Pubblicato come commento su NAZIONE INDIANA il 24 febbraio 2011 alle 17:16 | Permalink
IN MEMORIA DI LUIGI DI RUSCIO
Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
(Sergei Aleksandrovič Esenin)
(Sergei Aleksandrovič Esenin)
Partecipo anch’io al compianto per la morte di Luigi Di Ruscio pubblicando questa sua lettera del 7 gennaio 2010. È un documento schietto di una memoria ancorata alla giovinezza (sua e della vita letteraria di questo Paese ora in disfacimento) e del suo umanissimo e controverso rapporto con il poeta mentore che lo seppe riconoscere. La confessione più intima non mi pare intacchi la sua immagine. Anzi ne conferma la vivacità. Un pizzico di follia ce l’abbiamo tutti. [E.A]
*
7 gennaio 2010
7 gennaio 2010
Caro Abate, ho ricevuto oggi il numero 6 di dicembre [2009] di Poliscritture, vi ringrazio molto, ho pubblicato a maggio CRISTI POLVERIZZATI, editrice LE LETTERE, collana FuoriFormato diretta da Andrea Cortellessa. Vi prego di leggerlo, costa 25 euro è un libro di 307 pagine. Non ho la possibilità economica di spedire i miei libri. Una piccola curiosità, come avete avuto il mio indirizzo postale?
Ho visto che ti interessi molto di Majorino, tutti e due abbiamo iniziato a pubblicare con lo stesso editore Arturo Schwarz, io nel 1953 con la raccolta “non possiamo abituarci a morire” e Majorino nel 1959 con “la capitale del nord” cioè Milano la città dove viveva lui. Infatti nella mia prima raccolta vi è un lungo poemetto dal titolo “la città dove viviamo” devo riconoscere che sono stato molto precoce sono nato nel 1930.
Giancarlo mi ha molto aiutato, quando vidi la prima antologia nella poesia italiana di Giancarlo edita da Savelli nel 1976 piansi dalla commozione. Mi fece pubblicare “istruzioni per l’uso delle repressione” libro questo che diventa sempre più attuale e Giancarlo mi ha incluso in tutte le sue antologie. Ci siamo guastati per una mia cattiveria. Mi aveva invitato a leggere le poesie a Milano insieme a giovanissimi, gli scrissi che desideravo leggere le mie poesie con poeti della mia età. Giancarlo mi rispose che potevo decidere io di leggere le mie poesie quando compirò i novanta anni, io gli risposi che se arrivo agli ottanta anni verrò a Milano non per leggere le mie poesie ma per pisciare sulle vostre tombe. Giancarlo mi rispose che nei miei confronti si era sbagliato e non voleva avere più contatti con me. Non è che Giancarlo si è sbagliato, ogni tanto ho momenti folli, vicino al suicidio è faccio cose molto cattive e tronco i rapporti con tutti, finire. Tanti saluti, luigi
Ho visto che ti interessi molto di Majorino, tutti e due abbiamo iniziato a pubblicare con lo stesso editore Arturo Schwarz, io nel 1953 con la raccolta “non possiamo abituarci a morire” e Majorino nel 1959 con “la capitale del nord” cioè Milano la città dove viveva lui. Infatti nella mia prima raccolta vi è un lungo poemetto dal titolo “la città dove viviamo” devo riconoscere che sono stato molto precoce sono nato nel 1930.
Giancarlo mi ha molto aiutato, quando vidi la prima antologia nella poesia italiana di Giancarlo edita da Savelli nel 1976 piansi dalla commozione. Mi fece pubblicare “istruzioni per l’uso delle repressione” libro questo che diventa sempre più attuale e Giancarlo mi ha incluso in tutte le sue antologie. Ci siamo guastati per una mia cattiveria. Mi aveva invitato a leggere le poesie a Milano insieme a giovanissimi, gli scrissi che desideravo leggere le mie poesie con poeti della mia età. Giancarlo mi rispose che potevo decidere io di leggere le mie poesie quando compirò i novanta anni, io gli risposi che se arrivo agli ottanta anni verrò a Milano non per leggere le mie poesie ma per pisciare sulle vostre tombe. Giancarlo mi rispose che nei miei confronti si era sbagliato e non voleva avere più contatti con me. Non è che Giancarlo si è sbagliato, ogni tanto ho momenti folli, vicino al suicidio è faccio cose molto cattive e tronco i rapporti con tutti, finire. Tanti saluti, luigi
Luigi di Ruscio: Non possiamo abituarci a morire (1953)
da http://www.officinae.net/eclettica/?module=displaystory&edition_id=12&story_id=1002&format=html
I primi segnali di Luigi di Ruscio sono titolati "Non possiamo abituarci a morire".
