Dante Maffìa Sbarco clandestino Tracce, Pescara, 2011
lunedì 23 gennaio 2012
Giorgio Linguaglossa
Su "Sbarco clandestino"
di Dante Maffia
Dante Maffìa Sbarco clandestino Tracce, Pescara, 2011
domenica 22 gennaio 2012
SEGNALAZIONE
"Poliscritture"
alla Libreria Odadrek di Milano
Libreria Odradek
Via Principe Eugenio 28
20155 Milano
tel. 02 314948
www.odradek.it
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20155 Milano
tel. 02 314948
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Giovedì 26 gennaio, alle ore 18
Felice Accame introduce un dibattito sul
Revisionismo storico
in occasione della pubblicazione di
"Poliscritture" n. 8. Partecipano Ennio Abate e la redazione.
CRITICA
Giorgio Mannacio
Variazioni non canoniche
sulla immortalità della poesia
1.
Oggi che la poesia è diventata per molti oggetto di banalità quotidiane è forse arrivato il tempo di svolgere alcune variazioni di pensiero sulla sua immortalità.
Che la poesia sia immortale è affermazione comune. Essa è più vera e al tempo stesso meno impegnativa e importante di quanto appaia.
Si può iniziare una analisi non canonica di essa dall’osservazione – senza illusioni – sul destino delle grandi opera di architettura. Al pari delle case dei terremotati, anche le Mura Aureliane si stanno sbriciolando . Il sito archeologico di Pompei conosce altra cenere. Nella prospettiva del tempo storico di lungo periodo, di tali gioielli nulla rimarrà in piedi. Se ipotizziamo – cosa possibile date le nostre enormi capacità tecniche – che essi possano essere ricostruiti “ come se la distruzione non fosse avvenuta “ , è onesto riconoscere che si tratterebbe comunque di “ cose diverse dall’originale “ , di “ copie o falsi “ .
Identica sorte attende opere mirabili della pittura. Identicamente ipotizzabile, cioè, sia la loro fine sia la loro riproducibilità come “ falso “ in senso proprio ( se la quantità e qualità dei restauri finisce per sostituirsi al dipinto ).
Per tali manifestazioni artistiche dello spirito umano si può dire che l’immortalità è assicurata da una serie più o meno perfetta di falsi.
Luca Ferrieri
Cinque poesie
Mia madre aveva l'auto bloccata nel traffico
e io l'attendevo al cancello col cuore in gola.
Per un ragazzo è semplice capire che la vita
cessa: è quando non ha più suono quel grembo.
Mi è capitato anche dopo, nelle corsie,
l'ho vista controluce sul mare che rovesciava
la notte. Appena il medico ha scosso la testa
ho riconosciuto la mano dal finestrino.
La mia infanzia al muro come un quadro
o un'esecuzione. Non ha avuto più asilo.
E la notte mi sveglio pensando: come potrò
portarla al pronto soccorso se è già morta.
Mia madre è stata l'infanzia, la sola vita
vera. Quando aprì il gas la salvarono
quelle due cucciole batuffole, noialtri
eravamo tutti via.
