domenica 20 febbraio 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Stelvio Di Spigno
Tre poesie



Carità

Ora vedo con il senso peggiore, la chiarezza
di una mente impallidita, il lampeggiare
di una casa sul Lido di Ostia e due ragazzi in amore
ch’erano dentro a quel loro solo mondo e

come sognavo il loro stesso mondo, il loro
luogo che non mi apparteneva, ma alla fine
volevo essere lui, volevo essere lei,
che posso farci se non so chi sono:
volevo replicarli e a nessuno è concessa
questa follia di chi è nato per niente.

L’avrei vista in una chiazza di dolcezza
forse rancida dopo pochi anni
avrei nuotato insieme a quel suo corpo,
è troppo bello non essere se stessi.

In una casa lì sul Lido di Ostia
rimane un libro e una dedica in segreto
è lì che la mente ci si ammala
per capire come nascere di nuovo
e con una camicia incrostata di sabbia mentecatta
copriamo ogni luce e facciamolo apposta
perché nessuno mi incontri da vicino
e nessun occhio mi veda mai più.

sabato 19 febbraio 2011

MOLTINPOESIA CONTRIBUTI
Cronache di poesia del Novecento
di Maurizio Cucchi
Recensione di
Giuseppe Beppe Provenzale


 




Cucchi-san
attenziona la platea
illuminandola

Un haiku forzato per sintetizzare una serata assai speciale alla Palazzina Liberty.
Alcuni dei nomi più significativi della Poesia milanese (e nazionale per traslato) erano presenti alla “prima” del volume di Maurizio Cucchi Cronache di poesia del Novecento (Gaffi, 2011).
“…Se fossi stata ancora un’insegnante l’avrei raccomandato come testo scolastico” ha commentato Valeria Poggi, curatrice dell’opera.
Una ciclopica raccolta di ritratti introduzioni e saggi che Cucchi - dal periodo dell’Università Cattolica ad oggi - ha pubblicato su La Stampa, Belfagor, L’Unità, Panorama, Linus, Il Giornale, Paragone...
I più significativi poeti italiani del Novecento sono stati recensiti e commentati in profondità, a volte semplicemente elencati o letti per dovere di cronaca, a volte partecipati con la forza dell’io poetante. In sala sono risuonati i nomi delle grandi figure del secolo: Raboni, Saba, Ungaretti, Rebora, ma casualmente non Montale e Quasimodo.

venerdì 18 febbraio 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Luisa Colnaghi
Lussuria













Lussuria

Mare del desiderio
l'onda travolgente
frange l'animo acceso.

Lussuria dama sfrenata
danza del piacere
- sei servo annichilito.

Ossessione confusa
brama incontrollata
giovinezza e bellezza
divertimento senile.

Scontento e deluso
approdi al porto perverso
scendi più in basso
alla taverna del vizio.


DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Paolo Pagani
Poesie
introdotte da Enzo Giarmoleo


Milano reading , poetry slam, open words, letture.. un poeta, Paolo Pagani.

Sicuramente la sottile ironia è uno degli elementi fondamentali  della poesia di Paolo Pagani poeta, scrittore e filosofo. Ma per carità ! Non costruiamo stereotipi! Altrimenti  " i grumi del passato abbandonati non passeranno mai nel tritapelati ". Così dicono alcuni suoi versi ironici e inquietanti. Leggendo ci si accorge che molteplici sono le caratteristiche del suo mondo poetico. I giochi di parole  e la memoria del quotidiano si fondono continuamente con l´ironia senza soluzione di continuità. Il tutto diventa una concezione del mondo che assume nelle parole del poeta una leggerezza che ci solleva da certe cupe atmosfere poetiche che portano alla depressione del lettore e dell´ascoltatore. Anche i temi più tragici possono partire dall´ironia del quotidiano più familiare per approdare a precisi distinguo, prese di posizione contro la guerra.

giovedì 17 febbraio 2011

SEGNALAZIONE
L'Ulisse n.14
Il paese guasto
L'Italia vista dai poeti

L'ULISSE n.14

rivista di poesia, arti e scritture:

direttori: Alessandro Broggi, Stefano Salvi, Italo Testa

IL PAESE GUASTO 

 L'ITALIA VISTA DAI POETI


In mezzo mar siede un paese guasto
(Dante, Inferno, XIV, 94).

