Partendo da un punto alto di riflessione di
cui abbiamo perso memoria - quello
raggiunto agli inizi del Novecento dal poeta russo Osip Mandel’stam, convinto
assertore di un’idea mai mimetica della
poesia, per cui essa « non è parte della natura[…] tanto meno un suo
rispecchiamento», ma semmai la sua “recita” «con l'ausilio di quei mezzi detti
comunemente immagini», Giorgio Linguaglossa può mostrare la gracilità della poesia che si
va facendo, specie in Italia. Di certo, salendo sulle
spalle di un gigante come Mandel’stam, i poeti d’oggi appaiono anche più nani di quello
che sono e troppo severi parrebbero i giudizi sugli autori italiani scelti nell’«Almanacco
dello Specchio» 2010-2011. Eppure la questione che il critico romano pone non è trascurabile: se siamo
a dopo la lirica, il vuoto da essa lasciato può essere colmato da «una gigantesca massa prosastica grigia e informe»? L'impressione che nella produzione
odierna «si vada un po’ alla rinfusa, per tentativi al buio, per privatissimi
sperimentalismi» è difficile da smentire. Resta il fatto che, dichiarando un suo precisoparametro di giudizio, Linguaglossa assolve onestamente a un compito critico oggi fin troppo trascurato. [E.A.]
Almanacco
dello Specchio 2010-2011 a cura di Maurizio Cucchi e Antonio
Riccardi, Mondadori, Milano, 2011 pp. 260 € 16.00
In un famoso articolo sulla poesia di Dante Alighieri degli anni
Venti del Novecento il poeta russo Osip Mandel’stam parlava, a proposito della
poesia del suo tempo (ed è la prima volta, a mio avviso, che viene impiegata
questa terminologia), di «discorso poetico». A lui la parola:
«Il
discorso poetico è un processo incrociato e si genera da due risonanze la prima
delle quali, da noi udibile e percepibile, è la metamorfosi dei mezzi propri
del discorso poetico che emergono via via nel suo erompere; la seconda è il
discorso vero proprio, cioè il lavoro tonale e fonetico che risulta grazie a
quei mezzi.
In
tal senso la poesia non è parte della natura, sia pure di una natura affinata e
selezionata né tanto meno un suo rispecchiamento, il che porterebbe alla
derisione sulla norma dell'identità ma, con sorprendente autonomia, si insedia
in un campo d'azione nuovo, extraspaziale, non tanto per narrare la natura,
quanto per recitarla con l'ausilio di quei mezzi detti comunemente immagini.
Il
discorso poetico o il pensiero poetico può essere chiamato sonoro soltanto in
via convenzionale, poiché noi vi udiamo
unicamente l'interferenza di due linee, una delle quali, presa da sola, è
assolutamente muta mentre l'altra, senza il sostegno della metamorfosi, è priva
di ogni significato e interesse e si presta alla parafrasi, sintomo certissimo,
a mio modo di vedere, dell'assenza di poesia: laddove si avverte la parafrasi,
lì le lenzuola non sono sgualcite e la poesia, per così dire, non vi ha
pernottato.
Dante
è un maestro dei mezzi poetici, non un fabbricante d'immagini. È lo stratega
della metamorfosi e degli incroci e, meno di tutto, un poeta nel senso
paneuropeo, ossia nel senso culturale, esteriore del termine».
Conviene ripartire da lì, dalla
riflessione mandel’stamiana, per mettere sotto il vigile occhio dello sguardo
critico la poesia che ci consegna questo Almanacco.
Il «discorso poetico», così come
si è venuto a configurare nel tardo Novecento italiano e in questa prima decade
del nuovo secolo mi sembra sia una cosa più simile alla identità sessuale
dell’ircocervo che non a quella dei mammiferi più evoluti, mi sembra che
attenga più al genere «neutro» che non al maschile e al femminile, insomma,
quello che appare a prima vista è lo strapotere, l’esondazione della prosa
poetica e/o della prosa prosastica (mi si passi il bisticcio) ben al di là
delle esigue e fragili barriere che delimitavano (o avrebbero dovuto delimitare
il fiume in esondanza della lirica) la poesia un tempo lirica. È avvenuto così
che quella che un tempo lontano quanto il giurassico si indicava come genere
lirico è oggi divenuto, direi, un «genere neutro», neutrale e neutralizzato,
neutrofilico un gergo sì cosmopolitico ma anche (e soprattutto) transpolitico e
transpoetico. Viene subito in mente una domanda: con cosa si è pensato di
sostituire il genere lirico dopo il tramonto dell’epoca sperimentale e delle
procedure epigoniche? Ecco, questa credo sia la domanda fondamentale che
dobbiamo porci: la risposta è semplice: con nulla, con l’assunzione acritica e
acrilica di una gigantesca massa prosastica grigia e informe. Che andava
sbozzata e affilata da una rigorosa critica del poetico. Che non c’è stata.
Anzi, che è stata accuratamente espunta dalle riflessioni sulla poesia
contemporanea degli ultimi venti anni. Il risultato è che si è smesso di
pensare la poesia contemporanea, di cui si è perduto perfino il concetto.
Degli autori italiani
inseriti direi che sono leggibili le poesie di Renato Minore il quale si muove
a piccoli passi tra l’ironia e la palinodia, pensieri e concetti piccoli ma ben
lavorati; un autore invece che ha scambiato la poesia per la prosa senza
ricevere in cambio i trenta denari è invece Alberto Bellocchio il quale,
secondo me poteva fare a meno di andare a capo ogni tanto e il tenore dello
scritto non ne avrebbe risentito affatto. Il migliore mi sembra Roberto Mussapi
il quale almeno ha il pregio del senso del limite del verso e il concetto della
tematica alla quale tenersi stretto. Non mi sembra gran che la riproposizione
di Parise poeta, giacché i suoi sono tentativi di poesia più che poesie vere e
proprie; devo dire, inoltre, che non trovo brillantissime neanche le poesie
inedite di Lorenzo Calogero (poeta che, tra l’altro, amo) curate da Ottavio
Rossani; si sa che nella sterminata produzione inedita di Calogero si può
trovare di tutto e il contrario di tutto, anche se, a fronte delle restanti
proposte dell’Almanacco, queste composizioni di Calogero sembrano dei
capolavori. C’è poi la riproposizione di alcuni inediti di Pier Luigi Bacchini,
il quale non sembra portare novità di rilievo né nell’evoluzione della sua
poesia né nell’economia di questo Almanacco,
ho la sensazione che l’oggettività di questa scrittura sia, come dire, zoppa,
imperfetta, per via della cancellazione del punto di vista del «soggetto», che,
a mio avviso toglie oggettività alla oggettità della scrittura poetica. Completano
questa sezione le composizioni di Mariella Cerutti Marocco ed Elena
Clementelli, rispetto alle quali, per il rispetto dovuto all’età, chiederei il
viatico di un sommesso silenzio.
Segue la sezione dei poeti
che siedono nell’Accademia di Svezia che ogni anno hanno il non semplice onere
di fare le selezioni per eleggere il Nobel: Kiell Espmark, Katarina Frostenson,
Kristina Lugn, Anders Olsson, Jesper Svenbro, Per Wasteberg e la compianta
Birgitta Trotzig ben tradotti peraltro da Daniela Marcheschi. Non mi sembra,
così a naso, che le poesie tradotte ci
diano molti segnali per comprendere il livello dei testi e della ricerca
portata avanti dagli autori; l’impressione generale è che non si tratti di
testi molto significativi per poter esprimere una valutazione ponderata. Dei
testi degli altri autori italiani inseriti, e cioè Alberto Toni, Eugenio
Vitali, Vanni Pierini, Giovanni Fierro e Anna Maria Farabbi non posso
aggiungere nulla di diverso da quanto appena detto a proposito del discredito
in cui è caduto il «discorso poetico» nella esemplificazione che se ne fa in
Italia. La mia personale impressione è che quello che manca sia una idea
precisa di quale «discorso poetico» fare; temo che si vada un po’ alla rinfusa,
per tentativi al buio, per privatissimi sperimentalismi, per originalismi e per
privatissime ulcerazioni e ustioni come nel caso della Farabbi.
Molto positiva è invece la
mia impressione di lettore verso i testi di Nachoem M. Wijnberg di Amsterdam,
della berlinese Monika Rink e della polacca Marzanna Bogumila Kielar.
