Il pittore, lo scultore …
c’è anche il poeta che, pur non potendo cambiare il paesaggio, l’andatura delle
persone, delle cose, delle architetture, ha più tempo per osservare, ha
sicuramente qualche minuto in più di un semplice scatto. Il tempo gli permette di speculare sulle
immagini che può rivedere in momenti successivi, anche se non sono mai le
stesse ma è “avvantaggiato” rispetto al fotografo. Può cambiare gli “scatti” delle parole a
tavolino o anche in movimento su un bloc note.
Nella poesia “I vecchi italiani morenti” di Lawrence Ferlinghetti, le
parole diventano immagini fluide, frutto di attente osservazioni: i dettagli
somatici, gli atteggiamenti dei personaggi in azione, addirittura le forme,
l’antropologia delle mani, la foggia degli indumenti, la forma degli orologi –
quasi si sente il suono della campana, l’andatura pesante dei piccioni, sembra
di vederli. La parola che descrive
diventa immagine senza soluzione di continuità tra fotografia e poesia.
“…
ogni giorno a Washington
Square San Francisco
la campana lenta
suona la mattina
nella chiesa di Pietro e
Paolo
…
Li hai visti
quelli che danno da
mangiare ai piccioni
rompendo il pane stantio
con i pollici e i
coltellini
quelli con i vecchi
orologi da tasca
quelli con le mani nodose
e le sopracciglia incolte
quelli con i pantaloni
abbondanti
con la cintura e le
bretelle
i bevitori di grappa con
i denti di grano …
che odoravano di aglio e
peperoncino
quelli che amavano
Mussolini
i vecchi fascisti …
quelli che amavano
Garibaldi
i vecchi anarchici che
leggevano l’Umanità Nuova
quelli che amavano Sacco
e Vanzetti …
la campana lenta suona e
suona
i piccioni camminano
impettiti
neanche pensano di volare
l’aria troppo pesante con
i rintocchi pesanti …
Le vedove escono dalle
Limousine …
Le vedove salgono così
lentamente
le scale della cattedrale
con le velette di rete
tirate giù …
Nella poesia “Goya and
the Sleep of Reason”: “le ombre delle
foglie delle acacie cadono su di lui (statua di Goya) come se le foglie
medesime stessero cadendo”. E’
innegabile l’effetto cinefotografico che si estende anche alla metafora “la
ragione dorme sotto di lui (statua di Goya) ma sopra contro l’immensità blu del
cielo tutto è intensamente sveglio …”.
Nel maggio del 1993 Ferlinghetti è a Barcellona, la Plaza Real gli
invade gli occhi e il cuore. Così dice:
“siamo catturati da una
vecchia fotografia
scattata molto tempo fa
o in un vecchio
cinegiornale fermato
in una cornice definita.
E all’improvviso
la pellicola comincia a
ronzare di nuovo
il sole appare dopo
Franco (Caudillo) …
e ancora una volta gli
uccelli volteggiano
come poeti liberi
C’è un aspetto, tra i
tanti, che accomuna la poesia e la fotografia:
nel caso in esame è la storia in senso antropologico. Freed nelle sue foto va sempre scavando nel
passato poiché è curioso, non si accontenta delle immagini in astratto. Ci si chiede: perché Leonard Freed ha fatto
tutte quelle fotografie? Basterebbe
andare a vedere la mostra “Io amo l’’Italia, 100 Fotografie di Leonard Freed”
per trovare la risposta (nessuno mi ha pagato per fare questa pubblicità). Dal vivo è come assistere ad un ulteriore
zoomata sui personaggi che diventano
protagonisti di un racconto che affonda le proprie radici nel passato e guarda
verso il “futuro”. Freed non cerca
sicuramente la perfezione, la sua come lui stesso dice, è una fotografia
emotiva, non informativa, piena di energia vitale, vuole mostrare un atmosfera. “Egli si immergeva nei temi trattati fino
alle radici, fino alla linfa genitrice dei rapporti umani” per comprendere il senso del suo mondo.
Nei paesaggi di vita e di
morte di Ferlinghetti le parole diventano immagini, fotogrammi e addirittura
creano l’antropologia dell’ambiente, sembra di essere in un paese del sud
Italia con i suoi odori e non a San Francisco.
Parole-immagini nelle “vedove dai lunghi veli neri”, mentre salgono gli
scalini della cattedrale, ma anche nelle nomenclature, nei cataloghi alla
Whitman: “Quelli con i vecchi orologi …”, “quelli con le sopracciglia …”,
“quelli che amavano …”, “quelli che …”, quasi a raccontare l’inesorabile ciclo
vita-morte, nel “mollare gli ormeggi”, mentre cambia il tempo del verbo, con il
solo sollievo dell’ironia in quella storia del Paradiso di Dante non finita incisa
sulla facciata della chiesa di Washington Squame a San Francisco.
3 commenti:
E che dire di William Burroughs e di alcuni suoi racconti in grado di sfidare i montaggi cinematografici più forsennati ? La poesia dei poeti americani della Beat Generation si caratterizza proprio per questa capacità descrittiva che, di solito inserita negli aneddoti, sa aspettare (più o meno con calma) il verso poetico quando arriva. L'esempio di Ferlinghetti che hai riportato ne è un buon esempio:
e ancora una volta gli uccelli volteggiano
come poeti liberi
mayoor
Blow up : cliccare su foto per vedere l'effetto che fa.enzo
:) ottimo.
m.
Posta un commento