Tema di questo numero de L’Ulisse è “Il paese guasto”: è cioè incentrata, questa nuova uscita della rivista, sull'Italia, vista da poeti e da autori.
Tale la designazione: e se guarda all‘ampio di guasto in ogni forma di noi, dal nostro “vivere istituzionale” a ciò che coglie la nostra fiducia (di futuro, di presente), ed alla nostra “forma” di vivere (in comune, nel chiuso di noi e di identità nostre, chiuse dal fuori), anche vuole osservare le “cose attorno” – realtà di/del paesaggio, attorno a noi, entro cui viviamo, di che viviamo.
Ci è parso necessario: oggi, a centocinquant‘anni dall‘unità, le varie “percezioni”, i “possibili” (non solo a riguardo di “grado di soddisfazione economico”) davvero delineano il volto del Paese – le cui impossibili/possibili percezioni sono il nostro “volto” qui – e l’ “attuale” non può lasciarci come presenza che un interrogativo.
(tratto dall'editoriale di Stefano Salvi)

DA http://www.lietocolle.info/it/l_ulisse_n_14_il_paese_guasto_l_italia_vista_dai_poeti.html
dove si può scaricare il PDF del numero

mercoledì 16 febbraio 2011

CONTRIBUTI
Lucio Mayoor Tosi
Il nuovo

L’efficacia politica ha sempre di fronte queste alternative. Ma ai mezzi estetici non si può chiedere a priori di svolgere un compito immediatamente politico o di ottenere un esito prestabilito, proprio perché l’estetica è un tipo di discorso che, sebbene operi in un contesto politico e abbia una reale importanza come tale, deve essere considerato e accettato alle sue condizioni, e non costretto lavorare in modi impropri, più semplicistici e diretti. Il compito specifico del discorso letterario è operare al livello inventivo e immaginativo dell’originalità: se non è formalmente innovativo non è politicamente efficace, e neanche politicamente corretto.
                                                                                 ( Leonardo Terzo, Ridare funzione politica alla poesia. Leggere attentamente le istruzioni)

"se non è formalmente innovativo non è politicamente efficace, e neanche politicamente corretto."
Non so perché questa frase scritta da Leonardo Terzo mi sia rimasta in mente. Fa pensare alla fervida attività delle avanguardie di ogni epoca, eppure non è così perché quel "formalmente" è scritto chiaro. Non si tratta della ricerca del nuovo a tutti i costi, argomento già trattato ampiamente negli ultimi decenni, ma di una semplice questione formale: di linguaggio, di stile.  Al nuovo da dire, al nuovo nel contenuto del messaggio, non ci si pensa. Giunti alla fine del secondo millennio il nuovo stenta a farsi riconoscere e rischia una congestione chi si avventa sulle briciole.
Quel "formalmente" mi fa pensare che il nuovo potrebbe stare nel cercare di dire le cose che sanno tutti. 

La tecnologia ha fatto passi innovativi straordinari… eppure quando piove usciamo ancora con l'ombrello, e per leggere molti usano gli occhiali che sono invenzioni ormai secolari. Il nuovo non è solo, c'è anche il permanente, solo che lo diamo per scontato. Tutt'al più diciamo che è risaputo. 
Eppure non sono certo che sia così. Non possiamo dire con sicurezza quali sono le cose che sanno tutti, che tutti hanno dentro, nei loro pensieri e nelle loro emozioni.  Individuare le cose che sono in tutti potrebbe essere la novità. 
Se questo è vero, la ricerca del nuovo a tutti i costi è un difetto, e quel "formalmente", se lasciato solo, potrebbe essere alla fine insufficiente.

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Emilia Banfi
Se non ora quando?

Per una riflessione sulla "manifestazione delle donne" del 13 febbraio 2011









Donne offese
polline sulle strade
nelle piazze
in attesa del vento
lo stesso che soffiava
sulle nostre spalle
in quegli anni di brigate
di lotte senza reggiseni
che fare ora che tutto
è reggiseno col ferretto
di pizzi o di seta fine
come il filo dello slip.

CRITICA
Ennio Abate
Dan-Nazione Inglese-Indiana!

 Per continuare la discussione su poesia e politica.
Samizdat di E.A. pubblicato 14 febbraio 2011 alle 12:43  sul sito di NAZIONE INDIANA nello spazio 'commenti' del post

Poesia civilizzata sul popolo egiziano


di Andrea Inglese

Caro Andrea Inglese,
mi scuso per questa mia incursione incivile in Nazione Indiana. Le cose fuori dai denti che di seguito dirò forse oggi ti entreranno da un orecchio e usciranno dall’altro, ma io le invio a quel giovane che avevo conosciuto come studioso di Fortini e di Majorino, due scrittori vecchi più di me, ma che, in misura diversa e con scelte politiche e stilistiche diverse, non si erano/sono assoggettati alla democrazia pluralista di cui in questo sito senza bussole si discute.
La tua «poesia civilizzata/ in lingua umana, tutta scaturita da dentro», con il suo «contenuto» pur esso «in lingua umana», non mi è piaciuta. È ben scritta. Si “capisce” dall’inizio alla fine. Ma che me ne faccio della forma “bella” e “comunicativa”, se trasmette il pessimo e falso (per me) messaggio politico che in Egitto, con l’aiuto di Obama e degli USA, il “popolo” o “la gente” ««si fa la democrazia da sola», come se fosse in un paese liberato dai suoi invasori o dittatori?

sabato 12 febbraio 2011

CONTRIBUTI
Giorgio Mannacio
Sulla poesia


 Lettera aperta a Ennio [Abate]: non nel senso della polemica ma nel senso della natura pubblica e colloquiale

