giovedì 6 novembre 2025

RIFLESSIONI IN FORMA DI DIARIO SULLE MIE "POETERIE" (1982)

 



 Poesia e Moltinpoesia. Un percorso, un bilancio (4)

di Ennio Abate

1982

1 gennaio 1982

Sulle poeterie (poesie ‘62-’64) ho condotto in vari tempi le seguenti operazioni:
-  commenti (agosto 1975);
- racconti sui miei tentativi di scrivere poesie;
- restauri;
- sviluppi;
- tentativi di critica e autocritica.
Tali operazioni non sono mai arrivate definitivamente in porto. Ma le ho tentate con una certa tenacia per vari anni. Ho perseguito questi scopi:
- non dimenticare il passato in cui mi ero formato;
- dare importanza alla mia pratica poetica solitaria;
- utilizzare i frammenti per indagare la mia esperienza.

febbraio 1982

1.
Perché il mio poetare ha avuto bisogno di tanta clandestinità? (O mortificazione?). Desiderio di stare al riparo? Da cosa o chi? L’ho sentito come una malattia che volevo curarmi da solo?

2.
Prima del ’68 consideravo poesia i testi che avevo scritto nei primi anni ’60. Poi tutto si è complicato. Quei primi testi, che pur ho conservato mi apparivano ora come detriti. Solo intorno al ‘77-78, esauritasi la mia militanza in Avanguardia Operaia ho ripreso letture di poesia e di critica della poesia del ‘900 e ricominciato a scriverne. Ma erano vere poesie? Nel dubbio ho continuato. Mi venivano di tanto in tanto mentre scrivevo (quasi ogni giorno allora) i miei appunti di diario. In modo incontrollato, senza rileggerli per tanti anni. Erano appunti, quasi-poesie, poeterie (che può stare per: vanterie, peripezie, porcherie, fesserie). Che ogni tanto separavo dal flusso del diario, ma sempre riptendomi che erano approssimazioni, esercizi, fondamenta per un probabile e più maturo poetare, che sarebbe stato possibile solo quando mi fossi deciso allo studio dei poeti veri.

Le mie poeterie si alimentano soprattutto del “vissuto” degli anni passati e di questi anni: ricordi salernitani, fatti e sentimenti provati nel trasferimento a Milano, memoria colpevole, rapporti con gli altri, crisi politica. Mano mano si sono aggiunti sentimenti e riflessioni sulle letture che avevo ripreso a fare.


3.
Rileggendo le mie osservazioni sulle poeterie del 1977-78.

Prevale un linguaggio mimetico (parlato) che rischia la logorrea, l’aggettivazione eccessiva, l’espressionismo. Un legame quasi da ipnotizzato con il linguaggio dei mass media e della quotidianità sociale immediata. La tendenza a interloquire, polemizzare, parodiare, fare il verso al linguaggio corrente. Abbondanza di verbi. Tentativi di rendere visivo un mondo in cui so di essere assente, non previsto, mai in primo piano o riconosciuto.

Negli appunti di diario di questi due anni prevale un bisogno di abbozzare discorsi da fare in situazioni concrete, per il giorno dopo. Oppure una esigenza di sfogarmi parodiando la vuotezza dei discorsi che sento nei luoghi pubblici che frequento (scuola, Cologno). C’è un’ eccessiva fiducia nel parlato (eco del verbalismo tipico degli ambienti scolastici e politici). Problema: in poesia questo linguaggio mimetico ha ancora un senso? Lo squallore della periferia non lo rendo modellando il linguaggio poetico sul parlato delle situazioni “squallide”.

4.
Fasi della mia ricerca. Finora ne individuo cinque:

- impressionistica (‘60-’64): suggestioni da Pavese per alcuni temi (campagna-città; amori non corrisposti), composizioni brevi, quasi quadretti;

- surrealista (‘64-’67): suggestioni da Lorca, Eluard, Apollinaire, Cendras. Interesse per la psicanalisi. Tema: la memoria della città
(Salerno) abbandonata. Composizioni più lunghe, spesso ottenute per assemblaggio di frammenti. Cominciano tentativi più narrativi o dialoganti, quasi teatrali. (Suggestioni dell’antologia dei Novissimi, letta attorno al ’67?);

- politico-civile (‘75-’77). Dopo la lunga interruzione per partecipare alle attività di Avanguardia Operaia. Suggestioni (tardive) da Brecht. Composizioni più lunghe. Tono riflessivo o dialogante;

- diaristica (‘77-’79). Quasi di allenamento, di prove. Suggestioni da Majorino, Fortini. Composizioni più varie (con amalgama delle precedenti fasi);

- sperimentale (‘80-’82). Suggestioni forti da Zanzotto.

