Carità
Ora vedo con il senso peggiore, la chiarezza di una mente impallidita, il lampeggiare di una casa sul Lido di Ostia e due ragazzi in amore ch’erano dentro a quel loro solo mondo e
come sognavo il loro stesso mondo, il loro luogo che non mi apparteneva, ma alla fine volevo essere lui, volevo essere lei, che posso farci se non so chi sono: volevo replicarli e a nessuno è concessa questa follia di chi è nato per niente.
L’avrei vista in una chiazza di dolcezza forse rancida dopo pochi anni avrei nuotato insieme a quel suo corpo, è troppo bello non essere se stessi.
In una casa lì sul Lido di Ostia rimane un libro e una dedica in segreto è lì che la mente ci si ammala per capire come nascere di nuovo e con una camicia incrostata di sabbia mentecatta copriamo ogni luce e facciamolo apposta perché nessuno mi incontri da vicino e nessun occhio mi veda mai più.
Animazione
La stanchezza di pensare è come il morbido di questo cuscino, che è anche un cedimento di lenzuola, un tradimento di se stessi, perché si è troppo calmi e io questo di certo non lo voglio: la mia giornata è clonarmi in tutto, sentirmi in chiunque, parlare lingue strane per fare due più due con chi entra in un bar;
e se due più due per me fa sempre cinque, io divento la madre nel parco, l’uomo che va in barca, la sera quando scende a scadenza del tempo: chissà cosa prova la sera quando scende, ma poi non è vero che scende: cambia colore, toglie la luce, ma non è altro che noi che la guardiamo.
Non ho nessuna pelle e assomiglio a tutto, eppure cerco qualcosa che sia io: una pietra o un’idea, un essere indifeso per essere sicuro che così lo si ama. Le parole, quelle sane, lasciamole al sudore di chi un’identità l’ha già trovata, magari tra i bagagli in un aereo che dia diritto a una vita sola.
Bella la parola identità, ma chi ne ha colto il frutto, povero figlio di te stesso, se lo tiene per sé: stanne certo come il sangue dei lupi.
Meta
Come un essere destinato a non correre più rischi vedo la vita scrollarsi di dosso ogni sincerità, basta solo non chiederle più niente, non cercare il contatto con le sue mani anchilosate.
Entrando nel villino come un nuovo padrone arrivato in autostrada da un futuro meno oscuro, penso a quanto ogni persona sia distante, e abbia un solo modo di sfuggirsi tra le mani, comune a tutte le creature che penano.
Ma questa casa è così immaginaria da non poter dire con che mente svuotata esco dall’auto senza più un desiderio e mi consegno soltanto a me stesso, a una solitudine ignota ma molto più grande.
Stelvio Di Spigno vive a Napoli dove è nato nel 1975. È laureato e addottorato in Letteratura Italiana presso l’Università “l’Orientale” di Napoli. Ha scritto articoli e saggi su Leopardi, Montale, Gadda, Pavese, Zanzotto, Claudia Ruggeri e sulla post-avanguardia poetica italiana, insieme alla monografia Le “Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi – Analisi psicologica cognitivo-comportamentale (L’Orientale Editrice, Napoli 2007). Ha collaborato all’annuario critico “I Limoni” con recensioni e note sotto la guida di Giuliano Manacorda. Per la poesia, ha pubblicato la silloge Il mattino della scelta in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, Milano 2001), i volumi di versi Mattinale (Sometti, Mantova 2002, Premio Andes; 2a ed. accresciuta, Caramanica, Marina di Minturno 2006), Formazione del bianco (Manni, Lecce 2007), La nudità (Pequod, Ancona 2010).
|
Nessun commento:
Posta un commento