Marilena De Angelis, Sacro e profano
Tanti i dubbi (spero fecondi) leggendo i vari commenti. Li sistemo per punti schematici e li ripropongo magari in tutta la loro immediatezza e probabile rozzezza,
ragionandoci a modo mio, senza troppe stampelle teoriche, con l'intento di rilanciare la discussione e trovare anche qualcuno/a che mi aiuti a dipanarli:
1. Il sacro sarebbe «ciò che non muta»? Ma c’è davvero qualcosa
(sacro o meno) che non muta? C’è qualcuno/a che l’ha raggiunto ed ha accertato
(intellettualmente) o sentito (emotivamente) questa sua immutabilità? E come si
fa a dichiarare immutabile qualcosa se non si ha la possibilità di conoscerla o
sentirla? Qualcosa, cioè, d’ignoto, di cui - si dice (dice Mayoor, ad es.) - si
sente «l’influsso… notevole… come quando vai al mare e lo senti ben prima di
arrivare». Al mare ci arrivo e posso accertarmi in qualche modo che ho sotto
gli occhi proprio mare. Il sacro, invece? Chi mi assicura che il qualcosa a
cui mi avvicino o che vedo/sento sia proprio il sacro?