I.
Ho sempre messo la riflessione sulla poesia ( riflessione che ritengo necessaria ) dopo il fare poesia .Stento , dunque , ad entrare con specifica competenza in un discorso astratto e ideologicamente formulato sulla base di una mancanza di esperienza.
Poiché vivo la mia come una particolare forma di pensare il mondo ( termini che presuppongono una totalità) condivido molte delle tue riflessioni. Rispetto ad esse la mia lettera si presenta – dunque – come pubblica e colloquiale. Le tue considerazioni sono – credo – anche il frutto di quell’esperimento, impegnativo e interessante, che si chiama Moltinpoesia che ha portata teorica oltre che rilevanza pratica. Tale direzione porta inevitabilmente a riprendere , per sommi capi , la questione su come deve parlare la poesia ,nodo nel quale è compresa anche l’altra questione di che cosa si deve occupare la poesia.

venerdì 11 febbraio 2011

CRITICA
Ennio Abate
«Ragazzi
tanto per staccarci un po' dall'intellettualità…».
Sottotitolo: Ma se la spina l’abbiamo staccata
almeno dagli anni Ottanta!

Ennio Abate a Lucio Mayoor Tosi (scusandomi di aver fatto un post, ma nello spazio commento non c'entrava)

Siamo, infatti,  passati senza accorgercene dal ”siamo tutti intellettuali” (ai tempi di Gramsci, quando essere intellettuali era un privilegio per pochi e un’aspirazione per molti) all’ “Abbasso gli intellettuali” (ai tempi nostri, della TV, del Web, della società dello spettacolo).
E nella nostra mailing list serpeggiano eufemistici o sibillini messaggi che in sostanza dicono: Gli intellettuali  sono non-concludenti.(Io, con il mio intelletto, traduco: inconcludenti, cioè parlano e parlano ma non concludono un c…). La solfa viene ripetuta in vari modi. Con gran spreco d’intelletto, secondo me (perché per scrivere un post  e mettere  quattro frasi in fila un po’ d’intelletto pur necessita)  e abbondanza di fumo.

CONTRIBUTI
Lucio Mayoor Tosi
Gli intellettuali e l'esperienza



Ritengo che dal punto di vista esperienziale, l'attività intellettuale sia da ritenersi non-concludente. E ritengo che chi sostiene che gli intellettuali debbano svolgere il ruolo provocante del risveglio delle coscienze, vuoi nella direzione di combattere l'ingiustizia o più semplicemente per sconfiggere l'ignoranza che genera apatia e asservimento, si sbaglino se credono che ci si debba concentrare principalmente sul dissenso oppure sul miglioramento qualitativo della cultura. 

Manca il rilievo della verifica esperienziale, cioè l'osservazione dello stato delle cose, meglio se condotta senza l'ausilio di qualsiasi ideologia. Con questo non intendo puntare all'azzeramento del dibattito, al contrario vorrei porre un valore aggiunto e fin qui sottovalutato, quello per cui ogni idea intellettuale, ogni concetto e ogni aspirazione, debbano avere il coraggio di confrontarsi con la sensibilità e l'osservazione del vissuto personale.

mercoledì 9 febbraio 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Giorgio Mannacio
Il rogo












Se l’anima delle cose avesse un’anima,
 quella trasfusa in una età lontana
negli idoli di legno, nei frammenti
di una conchiglia che ha perduto il mare;
se il corpo delle cose avesse un corpo,
mille occhi per lacrimare,
sarebbe già sgorgata una fontana
a vincere quel fuoco.
Mai torneranno i teneri stranieri
intorno all’amaro gioco
evocato dal fango a meraviglia.
Se il vento conservasse la memoria
che chiamiamo innocenza
smetterebbe per sempre di ingannare
con sdolcinate stanze il disonore .
Questo è il messaggio:l’urlo delle madri
partorite alla morte
dei loro figli e al rogo dell’orrore.

Milano, 8 febbraio ’11

martedì 8 febbraio 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Autori vari
Nella ricorrenza
della "Giornata della memoria"
(27 gennaio)

In occasione della "Giornata della memoria" sono stati proposti alcuni testi poetici sulla tragedia degli ebrei sterminati nei lager nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Nella mailing list "interna" dei moltinpoesia si è svolta una vivace discussione concentratatasi soprattutto sul chiarimento dei significati letterali ma anche politici di termini come 'Olocausto', 'Shoah' e 'genocidio' e, secondariamente, sulla possibilità di accostare quella tragedia  ad altre passate o attuali. Non  essendo riusciti a concordare una sorta di "editoriale condiviso" che facesse da introduzione ai testi, pubblichiamo quelli finora ricevuti, invitando chi lo desidera a riprendere nello spazio dei commenti la discussione sia in generale sia sui testi pubblicati.
                          Redazione MOLTINPOESIA

lunedì 7 febbraio 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Giuseppe Beppe Provenzale
Poesia per Amaro ammore




