di Ennio Abate
1982
1 gennaio 1982
Sulle
poeterie
(poesie
‘62-’64) ho condotto in vari tempi le seguenti operazioni:
- commenti
(agosto 1975);
- racconti
sui miei tentativi di scrivere poesie;
- restauri;
- sviluppi;
- tentativi
di critica e autocritica.
Tali
operazioni non sono mai arrivate definitivamente in porto. Ma le ho
tentate con una certa tenacia per vari anni. Ho perseguito questi
scopi:
- non
dimenticare il passato in cui mi ero formato;
- dare
importanza
alla mia pratica poetica solitaria;
- utilizzare
i frammenti per indagare la mia esperienza.
febbraio 1982
1.
Perché
il mio poetare ha avuto bisogno di tanta clandestinità? (O
mortificazione?).
Desiderio
di stare
al riparo? Da
cosa o chi? L’ho
sentito come una malattia che volevo curarmi da solo?
2.
Prima
del ’68 consideravo
poesia
i testi che
avevo scritto nei
primi anni ’60. Poi
tutto si è complicato. Quei
primi
testi,
che
pur ho
conservato
mi apparivano ora come detriti. Solo
intorno
al ‘77-78, esauritasi
la mia militanza in Avanguardia Operaia
ho ripreso letture di poesia e di critica della poesia del ‘900 e
ricominciato a scriverne.
Ma
erano
vere
poesie? Nel
dubbio ho continuato. Mi
venivano di tanto in tanto mentre
scrivevo (quasi ogni giorno allora) i miei appunti di diario.
In
modo
incontrollato, senza rileggerli
per tanti anni. Erano
appunti,
quasi-poesie, poeterie (che
può stare per: vanterie, peripezie, porcherie, fesserie).
Che
ogni tanto
separavo dal
flusso
del
diario, ma sempre riptendomi che
erano approssimazioni, esercizi, fondamenta per un
probabile
e
più maturo poetare, che sarebbe stato
possibile solo quando
mi fossi deciso allo
studio dei
poeti veri.
Le mie poeterie si alimentano soprattutto del “vissuto” degli anni passati e di questi anni: ricordi salernitani, fatti e sentimenti provati nel trasferimento a Milano, memoria colpevole, rapporti con gli altri, crisi politica. Mano mano si sono aggiunti sentimenti e riflessioni sulle letture che avevo ripreso a fare.
3.
Rileggendo
le mie osservazioni
sulle poeterie
del
1977-78.
Prevale un linguaggio mimetico (parlato) che rischia la logorrea, l’aggettivazione eccessiva, l’espressionismo. Un legame quasi da ipnotizzato con il linguaggio dei mass media e della quotidianità sociale immediata. La tendenza a interloquire, polemizzare, parodiare, fare il verso al linguaggio corrente. Abbondanza di verbi. Tentativi di rendere visivo un mondo in cui so di essere assente, non previsto, mai in primo piano o riconosciuto.
Negli appunti di diario di questi due anni prevale un bisogno di abbozzare discorsi da fare in situazioni concrete, per il giorno dopo. Oppure una esigenza di sfogarmi parodiando la vuotezza dei discorsi che sento nei luoghi pubblici che frequento (scuola, Cologno). C’è un’ eccessiva fiducia nel parlato (eco del verbalismo tipico degli ambienti scolastici e politici). Problema: in poesia questo linguaggio mimetico ha ancora un senso? Lo squallore della periferia non lo rendo modellando il linguaggio poetico sul parlato delle situazioni “squallide”.
4.
Fasi
della mia ricerca. Finora ne individuo cinque:
-
impressionistica (‘60-’64): suggestioni da Pavese per alcuni
temi (campagna-città; amori non corrisposti), composizioni brevi,
quasi quadretti;
- surrealista (‘64-’67): suggestioni da
Lorca, Eluard, Apollinaire, Cendras. Interesse per la psicanalisi.
Tema: la memoria della città (Salerno)
abbandonata. Composizioni più lunghe, spesso ottenute per
assemblaggio di frammenti. Cominciano tentativi più narrativi o
dialoganti, quasi teatrali. (Suggestioni dell’antologia dei
Novissimi,
letta attorno al ’67?);
-
politico-civile (‘75-’77). Dopo la lunga interruzione per
partecipare alle attività di Avanguardia Operaia. Suggestioni
(tardive) da Brecht. Composizioni più lunghe. Tono riflessivo o
dialogante;
-
diaristica (‘77-’79). Quasi di allenamento, di prove. Suggestioni
da Majorino, Fortini. Composizioni più varie (con amalgama delle
precedenti fasi);
- sperimentale (‘80-’82). Suggestioni
forti da Zanzotto.