Scrisse Franco Fortini nella prefazione del libro:
"Gli aspetti risentiti del parlato e del gergo si sovrappongono intenzionalmente alle strutture della lingua colta e letteraria, per più forti risultati. Biografia individuale, biografia del gruppo, ritratti di gente che lavorare stanca; e, di tanto in tanto, sopratutto nelle clausole delle composizioni, atroci affermazioni che ci minacciano col loro ritmo. E amare sentenze; nel doppio significato che questa parola - come quella: processo - ha assunto ormai per il nostro mondo."
1
Raccolgono la neve
con le mani coperte di sangue guasto
la mettono sulla bocca
per tutti i gelati
che quest'estate non hanno avuto
montano su pezzi di legno
e scivolano per tutti i sogni che non hanno fatto
e sarà giorno di festa anche per loro
fuori dalle case
con le vesti bucate
le scarpe sfondate
mentre la neve fascia di gelo le case
in questa vostra terra
dove dio ci ha fatti bastardi
2
Avevo cinque anni
una vecchia mi fece capire
perché nessuno mi teneva sui ginocchi
mia nonna che mi teneva per mano non mi difese
né per consolarmi mi strinse la mano
per questo sono andato solo sui fiumi
l'acqua non mi è servita per specchiarmi
ritornavo a casa per non dormire sul greto
a quell'età la fame fa essere pazzi
fa divenire presto adulti
e tutte le erbe che le capre hanno brucato
ho imparato a cogliere
ho preso il gusto del sapore amaro
questo è stato il mio latte
e perché rubavo con calma avevo i frutti più belli
andavo solo per non essere scoperto
al mio odore i cani non hanno abbaiato
e nessuno può condannarmi
se presto mi sono adoperato a negare iddio
sulle mura che l'acqua gonfiava
avevo visto solo le immagini di carta
ho scoperto i libri nel mucchio dello stracciaio
ancora oggi mi incanto a guardarli
cercavo tra le carte la pagina scritta
ho gridato e mi hanno guardato come essere vivo
come qualcosa di più di un viaggiatore
sono entrato nelle strade
quale bambino non sogna di vestire da uomo
io lo sono stato presto
ho trovato ancora con i pantaloncini corti
una donna che è rimasta contenta
perché gli uomini gli facevano male
ho volato sui pensieri
sognando per ogni foglia che ho visto cadere
erano le ore senza riposo
le chiese servivano per rinfrescarmi
giravo assetato delle donne
che presto con soldi rubati ho pagato.
Ora sento l'amore delle donne che sfiora il viso di fiati
stringo i capelli grassi
e le mie labbra da negro mi portano fortuna
gli occhi che non sanno riposare.
3
Sono senza lavoro da anni
e mi diverto a leggere tutti i manifesti
forse sono l'unico che li ragiona tutti
per perdere il tempo che non mi costa nulla
e perché sono nato non sta scritto in nessuna stella
neppure dio lo ricorda.
gioco alla sisal
e ragiono sulla famosa catena
ma ormai poco mi lascia sperare ai miracoli
sarebbe meglio berli
i soldi che gioco per sperare un poco.
Tutti i giorni vado all'ufficio del lavoro
Ed oggi vi erano due donne a riportare il libretto
ma le hanno consolate
gli hanno detto che per loro è più facile
potranno sempre trovare un posto da serve.