Alda Cicognani
Tre poesie
Scegliere un uomo
I
scegliere un uomo come scegliere un uovo
lì sullo scaffale in un contenitore
una giornata calda uova calde minacciose
così innocentemente bianche ovoidali
con quel dono all’interno
non si pensa al colesterolo nel tuorlo
avvolto nella chiara spessa di opale
è nel cuocere un uovo al tegamino l’atto
il più sensuale di tutta la gastronomia
dopo la preparazione dell’ostrica
un attimo per l’ostrica ma un attimo sacrale
I
scegliere un uomo come scegliere un uovo
lì sullo scaffale in un contenitore
una giornata calda uova calde minacciose
così innocentemente bianche ovoidali
con quel dono all’interno
non si pensa al colesterolo nel tuorlo
avvolto nella chiara spessa di opale
è nel cuocere un uovo al tegamino l’atto
il più sensuale di tutta la gastronomia
dopo la preparazione dell’ostrica
un attimo per l’ostrica ma un attimo sacrale
venerdì 20 gennaio 2012
Luigi Cannillo
Sette poesie
da "Cielo Privato"
*
Anni di presunta gloria
lanciati in alto
come berretti in giubilo
quando le cene d'estate spalancavano
le porte generose al vicinato
e poi precipitarsi lustri al varietà
Spinti senza passato
a proseguire il secolo
tempo a cambiali per gli adulti
firmato testa bassa a cancellare
lividi di fatica e frenesie notturne
A noi risparmiavano il racconto
delle adunate le corse nei rifugi
perché le ferite e il cambio di uniformi
la storia accantonata per i grandi
Per me ai confini del silenzio
le gare il teatro in solitaria
eroi di carta e gli ostacoli davanti
Nessuno adesso si permetta
il lusso della nostalgia
bruciano i documenti fra le mani
senza mai consumarsi
Resta la storia il tempo che strattona
e i suoi schiaffi, la pelle
che ne brucia ancora
Questa la nostra corona
il campo di battaglia senza tregua
Anni di presunta gloria
lanciati in alto
come berretti in giubilo
quando le cene d'estate spalancavano
le porte generose al vicinato
e poi precipitarsi lustri al varietà
Spinti senza passato
a proseguire il secolo
tempo a cambiali per gli adulti
firmato testa bassa a cancellare
lividi di fatica e frenesie notturne
A noi risparmiavano il racconto
delle adunate le corse nei rifugi
perché le ferite e il cambio di uniformi
la storia accantonata per i grandi
Per me ai confini del silenzio
le gare il teatro in solitaria
eroi di carta e gli ostacoli davanti
Nessuno adesso si permetta
il lusso della nostalgia
bruciano i documenti fra le mani
senza mai consumarsi
Resta la storia il tempo che strattona
e i suoi schiaffi, la pelle
che ne brucia ancora
Questa la nostra corona
il campo di battaglia senza tregua
Francesco Leonetti
Tre
delle "Poesie scelte 1942-2001"
Riassunti mondiali (1994)
1.
I corpi in trincea a buchi / bombardati da velivoli.
E quindi si solleva in su / la crosta terrena stessa.
È lava rossa, espansa; / è movimento come in noi, si esulta.
Ma per bloccare l'impeto / caldo umano sono scaricati
addosso i massi giù / dai mostri meccanici in cielo.
Oh non c'è un bel essere / diabolico fra noi capace
di rispondere ribelle e / battere l' irragione al dominio.
2.
Qui c'è solo la cosa del lavoro e la foia.
Ma stiamo per ore allo schermo mirando.
Le giostre, le sfide, con camere addosso.
Da vedenti. Il caracollante occidentale
attacca coi suoi fendenti a spada corta.
L'altro d'oriente col sandalo pesta fango:
per levare gli schizzi fulminei nella cura
di percezione del dettaglio trasversale
durante i sobbalzi dei passaggi continui.
La stilla infine all'occhio acceca quello ...
Ma non era che un' ombra, una sagoma esposta:
si ripresenta, duplicata presenza, il cavaliere
dell' occidente e un musulmano è in campo.
Qui si combatte a pezzi per le lunghe notti.
Solo il guardare i grandi ci è concesso.
Ahi mai nessuno muore fra i campioni presto.
3.
Vengono i mali giù dai mostri meccanici in cielo.
Un bell' essere diabolico non c'è più in noi indigeni.
martedì 17 gennaio 2012
Lucio Mayoor Tosi
Area C + Zero orizzontale.
Una città che fa scivolare l’acqua per i platani fin dentro i polmoni
come inchiostro. La notte fradicia, le cose vere senza colore.
Come stai?
Ero sola. Laggiù i semafori, qua parcheggiate le auto. Avevo pensieri
qualcuno parlava e parlava. Il cuore in affanno.
Le guance dentro la fotografia, di velluto. La città di grafite. Il cuore
dentro la notte fradicia spenta, sul lettino. Un lenzuolino. Altrove.
Qui le auto, le ombre che balzano sui platani. Tu come stai che la città
è morta non si sa per quale spavento.
In centro hanno messo un pendolo. Uno di sinistra dopo l’altro di destra.
Quasi la stessa faccia. Di grafite e lenzuolino.
Amedeo Anelli
Tre poesie
da "Contrapunctus"
Contrapunctus VIII
Negli occhi di mia madre
Di sopra il tempo camminava sulle travi.
D'inverno la legna di traversa mandava fumo.