Purtroppo, devo ammetterlo con mio disdoro, il confronto con gli autori
italiani: Ottavio Rossani, Valentino Fossati, Teo Bragagna, Giovanni Parrini,
Jacopo Ricciardi, Aldo Gerbino e Giorgio Mannacio non depone a favore degli
ultimi, anche se una migliore figura la fa senza dubbio proprio il milanese
Mannacio il quale mi sembra possieda, se non altro, il dono di un linguaggio
sintetico e il senso dell’oggettività.
Dei giovanissimi a cura di
Mario Benedetti, Giorgio Meledandri, Carla Saracino e Amos Mattio
preferisco tacere per via della loro
giovane età. Chiude il volume una bella intervista al filosofo Pier Aldo
Rovatti il quale però si è ben premunito di dichiarare, a scanso di equivoci,
che non legge mai poesia contemporanea.
Infine, che dire di questo
Almanacco? Il giudizio è positivo per via della
soppressione delle inutili interviste ai poeti italiani (sempre
autoreferenziali e narcisistiche), dell’abolizione delle recensioni (anch’esse
inutili, se non dannose, per via del loro linguaggio ierofanico da alti
sacerdoti di Osiride); insomma, almeno questa volta si è deciso di sfrondare i
testi di tutto ciò che è allotrio. Insomma, quello che rimane mi sembra molto
ben visibile: cioè che il re è nudo.
Voglio dire che i testi poetici, così lasciati a se stessi, purtroppo,
affondano, non sembrano avere una caratura tale da farli galleggiare. E questo
è un altro problema, credo, collegato con la fine delle poetiche epigoniche e
con il marasma incombente del mare magnum
dei discorsi transpolitici dell’epoca
della stagnazione.
41 commenti:
Salve, anche questa è una chiosa? Come si fa adesso a sapere, dopo la dichiarazione di Linguaglossa, se sono solo sue astute chiose (che lui ritiene legittime perché auto-autorizzate) o articoli originali, di suo pugno? Resto in attesa di qualche chiarimento. Stefano Grasso
Ennio Abate a Stefano Grasso:
Il bello è il mistero.
Legga lo stesso.
Conta più il testo che l'autore.
Sono Poesia.
Mi faccio chiosa
Calypso mi rinchiude
Dal fondo
ritorno
codarda
inerme
di sole
fioche
parole
imbecilli
all'eco
della vendetta
aprirò
il cuore
per chi
lo vorrà
mangiare.
Emilia Banfi
Beh Ennio. è importante sapere chi è l'autore per rispetto verso Mandel'stam se non altro. Ho notato che a più di qualcuno i misteri non piacciono. Non è polemica solo un piccolissima osservazione. Una dei Molti .Emy
Ennio Emy:
Chi non legge solo i commenti ma il post capisce cos'è di Mandel'stam e cos'è di Linguaglossa. e persino cos'è di E.A.
Capisco. Emy
La differenza tra l’almanacco dello specchio e Linguaglossa è che il primo almeno tenta di cambiare il panorama offerto. Linguaglossa invece no, sempre le stesse cose: l’esterofilia e la frustrazione degli esclusi.forse il maggior problema della poesia e della critica è il particolarismo imperante. linguaglossa è escluso dallo specchio e giù a parlarne male ma è un atteggiamento miope. io sono una semplice lettrice e non appartengo nè all’una nè all’altra parrocchia ma il marcio non sta per forza dove c’è la visibilità.davvero possiamo chiamare critica letteraria questa sequela di impressioni? A me sembrano le pagine di diario di un sessantenne.in questo post non trovo critica letteraria, c’è solo un assioma,che la poesia italiana contemporanea è“una gigantesca massa prosastica grigia e informe” ,ma questo resta indimostrato dal critico. Non un esempio, non un’osservazione che dia gli strumenti per capire. Chi non ha l’almanacco non apprende niente da questa pseudorecensione, solo che secondo linguaglossa la poesia italiana è nel complesso mediocre.può essere critica una sequenza di promozioni e stroncature? A me sembra un banalissimo gioco di “mi piace non mi piace” che chiunque potrebbe fare, non bisogna mica essere critici. Trovo ridicola l’autocensura sui poeti troppo vecchi o troppo giovani.perchè la poesia italiana fa schifo? Perchè non è poesia ma brutta prosa? Perchè manca un “discorso poetico”?a me non sembra. Linguaglossa lo dimostri. Giusto per restare in tema a me sembrano più poetici e più dotati di senso del ritmo questi brani:“un «genere neutro», neutrale e neutralizzato, neutrofilico un gergo sì cosmopolitico ma anche (e soprattutto) transpolitico e transpoetico”,”l’assunzione acritica e acrilica di una gigantesca massa prosastica grigia e informe” rispetto a questi versi: “Comunque sia, rimane indubitabile il fatto che/Andromate fu l'inventore dell'ipotocasamo”.
elena monferrato
Ennio Abate a Elena Monferrato
Accusare un critico che dichiara il suo punto di vista e dà le sue valutazioni veloci sugli autori selezionati dall’Almanacco nondadoriano di giudicare in un certo modo (negativo) perché escluso o frustrato o addirittura perché «sessantenne» è, come minimo, portare il discorso fuori strada. Linguaglossa ha scritto libri e pubblicato migliaia di recensioni dettagliate su non so quanti poeti e poetesse contemporanei.
Lei perché vorrebbe che concentrasse tutto il suo pensiero in questa nota? Perché non si documenta un po’ prima? C’è oggi la comodità dei motori di ricerca. Si mette il nome e il cognome di Linguaglossa e avrà a disposizione decine di scritti più o meno lunghi.
Se volesse davvero capire, questo sarebbe il primo passo. E poi l’Almanacco 2010-2011 si trova facilmente nelle librerie. Lei potrebbe leggerselo e farci una bella contro-recensione, dimostrando dove Linguaglossa ha sbagliato o non lo convince. O, a sua volta, dimostrare che la poesia italiana contemporanea gode ottima salute. Ce l'invia e noi la pubblichiamo. Suvvia, lasciamo perdere le polemiche spicciole e approfondiamo le questioni. Qui non dobbiamo fare i tifosi che applaudono o fischiano e stop.
Possiamo ragionare. Personalmente ho espresso in quasi trenta pagine la mia riflessione sul libro di Linguaglossa «La nuova poesia modernista italiana», cercando di non essere appunto un tifoso. Se ha tempo, può leggerlo a questo indirizzo: http://www.lietocolle.info/it/ennio_abate_su_la_nuova_poesia_modernista_lettera_riepilogativa.html
ennio sembra un fanatico di linguaglossa: ognuno hai suoi miti e li difende.
ma così come linguaglossa è libero di redigere giudizi e valutazioni sulla bravura o meno di questo, quello o quell'altro poeta, va da sé che è passible della stessa valutazione negativa da parte dell'opinione pubblica e degli specialisti, come critico. anche i critici vengono o meno invitati a fare parte di un'antologia con i loro saggi. ne vengono inclusi, o esclusi. il metro è lo stesso. in quale antologia di saggi rilevante è stato mai incluso linguaglossa?
e se anche liguaglossa, agli occhi dei critici del genere saggistico, passasse come massa grigia e brutta, con i suoi scritti, o neppure per massa grigia e brutta?
anche il critico esprime idee tramite la lingua, e lo stile, oltre che con le idee, e queste componenti possono essere tutte passibili di giudizio, perfino estetico. da cui, non è detto che linguaglossa sia un critico antologizzabile affatto. e che passi l'esame.
giusto per aggiungere una riflessione ovvia, che forse linguaglossa ed ennio non si sono posta con il loro locale pontificare.
stroncati possono esserlo tutti. basta averci le mani come forbici.
Ennio Abate a Anonimo(a):
Ho parlato di ragionare proprio per uscire dal fanatismo. Se lei non vuol fare questo salto
e rimanere a fare lo stroncatore o la stroncatrice negli spazi commenti, lo faccia.
Così però non costruisce nulla. E io personalmente, dopo alcuni tentativi, se vedo che l'altro/a (in anomimato che sempre m'insospettisce), insiste fanaticamente, non rispondo più. I soliloqui è meglio farseli davanti allo specchio non sui blog.
Mi permetto di inserirmi nella discussione con la ri-proposta della mia recensione all'Almanacco dello Specchio 2010-2011 uscita su Avvenire l'8 dicembre 2011.