Poi sono rimasto sino alla sera ai giardini pubblici
una coppia si baciava
anch'io su quel sedile ho avuto una donna
ora ho lo sguardo di una che vorresti
che scivola dai capelli alle scarpe
per scoprirti che sei uno straccione.
lavoravo poi tornavo a casa sulla bicicletta pieno d'entusiasmo
dormivo di un sonno profondo
e alle feste con la donna
che ho lasciato per farla sempre aspettare
ora l'insonnia sino all'alba
poi un sono pino d'incubi.
Avevo pensato di farla finita
se resisto è per la speranza che cambierà
ma ormai ho qualche filo bianco
senza una sposa e un figlio
solo questo vorrei questo sogno da pazzi.
4
La domenica passiamo a ballare
oppure al cinema
oppure quando la squadra andava bene
a vedere la partita
a discutere al caffè per tutta la sera
d'un rigore che non dovevano dare
d'un fallo
di un tiro sbagliato
e nati tra queste mura
abbiamo fatto insieme tutte le cose
la scuola la prima comunione
gli stessi sogni di fuggire
e insieme abbiamo passato la guerra
nutrendoci di centocinquanta grammi di pane
che non basta ad empire la bocca una volta
e il fascismo lo abbiamo conosciuto
e l'arrestare sempre qualcuno
perché il lavorare di tanto in tanto
è la storia di sempre
come il discutere di partire l'australia
o di andare volontari
a non soffrire più la miseria
ed ogni giorno ci prende il gusto più forte
di ridere alle solite cose
che dicono sulla patria e su dio
per convincerci a morire come siamo nati.
5
Sulla stradetta che porta al casino
spesso trovo le donne
che non guardano più con curiosità
non ci fanno più caso
neppure le giovani
che chi sa a quello che pensano.
Si passa per un muretto di cinta
che al sole si empie di lucertole
e i bimbi alla posta
con cappi d'avena
e prese girano a lungo
sino a morirle.
Vedo tutto questo
perché vado nell'ore di sole
per fare con comodo
senza aspettare a volte la fila
averle con in corpo la fretta.
Posso fare due chiacchiere
nude vedermele vicino
e fatta amicizia
abbracciati salire le scale
baciato dalla bocca che odora di menta.
Contendo rifaccio la strada
e qualche ragazzo capelluto
con lucertola in mano mi ride d'invidia
di non aver venti anni come me.
6
Per colazione hanno acqua e pane
bevono molta acqua
la saliva che hanno devono sputarla sulle mani
perché il martello non scivoli
a mezzogiorno mettono nel brodo d'erbe
il solito pane nero
al coprirsi del sole se io sono pieno di malinconia
per loro è bello tornarsene a casa ridendo
sedersi in famiglia giocare con i figli
dopo dieci ore di lavoro sulle pietre
per quel poco pane e perché la moglie
continui a fare per ultimo il piatto
perché a nessuno manchi la parte
7
d'estate la pioggia fa bene ai granturchi
e i maiali vanno di meno
e quando va bene in campagna va bene per tutti
ma nella stagione cattiva
la pioggia è una maledizione
e coprirsi la campagna di sterpi
ed è come stare all'aperto
l'acqua scorre sul viso sulle spalle
e si lavora così tutti i giorni
vai sulla strada sperando di fare giornata
la pioggia ti leva il pane
e quando si lavora la pala s'inzacchera sulla fanga
la carretta s'affonda
e devi spingere con tutta la coscia
con le corce e gli stinchi bagnati
e nelle case i figli cercano il pane
i pezzi di pane-duro di quando c'era il sole
8
Ancora piove
e forse pioverà per sempre.
L'acqua scorre su due rivi
E porta lo sporco dei quartieri alti.
S'ode solo il battìo del ramaio
Sulla bottega con le pareti colanti d'acqua
E il fuoco sul rame
le nubi di vapore.
Lì le vecchie del vicolo
che tutto popolano di misteri
vedono i colloqui infernali
e quando uno dei ramai s'impiccò
dissero che l'anima se la prese il diavolo.