Il fuoco crepitava.
Cigolava lo sportellino in ghisa,
mentre guardavi nel fuoco
e tutto era silenzio.
D'inverno la legna di traversa mandava fumo.
Il fuoco crepitava.
Cigolava lo sportellino in ghisa,
mentre guardavi nel fuoco
e tutto era silenzio.
Silenzio era il manto di neve sopra i campi,
silenzio erano gli alberi canditi dal gelo
silenzio era il rumore degli stivali sulla neve.
Silenzio era il fischio del treno,
che si perdeva fra luce e nebbia.
Ma la voce cresceva
cresceva il pungitopo in giardino,
cresceva l'ombra nelle tue spalle,
si alzava la nebbia nella luce.
cresceva il pungitopo in giardino,
cresceva l'ombra nelle tue spalle,
si alzava la nebbia nella luce.
Giorgio Mannacio
Cinque poesie
da "Dalla periferia dell'impero"
ENTROPIA
Di quel delitto atroce,
di quegli atti meschini e innominabili
solo un ritratto fu testimone
e non ha voce.
Il giudizio del tempo, lento e distratto,
sa mettere d'accordo
vittima ed assassino,
il boia che ride
e il pianto senza ritegno di un bambino.
Infinito disordine si cela
nell'apparente uniformità della polvere,
la sua multiforme, poco indagata origine.
Fu, forse, anche vertigine
di capelli disciolti in giochi e danze
o annodati con fiori, anime strette
in vesti di seta
inseguiti e strappati nelle stanze.
Ora non ha più suono
lo strato grigio, indifferente
e rimane un messaggio mai chiarito,
ultima traccia,
la frase del giudizio e del perdono:
quando ritornerai tra le mie braccia.
di quegli atti meschini e innominabili
solo un ritratto fu testimone
e non ha voce.
Il giudizio del tempo, lento e distratto,
sa mettere d'accordo
vittima ed assassino,
il boia che ride
e il pianto senza ritegno di un bambino.
Infinito disordine si cela
nell'apparente uniformità della polvere,
la sua multiforme, poco indagata origine.
Fu, forse, anche vertigine
di capelli disciolti in giochi e danze
o annodati con fiori, anime strette
in vesti di seta
inseguiti e strappati nelle stanze.
Ora non ha più suono
lo strato grigio, indifferente
e rimane un messaggio mai chiarito,
ultima traccia,
la frase del giudizio e del perdono:
quando ritornerai tra le mie braccia.
sabato 14 gennaio 2012
Francesco Dalessandro
Da "L'osservatorio"
con una nota di Giorgio Linguaglossa
I PARTE – L’OSSERVATORIO
2
Un fiume di luci cangianti dal bianco
al rosso defluente alle sette
serali d’una domenica d’ottobre
in cui gli ultimi spiccioli di questa
estate straordinaria per caldo
e dolore si spendono, dal buio
dell’inversa corsia a chi torna – bava
brillante di lumaca più che corso
di luminarie nella notte (persa
l’ora legale) presto caduta, scia
del giorno assolato in cui sonnecchia pronto
al risveglio improvviso il primo freddo –
un fiume sordo-lento defluisce
e pulsa vita nell’opposto verso
nel giro del ramo che si piega
e divarica dal tronco in minori
affluenti, in un delta di quartieri
periferici o stagna nel traffico;
un fiume che nel cupo defluire
non sai ancora cosa reca se altro
dolore – sia graffio o puntura –,
o l’abbandono di un corpo
all’altro nell’enfasi perfetta
del desiderio (e il riposo che il dopo
amore fa sereno, rende necessario);
o forse l’ansia reca nel ritorno
a casa dove in due si è più soli
che soli, cupa smania il desiderio
ardente non cancella il dolore
ma ne cresce l’angoscia e incresce
al cuore, e più che stella splende
sull’antro famelico e l’affama
diana?
Giuseppe Pedota
Dopo il moderno?
Per intensificare il confronto tra il
Laboratorio Moltinpoesia e gli amici romani che hanno cominciato ad
intervenire su questo blog, anticipo stralci consistenti di un saggio di
Giuseppe Pedota [Cfr. Nota alla fine]. Rielaborato da appunti sparsi, uscirà presto,
per i tipi delle edizioni CFR nella collana di critica curata da Giorgio
Linguaglossa. Fu scritto tra il 2005 e il 2010, anno della sua scomparsa.