5
.
Punteggiatura. Un problema di forma. Implicazioni che mi sfuggono. Perché tante perplessità sugli a capo? [non vieni a capo!] Perché oscillo fra un’interpunzione classica ed una a barre? [In Samizdat colognom ho ridotto le virgole interne al verso (pause brevi) e usato gli a capo, che sottintendono o sostituiscono la virgola].


agosto 1982

1.
Analisi per percorsi.

1
- sessualità. Era la mia chiave prevalente d’interpretazione dei miei versi già durante la prima stesura delle poesie ‘62-’64. Forte la suggestione della psicanalisi freudiana (orecchiata).

Altre spinte -
più libere, meno condizionate dalla teoria - mi vennero dalla lettura di alcune pagine di Rabelais. Mi ispirarono il testo su Babbasciò. Più tardi, da Zanzotto. [Il legame con Zanzotto, con cui non ho mai avuto rapporti, è stato più libero, più distanziato, meno vincolante di quello con Fortini]

La tensione esplorativa legata alla sessualità è più
impacciata nella rievocazione dei ricordi di Salerno rispetto a quelli di Barunisse, dove l’”animalesco” ha un suo rilievo [Comm’a n’animaluccie].

Nella salernitudine appare la morte (suicidio Mario), lo sporco e la miseria (vicoli, prostituzione), l’immaginazione nevrotica e frustrata (Venere paesana, Cap’e ciell), l’ossessione paranoica del giudizio altrui (Le gioie dell’educazione cattolica [poi La ragazza dei preti]

-
sessualità/bestiario. Il simbolo (animali) potrebbe avere sia un contenuto sessuale - individuale e storico - ma anche un contenuto collettivo-storico. Qui dispongo solo di rapide suggestioni tratte da alcune letture (e iconografie) medioevali. Forza di queste immagini. Il riscontro è anche nei miei disegni. (Cfr. per approfondimenti il rapporto uomo-animale in Enc. Einaudi).

2.
sociale/storico
Prevale nei miei autocommenti a partire dai primi tentativi (dal 1974 in poi). L’interpretazione si politicizza (a volte anche moralisticamente). Alla base: esperienza di militanza in Avanguardia Operaia e studi storici universitari. Tendo ad una censura o a un’autodisciplina dei motivi più infantili-sessuali-erotici.

3. linguistico e metrico
Oscillazioni fra verso lungo e breve (o verso e non-verso), nella composizione aggettivo-nome, nell’uso di neologismi, nella locuzione ipersintetica, nel contrasto fra linguaggio colloquiale (emotivo) e linguaggio astratto e meditato, sul peso da dare al rapporto significante/significato.

Poche letture di linguistica e l’eco degli scritti di Jakobson e dei formalisti russi.


dicembre 1982

1.
Lasciare stare queste poesie-frammenti o tentare di dar loro degli sviluppi? Nel primo caso, non le tocco più. Al massimo ne faccio una cernita e dico: queste sono le “migliori”. Nel secondo caso, dovrei pensare ad una loro rielaborazione che si leghi all’attualità che vivo, agli strumenti di cui ora dispongo. Delineando i Percorsi per temi ho imboccato questa seconda via.

2.
Insoddisfazione per i tentativi di sviluppare le poesie ‘62-’64. Non viene fuori tutto il contenuto del ricordo fissato nel frammento, che credevo recuperabile. La mascheratura (letteraria) delle persone reali d’allora la vivo come una perdita.

3.
Analisi per temi: il dramma della sessualità. Quando riesco a usare senza remore quel po’ di psicanalisi che ho afferrato diventa dubbia (se non inconsistente) l’immagine di me come ribelle fin da giovane, anticattolico e teso a buttarsi nel sociale. Ribellione ci fu, ma se sfociò in impegno politico-sociale, accadde solo a cavallo del ’68 e ormai lontano da Salerno. Anzi si delineò con nettezza solo dopo il matrimonio con R. Prima quella ribellione era soprattutto tormento per la mia povertà di affetti e di sesso.

4
Insistere con gli autocommenti. In esse le conoscenze psicanalitiche, storiche, ecc. potranno emergere in maniera più sciolta. Evitare la presunzione di uno sguardo specialistico che non ho. Gli autocommenti non devono pretendere di essere critica. Possono svilupparsi anche in narratorio.


* Tabea Nineo, Uccello e uovo, 1978

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