di Ennio Abate
di Ennio Abate
Su Poliscritture la pubblicazione di un articolo di Marcella Corsi anche le tartarughe forse nella pioggia ha avviato una discussione sui vecchi temi della differenza (vera o fittizia) tra poesia e poesia d'impegno politico e sul diverso atteggiamento (anch'esso non so quanto reale e quanto immaginario) di uomini e donne nei confronti delle guerre. Ecco la mia posizione.
Prove per un approccio ecocritico ai versi di Fortini: Una obbedienza
di
MARCELLA CORSI
Per leggere l'articolo clicca QUI
di Ennio Abate
Tirando le somme (amare) dalla rilettura di due mie poesie del 2004/2007 (1).
e
le grida nelle nostre piazze?cessarono
e
gli spari?
si
smorzarono
e
le
speranze?
pure
ora
impuniti
tramortiscono
giovani
donne
operai
immigrati
braccianti
e
altrove?
torturano
e
ammazzano
sempre
lasciando viva
una
vittima
che piangendo
narri
dall’opulento
schermo
occidentale?
no,
lì si raccontano
le
serpi
più belle sorridenti
e
orride
dunque?
bestiole
offese
vite
inermi
barcollanti
speranze
voi, non vi ascolteranno
secca è la rosa rossa nel bicchiere
Possiamo solo morire?
....
23 giugno 2004
Appunti
Riordinadiario
moltinpoesia 2002
di Ennio Abate
1.
Alla
poesia italiana la storia è ignota, non si assume il proprio stato
storico (96) |
[La
storia è storia dell’anima, cioè non-storia (105). Vari
esempi: Saba: «Il tempo entro cui si dispongono le esperienze… è
cronologico-biografico, con i suoi riferimenti a casi familiari e
sentimentali, nel senso di un romanzesco privato o microsociale,
mentre gli eventi sovraindividuali – prima guerra mondiale o guerra
del «fascista abbietto» e del «tedesco lurco» - restano sullo
sfondo (106)
Ungaretti: in lui il tempo è categoria
metastorica, neppure psicologica (106).
Montale: il tempo si
cerca… in prossimità della «crisi» esistenziale… i riferimenti
agli eventi sociali e civili s’infittiscono, ma si tratta di un
mondo «disertato da esseri umani e attraversato solo da messaggi
cifrati, da angeli travestiti da demoni… e da lemuri animali, la
riduzione degli eventi umani a quelli naturali e della guerra a
«bufera» è continua e spontanea (106)
Mentre nella poesia
recente (fine anni ’50, quindi siamo alla poesia
critica di Majorino)
«passato, presente e futuro tendono invece a riferirsi a eventi
collettivi, su quelli si ordina la biografia.
Il passato è
l’infanzia e la giovinezza ma anche e più spesso il tempo del
fascismo…
questo
inserimento delle biografie in un complesso di eventi ha voluto dire
anche inserire il proprio passato e il proprio futuro nel passato o
nel futuro di un popolo, o classe o genere umano (107) ]
24
gennaio 2011
Ennio Abate a Lucio Mayoor Tosi e a Eugenio Grandinetti
Se sto su una spiaggia affollata da molti bagnanti e vedo una persona che sta per affogare, mi rivolgo ai pochi a me vicini, che mi possono sentire e darmi una mano. Non alla folla lontana e distratta, alla quale le mie grida non arrivano o giungeranno incomprensibili. Per questa scelta qualcuno mi potrebbe mai accusare di aver voluto rivolgermi a pochi con l’intento di «creare nuove élites»?
di Ennio Abate
Ué, Salierne, ire china e zitelle
cu l’uocchie triste. Cummannata
ra prievete e avvocatuzze smuorte.
T’assaggiaie. ‘Na cirasa acre ire.
Po sì maturate. E sò maturate
e figliole ca, qunn’ere giovane
e me ne jette, nun permesse
accuvate, luntane viriette.
Mò, si e sere so cumm’allore
e pe vie toie nu poche chiove
ancore, a piaghe nun se sana
chiù e ma porte appriesse.
Nun chiù presepie, munne sì.
Cumm’ati munni scumbinate.
E a lengua - mia e toia - accussì
antiche? E' raggia. O è niente.
4 giugno 2024
Ué, Salerno, eri piena di zitelle / dagli occhi tristi. Comandata/
da preti e avvocatucci pallidi. / Ti assaggiai. Una ciliegia acre eri. //
Poi sei maturata. E sono maturate / le ragazze che, quand’ero giovane e me ne andai,/
vidi proibite,/ nascoste, da lontano. //
Ora, se le sere sono come una volta e per le tue vie nu poche chiove */
ancora, la piaga non guarisce / e me la porto con me. //
Non più presepio, mondo sei. / Come altri mondi scombinata./
E la lingua – mia e tua – tanto /
antica? E’ ira. O è niente.
* da Salvatore Di Giacomo.
Appendice
Versione pubblicata in “Immigratorio” (CFR 2011)
Uè, Salierne!
Che città cummannate ra prievete
chiene r’avvocatucci pallid’e zitelle
cu l’uocchie triste
ca ire!
T’assaggiaie, ‘na cirasa acre ire.
Sì maturate. Sò maturate
e figliole ca viriett’e studentess’e
ma cose nascoste, punizione
sì state
e sì rimaste!
Me ne jette nu juorne
e mò torne ancore.
È sere, nu poche chiove
ma rammelle jà
chelle ca m’accuvaste
quann’ere guaglione
e ‘mparave a vulà
cumm’a n’aucielle.
Sì, vulave, vulave
e vulive ì luntane!