I giorni in cui ci si ama da soli



Al mare d’inverno
vai
via da me in libertà sofferta solitaria                      uccelli scuri volano bassi e pochi

La fine della terra                                                 profonda  solida
ti maratona
lingua di parole fatte sabbia                      
e pensieri
fuori dalle lenzuola sahara

Sì e no
abbiamo smesso
interrotto
non continuato più
passione e quel gioco di carte
senza fante di cuori


Ora                                                                       nel mentre del tuo pietroso mare d’inverno
Ora
e per dopo
rimetterò questa carta nel suo mazzo
con il re di spade
e le famiglie di rovi
che sulla spiaggia rotolano
e graffiano le mie spalle lontane



Giuseppe Beppe Provenzale

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Matteo Bonsante
Tre piccole liriche



ADAGIO CON MOTO
  
Dal mare sorge la luna.
improvvisa:
nella pienezza della sua
essenza
         circolare
                   tranquilla
                              onniveggente
e si disvela il mondo

le fragili frange
delle nuvole basse
agli orizzonti
gli stagni taciti
tra i canneti
i muschi, le raganelle
e le maree e i tetti
in marcia
nella fresca notte.
  

sabato 5 febbraio 2011

CONTRIBUTI
Amaro ammore
Recensione di
Giuseppe Beppe Provenzale



Cosa succede a Monza?

Continua il permanere delle fortune della Poesia. Non quella Aulica Declamata Viscerale che frequenta aule scolastiche, circoli(ni), nicchie (finto) snob e radical chic, ma.
A Monza c’è Poesiapresente, gruppo di lavoro (un nome per tutti: Dome Bulfaro) che, con un’azione autenticamente culturale (e programmazione sociale al seguito), produce, propone e spettacolarizza brani, occasioni, performance e sentimenti adiacenti l’attività più nobile dell’umanità. Un unicum che altrove e da altri é etichettato come Poesia antica, moderna, elegiaca o ermetica, civile (solo con certe coloriture politiche) o disimpegnata, così-così, merdaccia (da Ungaretti) ecc.
A Monza vivono l’uomo di sempre, la società d’oggi e le sue vibrazioni contemporanee permanenti i sentimenti antichi.

CONTRIBUTI
Giorgio Mannacio
Emozione e struttura














1.
Si può conoscere solo quello che si fa. Il poeta può essere un pessimo critico soprattutto se oggetto della critica sono i propri versi. Ma certamente è l’unico testimone attendibile del tempo e dei modi che segnano la nascita di un testo poetico.
Questa testimonianza non dà luogo a criteri di valutazione estetica ma porta all’individuazione di come venga alla luce l’oggetto di una tale valutazione.
Si tratta di un’esperienza esistenziale che non può essere sostituita da altre.
2.
La descrizione dei modi e dei tempi si può fissare nei termini che seguono.
Si tratta – è bene avvertirlo subito – della descrizione di un processo che è ,assieme,naturale e culturale . Nel primo aggettivo sono compresi fattori che riguardano anche la nostra struttura neurologica e per i quali , a volte, i termini esatti sarebbero difficilmente comprensibili nel linguaggio comune. Tale difficoltà porta ad avvertire che nella descrizione di tale processo l’uso di similitudini e metafore può rivelarsi necessario.

giovedì 3 febbraio 2011

CONTRIBUTI
Ennio Abate
Da quali nemici e falsi amici
si devono guardare i poeti (esodanti)
[ Seconda puntata]


Dopo aver letto «attentamente» le «istruzioni» di Leonardo Terzo.

Il saggio di Leonardo Terzo (CRITICA.Ridare funzione politica alla poesia: leggere attentamente le istruzioni) è d’alto livello teorico e merita, com’egli chiede, un commento non superficiale. Qui sotto espongo il mio. L’intento:  dichiarare lealmente e spero senza forzature i punti (pochi) sui quali concordo con lui e quelli sui quali sono perplesso o in disaccordo. Sarò stato forse troppo analitico, ma la fretta oggi di moda è nemica dell’intelligenza e, per quel che posso, la rifiuto. Chi non ha tempo da perdere e vorrebbe  ridotti a spot questi argomenti, passi ad altro.

venerdì 28 gennaio 2011

SEGNALAZIONE
Laboratorio MOLTINPOESIA
3 febbraio 2011 ore 18

La casa della Poesia

Milano

stagione 2010-11, ciclo moltinpoesia


giovedì 3 febbraio 2011 ore 18
Palazzina Liberty, Largo Marinai d'Italia 1

laboratorio Moltinpoesia

serata a curadi Ennio Abate 
DA QUALI NEMICI (E FALSI AMICI) SI DEVONO GUARDARE I POETI?
A proposito di  poesia civile, impegno in poesia e rapporti tra poesia e realtà

Partecipa Tito Truglia di FAREPOESIA rivista di poesia e arte sociale
La Casa della Poesia - Milano © 2011

SEGNALAZIONE
FAREPOESIA
Rivista di poesia e arte sociale

 È disponibile il quarto numero della rivista. 142 pagine a colori. 12 euro (comprese spese di spedizione. Richieste a titoxy@libero.it.