E nelle intenzioni dell’autore doveva contribuire al rilancio della rivista di
letteratura «Poiesis», che a Roma tra il 1993 e il 2005 funzionò nella
cosiddetta condizione postmoderna come
«una zattera di naufraghi»(Andrej Silkjn). La successiva dissoluzione del
gruppo originario (G. Linguaglossa, D. Mafia, G. Stecher, G. Pedota, L. Stace,
C. Santese e A. Silkjn) ha impedito la prosecuzione di una riflessione in
comune sul tema che Pedota qui affronta: il passaggio dall’epoca dell’impegno, che
è durata fino agli anni Settanta del Novecento e teneva assieme cultura e
politica progressista (di sinistra), all’epoca del “disimpegno” o della
sfiducia nella necessità o possibilità di un cambiamento della società
capitalistica. (Per la precisione «Poiesis» parlava di «Epoca del Tramonto» in
un’accezione fortemente heideggeriana).
Leopoldo Attolico
Otto poesie
da "La realtà sofferta del comico"
A SBARBARO E UNGARETTI
Un intero tragitto
Montesacro-Porta Pia
Montesacro-Porta Pia
nel costipato inverecondo "36"
con l'afrore mefìtiço di cipolla
con l'afrore mefìtiço di cipolla
respiratomi in viso da una donna cannone
ho fatto pensieri liberatori molto vicini
ho fatto pensieri liberatori molto vicini
ai profumi colorati dei licheni
di Camillo.
Non sono stato mai
Non sono stato mai
tanto
attaccato alla vita
APPARIZIONI
Ad alta
voce nella platea "IN"
del Barberini:
«Ma che caspita, coglionazzo che sei
«Ma che caspita, coglionazzo che sei
dare dieci euro alla lucciola
ma
chitticredi, Onassis?»
«Stai
calma ché se li rnerita!»
Le lucciole sono scomparse.
Lei è l'ultima
Le lucciole sono scomparse.
Lei è l'ultima
giovedì 12 gennaio 2012
Mario Mastrangelo
So' scunusciute
So’ scunusciute ’e ffemmene ca
stanno
rint’ ê ccase difronte,
nun se ne sanno ’e ffacce, ’e ggeste, ’e vvoce,
quanno girano svelte
rint’ ê stanze scuiete,
ca stanno llà ’e rimpetto, ma luntane
so’ cchiù d’ ’e scie r’ ’e stelle cumete.
Sulo, a ’e barcune, ’e loro veré lasciano
– simbolo ’e vite addó ’e ccose cchiù ìnteme
so’ nzieme palpitante e priggiuniere –
nu filare ’e mutande culurate
a ’o viento come fossero bandiere.
mercoledì 11 gennaio 2012
Maria Maddalena Monti
La tendina
In alto, nella vecchia casa
piano piano sposti la tendina.
Subito ricade
e la notte precipita
ricordi.
Si spegne la luce nella stanza.
Al buio,
appoggiati al legno del portone
due ragazzi - baci ingordi -.
Nella lotta,
cadono ripari.
Poi un riso
indifferente,
un’unghia che stride sopra il vetro:
“Mettiamoci alla luce..
la vecchia…la guardona
ci vedrà."
Ma era per quel giovane respiro,
per quel dolce fiato caldo
che stacca il gelo delle ossa.
martedì 10 gennaio 2012
Dante Maffia
Cinque
delle "Poesie torinesi"
LA
DIRIMPETTAIA
Ha il balcone spalancato,
va da un lato all'altro della stanza
(dev'essere forse il salone perché
(dev'essere forse il salone perché
si vede chiaramente un divano celeste
e una chitarra appesa alla parete di destra).
Ogni tanto qualcuno la chiama
Ogni tanto qualcuno la chiama
o forse canta a bassa voce: la vedo aprire
e chiudere la bocca come nei film muti.