Un <> che NON fa spazio alle voci metapoetiche di Maurizio Soldini
Quale luna accada e ci attenda in poesia in questi anni di notturna trepidazione per il nostro futuro, nella fattispecie poetico, possiamo cercare di scovarla nell’Almanacco dello Specchio, tra i più noti libri, e ce ne sono diversi, che fanno il punto sulla poesia e antologizzano poeti. È infatti da poco uscito il numero doppio 2010-2011, curato da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi, che dal 2005 hanno dato nuova vitalità alla seconda serie di questo lunario poetico, che dagli anni settanta agli anni novanta del ventesimo secolo ha tracciato, seppure tra critiche e dissensi, talora giusti ed altre volte meno, il percorso in cui si sarebbero mossi i poeti laureati e affermati e i più giovani con il loro work in progress. La cifra dell’Almanacco è data dai testi poetici che quest’anno sono preponderanti rispetto alle precedenti edizioni, dal momento che in quella attuale non è presente la ricognizione sui libri di poesia usciti nel corso degli anni presi in considerazione. Come dire: piuttosto che parlare sulla poesia si è lasciata parlare la poesia stessa. Questo è sia un pregio sia un difetto. Dal momento che se la poesia ha la forte e legittima necessità di far ascoltare la sua voce direttamente dai poeti, e noi tutti abbiamo non solo la necessità ma il piacere di ascoltare le loro voci, ben vengano anche le voci dei critici, perché oggi abbiamo la necessità di ascoltare il discorso meta-poetico, per cercare di individuare i canoni di un tempo come il nostro nel quale c’è da una parte una giungla di scritture – veramente eccessivi i libri di poesia pubblicati rispetto a quelli letti - e dall’altra un relativismo buonista che tarpa le ali alla crescita e alla qualità della poesia medesima. Insomma avremmo preferito che anche nella presente edizione vi fossero le segnalazioni e le recensioni di libri di poesia, che per quanto incomplete, per quanto criticabili, avrebbero in qualche modo, come avveniva negli scorsi anni, mosso le acque di quel circolo ermeneutico che non può non far bene a noi e alla poesia. Apre il volume un saggio molto puntuale di Alberto Bertoni su Giovanni Giudici e la sua opera in versi quale lascito ereditario. Segue un interessante punto su Parise poeta curato da Maurizio Cucchi. Centrale e di non poco conto per questa edizione dell’Almanacco il capitolo dedicato a Lorenzo Calogero, medico e poeta calabrese, nel cinquantenario della morte, i cui versi sono avvolgenti con un linguaggio ricco di metafore e figure retoriche le più svariate, che danno la dimensione di una poesia visionaria e misterica con una musicalità che arpeggia le note di un esistenzialismo tutto nostrano tra paesaggio del corpo e paesaggio dell’anima e da cui oggi i poeti dovrebbero trarre insegnamento. Seguono i testi dei poeti laureati tra i quali Bacchini, Mussapi, Minore, Kemeny, Farabbi. Tra le voci giovani emerge Carla Saracino. Ci sono poi le sezioni dedicate ai poeti stranieri tra cui vanno segnalati i poeti dell’Accademia di Svezia a cura di Daniela Marcheschi. Chiudono il volume il viaggio in Spagna del poeta Nicola Vitale e l’intervista di Mary Barbara Tolusso a Pier Aldo Rovatti sui rapporti tra poesia e filosofia, che non poteva non cadere su un nome ormai indiscutibile, quale quello di María Zambrano, che ogni poeta dovrebbe conoscere e aver letto. Come pure chiunque ama la poesia non può non leggere questo Almanacco. Perché per dirla con Calogero “… a partire da qui ora si danza,/ ora si sogna”. E l’amore per la poesia avanza.
Cordiali saluti
maurizio soldini
Il titolo della recensione è
Un "Almanacco" che NON fa spazio alle voci metapoetiche
di Maurizio Soldini
Qui si sta facendo la critica al critico. Leggiamo con attenzione, documentiamoci e rispondiamo con cognizione di causa e con chiari e precisi riferimenti come ha ben detto Ennio Abate.
Linguaglossa ha espresso il suo parere e, condivisibile o meno, è di sicuro il parere di una persona competente in materia. Questo credo sia indiscutibile.
Mi riservo invece di esporre le mie opinioni sull'Almanacco dopo averlo (attentamente) letto.
Cinzia Marulli Ramadori
Linguaglossa o no, qui c’è un almanacco, ossia una scelta. Credo che Giorgio mostri sorpresa, più che per i testi, per i criteri delle scelte, o della mancanza di criterio. Mi pare di capire che il suo disagio sia soprattutto per questi criteri e, di conseguenza, per i testi. Un Almanacco deve infatti proporre poesie che si reggono da sole e mi pare che Linguaglossa avverta questa fragilità.
Quanto alla “massa informe prosastica”, dove le cesure non si sa cosa facciano, mi trova d’accordo, non per tutti i poeti ma per moltissimi, nel panorama odierno. Una poesia sta in piedi, dal punto di vista del linguaggio poetico se, tolte le cesure, si avverte la necessità di metterle, e non viceversa. Ma questo è un discorso lungo che ci porterebbe, a mio avviso, a una discussione su che cosa sia il verso e che funzione possa o debba avere nella poesia odierna. Che (per fortuna, a mio avviso) come dichiara lo stesso Linguaglossa, sembra sempre più sganciarsi dal lirismo a tutti i costi. Ma da questo (sano) sganciarsi al ribaltamento non cambia assolutamente nulla: si è semplicemente agli antipodi, si fa una poesia linguisticamente di reazione, consciamente o inconsciamente, a modelli che non reggono più, semplicemente distruggendo ogni modello.
La mia personale ipotesi è, su questo discorso, che non sia più possibile un modello comune, ma sia possibile che ognuno si crei una poetica criticabile, riconoscibile, con regole che si dichiarano da sé nella scrittura e alle quali il suo linguaggio sia fedele. Senza regole non c’è alcun gioco linguistico, ma solo un cincischiare con le parole, come colui che prova a sgrondare i colori sulla tela, a caso, e quel che viene viene, o chi si mette al pianoforte a improvvisare a orecchio.
Linguaglossa, qui, ci richiama al fatto che la poesia non è cosa da almanacco, o se si crea un almanacco dovrebbe esserci (anche qui) una regola, un criterio che ne costituisca una identità criticabile. Io non l’ho letto, questo Almanacco, e quindi non posso dirne nulla ma intuisco che, pur nella sua rudezza che è tipica del personaggio, la posizione di Linguaglossa non è quella del critico che si diverte a distruggere tanto per distruggere ed esaltarsi narcisisticamente, ma c’è un disagio reale e motivato, che pone domande serie e alle quali bisognerebbe prima o poi rispondere mettendoci la faccia. Inutile dichiarare la sua incompetenza di critico e ributtare il problema nel rimosso: anche se così fosse, le domande restano ugualmente...
ma caro ennio, il tuo blog è il TUO specchio, null'altro. e qui non si costruisce nulla, eccetto i duellucci, con le spade di carta, che tanto ti piacciono e ti intrattengono, basta darci un'occhiata. si rimasticano concetti presi altrove, e nel tuo caso, tutto deriva dal fortini che sembra tanto contestare. poi sta zolfa contro l'anonimo che ogni tanto torna: un consiglio da esperto, disattiva i commenti "anonimi", nella sezione settings del tuo blog e vedrai che non avrai questo problema del post "anonimo". per ora, scorrendo le scelte della lista del menù a tendina, esiste legittimamente inclusa in quella lista la opzione "posta come anonimo" e dunque la si applica senza per questo dovere essere poi aggrediti, da te che in effetti non sei interessato al commento, secondo me, al loro contenuto di critica e di opinione, ma solo ed esclusivamente all'identità del tuo antagonista per poi fare un poco di corporativismo via email tra i vari tuoi interlocutori. giusto, uno che vuole solo fare i duelli, deve sapere a chi portare all'alba sul campo con i due testimoni per la lotta. quanto al nome ennio, a me personalmente non dice nulla, e potresti effettamemte essere uno pseudonimo, non mi cambierebbe nulla.
ecco il nome, stefano.