CONTRIBUTI
Ennio Abate
Da quali nemici e falsi amici
devono guardarsi i poeti (esodanti) [Prima puntata]


Il Laboratorio MOLTINPOESIA è stato  percorso fin dai suoi inizi da spinte che potrei chiamare endogamiche ( la poesia è autonoma, occupiamoci di poesia e basta, qui si parla di poesia e basta) e da spinte eterogamiche (l’autonomia della poesia è relativa, la poesia non vive d’aria ma si nutre di  quotidianità, storia, vita sociale). Guardandoci attorno i discorsi non sono diversi. Ci sono quelli che ritengono che la poesia possa avere rapporti più o meno intimi ma tra “simili” ( tra saperi simili)  e, quindi,con le altre arti “sorelle” come pittura o oggi arti visive o a massimo con  discipline “consolidate” come filosofia,  teologia, psicanalisi (delle scienze nessuno parla o se ne parla a mezza bocca).  Solo pochi “retrogradi” come me vengono accusati di volerla spingere tra le grinfie della politica o distoglierla da un rapporto  che sembrerebbe monogamico ed obbligato con la bellezza (o Bellezza) e portarla a sporcarsi con le “cose brutte” o con gli orrori del mondo in guerra o in ebollizione.
Allora, evitando “scomuniche” o “etichettature”, e mantenendo il discorso sul piano del confronto tra opinioni  e interpretazioni diverse,  tento qui di approfondire il discorso. E lo farò in tre puntate: la prima per riepilogare e documentare come si è presentato nel Laboratorio MOLTINPOESIA  il contrasto tra poesia  e politica (in particolare); la seconda per analizzare l’articolo di LeonardoTerzo, Ridare funzione politica alla poesia: leggere attentamente le istruzioni per  segnalare i punti d’accordo e quelli di disaccordo; la terza per precisare  la mia posizione favorevole a una poesia che chiamerei (spiegherò perché) «esodante».

  1. Prima puntata: Promemoria:  Siamo seri, qui nessuno vuole ridurre la poesia a politica immediata

mercoledì 26 gennaio 2011

CRITICA
Leonardo Terzo
Ridare funzione politica
alla poesia:
leggere attentamente
le istruzioni.

Da http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2011/01/ridare-funzione-politica-alla-poesia-leggere-attentamente-le-istruzioni.html









La questione di ridare una funzione politica alla poesia e alla letteratura deve affrontare il problema della particolare natura che l’arte ha assunto dal momento in cui, dal Settecento, si è resa una significazione autonoma, dando luogo al campo concettuale dell’estetica.
Il problema sta nel fatto che la produzione della bellezza - fine specifico dell’estetica - utilizza comunque dei materiali che appartengono a tutti gli altri campi della realtà umana, cioè il sapere o i saperi. Tali materiali hanno un loro significato e valore originario, che viene trasformato e trasfigurato, e quindi osservato, fruito e interpretato in un nuovo contesto funzionale, culturale e addirittura “cultuale”, dove acquista un suo senso “altro” e specifico.

martedì 25 gennaio 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Ennio Abate
Lettera di lamento di Karl Bis
Da "IMMIGRATORIO" (inedito)












 Alla stazione si erano salutati commossi. Si interrompeva la loro lunga amicizia. Per anni si erano frequentati quasi ogni giorno. Adesso si erano tolti ai reciproci sguardi. Ora il filo residuo con SA erano le lettere di Karl Bis, che cercò di farlo tornare. Ma Vulisse, estraneo tra estranei, s’aggirava  per stazioni, strade e solo in qualche parco per attimi si  riposava, rimuginando quelle parole. Sì, erano moti di gabbia in gabbia i suoi e  sapeva che all’amico ormai giungevano opachi e indecifrabili. Lui dal presepe s’era tolto e accusava l’altro d’esserci rimasto  e di non intendere più quel suo dolore da supermercato, le acrobazie che faceva tra pensioni e strade, il vento di folla ignota che lo sfondava e  portava via la comune, giovanile elegia. La speranza sua stava in quel vento. Ma sentiva di esagerare quando diceva che l’amico era rimasto nello stagno, nella pausa, sotto i cieli calmi o le cupole gloriose da secoli inerti.

Per la comune miseria assieme condivisa
e il duraturo malessere che s’ammucchiò poi
alla rinfusa nei giorni, per la marcita di silenzio
ch’oggi copre quel passato, ripeterò ossessivo
il saluto, l’atto paziente e gentile della parola
dinanzi all’oscura maturazione che ti staccò da noi.
Una volta servì a vigilare - ricordi? -
sul continuo morire della vita circostante.


