venerdì 28 giugno 2024

I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (2)

 


di Ennio Abate

Provate anche voi a leggere di seguito questa recensione (qui), apparsa sulla pagina FB de L'irregolare. Voci, poesie, insubordinazioni, il mio commento e la recensione scritta oggi da Pierluigi Sullo a "Verranno di notte" di Paolo Rumiz (qui) e ditemi se non c'è da preoccuparsi dello stato di crisi della poesia e del sonnambulismo politico in cui viviamo. Pubblico, per comodità del lettore, i tre pezzi citati:

giovedì 27 giugno 2024

L’intelletto delle erbe


 Prove per un approccio ecocritico ai versi di Fortini: Una obbedienza

di

MARCELLA CORSI


Per leggere l'articolo clicca QUI



domenica 23 giugno 2024

I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (1)

 



di Ennio Abate

Tirando le somme (amare) dalla rilettura di due mie poesie del 2004/2007 (1). 

e le grida nelle nostre piazze?
cessarono

e gli spari?
si smorzarono

e le speranze?
pure

ora impuniti tramortiscono
giovani donne operai immigrati braccianti

e
altrove?
torturano  e ammazzano
sempre lasciando viva una vittima
che piangendo narri

dall’opulento schermo occidentale?
no, lì si raccontano le serpi
più belle sorridenti e orride

dunque?
bestiole offese vite inermi barcollanti speranze
voi, non vi ascolteranno
secca è la rosa rossa nel bicchiere

Possiamo solo morire?
....



23 giugno 2004

domenica 16 giugno 2024

Il falso vecchio dentro il rumore di fondo

 


Riordinadiario NEI DINTORNI DI F.F. 1996

di Ennio Abate

Questo articolo fu pubblicato su ALLEGORIA n. 20-21, Anno VIII, NUOVA SERIE, 1996, nella rubrica "La ricezione". Il suo sottotitolo, "Rileggendo i necrologi in morte di Franco Fortini", chiariva bene il suo contenuto. La pagina 276, che qui ho copiato, riassume la critica che ha guidato da allora la mia riflessione su Fortini: "la maggior parte della cultura di sinistra italiana [che nel 1996 ancora c'era] non può più onorare Fortini assieme al suo comunismo. Perché se ne era già da tempo disfatta (di quel comunismo e di Fortini)". 

 

sabato 15 giugno 2024

Su "Le poesie italiane di questi anni" (1959), in "Nuovi saggi italiani" di Franco Fortini

 


                                        Appunti 
Riordinadiario moltinpoesia 2002



di Ennio Abate

1.

Alla poesia italiana la storia è ignota, non si assume il proprio stato storico (96) |

[La storia è storia dell’anima, cioè non-storia (105). Vari esempi: Saba: «Il tempo entro cui si dispongono le esperienze… è cronologico-biografico, con i suoi riferimenti a casi familiari e sentimentali, nel senso di un romanzesco privato o microsociale, mentre gli eventi sovraindividuali – prima guerra mondiale o guerra del «fascista abbietto» e del «tedesco lurco» - restano sullo sfondo (106)
Ungaretti: in lui il tempo è categoria metastorica, neppure psicologica (106).
Montale: il tempo si cerca… in prossimità della «crisi» esistenziale… i riferimenti agli eventi sociali e civili s’infittiscono, ma si tratta di un mondo «disertato da esseri umani e attraversato solo da messaggi cifrati, da angeli travestiti da demoni… e da lemuri animali, la riduzione degli eventi umani a quelli naturali e della guerra a «bufera» è continua e spontanea (106)
Mentre nella poesia recente (fine anni ’50, quindi siamo alla
poesia critica di Majorino) «passato, presente e futuro tendono invece a riferirsi a eventi collettivi, su quelli si ordina la biografia.
Il passato è l’infanzia e la giovinezza ma anche e più spesso il tempo del fascismo…
questo inserimento delle biografie in un complesso di eventi ha voluto dire anche inserire il proprio passato e il proprio futuro nel passato o nel futuro di un popolo, o classe o genere umano (107) ]

mercoledì 12 giugno 2024

Su comunicazione (in poesia) a pochi/molti

 




