sabato 23 giugno 2012

CRITICA
Ennio Abate
A lato di una discussione
su «Le parole e le cose»
per un meridiano
delle poesie di Fortini



Pubblico anche su questo blog un mio lungo commento-riflessione su una discussione di cui non riassumo i termini. Gli interessati possono documentarsi direttamente  qui [E.A.]


Finora in questo post  ci sono stati spunti di discussione interessanti, ma di botto, emerse le differenti opinioni e menati gli ultimi fendenti [1] essa si è bloccata. Tento per conto mio di  rimettere  i pezzi finiti per terra sul tavolo e insistere. Tratterò due punti:

1. Meridiano delle poesie di Fortini: sì/no

Non sono addentro a nessuna faccenda editoriale. E ragiono solo per supposizioni e deduzioni dai dati che mi arrivano. Mi chiedo io pure: come mai la Mondadori, che pur ha già pubblicato «Saggi ed epigrammi» di Fortini, non accetta o ritarda la pubblicazione delle sue poesie? C’è o no questa *damnatio memoriae* cui allude Luperini? O magari opera in forme mascherate? Quali? S’è manifestata,  forse, successivamente alla pubblicazione del primo Meridiano dei «Saggi ed epigrammi»? Chi avesse dati per non farci sproloquiare a vuoto, è pregato di metterli a disposizione. Grazie.


Posso però valutare quello che stiamo dicendo qui su LPLC. E  anche su questo dico la mia: trovo riduttivo  vedere la pubblicazione di un Meridiano delle poesie di Fortini quasi in termini di  mero comfort per  lettori “forti” (Marchese, Lo Vetere); e considero nichilista (e un tantino troppo orgogliosa) la posizione di stan.

