lunedì 20 marzo 2023

MOLTINPOESIA APPUNTO 3: Sulle difficoltà della "critica dialogante"



di Ennio Abate.

Due frammenti di una discussione del Laboratorio Moltinpoesia. Era stato pubblicato
 Viaggio alla presenza del tempo di Giancarlo Majorino. Non piacque ad alcuni dei partecipanti al Laboratorio. Ci furono accuse di "gergalità" e di non "comunicabilità". Oltre all'intervista qui sopra riprodotta tentai di sostenere la necessità di una "critica dialogante" con queste due lettere. 


Letterina di Natale (2008)

Cari Moltinpoesia,
siamo sotto Natale, è vero. Infuriano gli auguri e non voglio guastarvi le feste. Ma una breve riflessione sulla brutta piega presa dalla nostra discussione sul poema di Majorino [Viaggio nella presenza del tempo, 2008] non mi sento di rinviarla. Anche perché vedo vanificati i miei appelli (donchisciotteschi?) alla critica dialogante e preferita la “critica litigante” addirittura inter nos. Mi chiedo come mai.
Non credo di aver sbagliato a proporre la lettura di testi di autori noti (Majorino, Neri, ecc.) e, se possibile, degli incontro con loro. Né per aver dato spazio alle posizioni dissenzienti. Ma non mi aspettavo che un’introduzione come quella di Luisa Colnaghi – informativa, simpatetica ma senza stravedere, aperta, esplorativa, “di assaggio” per così dire – o il successivo incontro con Majorino alla Libreria EquiLibri - non risolutivo, ma che di sicuro ha aggiunto elementi in più per intendere il senso della sua ricerca poetica, potessero essere così sottovalutati.
Bisogna concludere che il Laboratorio non dovrebbe misurarsi con un autore noto, pubblicato da un grande editore? O che in esso il discorso critico può essere soltanto liquidatorio?
Acerba è l’uva o è la volpe che non sa saltare?
Lascio aperti i problemi e vi auguro buone feste.

Ennio



E-mail a....su gerghi, comunicabilità e mass media


Caro .....,

replico ancora, anche se ho meno speranze che il dialogo non risulti alla fine tra sordi anche se "amici". Davvero non riesco a capirti quando ti chiedi: "debbo io sforzarmi di capire uno che parla un suo gergo che io non conosco e che non ho voglia di conoscere, perché è comunque un linguaggio che esclude la maggioranza della società in cui vivo".
E perché non dovresti fare questo sforzo? Più la società si frammenta, più aumentano i gerghi che dovremmo almeno un po' imparare. Quale sarebbe oggi il linguaggio universale parlato dalla "maggioranza della società"? Quello dei mass media? Quello del "popolo"?
Il primo è, concorderai, manipolato e permette di comunicare solo i valori consentiti dal mercato (non certo quelli del comunismo). Il secondo non esiste più: ambiguo come già era, è stato ora sostituito da quello della "gente". Che rientra di fatto più sotto il dominio dei mass media che dei partiti tradizionali (o meglio: dei partiti che dispongono più di altri dell'uso dei mass media). Ma io ti farei un'altra domanda, più personale: tu chi hai voglia di "conoscere"? C'è almeno qualche "gergo" che ti sforzeresti di conoscere, perché ci tieni a entrare in contatto con quelli che lo parlano? 
Torniamo un attimo alla nostra discussione: tra questi "gerghi" abbiamo oggi quello della tradizione classico-umanistica e quello dello "sperimentalismo-avanguardismo" (parlo all'ingrosso). Tu puoi preferire il primo per vari motivi. Ma fra i motivi non può esserci quello a te così caro (e che tendi ad assolutizzare, secondo me) della "comunicabilità". Nessuno dei due può oggi presentarsi come più "universale" dell'altro, se si analizzassimo le cose fino in fondo.

Ma c’è un problema più di fondo. Non mi pare che l'esclusione dalla cultura più alta (umanistica o scientifica) della maggioranza della società sia dovuta più di tanto alle scelte linguistiche dei letterati o degli specialisti dei vari campi del sapere. Semmai, come accade anche per l'uso delle tecnologie, l'esclusione della maggioranza dai linguaggi più elaborati non fa che registrrea assetti di potere consolidatisi anche su altri piani (economici, politici, ecc.). 
La limitata circolazione danneggia, dunque, sia la comunicazione dei “classici” che degli “sperimentali-avanguardisti”. Ed è quella che oggi opera attraverso i mass media a neutralizzare o paralizzare entrambe queste tradizioni. Possiamo anche riprendere la vecchia polemica degli anni Sessanta tra Fortini e Sanguineti ma, secondo me, permetterebbe di capire ben poco di quello che ha fatto Majorino col suo poema, che si muove  tra tutte e due le tradizioni e non definirei ”neoavanguardista”. La situazione è del tutto mutata e la lotta tra i due schieramenti di allora, che volevano egemonizzare la cultura di sinistra,  è stata sopravanzata non solo dallo sviluppo onnivoro dei mass media ma anche dallo società dello spettacolo e dal "caos multimediale" di Internet. 
Passare a qualcuno le "nostre verità", che rischiano di rimanere del tutto sterili, cosa significa oggi in questo contesto? Questo è il problema con cui misurarsi.

Ennio












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