sabato 5 febbraio 2011

CONTRIBUTI
Giorgio Mannacio
Emozione e struttura














1.
Si può conoscere solo quello che si fa. Il poeta può essere un pessimo critico soprattutto se oggetto della critica sono i propri versi. Ma certamente è l’unico testimone attendibile del tempo e dei modi che segnano la nascita di un testo poetico.
Questa testimonianza non dà luogo a criteri di valutazione estetica ma porta all’individuazione di come venga alla luce l’oggetto di una tale valutazione.
Si tratta di un’esperienza esistenziale che non può essere sostituita da altre.
2.
La descrizione dei modi e dei tempi si può fissare nei termini che seguono.
Si tratta – è bene avvertirlo subito – della descrizione di un processo che è ,assieme,naturale e culturale . Nel primo aggettivo sono compresi fattori che riguardano anche la nostra struttura neurologica e per i quali , a volte, i termini esatti sarebbero difficilmente comprensibili nel linguaggio comune. Tale difficoltà porta ad avvertire che nella descrizione di tale processo l’uso di similitudini e metafore può rivelarsi necessario.

3.
Il punto di partenza ( il fiat lux ) è costituito da una emozione che precede il pensiero ed è altro da quest’ultimo. Ma già in tale avvio è contenuta una approssimazione , comunque inevitabile. Non si discuterà mai abbastanza se esista un nudo fatto  scindibile da una elaborazione emozionale. Ci sentiamo più rassicurati dall’idea che esista una divisione soggetto-oggetto e che vi sia , in un dato momento e a date condizioni , un incontro  tra i due termini. Alla nostra esperienza la fusione appare già avvenuta e che il piccolo fatto quotidiano ( così diceva Sanguineti, ma il piccolo fatto può essere anche un grande fatto ) e già dotato , per sé stesso, di una carica emozionale. Anche qui va chiarito un equivoco. Non è dato distinguere , oggettivamente, tra fatti dotati di tale carica e fatti non dotati di essa. Può essere messo in discussione , rigorosamente, lo stesso termine emozione , carico di ambiguità. Volendo distanziarsi da esso , può essere più utile parlare di un nucleo di sensazioni provenienti da campi di esperienza diversi . Con una certa carica provocatoria possiamo dire che essi spaziano dal primordiale riflesso di difesa  all’ultimo amore o libro letto.
Chiamiamolo fatto significativo.
4.
E’ certo che esso si colloca nel tempo che è una delle condizioni del nostro conoscere. Ma il rapporto tra tale fatto significativo e il tempo successivo assume modalità diverse. A volte esso viene messo da parte ( immagazzinato, per così dire, nella memoria a lungo termine ) o del tutto dimenticato. Altre volte produce subito la catena delle associazioni e dei richiami che verranno a costituire la trama del testo.
Questa distinzione ha un valore meramente descrittivo. Non vi è una differenza teoricamente significativa tra fatto memorizzato e fatto immediatamente suscitatore di catene associative. Nell’uno come nell’altro caso il fatto originario si arricchisce di associazioni e richiami. Queste associazioni non sono necessariamente programmate , cioè sempre e totalmente coscienti. Esse spesso si verificano in virtù di altri fatti significativi che funzionano come catalizzatori nell’esperienza poetica del fare.
Ma anche in questo passaggio bisogna essere cauti. Anche se non programmate, le associazioni non sono incontrollate , come vorrebbe un certo surrealismo di maniera ( il disordine programmato resta un’opzione della ragione ). Esse subiscono interventi di organizzazione .
 Il termine del testo è anche un termine cronologico, ma solo nel senso banalissimo che una poesia si completa all’ora x del giorno y. La pratica di segnare data e luogo ( il Belli , ad esempio, annotava pignolescamente persino la  stesura in carrozza di alcuni suoi sonetti ) può interessare solo un biografo , ma è insignificante per chi scrive.
Ma la parola fine riferita ad un testo poetico ha un significato diverso  che prescinde dal
calendario ,dall’orologio e dalla geografia anche se si colloca in tutti e tre questi punti di riferimento.