Vi confesso che mi sono veramente scocciata di assistere a questo "GIOCHINO" dell'io distruggo te e tu distruggi me; a queste confabulazioni mentali sulla poesia e sulla critica, sui "bravi" e sugli "asini poetici", sulle scelte di questo e di quello da inserire in Almanacchi, Antologie e quant'altro. Credo che non sia la poesia ad essere mancante, ma la critica che ha perso i parametri (sempre immutati, a mio modesto avviso) che sono semantica, semiotica, musicalità del verso, originalità ma soprattutto comunicabilità e sincerità. La poesia ha gambe proprie, capaci di muoversi dove e come vuole, senza alcun bisogno di giudizi di "valore" che si risolvono spesso in "io cito/giudico in faccia a te e tu citi/giudichi in faccia a me", a seconda delle simatie/antipatie o dei "gusti personali". E poi, ricordiamoci tutti che il Tempo ha una lunga falce, capace di raderci tutti al suolo senza pietà. Per cui. Lasciate che ognuno si diverta a modo suo, scriva come e quanto vuole, scelga il proprio registro linguistico senza preoccuparsi né del successo (la Poesia vera non dovrebbe contemplare vanità) né tantomeno di quanto l'uno o l'altro affermano su di essa (la Critica è morta, viva la critica).Alla fine, nessuno di noi (o forse qualcuno, ma non lo sapremo mai), sarà ricordato da qualche parente, amico, studente(?). Un po' di ironia e autoironia, per favore!!
Giuseppina Amodei
IN AGGIUNTA AL PRECEDENTE POST
Dimenticavo di annotare che, per quanto riguarda l'individuazione del cosiddetto "valore" di una poesia, è necessario aggiungere i parametri relativi alla passionalità, gioia, dolore... e soprattutto visione del "mondo altro" e non solo del proprio egocentrico IO
Giuseppina Amodei
Stamane avevo ri-proposto le mie impressioni sintetiche sull'Almanacco espresse nella recensione dal titolo
Un "Almanacco" che NON fa spazio alle voci metapoetiche
di Maurizio Soldini
Purtroppo è stata rimossa.
MS
agli Anonimi
che si trincerano dietro il paravento dell'anonimato per lanciarmi degli strali rispondo che preferirei sapere l'identità (le generalità anagrafiche) della persona con cui ho a che fare.
Che dire? se il lettore Anonimo non sa distinguere una stroncatura da un discorso serio e ragionato come il mio, non è affare mio ma suo.
La mia non è (né vuole essere) una recensione semiologica, lessicale tropologica etc. dettagliata dei testi, altrimenti avrei occupato almeno 50 pagine di scrittura critica da critichese illeggibile. Io invece credo che i curatori dell'Antologia, Cucchi e Riccardi siano molto più intelligenti del lettore Anonimo da poter intendere benissimo il «senso» e la «portata» dei miei rilievi. Del resto chi conosce i miei scritti critici sa che da molti anni ho fatto la scelta di scrivere esattamente quello che penso e non quello che converrebbe pensare e scrivere in tema di poesia. Se poi questo atteggiamento (da marziano) mi varrà l'esclusione dalla cerchia dei critici «rispettabili» e «rispettati», tanto meglio... personalmente sono alieno agli applausi e alle facili e servili lusinghe per la cui incombenza ci sono schiere numerose di apprendisti critici in fila...
Io mi sono limitato a sollevare un quesito che già negli Anni Venti un poeta del calibro di Mandel'stam aveva sollevato per primo... ma si sa che nella piccola e asfittica provincia culturale quale è diventata l'Italia, sollevare un problema culturale è come praticare l'autoevirazione...
Ennio Abate a MS:
Qui non è stato rimosso niente.
Se lei è Maurizio Soldini sa che abbiamo già pubblicato dei suoi commenti.
Se c'è qualche inconveniente tecnico ( a volte temporaneamente qualcosa salta e un commento che uno crede di aver scritto scompare; ed è consigliabile scrivere su una pagina in Word per sicurezza o fare un 'seleziona tutto' e un 'copia? prima di cliccare 'Pubblica'), mi rimandi il testo a: moltinpoesia@gmail.com
e lo inserisco.
cara Elena Monferrato,
veda, io molti anni or sono ho fatto un patto con me stesso: di dire e di scrivere sempre solo quello che penso sulla poesia e non quello che converrebbe pensare e scrivere pur di non farsi nemici e inimicizie. Io, come dire, ho scelto di fare il «marziano a Roma» (tanto per riprendere il più grande poeta dimenticato degli anni Cinquanta)... certo, questo mi attira e mi ha attirato una grande quantità di antipatie e di ostilità e di insulti, ma l'avevo già messo in conto: quindi nulla quaestio.
Per quanto riguarda il mio scritto sull'Antologia esso non è né vuole essere una stroncatura come lei mi accusa di aver fatto ma vuole essere un contributo di pensiero di cui sicuramente i curatori terranno conto, ritengo Cucchi e Riccardi persone intelligenti che sanno distinguere una stroncatura di principio da un ragionamento ragionato e ponderato...
d'altronde è molto tempo che vado facendo questo discorso critico: cioè che la direzione della poesia italiana non può essere diversa da quella della poesia europea: cioè il «discorso poetico» è qualcosa di nuovo che bisogna costruire, tutti insieme, ma ovviamente non basta scrivere in una prosa ritmica con degli a capo a capocchia per fare un moderno discorso poetico, in questo modo si fa soltanto una pseudo parodia del discorso poetico.
Lei mi accusa di essere un escluso? ma escluso di che cosa? se lei vuole dare ad intendere che io abbia delle invidie verso (diciamo così) gli inclusi, beh, questo è un suo pensiero...
in realtà, io nella veste di critico non ho fatto altro che dire succintametne il mio parere di critico... ma se dovessi scrivere una analisi semantica, retorica, tropologica dei testi mi ci sarebbero volute almeno 50 pagine, la qual cosa, lei capisce bene, non sarebbe servita a nessuno che nessuno avrebbe letto...
Infine, mi fa piacere che dall'Almanacco siano state espunte (come io avevo ripetutametne segnalato nelle recensioni degli anni precedenti) le inutili recensioni (autocelebrative e ierofaniche) e le interviste a poeti (esercizi di autoerotismo deviato) che non servono a nulla tranne che agli autori di pratiche solitarie...
Credo che Linguaglossa con queste note ( perché come nota di lettura si propone e va valutata ) , abbia fatto un ottimo servizio a Mondadori ; nel senso che la sua radicalità si costituisce proprio ad hoc per indurre il lettore ad andarsi a comprare questo benedetto Almanacco per documentarsi e verificare de visu se quanto asserito da L. abbia o meno credibilità .
C'è poi da dire che in Italia il lettore di poesia è stato da almeno vent'anni ed è tuttora abituato malissimo , fuorviato da una critica ( accademica , militante o improvvisata che sia ) , dispensatrice di recensioni a senso unico , celebrative elogiative rosee , assimilabili a marce o marcette trionfali , lontanissime dall'argomentare la minima riserva sul lavoro di questo o quell'autore. Da qui l'immediato blaterare su un intervento tranciante ma che propone un semplice punto di vista , quello che ciascuno di noi ( anche non addetto ai lavori ) avrebbe potuto esperire ; con in più ( orrore !) una criticità negativa che rimbalza nella cattiva coscienza della vulgata "critica " imbelle e ridicola che va per la maggiore .
leopoldo attolico -
Inserendomi nel dibattito sollevato dalla recensione di Giorgio Linguaglossa all'Almanacco dello Specchio 2010-2011, ri-propongo la recensione apparsa su Avvenire l'8 dicembre 2011, dove sintetizzo le mie impressioni.