(Ma cumm’e fatt a te ne ì, a stà senza nuie?
Nun putive sta ccà, sì, miezz’a sta miserie?
Nu vire quanta marvagità s’accocchia juorne
doppe juorne? Cumm’uve abbandonate
a vita nun sona chiù. Ah, si te truvasse e te
putesse chiamà pe nnome! Tenghe pronte
na parole gentile cumm’a chelle ca mettene
tranquille e malate ca tenene paure e murì.[1])

CONTRIBUTI
Donato Salzarulo
«Cartoline dai morti»
di Franco Arminio.
Appunti di lettura













  So che morirò, ma non lo credo
                                                                    J. Madaule

Al termine della lettura dell’ultimo libro di Franco Arminio, «Cartoline dai morti» (Nottetempo, 2010, pagg.137, euro 8,00), mi è tornata in mente una massima di Spinoza. Cito a memoria: l’uomo libero su nessuna cosa riflette meno che sulla morte. La sua sapienza non è meditazione della morte, ma della vita.
In fondo, mi sono detto, i morti non scrivono nulla e chi attribuisce loro delle cartoline è un abile e sperimentato scrittore vivo (io preferirei di più definirlo poeta) che utilizza questa intelligente finzione per parlare d’altro. Della vita, direi. Della vita dei singoli e di tutti che sappiamo tragicamente mortale. Ogni storia deve finire / ogni pigna di glicine sfiorire.
E’ probabile che il filosofo olandese, come Epicuro - ricordate? La morte non ci riguarda, finché viviamo non esiste e, quando sopraggiunge, noi non ci siamo più - , mascherasse dietro quel suo pensiero la disperazione, l’angoscia del dover, comunque, morire. Probabile che volesse convincersi di un pensiero di cui forse non era intimamente convinto; non è escluso che stesse esorcizzando. E’ vero, però, che della morte parlano solo i vivi. In chiusura, è l’autore stesso a confessarlo: «I morti non ti pensano, non ti mandano nessuna cartolina.» (pag. 136)

domenica 23 gennaio 2011

CONTRIBUTI
Enzo Giarmoleo
Una sera al
Centro Sociale “COX 18”
di Milano


















Milano18 dicembre 2010   
“Slam X”  Proposto dalla Casa Editrice “Agenzia X”
Una sera al Centro Sociale “COX 18” di Milano
 
Oggettivamente nessuno avrebbe potuto dire che ad assistere  c'erano solo i familiari o gli amici  dei poeti o solo quelli del centro sociale o solo gli addetti ai lavori. La folla fuoriusciva dallo spazio intorno al palchetto, teatro delle performance musicalpoeticoletterarie, e inondava il cortile dove erano stati allestiti sotto un grande gazebo, banchetti per esporre i libri dell’editoria indipendente. Il flusso umano continuava fino alla Calusca, la Libreria Tempio, dove facilmente si possono trovare - cosa rarissima in Italia - anche libri in lingua originale della City Lights di S. Francisco. Una forza gigantesca, un esempio storico di ripresa della cultura. Mi chiedo quanti giornali abbiano parlato di questo momento magico.

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Alberto Accorsi
Mode












Buongiorno a tutti,
27 Gennaio, giorno della memoria,ecco una mia poesia:
Mode
Nemesi
l’angoscia che ora stringe le gole
dei legnosi insetti neri
 
Ieri
sciamavano a piccoli gruppi per
le strade bancarie di Sondrio
 
Belle
le loro  ragazze in casual vestite
abiti finto-stracci-lusso la elegante
 
Mimesi
di quelli che tra i sacchi  di spazzatura
sonnecchiano ancora.

mercoledì 19 gennaio 2011

SEGNALAZIONE
L'impegno in poesia oggi
giovedì 20 gennaio 2011 ore 21
Palazzina Liberty

 

La casa della Poesia

Milano

stagione 2010-11, ciclo poesia e critica
giovedì 20 gennaio 2011 ore 21

L'impegno in poesia oggi

serata a cura di Tomaso Kemeny e Giancarlo Majorino
Dibattito sulle potenzialità della parola poetica di incidere sul reale e sulle modalità di assunzione della realtà nel verso.
Ennio Abate e Quirino Principe si confronteranno su questi temi, leggendo anche propri versi.

martedì 18 gennaio 2011

CRITICA
Giorgio Linguaglossa
Il minimalismo
romano-milanese.
L'alleanza funesta


Anticipo un paragrafo del libro di Giorgio Linguaglossa "La poesia italiana dal 1945 al 2010" in corso di stampa presso l'editore Edilet di Roma.  Nel parlare di autori affermati come Patrizia Cavalli, Vivian Lamarque, Valentino Zeichen, Valerio Magrelli, Gianni D'Elia, Franco Marcoaldi, Franco Buffoni, il critico romano spezza un conformismo di giudizi favorevoli abbastanza diffuso e pone un serio problema: 
"Siamo così giunti all’ultima soglia del minimalismo, dove il minimalismo sfocia nel qualunquismo, nella crisi della cultura ludico-ironica che è finita nel blog di Raitre, nella cultura che è finita  nel canzonettismo di massa e nel cabaret di massa; dopo di che non resta nulla, c’è una spiaggia bianca e trasparente di conchiglie colorate…  d’ora in avanti si apre una strada tutta in salita: non resta che sperare in un ripensamento generale sullo scadimento e sul discredito cui è pervenuto l’oggetto «poesia»… la poesia diventa un atto di fede nel futuro".
E' un buon motivo per discuterne. [E.A]