RIORDINADIARIO 2011/ LABORATORIO MOLTINPOESIA DI MILANO

24 gennaio 2011

Ennio Abate a Lucio Mayoor Tosi e a Eugenio Grandinetti 


Se sto su una spiaggia affollata da molti bagnanti e vedo una persona che sta per affogare, mi rivolgo ai pochi a me vicini, che mi possono sentire e darmi una mano. Non alla folla lontana e distratta, alla quale le mie grida non arrivano o giungeranno incomprensibili. Per questa scelta qualcuno mi potrebbe mai accusare di aver voluto rivolgermi a pochi con l’intento di «creare nuove élites»?

martedì 4 giugno 2024

Rifacimento di una poesia di “Immigratorio” (2011)


di Ennio Abate


Ué, Salierne, ire china e zitelle 

cu l’uocchie triste. Cummannata 

ra prievete e avvocatuzze smuorte.

T’assaggiaie. ‘Na cirasa acre ire.


Po sì maturate. E sò maturate 

e figliole ca, qunn’ere giovane

e me ne jette, nun permesse 

accuvate, luntane  viriette. 

 

Mò, si e sere so cumm’allore 

e pe vie toie nu poche chiove 

ancore, a piaghe nun se sana 

chiù e ma porte appriesse.

 

Nun chiù presepie,  munne sì. 

Cumm’ati munni  scumbinate.

E a lengua - mia e toia - accussì 

antiche? E' raggia. O è niente.


4 giugno 2024


Ué, Salerno, eri piena di zitelle / dagli occhi tristi. Comandata/
da preti e avvocatucci pallidi. / Ti assaggiai. Una ciliegia acre eri. //
Poi sei maturata. E sono maturate / le ragazze che, quand’ero giovane e me ne andai,/ vidi proibite,/ nascoste, da lontano. //
Ora, se le sere sono come una volta e per le tue vie nu poche chiove */
ancora, la piaga non guarisce / e me la porto con me. //
Non più presepio, mondo sei. / Come altri mondi scombinata./
E la lingua – mia e tua – tanto /
antica? E’ ira. O è niente.

* da Salvatore Di Giacomo.


Appendice

Versione pubblicata in “Immigratorio” (CFR 2011)


Uè, Salierne!


Che città cummannate ra prievete

chiene r’avvocatucci pallid’e zitelle 

cu l’uocchie triste 

ca ire! 


T’assaggiaie, ‘na cirasa acre ire. 

Sì maturate. Sò maturate 

e figliole ca viriett’e studentess’e 

ma cose nascoste, punizione

sì state 

e sì rimaste! 


Me ne jette nu juorne 

e mò torne ancore. 

È sere, nu poche chiove 

ma rammelle jà 

chelle ca m’accuvaste

quann’ere guaglione 

e ‘mparave a vulà 

cumm’a n’aucielle.


 Sì, vulave, vulave 

e vulive ì luntane!

Ma e scelle erene debbule 

e te l’aje spezzate partenne

prime ro tiempe. 

A piaghe ca te sì purtat’appriess’e 

nun t’a pozze curà cchiù. 

Tuorne viecchie. E vecchia 

me truove. 

Nun sò chiù presepie 

ma munne cumm’ati munni 

tutta scombinate.

Chelle ca teneve to diette: 

sta lengua antiche

lengua e malincunie

ca parlavene e pariente tuoje

pe rusculià storje e mmuorte

ambresse ambresse

accussì strengevene meglie

a raggia mmiezz’e riente.




____________________________ 

Ué, Salerno! 