Ma e scelle erene debbule
e te l’aje spezzate partenne
prime ro tiempe.
A piaghe ca te sì purtat’appriess’e
nun t’a pozze curà cchiù.
Tuorne viecchie. E vecchia
me truove.
Nun sò chiù presepie
ma munne cumm’ati munni
tutta scombinate.
Chelle ca teneve to diette:
sta lengua antiche
lengua e malincunie
ca parlavene e pariente tuoje
pe rusculià storje e mmuorte
ambresse ambresse
accussì strengevene meglie
a raggia mmiezz’e riente.
____________________________
Ué, Salerno!
Che città comandata da preti/ affollata da pallidi avvocatucci e da zitelle/
dall’occhio triste/ fosti //Ti assaggiai, eri una ciliegia acre./
Sei maturata./ Sono diventate mature/ le fanciulle che vidi studentesse/
ma cosa non svelata, punizione/ sei stata/ e sei rimasta!//
Me ne andai un giorno/ e adesso torno ancora.
È sera, nu poche chiove/ma dammelo (suvvia)/
ciò che mi nascondevi/quand’ero ragazzo/
e imparavo a volare/ come un uccellino. //
Sì, volavi, volavi/ e volevi andare lontano!/
Ma le tue ali erano deboli/ e te le spezzasti partendo/
prima del tempo./ La piaga che ti portasti dietro/
io non posso più curartela./ Torni da vecchio. E invecchiata/
trovi anche me.// Non sono più presepe/
ma mondo come altri mondi/ tutta in disordine./
Quello che avevo te lo diedi:/questa lingua antica/
lingua di malinconia/ quella che parlavano i tuoi parenti/
per rovistare nelle storie dei loro morti/
ansiosamente,così stringevano meglio/
la disperazione tra i denti
di Ennio Abate
Frate do mie, nun siente?
A morte e papà è venute.
L’aucielle se n’è gghiute: fujette ncopp’o chiuppe, fujette all’agunie;
scennette chianu chiane, po cchiù nziste o tempurale tutt’o munne murette ca isse suppurtave.
A povera mamma noste,
muzzecate da pazzia,
chiagne e scappe pa vie,
nnanze e deret’a case,
co cirvielle scummugliate.
Smania dint’a lu liette;
e sule o velene tocche,
ch’a morte ce lasciaje.
Mo o vviente scete e muorte,
menanne int’a cunette
sciure carte e canzone.
(2004)
* Fratello mio, non senti?| La morte di nostro padre è arrivata./ L’uccello se n’è andato:| fuggì sopra il pioppo,| fuggì dalla [sua] agonia;/ scese piano piano,| poi più forte il temporale;| morì tutto il mondo| che egli sopportava./ La nostra povera madre,| morsicata dalla pazzia,| piange e scappa via,| davanti e dietro la casa,| col cervello scoperchiato./ Smania dentro il letto;| e si nutre solo del veleno,| che la morte ci ha lasciato./ Ora il vento risveglia i morti,| trascinando dentro le cunette| fiori, carte e canzoni.
*Disegno del 2016 di Tabea Nineo
di Ennio Abate
Sta’
nell’anonima compagnia dei molti
che in sottoscala, in
eremitaggio, in rivistine e siti
scrivono.
Sta’ in basso addosso a un mondo basso.
Vivi
con loro: bollette da pagare
lavoretti coatti da sbrigare
letture
da pausa mensa e a tarda notte
qualche amore
d’assaggiare.
Una qualsiasi vita con corpi qualsiasi.
E
però
metrica all’ingrosso
andatura sciancata
scrivi
scrivi.
Non smettere.
Non importa dove andrai a parare
e se
le parole si dissiperanno
nel Gran Vuoto.
Resta
in allerta
nel ventre di questo Niente
dove
- la carne
della vita freddata,
la parola congelata -
hanno condotto
– scrisse uno* –
la mente.
Le
avevamo baciate quelle carni.
Le avevamo amate quelle parole.
E, però, poi ci siamo chinati su corpi
svegliati e massacrati a botte
o
in altri modi straziati.
Sappiamo ora quale realtà era stata preparata.
Raccogli ora quei cocci di passato.
Liscia le tonde parole dei maestri.
Arràmpicati su pensieri scoscesi.
Fossero di Storia, di Dio, di Nulla.
Fievole e audace porta con te
il talismano dei molti in poesia.
Non
temere la tua e la loro follia,
il brusio.
Prima
o poi ritroveremo
i Santi Padri di Amelia.**
E questo
corpaccio di mondaccio
l’abbracceremo
e diremo
in
lingua nuova levigata e saggia.
(20-26 luglio 2015)
*
Rielaborazione di «Mi chiamo moltinpoesia», introduzione alla
serata del 26 marzo 2009 alla Casa della Poesia di Milano - Palazzina
Liberty.
Nota di Riordinadiario 26 maggio 2024
Verso fine luglio (2015) segui su vari siti il dibattito nato da un articolo di Alfonso Berardinelli («Se la collana di poesie Mondadori chiude è perché non ci sono più poeti pubblicabili»). Ne venne, per reazione, questa mia difesa dei moltinpoesia. (Da non confondere con la difesa dei comportamenti furbastri e vanitosi, che non mancano tra i suoi rappresentanti reali).
* Mi riferisco ai versi di Franco Fortini: Hanno
portato le tempie / al colpo di martello / la
vena all' ago / la
mente al niente. (Italia 1977 - 1993, in Composita solvantur, Einaudi, Torino, 1994.
** Amelia è Amelia Rosselli