@ stan

Possibile che, nel 2012, si deve rimanere inchiodati alla contrapposizione  tra apocalittici e integrati? Credevo di aver messo in modo pulito la questione: un appello, una raccolta di firme, una rivendicazione. Ci si potrebbe coalizzare su un obiettivo: “Meridiano delle poesie di Fortini subito”. Sarebbe anche un test di valutazione dei “sinceramente democratici” che ruotano attorno a LPLC. Potremmo al contempo discutere anche di esclusi dai Meridiani, come Cacciatore o Cesarano (io lo conosco) e di linea editoriale della Mondadori o di chicchessia. Magari persino incontrarci in qualche luogo d’Italia (che so: al Centro F. Fortini di Siena). O sfilare con dei cartelli sotto la sede della Mondadori incalzando e dando la sveglia ai “mondadoriani”.
E, invece, non solo si fa orecchie da mercanti da parte di molti (come temevo) o ci si ferma a vaghi incoraggiamenti, ma mi si para davanti “il compagno stan” (non ti conosco e di questi tempi  vado per supposizioni…). Vedo che  usa tutta la sua intelligenza e ironia, ma semplicemente per prendersela con Luperini («davvero un poeta non esiste se non viene pubblicato nei Meridiani?» ; «Una volta i “salotti” erano invisi agli intellettuali “contro”, oggi va di moda frequentarli.»), per denunciare, sì, i vuoti o la confusione della linea editoriale della Mondadori  (« Di Cacciatore – il miglior poeta italiano secondo Eliot – esiste il Meridiano?»; «Un poeta che mai entrerà nei Meridiani, Giorgio Cesarano»), e poi, alla fine della fiera, tirarsi da parte  ([questa proposta]«anche se trasformata in appello, non godrà del mio avvallo»; «Oggi un solo programma è possibile: starne fuori. Altrimenti vince la merda»).
Non è nichilismo questo? Diciamo pure che i Meridiani Mondadori sono il Museo degli Scrittori di prestigio imbalsamati e che ha tutti i  difetti che chi  se ne intende potrebbe elencare. Ma, visto che la collana esiste e potrebbe avere *anche* una funzione decorosa e invece viene gestita in maniera sempre meno “illuminata” e strizzando sempre più l’occhio al Mercato, perché non rivendicare che, appunto, entrati la Spaziani o Camilleri, possa entrarci anche il Fortini poeta e non solo  quello saggista-epigrammista?
Anche per me, come per te, i Meridiani restano un Palazzo che non m’appartiene. È però uno  spazio culturale pubblico. E, quando passo davanti alla sua facciata, mi piacerebbe  vederci anche la statua di Fortini.
Sì se ci fosse  quel ‘noi’ che forse entrambi abbiamo visto all’opera in lontani anni meno bui di questi, questa sarebbe stata “una battaglia di retroguardia”. Ma oggi? Non essendoci alcuna avanguardia - o non me ne accorgo io, stan? -,  anche una piccola, castigatissima, *politicamente ipercorretta*  rivendicazione democratico-inclusiva per  indurre i “mondadoriani” a  collocarvi anche l’opera poetica di Fortini a chi fa male? Distrae forze le masse o il popolo o le minoranze pensanti da obiettivi più “rivoluzionari”?  Avalla il “potere borghese” della Mondadori? No, faremmo solo un minuscolo tentativo di  organizzare intellettuali o “lavoratori della conoscenza” su un obiettivo comunque serio, perché stiamo parlando di un Meridiano delle poesie di Fortini non degli scritti di Saviano…(ma su questo cfr. anche al punto 2).
Insomma, stan, mi pare che non t’accorgi che la «merda» (Majorino la chiama  più eufemisticamente «la dittatura dell’ignoranza») ha già vinto,  che «lo scempio» è già avvenuto. E allora che si fa? Non si dovrebbe, comunque, contrastarne gli effetti maleodoranti. Lo fai tu da solo  tirandoti fuori con qualche altro o invitando anche noi a «sparire»?
Secondo me, se nel panorama di «merda» dei Meridiani a metterci un Fortini poeta, che profumasse come una ginestra, oltre che a tenercelo (e spero a leggerlo ogni tanto) in alcune poche  nostre biblioteche private o pubbliche - ripeto -, a chi facciamo del male? E se ci facessimo sentire più spesso e con più coraggio e e denunciassimo  i gestori della produzione di «merda» culturale o i grandi, medi e piccoli “dittatori dell’ignoranza (come ha fatto l’amico Salzarulo in questo post…), non aggiungeremmo un granello per costruire quel  ‘noi’ capace di  passare dallo scambio di opinioni “disinteressate” su un blog  a un patto minimo, che sotto sotto è ciò che manca nei nostri intelligenti discorsi?

2. Fortini poeta/Fortini saggista

[@ Rosemary Liedl]

Mi ha colpito il suo commento sottilmente acido e malizioso (e mi scuserò con lei, se sbagliassi a interpretarlo). Rispolverando la recensione di Antonio Porta a *Una volta per sempre* di Fortini apparsa sul Corriere della sera del 1978, indirettamente lei sembra dire: Le poesie di Fortini hanno qualcosa d’oscuro («si riferiscono quasi sempre a “qualcosa d’altro”») e i suoi stessi «compagni di viaggio» non hanno nascosto «gli ostacoli e l’imbarazzo» nel concedergli l’avallo letterario; tanto che, non potendo dire che erano belle, notevoli, straordinarie, se la cavavano con contorti stratagemmi,  del tipo:  bisogna «partecipare all’ideologia fortiniana per capire le sue poesie». Non è che voi, qui convenuti a chiacchierare sul Meridiano delle poesie di Fortini, state ripetendo lo stesso giochetto? E perciò giù la maschera: dite «di quale ideologia o ideologie» parlate! Davvero la condividete/la condividevate l’ideologia del comunismo di Fortini?