Che città comandata da preti/ affollata da pallidi avvocatucci e da zitelle/
dall’occhio triste/ fosti //Ti assaggiai, eri una ciliegia acre./
Sei maturata./ Sono diventate mature/ le fanciulle che vidi studentesse/
ma cosa non svelata, punizione/ sei stata/ e sei rimasta!//
Me ne andai un giorno/ e adesso torno ancora.
È sera, nu poche chiove/ma dammelo (suvvia)/
ciò che mi nascondevi/quand’ero ragazzo/
e imparavo a volare/ come un uccellino. //
Sì, volavi, volavi/ e volevi andare lontano!/
Ma le tue ali erano deboli/ e te le spezzasti partendo/
prima del tempo./ La piaga che ti portasti dietro/
io non posso più curartela./ Torni da vecchio. E invecchiata/
trovi anche me.// Non sono più presepe/
ma mondo come altri mondi/ tutta in disordine./
Quello che avevo te lo diedi:/questa lingua antica/
lingua di malinconia/ quella che parlavano i tuoi parenti/
per rovistare nelle storie dei loro morti/
ansiosamente,così stringevano meglio/
la disperazione tra i denti


venerdì 31 maggio 2024

A morte e papà è venute


di Ennio Abate


Frate do mie, nun siente?

A morte e papà è venute.

L’aucielle se n’è gghiute: fujette ncopp’o chiuppe, fujette all’agunie;

scennette chianu chiane, po cchiù nziste o tempurale tutt’o munne murette ca isse suppurtave.

A povera mamma noste,

muzzecate da pazzia,

chiagne e scappe pa vie,

nnanze e deret’a case,

co cirvielle scummugliate.

Smania dint’a lu liette;

e sule o velene tocche,

ch’a morte ce lasciaje.

Mo o vviente scete e muorte,

menanne int’a cunette

sciure carte e canzone.


(2004)


* Fratello mio, non senti?| La morte di nostro padre è arrivata./ L’uccello se n’è andato:| fuggì sopra il pioppo,| fuggì dalla [sua] agonia;/ scese piano piano,| poi più forte il temporale;| morì tutto il mondo| che egli sopportava./ La nostra povera madre,| morsicata dalla pazzia,| piange e scappa via,| davanti e dietro la casa,| col cervello scoperchiato./ Smania dentro il letto;| e si nutre solo del veleno,| che la morte ci ha lasciato./ Ora il vento risveglia i morti,| trascinando dentro le cunette| fiori, carte e canzoni.

*Disegno del 2016 di Tabea Nineo

martedì 28 maggio 2024

lunedì 27 maggio 2024

Per i molti in poesia (2015)

 

  Vittore Carpaccio, Ciclo di Sant’Orsola, Arrivo degli ambasciatori Inglesi presso il re di Bretagna

di Ennio Abate

Sta’ nell’anonima compagnia dei molti
che in sottoscala, in eremitaggio, in rivistine e siti
scrivono.

Sta’ in basso addosso a un mondo basso.

Vivi con loro: bollette da pagare
lavoretti coatti da sbrigare letture
da pausa mensa e a tarda notte
qualche amore d’assaggiare.

Una qualsiasi vita con corpi qualsiasi.

E però
metrica all’ingrosso
andatura sciancata
scrivi scrivi.

Non smettere.
Non importa dove andrai a parare
e se le parole si dissiperanno
nel Gran Vuoto.

Resta in allerta
nel ventre di questo Niente
dove
- la carne della vita freddata,
la parola congelata -
hanno condotto
– scrisse uno* –
la mente.

Le avevamo baciate quelle carni.
Le avevamo amate quelle parole.
E, però, poi ci siamo chinati su corpi
svegliati e massacrati a botte 
o in altri modi straziati.

Sappiamo ora quale realtà era stata preparata.

Raccogli ora quei cocci di passato.
Liscia le tonde parole dei maestri.
Arràmpicati su pensieri scoscesi.
Fossero di Storia, di Dio, di Nulla.
Fievole e audace porta con te
il talismano dei molti in poesia.

Non temere la tua e la loro follia,
il brusio.

Prima o poi ritroveremo
i Santi Padri di Amelia.**
E questo corpaccio di mondaccio
l’abbracceremo
e diremo
in lingua nuova levigata e saggia.

(20-26 luglio 2015)

* Rielaborazione di «Mi chiamo moltinpoesia», introduzione alla serata del 26 marzo 2009 alla Casa della Poesia di Milano - Palazzina Liberty.