La  fine è individuata dalla parola che conclude  il processo di gestazione e la vittoria del testo perfetto. Rispetto all’assimilabile ( per metafora ) processo fisiologico  il poeta non ha il riscontro della normalità della propria creatura rispetto ad un modello naturale e non ha neppure la perentorietà di un termine cronologico che l’avverta che il processo è compiuto. In tale momento il poeta è giudice di sé stesso  nel senso tutt’affatto particolare  dell’individuazione che la conclusione di fatto ( il testo ) non tollera prosecuzioni. Mutuando dal gioco degli scacchi si può dire che tale momento è quello dello scacco matto , punto in cui ogni mossa ulteriore  è impossibile.
4.
Se è corretto vedere nella stesura di getto una sorta di inganno dei sensi, il discorso ritorna a quell’altra modalità che richiama l’esperienza ( psicologica e fisiologica ) della memoria a lungo termine. Rilke , ad esempio, nei Quaderni di M.L.Brigge (si ) raccomanda di rimuovere il ricordo  perché neppure i ricordi sono esperienze. Questa testimonianza sottolinea , in modo radicale, la necessità che l’emozione ( che è istantaneamente ricordo e solo come tale diventa oggetto di meditazione ) si sviluppi , nel tempo, in una catena di associazioni e di connessioni di un vissuto ed acquisti così la propria significatività.  Essa chiarisce che non basta sentire qualcosa e ridere e piangere per qualche cosa trascrivendo il nesso causale tra il sentire e il reagire ad esso in qualche modo.
L’emozione che torna va iscritta nel codice del presente che implica una esperienza matura.
5
Al contrario permane in alcuni la convinzione – che ha riscontri obbiettivi – che la poesia nasca di colpo in virtù di un intervento straordinario di qualche angelo o demone il quale ci trasmette un messaggio che noi ci limitiamo a trascrivere. L’immagine metaforica allude all’opinione teorica che si fonda sul concetto di ispirazione. In effetti qualche volta la nostra mente si illumina istantaneamente concependo in un attimo ( il tempo della scrittura ) un testo completo. Ci piace, di questa concezione, il presupposto di essere figli prediletti di una divinità , di essere i portatori privilegiati di un messaggio di una potenza nascosta.
La vigile ragione ci convince, in un attimo, dell’errore di una formulazione così miracolistica.
Essa scambia il tempo continuo e misurato della stesura con il tempo discontinuo che , in circostanze diverse e non esattamente identificabili , permette l’organizzazione delle memorie, di altre emozioni e di una quantità di vissuti indiscernibili in una unità compiuta. In sostanza abbiamo l’illusione che il testo nasca in quell’istante .La stessa illusione che potremmo coltivare se dopo l’unione sessuale ci addormentassimo , risvegliandoci – senza memoria – al momento del parto.
C’è qualcosa – nell’esperienza poetica – che rimanda alla fisiologia. E’ nel silenzio e nell’attesa  che la cellula fecondata evolve verso la propria forma definitiva del figlio. Nessuno si sognerebbe di sostenere che la nascita è un evento istantaneo se non nel senso banale che il distacco del figlio dalla madre avviene ad un’ora precisa , come tale segnata sull’atto di nascita.
La metafora biologica si può spingere ancora più indietro. Se è vero che un piccolo fatto scatenando emozioni e associazioni sui trasforma in un testo perfetto ( idest: compiuto ) allora possiamo ricordare come è un solo spermatozoo a raggiungere la propria meta e che lo spreco biologico che caratterizza  tale momento si riscatta in una creatura complessa e perfetta.
Se usciamo da questo immaginario  così suggestivo e ci limitiamo a considerare l’esperienza dell’autore finiamo per riconoscere che ogni poesia completa ( quale che sia il suo valore  in termini estetici ) realizza una sorta di autobiografia.   
                                                                                                                Giorgio MANNACIO
Milano, febbraio 2011.

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