È una domanda scomoda, persino insidiosa, ma va al cuore di un problema: quello del legame tra la forma della poesia di Fortini e la sua concezione del comunismo (o “filosofia della storia”). In termini più semplici c’è chi si è chiesto e si chiede: ma a Fortini ha giovato o no (e non solo nella ricezione del pubblico, ma nell’accertamento da parte dei critici del valore estetico delle sue poesie) l’essere stato comunista e aver voluto dare forma a questo suo “pensiero dominante” anche in poesia?
Per molti intellettuali (anche di sinistra), rimasti malgrado  riveniciature contingenti crociani fino alle midolla, la poesia resta espressione di un sentimento lirico è stop. E in tanti decenni non hanno cambiato opinione. La lezione di Auerbach è scivolata via, acqua di fiume su un sasso. Eppure, avendo egli sdoganato il Dante troppo carico di “sovrastrutture” della *Commedia*, e avendo agevolato anche lo sdoganamento di  Leopardi, potrebbe - perché no - aiutare ad intendere meglio il “Fortini poeta”…Ma chi ha voglia di fare tutto questo giro Aurbach-Dante-Leopardi-Fortini? Meglio segare la sua opera. Qualcuno si legge *anche* le sue poesie. E gli altri si limitano a fare gli estimatori del “Fortini saggista”.
Non dico tali cose a  Seligneri, che ha già la sua bella lista di nomi per i Meridiani da anteporre a quello di Fortini. Ma a  te, stan, sì, che ti attesti sul dogma: in Fortini «l’aspetto razionale si mischia anche a quello percettivo: la noia è possibile». Come scuotere questa tua noia, sia pur «d’amore» (e dopotutto documento di lettore diligente)? Specie se le tue «riserve sul Fortini poeta» si appoggiano su quelle esposte «in più occasioni» da Sanguineti? (Tieni conto che Sanguineti fu “parte in causa” contro Fortini  per profonde ragioni politiche, essendo stato lui del PCI e Fortini critico del PCI. Ne assaggi ancora gli echi qui: http://luperini.palumbomultimedia.com/?cmd=articoli&id=15).  Se le aveva lui,  Sanguineti, che era di sinistra e d’avanguardia! E se poi, in aggiunta, ce le aveva pure Gianfranco Ciabatti, che con mia sorpresa  -  sono disinformato in pettegolezzi letterari! - quasi dovrei collocarlo adesso nel mazzo dei “fortiniani pentiti” alla Berardinelli! Figuriamoci i “mondadoriani” Doc!

Non sarò io a sbrogliare tale matassa nello spazio di  un commento su LPLC. Vorrei però ricordare  a Rosemary che la questione  posta nel 1978 da Carlo Porta, e da lei ora riproposta, fu affrontata nelle giornate di studio «Dieci inverni senza  Fortini 1994-2004)» a Siena  e in particolare nella tavola rotonda che le concluse. Sto rileggendo, in preparazione del n. 9 di POLISCRITTURE dedicato a Fortini,   quegli Atti, pubblicati da Quodlibet di Macerata nel 2006. E sarebbe  bene che li leggessero o rileggessero lei ed altri, anche se “noiosi”. Per invogliare a farlo e magari a riprendere altrove il discorso (basta scrivermi a poliscritture@gmail.com), riassumo qui due posizioni emblematiche, antitetiche e significative ancora oggi di come gli intellettuali si collocano di fronte  alla *contraddizione*, che la poesia di Fortini si assunse; e che oggi a cuor leggero (e non solo in poesia) viene scartata. Mi riferisco a quelle di Guido Mazzoni e (del compianto)  Riccardo Bonavita.