Penso che se al posto di lei ormai vecchia
(anche se quando la incontro in strada è sempre
elegante e con molto rossetto sulle labbra
(anche se quando la incontro in strada è sempre
elegante e con molto rossetto sulle labbra
e la cipria al punto giusto) ci fosse una ragazza
dai capelli lunghi biondi con le labbra
dai capelli lunghi biondi con le labbra
carnose io starei per ore a godermela. Invece
mi affretto a chiudere per evitare
mi affretto a chiudere per evitare
di diventare un po' lei, d'essere coinvolto
nel ritmo del suo andare e venire per la stanza.
Giorgio Linguaglossa
Due poesie
da "La Belligeranza del Tramonto"
Giocavano a dadi con i meteci
Un angelo zoppo ci venne incontro
e disse, senza guardarci: “malediciamo il nome di Dio.”
Eravamo incomprensibili. Stavano tutti al bar
a bere caffè, quando, a mia insaputa, cominciai a zoppicare.
Erano tutti zoppi gli avventori del bar e gobbi.
avevamo la gotta e la gobba ci spuntava dalle spalle.
A quel tempo dall’Albero vennero i bastardi
con le risposte pronte e gonfiarono le vele
e gettarono le ancore.
Io fissavo il loro occhio di vetro…
domenica 8 gennaio 2012
Paolo Pezzaglia
Forse Euridice
Edward Poynter, Orfeo ed Euridice
I
Dal pontile
parte l'ultimo
caicco
per l'isola greca.
per l'isola greca.
Razionalità e
prudenza
frenano ogni impulso
mentre il sole declina
frenano ogni impulso
mentre il sole declina
tra nuvole sempre
più grigie
e la tua bellezza,
e la tua bellezza,
pallida amica sera,
è immutabile,
come il malessere
della mia anima
divisa,
che il traghetto
potrebbe dividere
per sempre.
venerdì 6 gennaio 2012
CRITICA
Leopoldo Attolico - Ennio Abate
Sul giudizio di valore
Cranach, Giudizio di Paride
Riprendo uno dei commenti alla poesia La grande casa immersa tra gli aranci di Giorgio Linguaglossa [qui], quello di Leopoldo Attolico, che offre uno spunto notevole per affrontare lo spinoso tema di come giudicare una poesia o la poesia di un qualsiasi autore. Gli replico con una nota. Ma spero che sia solo l'avvio di una riflessione a più voci. [E.A.]
Leopoldo Attolico:
Tentare un giudizio di "valore" su un singolo
testo firmato è impresa non da poco , che si tratti di Calogero , di Ripellino
o di Linguaglossa come in questo caso .
Io preferirei sempre pronunciarmi su un testo anonimo perché credo che nel "giudicare" la creatività firmata esista sempre una sudditanza o comunque un condizionamento psicologico - inconfessabile ai più - mediato dai connotati pubblici , privati , o riconoscibilmente "storici" dell'interessato . Non credo che il pubblico e il privato ( l'anonimo ) siano irrilevanti - almeno qui nella nostra italietta dell'esserci e dell'apparire ; quando come sappiamo basta apparire a certi livelli editoriali per essere percepiti come vincenti oggetto di sviolinate , buonismo critico ecc. .
Poniamo che Ennio Abate pubblichi in forma anonima una poesia introducendola con " Propongo un testo di un poeta emergente ". Già quell'"emergente" scatenerebbe le riserve mentali di larga parte dei commentatori e delle conseguenti valutazioni critiche ( dopodiché Ennio ci svela che l'autore è - poniamo - Lucio Piccolo ... ).
Io preferirei sempre pronunciarmi su un testo anonimo perché credo che nel "giudicare" la creatività firmata esista sempre una sudditanza o comunque un condizionamento psicologico - inconfessabile ai più - mediato dai connotati pubblici , privati , o riconoscibilmente "storici" dell'interessato . Non credo che il pubblico e il privato ( l'anonimo ) siano irrilevanti - almeno qui nella nostra italietta dell'esserci e dell'apparire ; quando come sappiamo basta apparire a certi livelli editoriali per essere percepiti come vincenti oggetto di sviolinate , buonismo critico ecc. .
Poniamo che Ennio Abate pubblichi in forma anonima una poesia introducendola con " Propongo un testo di un poeta emergente ". Già quell'"emergente" scatenerebbe le riserve mentali di larga parte dei commentatori e delle conseguenti valutazioni critiche ( dopodiché Ennio ci svela che l'autore è - poniamo - Lucio Piccolo ... ).
giovedì 5 gennaio 2012
Cristina Alziati
Otto poesie da "Come non piangenti"
*
A mio padre
Ti sei lavato, hai indossato abiti intatti,
poi la mente mi slitta ad ogni passo.