Il libro di esordio di Patrizia Cavalli Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974) segna, con alcuni anni di anticipo, l’inizio del riflusso della cultura del ’68. La poetessa romana mette la parola fine ad ogni tipo di poesia dell’interventismo: alla poesia politica, ideologica, civile, impegnata, ed apre la strada del disimpegno, dello scetticismo «privato» e del ritorno al «quotidiano». L’andamento colloquiale, i toni da canzonetta, più che da canzoniere, il piglio scanzonato e disimpegnato, un certo malizioso cinismo e scetticismo, l’esibizione spregiudicata del «privato», anzi, dell’abitazione privata (nella quale avviene il processo di teatralizzazione dell’io), l’esibizione del certificato anagrafico, del certificato medico, la preferenza per gli oggetti «umili» del quotidiano, l’ironizzazione dell’io lirico, la deterritorializzazione del «pubblico» sono tutti elementi che diventeranno presto paradigmatici (e sinallagmatici) e saranno presi a modello dalla nuova generazione di poetanti. La poesia diventa sempre più «facile», ironica e spiritosa, di conseguenza cresce a dismisura la frequentazione di massa di un certo tipo di epigonismo. In altre parole, Patrizia Cavalli è per Roma quello che Vivian Lamarque è per Milano. Entrambe sono modelli irraggiungibili. Entrambe aprono la sfrenata corsa in discesa del minimalismo romano-milanese. Un minimalismo acritico, disponibile, replicabile e ricaricabile all’infinito da una smisurata schiera di poetesse e poetanti del nuovo «privato» massificato delle società della post-massa. La poesia diventa un genere commestibile, replicabile, riciclabile in pubblico, nei caffé letterari e nei cabaret. D’ora in poi la poesia tenderà a somigliare sempre di più alle filastrocche dei comici di cabaret. L’amore mio è buonissimo è l’opera di esordio di Vivian Lamarque (1978), seguono Teresino (1981), Il signore d’oro (1986), Poesie dando del Lei (1989), Il signore degli spaventati (1993), Una quieta polvere (1996), e il riassuntivo tutte le Poesie 1972-2002 (2003). È subito un successo di pubblico e di critica. È la tipica poesia femminile degli anni Ottanta: finto-amicale, finto-individuale e finto-sociale; dietro questo impalpabile spartito di zucchero filato e banale puoi scorgere, come in filigrana, la durezza e la rozzezza del decennio del pragmatismo e dell’edonismo di massa, il decennio del craxismo, della ristrutturazione industriale e della ricomposizione in chiave conservatrice dei contrasti di classe del decennio precedente. È una poesia facile, buonista, igienica, ironica, colloquiale, finto-sincera, finto-amicale, finto-problematica, finto-delicata, finto-infantile fatta di un’aria sognante, di piccole gioie e piccole vicende familiari: il «privato» da lettino psicanalitico è squadernato sulla pagina senza alcuna ambascia. Un finto infantilismo (accattivante, disarmante e smaccato che mescola furbescamente il tono da fiaba con lo spartito finto-infantile), è diluito come colla appiccicosa un po’ dappertutto con una grande quantità di zucchero filato e un pizzico di tematica «alta» (la «morte»), così da rendere più appetitoso il menù da servire ai gusti di una società letteraria ormai irrimediabilmente massmediatizzata e standardizzata. Poesia che è, ad un tempo, il frutto tipicamente italiano della eterna arcadia che ritorna, come il ritorno del rimosso, nella cultura italiana che, da questo momento, conoscerà un lungo momento di oscuramento e di obnubilamento.

domenica 16 gennaio 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Luisa Colnaghi
Italia














Cara Italia, terra di lotte,
dolore, lutti  per l'amore
di unione, per l'ideale di patria,
una stretta di mano
camicie rosse e corona reale,
il vento soffiava
portava  inni di gloria,
trionfava la bandiera tricolore.

Centocinquanta anni, 
fra odio fratricida
e correnti di guerra,
spira un vento debole 
sulla bandiera repubblicana,
tu sei ancora  piccola.

Una scissione vagheggiata con
gonfalone verde, emblema di gesta
antiche - patria non costituita.
Da secoli:
“..nave senza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma  bordello!” *

Oltre la tempesta  troverai
azzurro il bel cielo italiano.

*(Dante Purg, C. VI)

SEGNALAZIONE
Il sito di poesia
di Paolo Pezzaglia

Cari amici,
sto "indicizzando" il mio blog: parla di poesia e, ovviamente, stenta ad uscir fuori...
VISITATELO... GRAZIE!
/http://www.paolopezzaglia.altervista.org/
vi ho pubblicato l'ultima mia stramberia neotolemaica...
qualcuno potrebbe trovarla interessante
ditemi cosa ne pensate... con un "post"... se avete tempo...vediamo se funziona
GRAZIE
  Paolo Pezzaglia



Vecchia terra stanca e pesante,
con miliardi di umani in inclinata
rotazione nell’etere incorporeo:
quale nome avevi all’inizio del tempo?

