Il giorno due fotografai il campo
che pioveva ed era grigia Dachau
con una Adox Polomat
l’”occhio” degli anni favolosi
nella sua epoca, pensate,
qualche randagio ci abitava ancora
nelle baracche abbandonate
Gli spazzolatori, con una scopa davanti al carrarmato a pulire dalle mine il prato. Oggi nel deserto in cerchio il vento sbatte, maestro sminatore sbatte le stoffe il vento e asciuga la voce, asciuga le mani che restano intere a tenere una stampella. Ecco tutti i tipi di mine, che imparino a stanarle là dove vanno – a campare. La testa china sulla terra acquitrinosa, a cercare una mina nel riso – brillano al tramonto le risaie, la superficie è docile da qui come un lago calmo, come niente fosse. |
Procediamo coi nostri carretti carichi di ferraglia. Grandi ruote di legno scricchiolanti sui cerchi di metallo. Animale fatica, senza vedere dietro la curva. Là c'è la guerra carrettiere Arjuna, e i tuoi alfieri... solo falsi compagni di strada, destinati alla sconfitta e all'irrisione dei nemici? Suonano essi corni e mostruose conchiglie, sembrano malvagi ed invincibili. - Solo contrapposti per gioco - Dice il beato nel suo canto(*). (*) è il Canto del Beato (Baghavad Gita)
Il giorno 22 giugno 1633, dopo essere stato nelle carceri del Santo Uffizio, nella Sala capitolare del convento domenicano adiacente alla Chiesa di Santa Maria sopra Minerva (presso il Pantheon), viene letta in italiano, a un Galileo inginocchiato, la sentenza sottoscritta da sette inquisitori su dieci. Sperando di fare cosa gradita, nell'anniversario di tale evento, propongo qui, al riguardo, un mio testo poetico: |