Per Mazzoni le rivoluzioni moderne iniziate col 1789 e  quelle comuniste sono esaurite (affermazione drastica attenuata solo da un dubbioso ed enigmatico «forse per sempre».  Una storia, che Fortini poteva ancora chiamare «nostra», è finita. E l’opera fortiniana - i suoi discorsi, la sua poesia, la sua saggistica - diventano quasi del tutto incomprensibile. Se non ai topi, va consegnata agli accademici, affinché vi approntino «un corredo di note» per  renderla quantomeno  leggibile ai posteri. Da qui - conseguente (malgrado quel «forse» sospeso nel vuoto…) - una scelta precisa almeno in letteratura e in poesia (non so le posizioni di Mazzoni in politica): abbandonare i problemi che Fortini ha macinato tutta una vita e tornare  a Montale o a  Sereni, cioè proprio agli autori che Fortini «sottoponeva a critica politica» [2].  Sempre conseguentemente Mazzoni legge le opere degli ultimi anni di Fortini (Paesaggio con serpente, Insistenze, Extrema ratio Composita solvantur,) soltanto o soprattutto come «libri di ripiegamento e sconfitta».  In conclusione: fine del comunismo e riconoscimento che insensatezza e infelicità della condizione umana sono «ontologiche e irredimibili» [3]. I nostri destini possono diventare (tranquillamente o inquietamente) «sempre più privati». Il cerchio è chiuso.

Riccardo Bonavita, invece, attestandosi su Gramsci, Bourdieu e Freud e ricalcando uno schema interpretativo già usato da Fortini per Leopardi,  pone l’accento proprio sul Fortini poeta (ecco l’interesse di questa posizione per la nostra discussione): Fortini non va ridotto alla sua filosofia della storia [4] ; i suoi testi vanno interrogati non in una logica “discepolare”, che li tratterebbe da «testi sacri» e incoraggerebbe indirettamente in taluni atteggiamenti “edipici” (e faceva l’esempio di Berardinelli [5]), ma  attraverso un «buon uso della distanza», persino «scientifico». Contro la vulgata del Fortini  algido e in posa statuaria vi si coglierebbe - dice Bonavita - la presenza di «inquietanti e consapevoli inserzioni di tritumi inconsci» (soprattutto ne La poesia delle rose [6] . E, infine, a differenza di Mazzoni, non  vede il nostro tempo presente solo come caos o natura indecifrabile. A uno sguardo vigile esso si presenta ancora «strutturato da «grandi strategie storiche» tese a consolidare e ad estendere - questo sì - in modi diversi varie forme di dominio»[7] . Conclusione: *leggere Fortini* e essere capaci di porsi (o di non abbandonare) la sua «posizione dell’eretico» [8].

Con precisazioni che qui salto, mi ritrovo sulle cose dette da Bonavita. Non accetto l’idea della “fine della storia” che trapela dalle posizioni di Mazzoni, anche se riconosco che non siamo davanti a «un semplice arresto provvisorio nello sviluppo storico, come quello che Fortini intravide fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta» [9]; e che, dopo la vampata  mondiale del ’68, gli “oppressi” o i “dominati” sono stati irrimediabilmente tagliati fuori dagli scontri che contano; e non hanno più un “orizzonte d’attesa” o di lotta. Per un periodo storico imprecisato ogni ipotesi comunista (o suo sostituto) potrà essere o una favola menzognera o un’utopia orientativa per minoranze. Qui, sì, saremmo  nel cerchio di una visione prevalentemente di fede, come dice Mazzoni. Ma al posto dell’ utopismo:

…c'è da tornare ad un'altra pazienza
alla feroce scienza degli oggetti alla coerenza
nei dilemmi che abbiamo creduto oltrepassare. [10]