Girano nuove primavere, estati,
autunni; poi ci rinchiudono
lunghi, gelidi inverni.
Ad ogni equinozio i fiori
rinnovano la speranza,
e il sole dello splendido giugno
torna a riscaldare la pelle e
il sale della brezza marina
purifica il respiro!

Confido nel mistero del cielo,
confido nel benefico ciclo delle stagioni,
confido nel mare che rigenera la vita.

LETTURA CONSIGLIATA
(da Luciano Roghi)
Rafael Alberti
Si sbagliava la colomba









Diamo l'originale e la versione (crediamo corretta) della poesia di R. Alberti.
Lasciamo in nota la versione precedente del post criticata.
 SE EQUIVOCÓ LA PALOMA
Se equivocó la paloma.
Se equivocaba. Por ir al norte, fue al sur. Creyó que el trigo era agua.
Se equivocaba. Creyó que el mar era el cielo; que la noche, la mañana.
Se equivocaba. Que las estrellas, rocío; que la calor; la nevada.
Se equivocaba. Que tu falda era tu blusa; que tu corazón, su casa.
Se equivocaba. (Ella se durmió en la orilla. Tú, en la cumbre de una rama.)


LA COLOMBA SI SBAGLIO'

La colomba si sbagliò
Si sbagliava. Invece di andare al nord, andò al sud, credeva che il grano fosse l'acqua.
Si sbagliava. Credeva che il mare fosse il cielo, che la notte fosse la montagna.
Si sbagliava. Credeva che le stelle  fossero l'alba, che il calore, la nebbia.
Si sbagliava. Credeva che la tua gonna fosse la tua camicia; che il tuo cuore, fosse casa sua.
Si sbagliava. ( Essa si adormentò a riva. Tu, in punta a un ramo.) 
                                                        

 Nota.

Ma si sbagliò la colomba ma si sbagliava.
Cercava il nord ma era il sud,

pensò che il grano era l'acqua.
Ma si sbagliava.

Pensò che il mare era il cielo
e la notte la mattina.
Ma si sbagliava.
Vedeva stelle e la rugiada,

aveva caldo c' era la neve e si sbagliava
perchè credeva...

giovedì 13 gennaio 2011

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Raffaele Ciccarone
Un cane













un cane
di cane il fardello
postumo a svuotamento
non menzionabile
per stomaci o stili
ostili civili, civici fini
lasciato incusto - dito
dito indicante lubidrio
da evitare altrimenti
pronto per essere pestato
non tanto per offesa
a decoro, ma per evitare
insozzamenti o altri impedimenti
sporcare sembrava un gioco
da ridere, ancor più
se la rideva il padrone del cane
che abbaiava, latrava
girando intorno a pali
alberi raspando terreno
forse arrabbiato col padrone

lunedì 10 gennaio 2011

DISCUSSIONE
Ennio Abate @ Leonardo Terzo: Bellezza non censurarmi!



Non sono un patito della Bellezza né in poesia (mi pare di averlo chiarito nella discussione con Tomaso Kemeny) né nella vita.
E perciò che i versi di Cronaca di performer siano  brutti per te o per altri m’importa poco. Di più m’importa che un parere improvvisato o un giudizio convinto da parte tua o di altri lettori di questo blog venga argomentato. E tu non l’hai fatto. Anzi ti surriscaldi fino a dire una falsità: «la bruttezza dei versi [di Ennio] è un’irrisione e un insulto alle drammatiche condizioni che si vorrebbero evidenziare». (Spiega, per favore, dov’è l’irrisione o l’insulto in Cronaca di performer). In più insinui il sospetto che il mio (permetti che ce l’abbia anch’io, vero?) «narcisismo poetico» stia sempre all’erta ed approfitti di ogni pretesto «per mettere in mostra la propria presunta creatività impegnata». Ahimé!

DIZIONARIETTO MOLTINPOESIA
Lucio Mayoor Tosi
Senza titolo




Berlusconi è morto.  In Alasca gli Aleuti si fanno un bicchierino
filosofando nel bagliore del ghiaccio. 

E' morto mentre le streghe nella piazza sfogliavano libri di cucina medioevale. 
Il cane del mio vicino era triste nel suo cappottino nuovo. Ma lo sai?  

E' morto Berlusconi. Fischiano gli aerei giocattolo nel cielo guerreggiante
le ballerine TV sono alte una spanna e mezzo.  Piove. Tira fuori il crem caramel.

Berlusconi è morto. Mia zia tiene la carne in ghiacciaia, quando fa il brodo 
di solito pensa a certe piazzole d'erba sulle Dolomiti e a quando ci andava 
con lo zio, in camporella.