Un "Almanacco" che NON fa spazio alle voci metapoetiche
di Maurizio Soldini
Quale luna accada e ci attenda in poesia in questi anni di notturna trepidazione generale per il nostro futuro, nella fattispecie poetico, possiamo cercare di scovarla nell’Almanacco dello Specchio, tra i più noti libri, e ce ne sono diversi, che fanno il punto sulla poesia e antologizzano poeti. È infatti da poco uscito il numero doppio 2010-2011, curato da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi, che nel 2005 hanno dato nuova vitalità alla seconda serie di questo lunario poetico, che dagli anni settanta agli anni novanta del ventesimo secolo ha tracciato, seppure tra critiche e dissensi, talora giusti e altre volte meno, il percorso in cui si sarebbero mossi i poeti laureati già affermati e i più giovani con il loro work in progress. La cifra dell’Almanacco sono i testi poetici che quest’anno sono preponderanti rispetto alle precedenti edizioni, dal momento che nella presente edizione non è presente la ricognizione sui libri di poesia usciti nel corso degli anni presi in considerazione. Come dire: piuttosto che parlare sulla poesia si è lasciata parlare la poesia stessa. Questo è sia un pregio che un difetto. Dal momento che se la poesia ha la forte e legittima necessità di far ascoltare la sua voce direttamente dai poeti, e noi tutti abbiamo non solo la necessità ma il piacere di ascoltare le loro voci, ben vengano anche le voci dei critici, perché oggi abbiamo la necessità di ascoltare il discorso meta-poetico, per cercare di individuare i canoni di un tempo come il nostro nel quale c’è da una parte una giungla di scritture – veramente eccessivi i libri di poesia pubblicati rispetto a quelli letti - e dall’altra un relativismo buonista che tarpa le ali alla crescita e alla qualità della poesia medesima. Insomma avremmo preferito che anche nella presente edizione vi fossero le segnalazioni e le recensioni di libri di poesia, che per quanto incomplete, per quanto criticabili, avrebbero in qualche modo, come avveniva negli scorsi anni, mosso le acque di quel circolo ermeneutico che non può non far bene a noi e alla poesia. Apre il volume un saggio molto puntuale di Alberto Bertoni su Giovanni Giudici e la sua opera in versi quale lascito ereditario. Segue un interessante punto su Parise poeta curato da Maurizio Cucchi. Centrale e di non poco conto per questa edizione dell’Almanacco il capitolo dedicato a Lorenzo Calogero, medico e poeta calabrese, nel cinquantenario della morte, i cui versi sono avvolgenti con un linguaggio ricco di metafore e figure retoriche le più svariate, che danno la dimensione di una poesia visionaria e misterica con una musicalità che arpeggia le note di un esistenzialismo tutto nostrano tra paesaggio del corpo e paesaggio dell’anima e da cui oggi i poeti dovrebbero trarre insegnamento. Seguono i testi dei poeti laureati tra i quali Bacchini, Mussapi, Minore, Kemeny, Farabbi. Tra le voci giovani emerge Carla Saracino. Ci sono poi le sezioni dedicate ai poeti stranieri tra cui vanno segnalati i poeti dell’Accademia di Svezia a cura di Daniela Marcheschi. Chiudono il volume il viaggio in Spagna del poeta Nicola Vitale e l’intervista di Mary Barbara Tolusso a Pier Aldo Rovatti sui rapporti tra poesia e filosofia, che non poteva non cadere su un nome ormai indiscutibile, quale quello di María Zambrano, che ogni poeta dovrebbe conoscere e aver letto. Come pure chiunque ama la poesia non può non leggere questo Almanacco. Perché per dirla con Calogero “… a partire da qui ora si danza,/ ora si sogna”. E l’amore per la poesia avanza.
Saluti a tutti
MS
[E.A.]Ecco il commento di Maurizio Soldini (saltato per motivi tecnici):
Inserendomi nel dibattito sollevato dalla recensione di Giorgio Linguaglossa all'Almanacco dello Specchio 2010-2011, ri-propongo la recensione apparsa su Avvenire l'8 dicembre 2011, dove sintetizzo le mie impressioni.
Un "Almanacco" che NON fa spazio alle voci metapoetiche
di Maurizio Soldini
Quale luna accada e ci attenda in poesia in questi anni di notturna trepidazione generale per il nostro futuro, nella fattispecie poetico, possiamo cercare di scovarla nell’Almanacco dello Specchio, tra i più noti libri, e ce ne sono diversi, che fanno il punto sulla poesia e antologizzano poeti. È infatti da poco uscito il numero doppio 2010-2011, curato da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi, che nel 2005 hanno dato nuova vitalità alla seconda serie di questo lunario poetico, che dagli anni settanta agli anni novanta del ventesimo secolo ha tracciato, seppure tra critiche e dissensi, talora giusti e altre volte meno, il percorso in cui si sarebbero mossi i poeti laureati già affermati e i più giovani con il loro work in progress. La cifra dell’Almanacco sono i testi poetici che quest’anno sono preponderanti rispetto alle precedenti edizioni, dal momento che nella presente edizione non è presente la ricognizione sui libri di poesia usciti nel corso degli anni presi in considerazione. Come dire: piuttosto che parlare sulla poesia si è lasciata parlare la poesia stessa. Questo è sia un pregio che un difetto. Dal momento che se la poesia ha la forte e legittima necessità di far ascoltare la sua voce direttamente dai poeti, e noi tutti abbiamo non solo la necessità ma il piacere di ascoltare le loro voci, ben vengano anche le voci dei critici, perché oggi abbiamo la necessità di ascoltare il discorso meta-poetico, per cercare di individuare i canoni di un tempo come il nostro nel quale c’è da una parte una giungla di scritture – veramente eccessivi i libri di poesia pubblicati rispetto a quelli letti - e dall’altra un relativismo buonista che tarpa le ali alla crescita e alla qualità della poesia medesima. Insomma avremmo preferito che anche nella presente edizione vi fossero le segnalazioni e le recensioni di libri di poesia, che per quanto incomplete, per quanto criticabili, avrebbero in qualche modo, come avveniva negli scorsi anni, mosso le acque di quel circolo ermeneutico che non può non far bene a noi e alla poesia. Apre il volume un saggio molto puntuale di Alberto Bertoni su Giovanni Giudici e la sua opera in versi quale lascito ereditario. Segue un interessante punto su Parise poeta curato da Maurizio Cucchi. Centrale e di non poco conto per questa edizione dell’Almanacco il capitolo dedicato a Lorenzo Calogero, medico e poeta calabrese, nel cinquantenario della morte, i cui versi sono avvolgenti con un linguaggio ricco di metafore e figure retoriche le più svariate, che danno la dimensione di una poesia visionaria e misterica con una musicalità che arpeggia le note di un esistenzialismo tutto nostrano tra paesaggio del corpo e paesaggio dell’anima e da cui oggi i poeti dovrebbero trarre insegnamento. Seguono i testi dei poeti laureati tra i quali Bacchini, Mussapi, Minore, Kemeny, Farabbi. Tra le voci giovani emerge Carla Saracino. Ci sono poi le sezioni dedicate ai poeti stranieri tra cui vanno segnalati i poeti dell’Accademia di Svezia a cura di Daniela Marcheschi. Chiudono il volume il viaggio in Spagna del poeta Nicola Vitale e l’intervista di Mary Barbara Tolusso a Pier Aldo Rovatti sui rapporti tra poesia e filosofia, che non poteva non cadere su un nome ormai indiscutibile, quale quello di María Zambrano, che ogni poeta dovrebbe conoscere e aver letto. Come pure chiunque ama la poesia non può non leggere questo Almanacco. Perché per dirla con Calogero “… a partire da qui ora si danza,/ ora si sogna”. E l’amore per la poesia avanza.
Saluti a tutti
MS
E.A.
Inserisco l'intervento di Maurizio Soldini:
aro Ennio,
grazie per la risposta. Ecco il testo che avevo letto dopo averlo inserito e che poi per motivi tecnici non è più apparso.
Grazie
(se possibile rimuoverei gli altri post)
maiurizio soldini
____________________
ecco il post:
Inserendomi nel dibattito sollevato dalla recensione di Giorgio Linguaglossa all'Almanacco dello Specchio 2010-2011, ri-propongo la recensione apparsa su Avvenire l'8 dicembre 2011, dove sintetizzo le mie impressioni.