Nota di Riordinadiario 26 maggio 2024

Verso fine luglio (2015) segui su vari siti il dibattito nato da un articolo di Alfonso Berardinelli («Se la collana di poesie Mondadori chiude è perché non ci sono più poeti pubblicabili»). Ne venne, per reazione, questa mia difesa dei moltinpoesia. (Da non confondere con la difesa dei comportamenti furbastri e vanitosi, che non mancano tra i suoi rappresentanti reali). * Mi riferisco ai versi di Franco Fortini: Hanno portato le tempie / al colpo di martello / la vena all' ago / la mente al niente. (Italia 1977 - 1993, in Composita solvantur, Einaudi, Torino, 1994. 
** Amelia è Amelia Rosselli





domenica 19 maggio 2024

Nei dintorni di Franco Fortini (1996-2024)

 

di Ennio Abate

Ho fatto un indice in ordine cronologico (dal 1996 al 2024) di tutti i miei scritti – almeno quelli che sono riuscito a recuperare da una breve ricerca su vari blog da me curati o seguiti – su Franco Fortini e su temi collegabili alla sua opera. Alcuni sono dei saggi ma prevalgono gli interventi o i commenti d’occasione, spesso con repliche a vari interlocutori. L’insieme costituisce l’ossatura di un “quasi libro” cui da decenni penso. Lo pubblico sperando ancora in suggerimenti o osservazioni da parte  di lettori attenti a questi temi. E in qualche improbabile indicazione su un possibile editore interessato a questo mio  solitario studio per “proteggere le nostre verità”.

Per leggere clicca QUI


venerdì 17 maggio 2024

Consigli al giovin scrittor d’oggi (febbraio 1998)

 


 Omaggio camuffato a “Breve secondo Novecento” di Franco Fortini
in “La mosca di Milano” 

di Ennio Abate


1.

Se/ obbligato ai tic e vivaci moine/
per salotti e soirées/ fra ceti medi e alti/
hai corso/
qualcosa di grandioso e abietto/ sullo sfondo/
e in filigrana/
feroci e oscure circostanze
sveli/
la tua cartamoneta scritta/

Piena di leggerezza/ allor/
sarà nel crash delle utilitarie/
la tua danza davanti alla ghigliottina

2.

Or che alle domande capitali /
della religione e della storia/
ha risposto il Capital (rivista!)/
e le Avanguardie/
han fatto flop (o Blob)/
rifugiati in camera da letto/
e goditi la gamba della donna

Ovvio premunirti/ lo puoi/
e teco reca in scorta/ fra sensualità e amarezza/
fazzolettini ricamati della migliore educazione letteraria/
il tuo io stia / insieme egocentrico e decentrato/
comodo/ su un paesaggio di vacuità festiva/
di serenità appena minacciata dalla vecchiaia

3.

Trova dei critici simili a te/
non gemelli/ ma della tua medesima cultura/
Dissipa e moltiplica i punti di vista/
le fratture/ gli antagonismi storico-sociali/
smessi/ abbandonali a quelli/
del Leoncavallo/

Rendi comico/ il Tutto/
di D’Alema il sorrisetto sprezzante/
del Buttiglione il viso allucinato e scimmiesco/
il capital di Berlusconi / così cafone e illuminato poco/
Sii fine insomma/ anche con Fini/
Scrivi solo bene/ per nuova plebe/
un bel collage alla Eco/
alla Calvino un esatto montaggio/
del Nulla

4.

Giammai nelle tue poesie/
la miseria delle latterie/
Ma dovessi entrarci a scaldarti/
da disoccupato/
(cor gentil non scansa/ il suddetto malanno!)/
o per innominabili/ questioni economiche/
nelle periferie languissi/
spargi in crudi romanzi/
pedofili spelacchiati da giardinetti/
adolescenti cannibali in pubblci cessi porno-graffiti/
lolite manipolate su banchi di scuola/
durante l’ora obbligatoria di sesso a iosa/
Più squallide che puoi/ descrivile/
americanizzale/ bronxeggiale per benino/
e avrai/ in centro/ di botto una mansarda

5.