Sono perciò per un realismo che chiamerei dell’ io-noi *esodante*, capace di  dialogare, polemizzare, criticare, distinguendosi il più possibile  sia dal realismo “privatistico” esistenziale sia dal realismo di una ragione falsamente pubblica e  falsamente politica.  Anche se non si  potesse più essere ‘compagni’ o collegarsi di nuovo  per uno scopo comune, ciascuno ‘io-noi’ può non inchinarsi ai dominatori e non accettare *questo*  presente da loro imposto.
Come ai suoi tempi Fortini, abbiamo subito il peso della sconfitta.  Per quanto tentiamo di reggerla,  dobbiamo ripiegare e non abbiamo neppure più una qualsiasi  Mosca alle spalle. Possiamo  però non finire a New York. Meglio “periferici”, emarginati,  esiliati interni che cortigiani e arrampicatori.
Ed è la ragione, non la fede, che dice: non accontentarti dell’ideale del comunismo, della speranza nel comunismo, ma neppure dell’esistente capitalistico. Non restare abbarbicato nostalgicamente a una sorta di *età dell’oro*: marxiana o leninista o stalinista o soviettista (a seconda dei gusti, delle scelte o delle esperienze vissute), ma continua *soltanto* a sviluppare criticità e politicità (due tratti della fortiniana «posizione dell’eretico»). È una scommessa *esodante* ragionevole e praticabile, non fideistica e attendista.
La poesia di Fortini, proprio perché «il poeta non contraddice il pensatore» come tu, stan, riconosci, può, al di là di preferenze cristallizzate, rimanere in fecondo scambio con la sua saggistica. Un lettore *esodante* può muoversi criticamente e a pendolo tra l’una e l’altra. E tenere sempre d’occhio la realtà che continua a mutare. L’ideologia c’era anche in Fortini. Quella - sappiamo -  s’insinua in tutti; e non si vede perché dovesse esserne esente lui. Ma è la criticità  della sua visione comunista che è all’opera, e vigorosamente, non solo nei suo scritti saggistici  ma anche nelle sue poesie, nella sua metrica e nei suoi versi.
Oggi, 2012, siamo tutti più avvertiti che quel contenuto comunista  è “superato” (come del resto era  “superato” il cattolicesimo medievale di Dante), ma la formalizzazione fortiniana del moto storico comunista novecentesco, a cui legò la sua vita e la sua attività di scrittore e  di poeta, è qui davanti a noi. È una sorta di straordinaria squame di serpente. La sua forma richiama più e meglio  di altre forme (quelle  di altri scrittori e poeti suoi contemporanei)  il moto comunista che ci fu e quello che *potrebbe*  ancora esserci magari sotto un nome che non conosceremo. Nella squame  fortiniana di sicuro non si trovano raffinatezze, estetismi,  preziosismi linguistici, lucori di albe misteriche: tutto quello che troppo spesso viene creduto  poesia da quanti non vogliono riconoscere «il poeta di nome Fortini» (Lenzini).


[1] @ Lo Vetere
Eh, no.  A me le gomitate di stan (ma anche di altri) vanno bene, anche se fossimo tra compagni di cella. Tengono svegli.
 [2]  G. Mazzoni, Fortini e il presente, in «Dieci inverni senza Fortini», p.116, Quodlibet, Macerata 2006
[3] Idem p. 116
[4] Riccaro Bonavita, Per un buon uso della distanza, in «Dieci inverni senza Fortini», p.191, Quodlibet, Macerata 2006
 [5] Idem p.188
[6]  Idem p. 191
[7] Idem pag. 192
[8] Idem pag. 194
[9] G. Mazzoni, Fortini e il presente, in «Dieci inverni senza Fortini», p.115 Quodlibet, Macerata 2006.
[10] F. Fortini, Forse il tempo del sangue... (1958)]


1 commento:

roberto buffagni ha detto...

Avviso da un non comunista: secondo lui (secondo me) Fortini ha fatto benissimo a essere comunista, e a ficcare il comunismo nelle sue poesie, che sono belle, quando sono belle, proprio perchè sono le poesie comuniste di uno che al comunismo ci tiene più che alla fidanzata, al came, al gatto, anche più che ai Mer(i)diani.
Mi sbaglierò, ma a mio parere un poeta è poeta più vero e più grande quando ha anche l'ingenuità ridicola di credere in quel che dice. E questa fede, questa ingenuità, voglio vedere chi la supera. No, dico: fosse facile, per una persona intelligente, colta, di mondo, etc., credere sul serio in qualcosa! Vi sembra poco? A me, no.