Non ho voluto vederti, di certo
ti avranno sdraiato.
Solo vorrei sapere, oppure è un sogno,
che non fu angoscia la tua meticolosa
cura - i documenti posati sulla panca
la sedia che portasti nel giardino, il nodo -
ma un qualche imperscrutabile, ma lieve,
stato. Tutto è con te, segreto.
Forse a spartirne il peso io serbo,
dell' atto tuo, l'altro versante - il tonfo
della sedia sulla pietra, e la tua assenza
e il dondolio, che cullo, lento, lentissimo
del corpo sotto il pergolato.
lunedì 2 gennaio 2012
Suggerimento di lettura
per commentatori di blog
Un amico mi ha segnalato il sito di minima Et moralia, che conoscevo di sfuggita. Sono andato a visitarlo e con sorpresa ho trovato questo intervento di Anna Maria Ortese, di cui copio l'inizio. E' una lettura che suggerisco indistintamente a tutti i commentatori che si affacciano su questo blog. [E.A.]
Non c’è forse, dopo l’Italia, un
altro Paese al mondo dove ciascun abitante abbia come massima ambizione lo
scrivere, e ce n’è pochi altri dove quel che ciascuno scrive – pura smania di
dilettante o regolarissima professione – scivoli, per così dire, sull’
attenzione dell’ altro, come la pioggia su un vetro. Ma scivola è un’
espressione in]dulgente: inquieta, offende, avvilisce, si vorrebbe dire. Ogni
abitante-scrittore se ne sta sul suo manoscritto come il bambino, a tavola, col
mento nella sua scodella, sogguardando la scodella, cioè il manoscritto, dell’
altro: e se quello è più colmo, sono occhiatacce, lacrime… si sente parlare del
tale, del tal altro che ha pubblicato o sta per pubblicare un nuovo libro.
Subito, chi ha questa italianissima passione dello scrivere, o dello scrivere
ha fatto il suo mestiere, si precipita a vedere di che si tratta, e in che cosa
il rivale si mostri inferiore a quel che se ne dice, o si temi.
Se il sospetto, la paura, si
rivelano infondati, è un sollievo tinteggiato di nobile comprensione: «Un buon
libro… Hai letto l’ultimo libro di T.? Certo potrebbe far meglio… L’ho
sfogliato appena – e me ne dispiace – ma non ho mai il tempo di leggere…». Ed è
vero: perché se appena alle prime pagine il rivale appare quel che si desidera –
un mediocre – cessato l’ allarme, la sua modesta fatica non interessa più.
Quando già alle prime pagine, invece, lo scrittore-lettore si rende conto di
trovarsi di frontea un’ autentica novità e forza, il colpo che ne riceve è così
brusco che, lì per lì, non riesce a fiatare, e se ne sta zitto e disfatto nel
suo angolo. Di continuare non se ne parla, prova una specie di nausea. In un
secondo momento, però, scoppia la reazione: si tratta di un’ opera indegna, una
vera truffa letteraria, «ma dove andiamoa finire di questo passo… vedrai che a
quello gli danno un premio…», e così via. E il premio qualche volta arriva, e
allora è un dolore, un lutto generale, e si cominciano a scrivere articoli
abilissimi dove si parla perfino del primissimo elzeviro dello studente di
Caltagirone, o si elevano entusiastiche lodi all’ingegno di V., che,
novantenne, ha ristampato l’intera mole delle sue opere, insipide e pesanti
come patate: e solo si tace il nome del vero colpevole, l’ultimo arrivato, che
nonè stato al gioco d’infilare le parole l’una dopo l’altra, semplicemente, ma
ha «adoperato» la parola, l’ha mortificata mettendola al servizio di alcuni
interessi.
Anonimo (?) irlandese
May the road rise up to meet you
Faccio miei – e ve li inoltro - questi auguri di autore irlandese a me ignoto: può darsi che siano scritti anche nelle scatole dei famosi cioccolatini di Dublino, i preferiti di Joyce (ma lui non avrebbe mai scritto una cosa simile...): attendo eventualmente il commento chiarificatore di Provenzale, se non è ripartito per il Far West...