Un "Almanacco" che NON fa spazio alle voci metapoetiche
di Maurizio Soldini
Quale luna accada e ci attenda in poesia in questi anni di notturna trepidazione generale per il nostro futuro, nella fattispecie poetico, possiamo cercare di scovarla nell’Almanacco dello Specchio, tra i più noti libri, e ce ne sono diversi, che fanno il punto sulla poesia e antologizzano poeti. È infatti da poco uscito il numero doppio 2010-2011, curato da Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi, che nel 2005 hanno dato nuova vitalità alla seconda serie di questo lunario poetico, che dagli anni settanta agli anni novanta del ventesimo secolo ha tracciato, seppure tra critiche e dissensi, talora giusti e altre volte meno, il percorso in cui si sarebbero mossi i poeti laureati già affermati e i più giovani con il loro work in progress. La cifra dell’Almanacco sono i testi poetici che quest’anno sono preponderanti rispetto alle precedenti edizioni, dal momento che nella presente edizione non è presente la ricognizione sui libri di poesia usciti nel corso degli anni presi in considerazione. Come dire: piuttosto che parlare sulla poesia si è lasciata parlare la poesia stessa. Questo è sia un pregio che un difetto. Dal momento che se la poesia ha la forte e legittima necessità di far ascoltare la sua voce direttamente dai poeti, e noi tutti abbiamo non solo la necessità ma il piacere di ascoltare le loro voci, ben vengano anche le voci dei critici, perché oggi abbiamo la necessità di ascoltare il discorso meta-poetico, per cercare di individuare i canoni di un tempo come il nostro nel quale c’è da una parte una giungla di scritture – veramente eccessivi i libri di poesia pubblicati rispetto a quelli letti - e dall’altra un relativismo buonista che tarpa le ali alla crescita e alla qualità della poesia medesima.
[Continua]
[Continua]
Insomma avremmo preferito che anche nella presente edizione vi fossero le segnalazioni e le recensioni di libri di poesia, che per quanto incomplete, per quanto criticabili, avrebbero in qualche modo, come avveniva negli scorsi anni, mosso le acque di quel circolo ermeneutico che non può non far bene a noi e alla poesia. Apre il volume un saggio molto puntuale di Alberto Bertoni su Giovanni Giudici e la sua opera in versi quale lascito ereditario. Segue un interessante punto su Parise poeta curato da Maurizio Cucchi. Centrale e di non poco conto per questa edizione dell’Almanacco il capitolo dedicato a Lorenzo Calogero, medico e poeta calabrese, nel cinquantenario della morte, i cui versi sono avvolgenti con un linguaggio ricco di metafore e figure retoriche le più svariate, che danno la dimensione di una poesia visionaria e misterica con una musicalità che arpeggia le note di un esistenzialismo tutto nostrano tra paesaggio del corpo e paesaggio dell’anima e da cui oggi i poeti dovrebbero trarre insegnamento. Seguono i testi dei poeti laureati tra i quali Bacchini, Mussapi, Minore, Kemeny, Farabbi. Tra le voci giovani emerge Carla Saracino. Ci sono poi le sezioni dedicate ai poeti stranieri tra cui vanno segnalati i poeti dell’Accademia di Svezia a cura di Daniela Marcheschi. Chiudono il volume il viaggio in Spagna del poeta Nicola Vitale e l’intervista di Mary Barbara Tolusso a Pier Aldo Rovatti sui rapporti tra poesia e filosofia, che non poteva non cadere su un nome ormai indiscutibile, quale quello di María Zambrano, che ogni poeta dovrebbe conoscere e aver letto. Come pure chiunque ama la poesia non può non leggere questo Almanacco. Perché per dirla con Calogero “… a partire da qui ora si danza,/ ora si sogna”. E l’amore per la poesia avanza.
Saluti a tutti
MS
Laura Canciani:
il problema posto da Giorgio Linguaglossa negli scritti critici degli ultimi dieci anni, sparsi qua e là, e in particolare in questa nota di lettura all’Almanacco mondadoriano, credo debba essere inquadrato nel concetto mandel’stamiano di «discorso critico» quale intreccio e interazione di due "discorsi", uno palese e manifesto, tattile-uditivo, e uno segreto e cifrato, ottico-sonoro. Due "discorsi" che si intrecciano e interagiscono, che si ostacolano a vicenda e/o si esaltano (assommando le loro vicende foniche e fonosimboliche). Ed ecco spiegato il ritorno del critico di Costantinopoli (come lui ama definirsi) a poeti (anche fortemente dissimili) come Fortini e Angelo Maria Ripellino, i quali operano, fanno (ciascuno a modo proprio e con un proprio personalissimo registro lessicale e semantico) una colonna sonora e lessicale che può essere assimilata a quel concetto linguaglossiano e mandel’stamiamo di «discorso poetico», ovviamente inteso in cifra moderna.
È un pensiero critico complesso quello del critico di Costantinopoli, arduo, sofisticato e, direi, anche cifrato, segreto, eterodosso (direi politico).
Complimenti.
Laura Canciani
Pubblico, dopo essere stato autorizzato dagli autori, questo scambio di opinioni tra Giovanni Parrini e Giorgio Linguaglossa[E.A.]
1.
Oggetto: ALMANACCO DELLO SPECCHIO 2011
Testo:
Caro Linguaglossa, ho visto le sue considerazioni sull'Almanacco 2011. Sono uno degli autori lì pubblicati, e ho riflettuto su quello che lei dice al riguardo un po' di tutti noi, e cioé che nessuna poesia é in grado di "galleggiare", se presa singolarmente. Anche se il quadro che dipinge mi appare troppo desolante, concordo abbastanza con lei sul fatto che le poesie oggi rappresenterebbero esperimenti un po' troppo personalistici, difficili da ridisporre in un insieme organico. Forse perché nessuno di noi è un grande poeta ? O perché il momento storico è mostruosamente sterile e confuso ? Non saprei. Siccome ho preso sul serio le sue note critiche, a me piacerebbe inviarle una raccolta di poesie che ho pubblicato con Interlinea ("Nell'oltre delle cose" - Febbraio 2011). Se lei vorrà leggerla e darmi poi il suo parere, gliene sarò davvero assai grato. Posso spedirgliela ? Se si, dove ? Grazie dell'attenzione. Giovanni Parrini - Firenze
Firma: GIOVANNI PARRINI
2.
Caro Parrini,
che dire? il gusto è personale, quindi non potrei obiettare nulla alle sue considerazioni... Veda, la critica non è questione di "biochimica" ma una cosa più complessa che contiene tante cose diverse: ideologie, visione del mondo, questioni filosofiche interne alla praxis ed esterne, questioni ontologiche che attengono allo statuto delle parole, questioni legate all'impiego delle proposizioni. Con le parole ci si può giocare, esistono anche i prestigiatori delle parole... il poeta (diciamo) è simile al calciatore: ci sono dei bravissimi palleggiatori che possono palleggiare con tutte le parti del corpo per ore ma essi non diventeranno mai dei calciatori, al massimo possono andare al circo Orfei a dare spettacolo... così ci sono dei palleggiatori di parole... in un certo senso a lei piace la poesia palleggiata a me invece piace il gioco del calcio lineare, con pochi dribbling, essenziale, che punta verso la porta della squadra avversaria.
E poi, veda, la "critica", come indica la parola, deve criticare (Benjamin diceva "distruggere"), deve puntare a frantumare l'oggetto che critica altrimenti diventa apologia... ora, è comprensibile che questo concetto di critica sia diventato oggi incomprensibile; lo so è comprensibile che i poeti vogliano soltanto gli elogi, ma purtroppo gli elogi non sono critica, sono al massimo un brodo, una melassa insignificante.
Io le consiglierei di leggere Mandel'stam (in russo se possibile o nella traduzione di Serena Vitale) e poi Milosz (nella traduzione inglese perché quella in italiano è penosa) Herbert (nella traduzione italiana) Wallace Stevens (possibilmente in inglese)... e poi, perché no? Ripellino e Fortini, e poi Helle Busacca, Maria Rosaria Madonna, Maria Marchesi, Luigi Manzi, Dante Maffìa (per restare in territorio italiano) e altri che non nomino e vedrà un altro tipo di poesia... se poi le interessa la questione critica senza peli sulla lingua legga il mio libro "Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010)" uscito con Edilet di Roma nel 2011, sono 400 pagine di critica serrata e anticonvenzionale, le consiglierei di leggerlo con attenzione... Infine, che dire? Non mi sembra che la poesia di De Angelis sia granché se confrontata a quella di altri poeti contemporanei (che ovviamente non Le cito per correttezza).
cordiali saluti
giorgio linguaglossa
ricopio un mio recente commento (in questo blog) che feci a una poesia di Salvatore Dell'Aquila perché mi sembra che lì riuscivo a sintetizzare alcune questioni complesse:
Caro Ennio,
colgo l'occasione della tua provocazione. Dirò che la composizione (dire poesia è troppo) di Salvatore Dell'Aquila è ingenua. E così liquido la questione perché il poeta del Moderno può essere tutto tranne che ingenuo. Tenterò di porre così la questione: il superamento del linguaggio strumentale-naturale non può essere compiuto grazie a un metalinguaggio o un linguaggio «ideale» o un linguaggio genericametne «politico» o genericamente «sociologico» o genericamente «psicologico», «religioso» e così via... all'infinito.