Da noi le oscure leggende prendono i cuori
e passano lontano dal ramaio
quando vanno per l'acqua alla fontana
e fu uno dei ramai a dirmi
facendomi vedere il libro delle lune
che chi è nato d'acquario è tenebroso come l'acqua
ed è nato per essere solo me lo dissero con calma
poi ravvolsero le pagine scritte
le rimisero in un buco nel muro e continuarono a battere.
Io non ho mai avuto paura
Avevano l'unico orto del vicinato
Le grotte di cui vedevo gli archi pieni d'acqua
E il cipresso dove finì l'impiccato
Lo vidi rimase appeso un giorno
con la lingua nera.
9
Sopra i tetti vagano i gatti
e i miagolii pianti dell'amore
portano le menti nel terrore.
E le bottiglie gettate per paura.
Dicono che tra l'ombre ronzano le streghe
e i morti s'alzano.
Io non vidi mai nulla
è solo una mia dura ironia
che mi porta ai fantasmi
immagino gufi con verdi occhi
vagare nell'ombra
vedo le stelle immense
e non ho paura.
10
La città dove viviamo è un gruppo di case
accatastate in un colle
circondato da torrioni e mura
e alla periferia piccole officine
dove si lavora tutto il giorno e si guadagna poco.
Nella nostra città vi sono le chiese
E i vecchi che dicono che qua si sta male
per tutte le chiese
e i palazzi dove abitano loro
che fanno le elemosine
le signore damine di carità
che portano qualche volta i buoni per il pane
e guardano dentro le marmitte
per vedere se vi bolle la carne
e guardano lo sporco
storconi il naso agli odori
dicendo - l'acqua non si paga -
e intorno le nostre case appoggiare l'une sulle altre
come stroppi che si tengono la mano
e si impreca perché non le cade una
che crollerebbero tutte come un castello di carte.
Le nostre parti sono ancora come nelle vecchie mappe
Hanno ancora la fossa per la merda
e le signore damine dovrebbero saperlo
che buttarci l'acqua significa empire la fossa
e la puzza rimane la stessa
e ci viviamo da tutta la vita
al mattino mangiando un pezzo di pane
a mezzogiorno un piatto di minestra
alla sera un piatto d'erbe
che la vecchia va ogni giorno a trovare
e il curato a carnevale ebbe il gusto di dire
- domani spero fare tutti vigilia -
noi la facciamo tutto l'anno vigilia
e siamo buoni cristiani
nessuno a fatto tante penitenze.
Non diciamo questo per la vostra pietà
è per mettere il dico sulla piaga
e guardare con gli occhi slabbrati
senza sogni che ci vorrebbero portare per mano.
Il sole lo abbiamo
In mezzo al vicolo verso mezzogiorno
L'acqua l'abbiamo
a portarla sulle spalle
e quando la fontana per il freddo gela
empiamo le stagnate di neve per cucinare
la faccia ce la laviamo strofinando le guance di neve
perché la brocca dell'acqua s'è gelata
e le mani sono nere di geloni
e quelli dell'Edison
tagliano e mettono la luce
e alla sera con il lume ad olio
come per secoli addietro i vecchi raccontano
e noi per rispetto si ascolta in silenzio
intorno al fuoco se si ha fortuna
e gli occhi annebbiati guardano la fiamma e la bragia
dove si cuoce la patata
che si mangia con un poco di sale
questo viene raccontato non per la vostra pietà
si preferisce tacerle le nostre miserie
tenerle nascoste
e con le sbornie cerchiamo di dimenticarle
così voi avete l'occasione di dire
- si ubriacano e poi dicono che non hanno il pane -
voi vi ubriacate e sapete altri divertimenti
le vostre serve ci raccontano i vostri gusti
noi sappiamo solo ubriacarci
e andare al cinema qualche volta per sognare
quando cambiamo le lenzuola
stiamo con la carne sull'intima
il materasso è di crine
e non è stata allargata anni
è dura e forse ci fa bene alle ossa
qualcuno prega alla sera e alla mattina
tiene l'acqua santa
e con rassegnazione Cristo che lo si bestemmia
perché da secoli serve solo a voi