Non scrivere le verità che hai/
nel povero tascapane della tua esperienza/
Ai lettor paganti l’ozio guastan/
e sol dispersi e vaganti/ in estinzione/
critici ancora gustan/
Tu dei saper/ che sol/
procaccia fama/
l’Internet de il piacere della lettura/
Se l’amena rete/
è già intasata/ insisti/
Recati pellegrin/ nei siti del tardo romanzo storico/
o della rinomata/
apologia del comico e dell’ironia
Frequentali/ seduci/ fai ridere/
Dai l’impressione di un livello di cultura/
molto alto/

Ridi, godi o fingi/
e ti comprerà/ il partito di coloro che ridono/
poiché il mondo vuole essere ingannato

Nota

Breve secondo Novecento è un “libricino” postumo di Fortini uscito nel 1996 da Piero Manni con prefazione di Romano Luperini. Non mi risultano commenti o echi di rilievo, dopo l’annuncio della pubblicazione da parte di Attilio Lolini (il manifesto 10 ott. 1996). E forse è meglio così, visto che la prima circolazione era stata pensata solo per amici e conoscenti.
A me sta caro: è una tessera in più del mosaico personale che mi vado costruendo della sua opera, che rappresenta una singolare scuola di avviamento ad una scrittura critica per intellettuali di massa. Specie per quelli d’oggi, rabbuiati e confusi.
Una lettura attenta di Breve secondo Novecento ci mette poi di fronte all’ineludibile conglomerato storico-letterario-politico a cui lo stesso Fortini è appartenuto e che è oggi quasi del tutto ignorato dal dibattito culturale.
Fortini è fra i più letterati del Novecento. Eppure anche in queste brevi ritratti di trentasei moderni – da Arbasino a Calvino, Eco, Luzi, Pasolini, Zanzotto – sfora la Letteratura come un palloncino. Con i suoi spilli critici la libera dai miasmi d’accademia, di cenacoli, di gang, di Radio 3. Senza svenderla né restituirla ai Sacerdoti della Parola o del Mito.
Altri hanno compiuto operazioni in apparenza più radicali. Ma, abbassandola fino alla Trivial-literature o dissacrando il già abbondantemente dissacrato e contribuendo a resuscitare, per reazione, orfismi new age, l’hanno resa indovinello, spettacolino, giochino miniaturizzato, merce insomma al contempo più elitaria e più vendibile, ma umanamente inservibile.
Pagine “letterarie” si trovano su tutti i mass media. Ma il revisionismo letterario è florido quanto quello storico e i cattivi maestri vengono sbeffeggiati, ripesati con la bilancia del buonismo o del cattivismo permesso e liquidati dai loro ex allievi approdati alle cattedre, ai salotti, alla TV.
Nulla, perciò, a gran parte del pubblico ancora leggente dice più il nome di Fortini e tantomeno interessano i problemi teorici, politici e di poetica su cui assieme ad altri spese una vita.
Di recente persino una giovane saggista capace di una polemica non puramente televisiva, come Carla Benedetti, ha preferito parlare di «Pasolini contro Calvino», saltando a più pari la critica fortiniana ad entrambi.
Come il barone di Munchausen si volle tirar fuori dalla palude prendendosi per i capelli, la Benedetti cerca una «via d’uscita dal gioco bloccato della letteratura» scegliendo una delle sue varianti postmoderne: postumasciolta (come un’Alka Seltzer) o ammaliata dal caos esterno (Leggi: mercato).
Come allora ripronunciare nomi di scrittori innominabili e richiamare problemi in apparenza “superati” ad una generazione che cova tranquilla nella bambagia della fine della storia e non sa che farsene degli antenati? o tirar l’orecchio al giovin scrittore senza staccarglielo? e infine invogliarlo a farsi critico, senza sentirsi chiedere quanto costa e a quale scuola di scrittura bisogna rivolgersi?
Mascherandosi da cinico andante. Miscelando Parini e Fortini. Sgambettandolo mentre corre verso il successo preordinato. Ci ho provato. Prosit.