5.
Punteggiatura.
Un problema di forma. Implicazioni
che mi sfuggono. Perché tante perplessità sugli a
capo?
[non vieni a capo!] Perché oscillo fra un’interpunzione classica
ed una a
barre?
[In Samizdat
colognom ho
ridotto le virgole interne
al verso
(pause brevi) e
usato gli
a
capo, che
sottintendono o sostituiscono la virgola].
agosto
1982
1.
Analisi
per percorsi.
1-
sessualità.
Era la mia chiave prevalente d’interpretazione dei
miei versi
già durante la prima stesura delle poesie ‘62-’64. Forte
la
suggestione
della psicanalisi freudiana (orecchiata).
Altre
spinte - più
libere, meno condizionate dalla
teoria - mi
vennero dalla lettura di alcune pagine di Rabelais. Mi
ispirarono il testo su Babbasciò.
Più
tardi, da Zanzotto. [Il
legame con Zanzotto, con
cui non ho mai avuto rapporti,
è stato più libero, più distanziato, meno vincolante di quello
con Fortini]
La
tensione esplorativa legata alla sessualità è più impacciata
nella
rievocazione dei
ricordi di Salerno
rispetto a quelli di Barunisse,
dove l’”animalesco” ha un suo rilievo [Comm’a
n’animaluccie].
Nella
salernitudine
appare la
morte (suicidio
Mario), lo sporco
e la miseria
(vicoli, prostituzione),
l’immaginazione
nevrotica e
frustrata (Venere
paesana, Cap’e ciell),
l’ossessione paranoica del giudizio altrui (Le
gioie dell’educazione cattolica [poi
La
ragazza dei preti]
-
sessualità/bestiario.
Il
simbolo (animali)
potrebbe avere
sia un
contenuto sessuale - individuale e storico - ma anche un contenuto
collettivo-storico. Qui dispongo solo di rapide suggestioni tratte
da alcune letture (e iconografie) medioevali. Forza di queste
immagini. Il riscontro è anche nei miei disegni. (Cfr. per
approfondimenti il rapporto uomo-animale in Enc. Einaudi).
2.
sociale/storico
Prevale
nei miei
autocommenti
a partire dai primi tentativi (dal 1974 in poi).
L’interpretazione
si politicizza (a volte anche moralisticamente). Alla base:
esperienza di militanza in Avanguardia
Operaia
e studi storici universitari.
Tendo ad una censura o a un’autodisciplina dei motivi più
infantili-sessuali-erotici.
3.
linguistico e metrico
Oscillazioni
fra verso lungo e breve (o verso e non-verso), nella composizione
aggettivo-nome, nell’uso
di
neologismi, nella locuzione ipersintetica, nel contrasto fra
linguaggio colloquiale (emotivo) e linguaggio astratto e meditato,
sul peso da dare al rapporto significante/significato.
Poche letture di linguistica e l’eco degli scritti di Jakobson e dei formalisti russi.
dicembre 1982
1.
Lasciare
stare queste poesie-frammenti o tentare di dar loro degli sviluppi?
Nel primo caso, non le tocco più. Al massimo ne faccio una cernita e
dico: queste sono le “migliori”. Nel secondo caso, dovrei
pensare ad
una
loro rielaborazione
che si
leghi all’attualità
che vivo, agli strumenti di cui ora dispongo. Delineando i Percorsi
per temi ho imboccato questa seconda via.
2.
Insoddisfazione
per i tentativi di sviluppare le poesie ‘62-’64. Non viene fuori
tutto il contenuto del ricordo fissato nel frammento, che credevo
recuperabile. La mascheratura (letteraria) delle persone reali
d’allora la vivo come una perdita.
3.
Analisi
per temi: il dramma della sessualità. Quando riesco a usare senza
remore quel po’ di psicanalisi che ho afferrato diventa dubbia (se
non inconsistente) l’immagine di me come ribelle fin da giovane,
anticattolico e teso a buttarsi nel sociale.
Ribellione ci fu, ma se sfociò in impegno politico-sociale, accadde
solo a cavallo del ’68 e ormai lontano da Salerno. Anzi si delineò
con nettezza solo dopo il matrimonio con R. Prima quella ribellione
era soprattutto tormento per la mia povertà di affetti e di sesso.
4.
Insistere
con gli autocommenti.
In esse le conoscenze psicanalitiche, storiche, ecc. potranno
emergere in maniera più sciolta. Evitare la presunzione di uno
sguardo specialistico che non ho. Gli autocommenti
non devono pretendere di essere critica.
Possono svilupparsi anche
in
narratorio.
* Tabea Nineo, Uccello e uovo, 1978

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