Il superamento del linguaggio «naturale» può avvenire soltanto grazie alla «vita» e alla «Storia» che pongono problemi reali per dei bisogni reali e grazie all'azione. Che cosa significa quello che vado dicendo? - Scrive Valéry: «Si potrebbe - e forse lo si dovrebbe - assegnare come unico oggetto alla filosofia quello di porre e di precisare i problemi, senza preoccuparsi di risolverli. Si tratterebbe allora di una scienza degli enunciati e, dunque, di una purificazione delle domande». Il metalinguaggio delle post-avanguardie intendeva appunto questo: giungere ad una purificazione delle domande.
Voglio dire che la pecca di tutte le posizioni che agognano una partecipazione all'azione, cadono nel momento stesso in cui spiccano il volo. Dunque, se il volo (ogni volo) è in relazione alle ali di cui disponiamo, il problema si sposta sulle «ali», e le «ali» di chi fa poesia è, appunto, il linguaggio, ma questo linguaggio è qualcosa che arriva da lontano ed è diretto lontano... soltanto se chi fa poesia si pone nell'onda d'urto di questo moto di traslazione (storica) del linguaggio, si potrà avere con il linguaggio un rapporto fattivo, creativo. Io direi, per semplificare, che ogni posizione di partecipazione all'azione tradisce sempre una incapacità all'azione e una rinuncia all'azione... e qui il linguaggio poetico viene meno per sua stessa natura, si sottrae ad ogni utilizzazione utilitaristica, scopistica, solipsistica, per uno scopo che è al di fuori di esso. Insomma, molto semplicemente: chi vuole fare politica la faccia e non perda tempo a scrivere poesie politiche perché farebbe soltanto un cattivo servizio alla politica e alla poesia. Ciascuno parli di quello che sa e che fa e che ha fatto durante la giornata presente e passata e trapassata. Questo, all'incirca, ricordo diceva la Cvetaeva da qualche parte. Come diceva Fortini, si possono scrivere delle ottime poesie sulle rose senza cadere nell'idillio delle visioni acritiche e contemplative. Ma, certo, vi prego, evitiamo di fare del turismo politico-poetico. Che cade nel patetico.
Giorgio Linguaglossa
A Giorgio Linguaglossa rispoondo che ho parlato di sequela di promozioni e stroncature(rilegga quel che ho scritto) non di stroncatura e basta.quello di cui mi lamentavo era l’assenza assoluta di argomentazioni,motivazioni, spiegazioni, non che lei bocci qualcuno.possibile che il suo giudizio sia identico a quello sull’almanacco dello specchio 2007?dopo 4 anni sono cambiate tante cose, le poesie e i poeti di questo almanacco sono del tutto diversi dalle poesie e i poeti dell’almanacco 2007. Possibile che dopo 4 anni il discorso sia sempre poeti italiani=falliti, poeti stranieri=vincenti?le sue stroncature sono tutto il contrario di“ un ragionamento ragionato e ponderato”,sono preconcetti simili a quelli dei leghisti verso i negher e i terùn.lei non ha espresso parere di critico ma il parere di persona qualunque: mi piace non mi piace e nient’altro.e non è vero che ci vogliono 50 pagine per esprimere una motivazione, un rigo per ogni promozione e stroncatura basterebbe.se voglio leggere un’analisi dell’almanacco vado altrove perchè in questo post non c’è.e se un critico stronca per partito preso e ripete le stesse cose da 4 / 5 anni su un libro ogni anno diverso forse e’ un critico invidioso.
Infine a Maurizio Soldini consiglio di rileggere l’almanacco. questo è l’almanacco più metapoetico che ci sia anche se non ci sono i critici. uno può dire che è un peccato che non ci sono i critici ma non può dire che manca un discorso sulla poesia. Soldini dice che si è preferito lasciar parlare la poesia ma non si accorge che molte poesie di questo almanacco parlano della poesia stessa. Per fare qualche esempio sono metapoetiche molte poesie di Mussapi, Kemeny, Svenbro, Rinck e Meledandri.
Spero di essere stata chiara.Ora cancellatemi pure.
elena monferrato
Avevo deciso di non rispondere più ma adesso lo faccio.Credevo che i toni civili utilizzati da Abate e Linguaglossa nelle risposte potevano invitare alla discussione corretta ma è ovvio che non è cosi’ se sono stati cancellati 3 commenti critici verso questo post e l’autore e sono stati sostituiti con 2 commenti plaudenti.avevo deciso di non tornare più su questo blog di censori. però mi accorgo che l’atteggiamento censorio merita una risposta. Mi verrebbe da dire cancellateci tutti come si dice ammazzateci tutti alla mafia.
Ad Ennio Abate rispondo che so benissimo chi è Linguaglossa e anche chi è lei.ho letto molti interventi suoi e di linguaglossa.conosco anche la sua lettera sul libro del fondatore di Poiesis.conosco persino le poesie di Linguaglossa, non a caso nel mio commento precedente ho citato versi dalla Belligeranza del Tramonto.io lamentavo proprio il fatto che come dice lei“Qui non dobbiamo fare i tifosi che applaudono o fischiano e stop” che è esattamente quello che linguaglossa ha fatto.le sue riflessioni sulla poesia italiana sono note ma non può applicarle indistintamente a qualsiasi poesia senza un briciolo di riflessione o spiegazione, ecco il punto.questo non può permetterselo nessuno, nemmeno il critico più navigato.e se lo fa nasce il sospetto che il critico giudichi squallida la festa perchè non è stato invitato. Infine ci tengo a sottolineare che non era affatto mia intenzione insultare Linguaglossa come lei,Ennio Abate, crede.io ho scritto che queste note sull’almanacco mi sembrano“le pagine di diario di un sessantenne” per sottolineare che a sessant’anni si è forse troppo grandi per continuare a scrivere i diari del cuore e pubblicarli pure.
Ad Ennio Abate rispondo che so benissimo chi è Linguaglossa e anche chi è lei.ho letto molti interventi suoi e di linguaglossa.conosco anche la sua lettera sul libro del fondatore di Poiesis.conosco persino le poesie di Linguaglossa, non a caso nel mio commento precedente ho citato versi dalla Belligeranza del Tramonto.io lamentavo proprio il fatto che come dice lei“Qui non dobbiamo fare i tifosi che applaudono o fischiano e stop” che è esattamente quello che linguaglossa ha fatto.le sue riflessioni sulla poesia italiana sono note ma non può applicarle indistintamente a qualsiasi poesia senza un briciolo di riflessione o spiegazione, ecco il punto.questo non può permetterselo nessuno, nemmeno il critico più navigato.e se lo fa nasce il sospetto che il critico giudichi squallida la festa perchè non è stato invitato. Infine ci tengo a sottolineare che non era affatto mia intenzione insultare Linguaglossa come lei,Ennio Abate, crede.io ho scritto che queste note sull’almanacco mi sembrano“le pagine di diario di un sessantenne” per sottolineare che a sessant’anni si è forse troppo grandi per continuare a scrivere i diari del cuore e pubblicarli pure.
elena monferrato
Avevo deciso di non rispondere più ma adesso lo faccio.Credevo che i toni civili utilizzati da Abate e Linguaglossa nelle risposte potevano invitare alla discussione corretta ma è ovvio che non è cosi’ se sono stati cancellati 3 commenti critici verso questo post e l’autore e sono stati sostituiti con 2 commenti plaudenti.avevo deciso di non tornare più su questo blog di censori. però mi accorgo che l’atteggiamento censorio merita una risposta. Mi verrebbe da dire cancellateci tutti come si dice ammazzateci tutti alla mafia.
elena monferrato
ps: l'ordine in cui vanno letti i miei commenti è inverso a come appaiono. questo e' la prima parte, quello di mezzo e' la seconda, il primo commento e' la terza.
Aggiungo commento di Elena Monferrato trovato in posta elettronica oggi. Ricordo a lei e ad altri commentatori quanto detto nel post SEGNALAZIONE... [E.A.]:
Elena Monferrato:
SONO SCOMPARSI 3 COMMENTI CONTRO L'ARTICOLO DI LINGUAGLOSSA
SULL'ALMANACCO DELLO SPECCHIO MENTRE GUARDA CASO 2 COMMENTI POSITIVI
PUBBLICATI DOPO QUEI 3 SONO ANCORA LI'!!!!!! LA CENSURA E'
VERGOGNOSA!!!!! IL VOSTRO SITO SI DOVEVA CHIAMARE IL DUCE IN POESIA
NON MOLTINPOESIA!!!
