di Ennio
Abate
1987
31
ottobre 1987
1988
8
gennaio 1988
2
maggio 1988
1989
Inizio
analisi con Pietro Andujar e prime poesie “oniriche”. [2]
1990
18 maggio 1990
Su Salernitudine/Immigratorio/ Samizdat
1. Tensione. Frammentarietà (relativa) delle poeterie e tendenza alla storia del narratorio. Atemporalità delle poeterie e storicità del narratorio. Ma c’è contaminazione.
2. Ogni sezione ha una specificità simbolico-psichica. Ma tra loro ci sono intrecci. Vorrei che lo stupore ignaro (mitico e astorico) del bambino in Salernitudine passasse nella tensione esistenziale del giovane di Immigratorio e si facesse speranza nell’adulto di Samizdat. Ma la mente che si posa e lavora in ogni sezione dovrebbe non affondare in nessuna di esse, ma tenerle assieme e fare la spola tra l’una e l’altra.
3. Il mito in Salernitudine non vale meno o più del dramma esistenziale di Immigratorio o di quello storico di Samizdat. Ciascuna sezione ha un suo tempo, che non è lineare e non indica un passaggio a uno stadio superiore. Mi sostengo su Ernst Bloch: multidirezionalità del tempo, perciò contemporaneità e compresenza dei tre momenti.
4. Finora ho scritto: i frammenti del ‘62-’64; le poeterie fra ’77 e ’85; questa bozza di Salernitudine/Immigratorio/Samizdat del 1988. Adesso tento di ricomporre in unità i vari livelli della mia ricerca: esistenziali (infanzia, giovinezza, età adulta), storici (l’arco di tempo che va dal dopoguerra ad oggi), simbolici (l’eden infantile angoscioso-stupefatto di salernitudine; le peripezie dello stacco esplorativo-ribellistico di immigratorio; l’inferno della lotta di classe di samizdat).
5. Scambio di lettere con Roberto Bugliani
Cologno
Monzese 30 marzo 1990
su sollecitazione del mio amico Umberto Lacatena, meglio di me introdotto nei meandri delle patrie lettere, le invio la mia raccolta di “poeterie-narratorio”.
La stesura attuale avrà bisogno di ulteriori aggiustamenti, anche in seguito alle critiche che vado sollecitando. A suo tempo, in abiti ancora più approssimativi, l'ebbe fra le mani Romano Luperini. Mi hanno fatto le loro osservazioni anche Franco Fortini e Giancarlo Majorino. Mi attendo ora le sue.
La ringrazio anticipatamente e seguo il suo lavoro a distanza attraverso la lettura di “Allegoria” cui sono abbonato.
Cordiali saluti
La
Spezia 9/4
Caro Abate,
le scrivo dopo aver letto il
suo “poeterie-narratorio” esponendole così a caldo alcune mie
considerazioni. Devo dire che sono stato e sono piuttosto perplesso
dinanzi alla mescolanza di piani e di livelli dei suoi testi dove
campeggia una scrittura debitrice nel contesto al racconto, alla
poesia, al dialetto e al teatro. Ora, questa imbricatura di piani,
per dir così, per alcuni aspetti interessante (perlomeno per me,
mettendo in conto certe mie predilezioni), dall'altro non sa reggere
o tenere la misura che dopo tutto (e oltre tutto) si
vuole unitaria del libro, della raccolta, del
volume. Nella sua raccolta convivono gomito a gomito più moduli
stilistici, e questo vada, ma è la loro mancata correlazione a
stonare. Prima parlavo di mescolanza di piani e di livelli, nel senso
di scritture mescolate nelle pagine, ma in sé separate e per di così
bloccate. In altri termini, non è la sperimentazione che è qui
“sotto accusa” ma i suoi esiti che determinano il suo libro.
Prese
invece a sé le sezioni, posso dire che perplesso sono per i testi
poetici di “Salernitudine”, mentre mi convincono le poesie di
“Samizdat” e di “Immigratorio”. Molto belle le ultime, da p.