e i cuori d'argento dei voti intorno alla madonna
sono solo i vostri
a noi non ci fanno più grazie
non ce l'hanno mai fatte
i nostri figli sono brutti le gambe arrossate
la testa grossa
e a scuola sono all'ultimo banco
i vostri parlano meglio
noi l'italiano non lo sappiamo parlare
forse per i conti siamo meglio
i nostri figli imparano presto a contare
perché aspettano sempre qualcosa
sempre un giorno
e ci pensate male
quando vedete che quaggiù sono comunisti
dite - guardate gli straccioni
vogliono comandare loro -
e gli straccioni pregano meno
hanno fame di più
e quando vengono le damine
non si sa più essere gentili
dello sporco non ci si scusa più
non ci si può abituare a morire di fame
ci si può abituare a prendere schiaffi
a prendere sputate negli occhi
ma morire di fame no
sentiamo il caldo della vita
le nostre mani hanno fatto tutto
non possiamo morire
ne morire scannandoci con altri come noi
siamo stanchi di spandere il nostro sangue
sulle vostre ricchezze
non c'importa se i meglio di noi
non li volete più in chiesa
il prete ha la terra da difendere
a benedetto la guerra per le cosiddette
civiltà romane e cristiane
ma la fame
la tubercolosi
portare la scabbia sui diti
i figli con le gambe fine le teste grosse
il sangue che soffre
la morte aggrappata sulle spalle ci pesa.
La nostra città è questa
ed altre città hanno questa miseria
con le officine che aprono e chiudono
e fanno lavorare fuori orario
gli alcolizzati minati dalla tubercolosi
le puttane
quelle che lo fanno con gusto
e quelle che lo fanno male ma devono farlo
anche se i preti non gli danno l'assoluzione.
Non possiamo abituarci a crepare
neppure un asino che da noi si racconta l'ha potuto
siamo gente paziente
non possiamo abituarci a morire
noi vogliamo vivere
perché la vita ci piace
abbiamo il gusto della vita
con le mani che hanno tirato su tutto.
11
Faceva l'infermiera
e fu cacciata e liquidata per pochi soldi
ora ha pensione e si ubriaca col mistrà
e va a dormire verso mezzanotte
si fa il caffè e me lo porta quando vede la luce
e mi domanda perché scrivo tanto senza dare un esame
lei che mi ha tenuto sulle gambe più di mia madre
che doveva vestire i morti fare la serva
per darmi poco pane
soffre a vedermi senza nulla
vorrebbe avere i miei figli
per ricominciare come fossero suoi
ma la colpa non è mia se sono nato male
la colpa non è mia di niente.
12
La pensione da impiegato comunale
è di ottomila al mese quarant'anni di fatica
per pane e formaggio grattugiato
per imparare a stendere la mano e morire solo
oppure finire al ricovero dei vecchi
ubbidire a bacchetta la madre superiora
alzarsi presto imparare a pulirsi l'anima
per avere un pasto abbondante
e morire in un posto fatto per i vecchi
perché crepino senza dare fastidio.
13
È morto lavorando
ottant'anni l'ha passati sulla fatica
sulla fossa ha la croce di latta
un numero e un mucchio di terra
andava a tutte le manifestazioni di partito
diceva che non avrebbe voluto il prete
ma la paralisi
non lo fece parlare.
14
È quella che canta la tristezza della strada
suo marito è in Francia
e non fa sapere più nulla
e lei e la figlia vivono
degli uomini che vengono la notte.
E il suo canto è come la strada
stridulo e stonato
è come il vapore che esala
dai tetti dopo la pioggia.
Dice a tutti quale è la sua arte
e a volte lo grida ridendo
con l'amaro delle donne.
15
Avevano la sifilide
e presero una bastarda già grande.
Era carina e stavamo spesso insieme
Sullo scalino di casa senza toccarla.
Poi la fidanzarono con uno più grande
che non scherzava
e si dice che ci pensasse anche il padre
sulla piccola carne
con ancora le treccette.
Aveva preso l'abitudine
di pensare che tutti erano come me.
