Cucchi-san
attenziona la platea
illuminandola
Un haiku forzato per sintetizzare una serata assai speciale alla Palazzina Liberty.
Alcuni dei nomi più significativi della Poesia milanese (e nazionale per traslato) erano presenti alla “prima” del volume di Maurizio Cucchi Cronache di poesia del Novecento (Gaffi, 2011).
“…Se fossi stata ancora un’insegnante l’avrei raccomandato come testo scolastico” ha commentato Valeria Poggi, curatrice dell’opera.
Una ciclopica raccolta di ritratti introduzioni e saggi che Cucchi - dal periodo dell’Università Cattolica ad oggi - ha pubblicato su La Stampa, Belfagor, L’Unità, Panorama, Linus, Il Giornale, Paragone...
I più significativi poeti italiani del Novecento sono stati recensiti e commentati in profondità, a volte semplicemente elencati o letti per dovere di cronaca, a volte partecipati con la forza dell’io poetante. In sala sono risuonati i nomi delle grandi figure del secolo: Raboni, Saba, Ungaretti, Rebora, ma casualmente non Montale e Quasimodo.
Un lavoro così ben fatto che l’attento Ottavio Rossani (Corriere della Sera) l’ha definito “…una geografia letteraria del Novecento italiano direi quasi completa, che chiunque voglia documentarsi potrà d’ora innanzi saccheggiare”.
Tra i numerosi presenti, qualcuno si ricercava nell’Elenco dei nomi, in timoroso silenzio, sperando. Invece, con opportuna sobrietà e naturale eleganza, nessuno è stato nominato. Lo stesso Cucchi non s’è raccontato o auto-celebrato, mostrando piuttosto profondo spessore dietro un linguaggio semplificato che dava indicazioni e suggerimenti. Questa scelta d’understatement ha deluso i giovani più giovani che s’aspettavano il personaggio.
E’ fatale, perché oggi prima nasce il personaggio e poi il poeta, l’attore, il cantante, il guru, mentre la critica frequenta sempre meno i luoghi deputati e più le tende dei vincitori. Agli altri restano blog improvvisati e improvvisi; argomentando su qualsiasi cosa, a volte senza canoni e spesso con competenza presunta. Una Retorica finto-global profondamente radicata nella zolla assai “local” del proprio “sé”.
Il breve intervento di Giancarlo Majorino, perfetto ospite, è stato indicazioni e suggerimenti sulla linea del discorso di Cucchi. Amos Mattio, moderatore e sollecitatore, s’è prima soffermato sulla situazione della poesia contemporanea e sul comportamento dei poeti d’oggi, poi ha citato più volte, il titolare di un blog di Libero (ricordo bene?) che per le sue critiche non argomentate “meriterebbe una sfilza di querele” (circa).
Proprio qui è avvenuto il cambio di rotta degli interventi della serata: l’attenzione s’è trasferita dall’opera di Cucchi alla realtà deformata dai mezzi di comunicazione. Ottavio Rossani (titolare di un seguitissimo blog del Corriere della Sera) ha parlato della rappresentazione che sostituisce la realtà e della sua permanenza in quel ruolo che può farla diventare realtà provvisoria. Tra i numerosi interventi segnalo quello dell’appassionato e partecipe Giorgio Mannacio sul virtuale “c’é-non c’é” della realtà trasferita.
C’é un “ma”?
L’unica pecca della serata è tutta mia perché, prima di entrare nella Palazzina, mi aspettavo che Cucchi leggesse qualche suo brano significativo su un poeta scelto tra i più inconsueti, d’avanguardia, retrò, premiati, sopra/sottovalutati, così-così, altro.
Ci avrebbe arricchiti.
Mi rammarico che ciò non sia avvenuto; basterà leggere attentamente le 400 pagine del volume? E dove più l’impareggiabile freschezza della comunicazione vocale?
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