Paolo Pezzaglia
May the road rise up to meet you
May the wind be ever at your back
May the sun shine warm upon your face and
The rain fall softly on your fields and
Until we meet again
May God hold you in the hollow of his hand
domenica 1 gennaio 2012
Giulio Stocchi
Il debito sovrano
Il cielo è alto
Sulla proda del fosso il cane
Annusa nel vento
Cicale sospese
Hanno ripreso il canto
Eco larga luce lenta
Nel riflesso dell’acqua
Elusiva un’ala
Lieve disegna
L’arabesco la scia
Al pesce e va via
sabato 31 dicembre 2011
Marcella Corsi
L'anima, dirne in poesia
giochi perversi fiscali evasioni furberie) mi ruberebbe
quasi l’anima un bell’ all'anima de' li mortacci tua
(e de' tu' nonno) e seguitando
sarei disposta a vendere l’anima al diavolo per poche
parole nette dirette precise che cercano e offrono
che non si fanno scudo né per sé strumento
che in danno anzi di sé siano capaci di dire e pre-
sentire (all'anima
delle parole potrebbe dire l’autore
dei troppi versi dove si mostrano animelle pietose
del tutto o quasi di sé prese che non riescono a bucare)
Moltinpoesia
Dialetto terra del rimorso?
Sul
dialetto in poesia oggi
Una
discussione del 2009 con un inserto del 2004
Il dialetto - questa è la mia ipotesi - è
forse la nostra terra del rimorso,
come diceva Ernesto De Martino del mondo contadino che in Italia verso gli anni Cinquanta si stava avviando alla
sua apocalisse (quella indotta dalla modernizzazione industriale). Il post di Giorgio Linguaglossa «Lingua delle maschere» (o lingua delle
nacchere?)[qui] ha riproposto la controversa questione della funzione del
dialetto nella poesia contemporanea. Ed ha suscitato una vivace discussione.
Segno che l’argomento ha ancora
risonanze profonde in quanti sono legati
al dialetto sia da questioni biografiche e storiche e sia da un investimento
che potrebbe dirsi mitico. A riprova di quest’attenzione pubblico i documenti
di precedenti riflessioni del 2009 e del
2004. Le faccio precedere da questi due video trovati su You Tube. Con le loro immagini in b/n, pulite e drammatiche, restituiscono una piccola sensazione dello spessore arcaico che si cela in alcune pieghe della
nostra discussione oscillante tra nostalgia e realismo. [E.A.]
venerdì 30 dicembre 2011
Giorgio Linguaglossa
La grande casa
immersa tra gli aranci
G. Zannini
La grande casa immersa tra gli aranci.
Un vento freddo la percorre a ritroso.
Un vento freddo la percorre a ritroso.
Nel cofanetto, i gioielli di mia madre, il bocchino d'avorio,
le lettere avvolte in un nastro azzurro, il quaderno viola dove è scritto
[ il destino.
[ il destino.
Sullo stipite del tempo, l'algida immortalità dell'angelo:
"Vivete in casa e la casa non crollerà."
Alberto Accorsi
Orfica
Ogni
parola è una pala
che scava:
Barciuldin
Filos
Cicin
E io mi avvicino timido
con il mio rametto
in mano
che scava:
Barciuldin
Filos
Cicin
E io mi avvicino timido
con il mio rametto
in mano
Victor Cavallo (Vittorio Vitolo)
Ce n'ho abbastanza
ce n'ho abbastanza per comprarmi una bottiglia di vodka
un chilo di arance un amburg il pane tondo una birra
un pacchetto di marlboro.
E poi mangio l'amburg col pane tondo tostato e
bevo la birra e fumo la marlboro e poi spremo due
arance con la vodka.
E poi esco e incontro la più grande figa della mia
vita con gli occhi verdi e le ciglia nere e la bocca
rossa e le mani nervose e decidiamo cazzo di non
fare nessun film di non scrivere nessuna stronzata di non
recitare
nessuna cagata e di non andare in campagna
e di non occuparci della casa né della merda né dei
capelli né dei comunisti.
giovedì 29 dicembre 2011
Segnalazione
Sul sito de "L'OSPITE INGRATO"
27 dicembre 2011
Brodskij legge Miłosz: “Figlio d'Europa” (1946).