ECCO IL MIO COMMENTO ALL'ARTICOLO DI LINGUAGLOSSA. HO PROVATO A
PUBBLICARLO 4 VOLTE MA E' SEMPRE SCOMPARSO. VE LO INVIO, VOGLIO
PROPRIO VEDERE SE LO PUBBLICATE!!!
Avevo deciso di non rispondere più ma adesso lo faccio.Credevo che i
toni civili utilizzati da Abate e Linguaglossa nelle risposte potevano
invitare alla discussione corretta ma è ovvio che non è cosi’ se sono
stati cancellati 3 commenti critici verso questo post e l’autore e
sono stati sostituiti con 2 commenti plaudenti.avevo deciso di non
tornare più su questo blog di censori. però mi accorgo che
l’atteggiamento censorio merita una risposta. Mi verrebbe da dire
cancellateci tutti come si dice ammazzateci tutti alla mafia.
Ad Ennio Abate rispondo che so benissimo chi è Linguaglossa e anche
chi è lei.ho letto molti interventi suoi e di linguaglossa.conosco
anche la sua lettera sul libro del fondatore di Poiesis.conosco
persino le poesie di Linguaglossa, non a caso nel mio commento
precedente ho citato versi dalla Belligeranza del Tramonto.io
lamentavo proprio il fatto che come dice lei“Qui non dobbiamo fare i
tifosi che applaudono o fischiano e stop” che è esattamente quello che
linguaglossa ha fatto.le sue riflessioni sulla poesia italiana sono
note ma non può applicarle indistintamente a qualsiasi poesia senza un
briciolo di riflessione o spiegazione, ecco il punto.questo non può
permetterselo nessuno, nemmeno il critico più navigato.e se lo fa
nasce il sospetto che il critico giudichi squallida la festa perchè
non è stato invitato. Infine ci tengo a sottolineare che non era
affatto mia intenzione insultare Linguaglossa come lei,Ennio Abate,
crede.
[CONTINUA]
Ennio Abate:
A riprova che non c'è nessuna volontà di censura inserisco io oggi nell'ordine regolare il commento di Elena Monferrato che ha mandato anche all'indirizzo di moltinpoesia.
Eccolo:
SONO SCOMPARSI 3 COMMENTI CONTRO L'ARTICOLO DI LINGUAGLOSSA
SULL'ALMANACCO DELLO SPECCHIO MENTRE GUARDA CASO 2 COMMENTI POSITIVI
PUBBLICATI DOPO QUEI 3 SONO ANCORA LI'!!!!!! LA CENSURA E'
VERGOGNOSA!!!!! IL VOSTRO SITO SI DOVEVA CHIAMARE IL DUCE IN POESIA
NON MOLTINPOESIA!!!
ECCO IL MIO COMMENTO ALL'ARTICOLO DI LINGUAGLOSSA. HO PROVATO A
PUBBLICARLO 4 VOLTE MA E' SEMPRE SCOMPARSO. VE LO INVIO, VOGLIO
PROPRIO VEDERE SE LO PUBBLICATE!!!
Avevo deciso di non rispondere più ma adesso lo faccio.Credevo che i
toni civili utilizzati da Abate e Linguaglossa nelle risposte potevano
invitare alla discussione corretta ma è ovvio che non è cosi’ se sono
stati cancellati 3 commenti critici verso questo post e l’autore e
sono stati sostituiti con 2 commenti plaudenti.avevo deciso di non
tornare più su questo blog di censori. però mi accorgo che
l’atteggiamento censorio merita una risposta. Mi verrebbe da dire
cancellateci tutti come si dice ammazzateci tutti alla mafia.
Ad Ennio Abate rispondo che so benissimo chi è Linguaglossa e anche
chi è lei.ho letto molti interventi suoi e di linguaglossa.conosco
anche la sua lettera sul libro del fondatore di Poiesis.conosco
persino le poesie di Linguaglossa, non a caso nel mio commento
precedente ho citato versi dalla Belligeranza del Tramonto.io
lamentavo proprio il fatto che come dice lei“Qui non dobbiamo fare i
tifosi che applaudono o fischiano e stop” che è esattamente quello che
linguaglossa ha fatto.le sue riflessioni sulla poesia italiana sono
note ma non può applicarle indistintamente a qualsiasi poesia senza un
briciolo di riflessione o spiegazione, ecco il punto.questo non può
permetterselo nessuno, nemmeno il critico più navigato.e se lo fa
nasce il sospetto che il critico giudichi squallida la festa perchè
non è stato invitato. Infine ci tengo a sottolineare che non era
affatto mia intenzione insultare Linguaglossa come lei,Ennio Abate,
crede.io ho scritto che queste note sull’almanacco mi sembrano“le
pagine di diario di un sessantenne” per sottolineare che a
sessant’anni si è forse troppo grandi per continuare a scrivere i
diari del cuore e pubblicarli pure.
[Continua 1]
E.A. [continua]:
A Giorgio Linguaglossa rispoondo che ho parlato di sequela di
promozioni e stroncature(rilegga quel che ho scritto) non di
stroncatura e basta.quello di cui mi lamentavo era l’assenza assoluta
di argomentazioni,motivazioni, spiegazioni, non che lei bocci
qualcuno.possibile che il suo giudizio sia identico a quello
sull’almanacco dello specchio 2007?dopo 4 anni sono cambiate tante
cose, le poesie e i poeti di questo almanacco sono del tutto diversi
dalle poesie e i poeti dell’almanacco 2007. Possibile che dopo 4 anni
il discorso sia sempre poeti italiani=falliti, poeti
stranieri=vincenti?le sue stroncature sono tutto il contrario di“ un
ragionamento ragionato e ponderato”,sono preconcetti simili a quelli
dei leghisti verso i negher e i terùn.lei non ha espresso parere di
critico ma il parere di persona qualunque: mi piace non mi piace e
nient’altro.e non è vero che ci vogliono 50 pagine per esprimere una
motivazione, un rigo per ogni promozione e stroncatura basterebbe.se
voglio leggere un’analisi dell’almanacco vado altrove perchè in questo
post non c’è.e se un critico stronca per partito preso e ripete le
stesse cose da 4 / 5 anni su un libro ogni anno diverso forse e’ un
critico invidioso.
Infine a Maurizio Soldini consiglio di rileggere l’almanacco. questo è
l’almanacco più metapoetico che ci sia anche se non ci sono i critici.
uno può dire che è un peccato che non ci sono i critici ma non può
dire che manca un discorso sulla poesia. Soldini dice che si è
preferito lasciar parlare la poesia ma non si accorge che molte poesie
di questo almanacco parlano della poesia stessa. Per fare qualche
esempio sono metapoetiche molte poesie di Mussapi, Kemeny, Svenbro,
Rinck e Meledandri.
Spero di essere stata chiara.Ora cancellatemi pure.
elenamonferrato
Non ho letto l'Almanacco (l'ho solo sfogliato per la verità) e quindi non do giudizi di valore sui testi proposti. Mi sembra però che uno dei ragionamenti centrali (e che condivido) proposti da Linguaglossa in questa ed altre sedi sia questo: "quello che manca è una idea precisa di quale «discorso poetico» fare; temo che si vada un po’ alla rinfusa, per tentativi al buio, per privatissimi sperimentalismi, per originalismi e per privatissime ulcerazioni e ustioni". Insomma credo che la poesia sia diventata un territorio privatizzato, lontano da un confronto vero, autentico. Non avverto nostalgia per alcuna scuola letteraria, ma invece sento la mancanza di una dimensione collettiva, o quanto meno di un modo di fare poesia che aspiri ad un discorso collettivo.
Vito Russo
di poesia Lingluaglossa non capisce nulla, e della qualità delle traduzioni di Srena Vitale delle poesie di Mandel'stam meno che nulla!
anche Remo Faccani come traduttore non è gran che; come saggista va bene, come filologo cos' preciso da essere è un po' pedante: il punto è che non è poeta.
Linguaglossa traduttore di Milosz? : è da ridere!!! Sto esaminando queste sue traduzioni.
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