi: "debbo io sforzarmi di capire uno che
parla un suo gergo che io non conosco e che non ho voglia di
conoscere, perché è comunque un linguaggio che esclude la
maggioranza della società in cui vivo".
E perché non
dovresti fare questo sforzo? Più la società si frammenta, più
aumentano i gerghi che dovremmo almeno un po' imparare. Quale sarebbe
oggi il linguaggio universale parlato dalla "maggioranza della
società"? Quello dei mass media? Quello del "popolo"?
Il
primo è, concorderai, manipolato e permette di comunicare solo i
valori consentiti dal mercato (non certo quelli del comunismo). Il
secondo non esiste più: ambiguo come già era, è stato ora
sostituito da quello della "gente". Che rientra di fatto
più sotto il dominio dei mass media che dei partiti tradizionali (o
meglio: dei partiti che dispongono più di altri dell'uso dei mass
media). Ma io ti farei un'altra domanda, più personale: tu chi
hai voglia di "conoscere"? C'è almeno qualche "gergo"
che ti sforzeresti di conoscere, perché ci tieni a entrare in
contatto con quelli che lo parlano?
Torniamo un attimo alla
nostra discussione: tra questi "gerghi" abbiamo oggi quello
della tradizione classico-umanistica e quello dello
"sperimentalismo-avanguardismo" (parlo all'ingrosso). Tu
puoi preferire il primo per vari motivi. Ma fra i motivi non può
esserci quello a te così caro (e che tendi ad assolutizzare, secondo
me) della "comunicabilità". Nessuno dei due può oggi
presentarsi come più "universale" dell'altro, se si
analizzassimo le cose fino in fondo.
Ma
c’è un problema più di fondo. Non mi pare che l'esclusione dalla
cultura più alta (umanistica o scientifica) della maggioranza della
società sia dovuta più di tanto alle scelte linguistiche dei
letterati o degli specialisti dei vari campi del sapere. Semmai, come
accade anche per l'uso delle tecnologie, l'esclusione della
maggioranza dai linguaggi più elaborati non fa che registrrea
assetti di potere consolidatisi anche su altri piani (economici,
politici, ecc.).
La limitata circolazione danneggia, dunque,
sia la comunicazione dei “classici” che degli
“sperimentali-avanguardisti”. Ed è quella che oggi opera
attraverso i mass media a neutralizzare o paralizzare entrambe queste
tradizioni. Possiamo anche riprendere la vecchia polemica degli
anni Sessanta tra Fortini e Sanguineti ma, secondo me,
permetterebbe di capire ben poco di quello che ha fatto Majorino col
suo poema, che si muove tra tutte e due le tradizioni e non
definirei ”neoavanguardista”. La situazione è del tutto
mutata e la lotta tra i due schieramenti di allora, che volevano
egemonizzare la cultura di sinistra, è stata sopravanzata non
solo dallo sviluppo onnivoro dei mass media ma anche dallo società
dello spettacolo e dal "caos multimediale" di
Internet.
Passare a qualcuno le "nostre verità",
che rischiano di rimanere del tutto sterili, cosa significa oggi in
questo contesto? Questo è il problema con cui misurarsi.
Ennio
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