Quattro
versioni a confronto
Sara Martinelli, Magdalena Rasmus
scrittura/lettura
CLICCA QUI
I versi di Miłosz, nati dalle
ceneri disperse di una civiltà, non cantano tanto l’offesa e il dolore, ma ci
sussurrano «il senso di colpa di coloro che sono rimasti tra i vivi», e in
virtù della loro poesia, ci insegnano «a porci in relazione con questa colpa».
Una colpa avvertita, pare, da Brodskij stesso, e che si rivela ancora nelle
parole pronunciate nell’atto di ricevere il Nobel, quando il poeta ricorda
tutti coloro ai quali quell’onore non è spettato, con riferimento ai nomi della
letteratura russa (Mandel’štam, Pasternak, Cvetaeva, Achmatova) falcidiati –
fisicamente o artisticamente – in un secolo “carnivoro” come è stato il XX. Lo
stato d’animo del sopravvissuto traspare costantemente anche dai suoi versi,
per esempio nella lunga ninnananna al figlio rimasto in patria, Kolybel’naja
Treskogo Mysa (Ninnananna di Cape Cod), dove leggiamo: «cтранно думать,
что выжил, но это случилось»14(È strano pensare che sono sopravvissuto. Ma
questo è accaduto). Ma l’ingiustizia e l’orrore subìti non indulgono mai a un
facile compianto né ad alcun tipo di autocommiserazione, secondo quella lezione
impartita dall’arte che Brodskij e Miłosz apprendono dai loro predecessori
classici, così
[…]
ciò che il poeta enuncia è una versione spaventosamente asciutta dello
stoicismo, che non ignora la realtà, per quanto assurda e orribile possa
essere, ma la accetta come una nuova regola che la persona deve assumere senza
rinunciare ad alcuno dei suoi valori, già ampiamente compromessi.
mercoledì 28 dicembre 2011
Felice Accame
Nuovi fatturanti e vecchie libidini
Olindo
Guerrini, noto con gli pseudonimi di «Lorenzo Stecchetti», «Argia Sbolenfi»,
«Marco Balossardi»,«Giovanni
Dareni», «Pulinera», «Bepi» e «Mercutio» (1845 - 1916)
Oggi sono
stato alla Libreria Odadrek di Milano, vero e quasi unico covo carbonaro
contro il mercantilismo culturale nella città della Grande Finanza
trionfante su Tremonti e Monti vari, e Felice Accame, che insieme a Carlo Oliva
conduce quasi tutte le domeniche a Radio
popolare la trasmissione La
caccia. Caccia all'ideologico quotidiano (informazioni qui), mi ha segnalato questo suo
dotto e irriverente testo. Bersaglia soprattutto gli psicanalisti, ma anche una certa tipologia di poeti. E, perciò, lo riprendo su questo blog anche per il preciso riferimento alla
notizia polemicamente commentata mesi fa in Miss
Poesia e Miss Pecunia (qui). (Tra parentesi. Pare che la
Casa della Cultura - o Cucchi stesso?- abbia rinunciato all'incestuoso
matrimonio tra le due miss). [E.A.]
Rifugiatosi a Bruxelles, il rivoluzionario Giuseppe Ferrari scrisse I filosofi salariati, un’opera in cui accusa i filosofi francesi in particolare e i filosofi in genere di essere pronti a cambiare filosofia a seconda di chi sale al potere. Anni dopo, il poeta Olindo Guerrini, in arte Lorenzo Stecchetti, gli dedicò una poesia:
I
FILOSOFI SALARIATI
Or non
più tra le rabbie e le contese
Povera e
nuda va filosofia,
Ma fa la
ruota a scuola e per la via,
Tira la
paga e noi facciam le spese.
Se
regnano la forca e il crimenlese
Di San
Tomaso fa l’apologia,
Se torna
in alto la democrazia
Inneggia
alla repubblica francese.
Ah,
panciuta camorra di ruffiani
Che della
verità strame vi fate.
Ogni
giorno che splende ha il suo domani
A
rivederci, maschere pagate,
A
rivederci, illustri mangiapani,
A
rivederci sulle barricate!
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