Poi non mi capì più.
16
il semaforo segna rosso
sulla costruzione sospeso come un dio
e le biciclette volano con in groppa le donne
dagli occhi di tutti i colori
col viso più forte della morte
gente che assapora i giorni
e quel rosso nel viso ha più luce del sole.
Schwarz editore, 1953, con prefazione di Franco Fortini
*Nota
Luigi Di Ruscio è nato a Fermo (AP) nel 1930, emigrato in Norvegia nel 1957 dove ha lavorato per anni quaranta in una fabbrica metallurgica, sposato con Mary Sandberg con cui ha avuto figli quattro. Ha pubblicato questi libri:
Poesie
1 ) Non possiamo abituarci a morire. Prefazione Franco Fortini, Schwarz, Milano, 1953.
2 ) Le streghe s’arrotano le dentiere. Prefazione Salvatore Quasimodo, Marotta, Napoli, 1966.
3 ) Apprendistati, Bagaloni, Ancona, 1978.
4 ) Istruzioni per l’uso della repressione. Presentazione di Giancarlo Majorino, Savelli, 1980.
5 ) Epigramma, Valore d’uso edizioni, Roma, 1982.
6 ) Enunciati, a cura di Eugenio De Signoribus, Stamperia dell’arancio, Grottammare, 1993
7 ) Firmum, peQuod, Ancona 1999
8 ) L’ultima raccolta, prefazione Francesco Leonetti, Manni, Lecce 2002
9 ) Epigrafi, Grafiche Fioroni, Casette D’Ete, 2003
10) 15 epigrafi con dedica, Battello Stampatore, Trieste 2007
11) Poesie Operaie (raccolta antologica) EDIESSE, Roma 2007
12) L’Iddio ridente. Prefazione Stefano Verdino. Editrice Zona
Narrativa
1) Palmiro, presentazione Antonio Porta, lavoro editoriale, Ancona, 1986
2) Palmiro, (seconda edizione) 1990
3) Palmiro, (terza edizione) Baldini&Castoldi. 1996
4) Le mitologie di Mary, Postfazione: Mary B. Tolusso, Lietocolle, 2004
5) L’Allucinazione “affinità elettive” CATTEDRALE 2008
6) Cristi Polverizzati. Prefazione Andrea Cortellessa, Emanuele Zinato, Angelo
Ferracuti, edizioni: fuoriformato
2 commenti:
"E il suo canto è come la strada".
Pensare che li ho sempre invidiati quelli che hanno qualcosa da dire come parlassero di se'.
La poesia si stempera, mi sembra che non gli interessi di stare in un verso, non si compiace delle parole per la loro bellezza o perché arrivano impreviste. Diventa un gatto, una prostituta, lo sputo sul badile, ma non per una scelta alternativa, per schieramento. Potendo scegliere avrebbe mangiato bene tutti i giorni. Oggi la povertà è diversa, la vedi al supermercato dove si compra l'indispensabile ed è più quello che si lascia.
Grazie Ennio, vorrei leggere altro di Luigi Di Ruscio. Mi sembra che insegna.
mayoor
Ho conosciuto Di Ruscio nel 2009, era aprile. Mi è sembrato un uomo di una grande semplicità sotto una scorza che per la vita che ha fatto non poteva che essere quasi granitica. Mi sembrava lontanissima da me, la sua poesia... Poi ho scoperto che il suo lavorare per blocchi verbali mi apparteneva molto più di quanto fossi disposto ad ammettere. Quel giorno eravamo a un tavolo di un chiosco vicino al duomo di Fermo, dove Di Ruscio era nato. Appoggiò un suo libro sul quel tavolo con l'intento, neanche troppo recondito, di farmelo acquistare. Mi sembrò una furbata e non lo feci... Oggi mi pento di aver voluto gareggiare con lui in furbizia. Non poteva regalare i suoi libri anche se aveva un disarmante bisogno che la sua opera arrivasse agli altri. Mi pento molto di non avere quel libro. Ciao Luigi, peccato non averti potuto conoscere meglio e di più. Stelvio Di Spigno.
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