63 in poi. Insomma: mi sembra una raccolta che prende corpo
definitivo e assume un certo spessore verso la fine. Non mi
convincono invece “Le gioie dell'educazione cattolica” (peraltro
con un'aura molto pasoliniana …). Ma questi sono miei gusti
personali, che tuttavia vanno messi in conto. Quel che poi mi
disturba qui e là, a livello di modulo espressivo, è un certo stile
volutamente “anticato”, come si dice dei mobili, con tutte le
figure di inversione sintattica e di giri e rigiri che si portano
dietro.
Comunque, per tornare brevemente alla pluralità di
moduli stilistici e di scritture, posso dire ancora che mi sembra
essere nell'aria questa “scommessa” di mettere assieme
giustapponendole pagina dopo pagina, poesia e “prosa”: ho potuto
ultimamente notare che varie raccolte di amici hanno preso questa
direzione.
Cordiali saluti
Cologno
Monzese 18. 5. 90
Caro Bugliani,
le sono grato per le
misurate osservazioni sulla mia raccolta. Le condivido nella sostanza
e non esito a dichiarare che lei ha un po’ messo, come suol dirsi,
il dito nella piaga. Quelli dell'unità e
della misura della raccolta sono in effetti i miei
crucci ed io ci tengo a dare una soluzione a questi problemi
irrisolti andando il più a fondo possibile, senza spostarmi
opportunisticamente verso poetiche del “frammento” che potrebbero
giustificare l'attuale stadio del mio lavoro.
Potrei anche
separare le varie sezioni, magari le più riuscite, e tentare di
pubblicarle in modo autonomo, ma sarebbe la rinuncia ad un progetto
che non mi va di abbandonare. Ho teso finora, infatti, al massimo di
unità dinamica. L'ho cercata nel corso di anni in una tripartizione
(sal/immig/ samizdat), che voleva essere temporale, esistenziale e
simbolica, quasi una specie di “Commedia” invertita (salernitudine: “paradiso” infantile stupefatto e tremebondo;
immigratorio: peripezie esistenziali e purgatoriali fra nostalgie, rimorsi e scatti esplorativi e di riscatto; samizdat: riconoscimento
dell'”inferno” del conflitto storico collettivo).
Devo ammettere,
però, che questa struttura relativamente unitaria, non è
misurata: eccede persino una misura “sperimentale”, figuriamoci
quelle “classiche”, che ancora vagamente mi affascinano. Sarà
per la varietà dei codici linguistici adottati - (ma pensi che,
avendo io una buona mano di disegnatore, nella prima bozza avevo
incluso anche delle sezioni grafiche, parallele a quelle poetiche e
narrative!). Sarà per la loro mancata correlazione, come lei mi fa
notare. Sarà anche che il magma delle poeterie e del narratorio è
troppo eterogeneo, spesso prodotto a distanza di molti anni e forse
non rielaborato a sufficienza.
Ci lavorerò, ancora sperando di
trovare il tempo necessario.
Voglio semplificare l'architettura
generale, assemblare e magari intrecciare più strettamente poeterie
e narratorio di ogni sezione attorno al loro nucleo psichico centrale: lo
stupore-paura infantile; il ribellismo scanzonato e impacciato; la
rielaborazione nella memoria del lutto esistenziale-politico. Quando
avrò portato avanti questo lavoro, spero di poter contare ancora
sulle sue osservazioni critiche.
Ho sentito telefonicamente
Umberto Lacatena e spero di poterla conoscere di persona in qualche
buona occasione. Mi scuso del ritardo con cui le ho
risposto.
Cordiali saluti
Note
[1] «Laboratorio
Samizdat», sottotitolo “Materiali di lavoro per intellettuali
periferici”, è stata una rivista redatta a Cologno Monzese
dal 1986 al 1990. Oltre al numero zero di prova, uscirono 8 numeri.
La rivista era fotocopiata e diffusa a mano. In redazione: Ennio
Abate, Roberto Fabbri, Erica Golo, Eugenio Grandinetti, Roberto
Grossi, Marcello Guerra, Roberto Mapelli e Donatella Zazzi.
[2] Poi in psicoscrittoio (inedito)

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