alla Libreria Linea d’ombra di Milano
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Fermata MM Linea verde Sant’Agostino
Lunedì 18 GIUGNO 2012 ore 17, 30
Letture e dialoghi sul tema
Ironia Satira
Grottesco
Introduce Sandro Bajini
Gli incontri curati da Ennio Abate e Giorgio
Mannacio sono aperti a tutti
I partecipanti potranno leggere testi propri o
di altri
In preparazione di questo del 18 giugno qui sopra annunciato mi pare utile anticipare oltre alla nota di Sandro Bajini, che qui sotto leggete, anche quelle "integrative" di Giorgio Mannacio, che seguono subito dopo [E.A.]
L’ironia,
la satira, il grottesco, a cui si dedica l’incontro del 18 giugno, non sono
ingredienti tanto consueti nelle cronache letterarie. Alla mia tenera età
continuo ancora a chiedermi come mai la letteratura satirica, che nell’antica
Roma era così coltivata da assurgere a genere letterario di prestigio, sia
andata nei secoli progressivamente perdendo il suo peso culturale. Dopo la
grande stagione latina, nessuno ha mai potuto ripetere come Quintiliano:
“Satura tota nostra est”.
E’ vero che
anche nei secoli successivi non sono mancate le opere satiriche e burlesche. Ma
intanto sono poche e poi non sono tenute in considerazione..
Perché sono
poche? Evidentemente perché sono rari
gli scrittori satirici. Anche oggi, mentre si incontrano poeti lirici ad ogni angolo
geografico e di calendario, i satirici bisogna andarli a scovare conl’aiuto di
un cane da tartufi.
Motivi
psicologici spiegano, credo, la carenza. Più che il talento poetico è
l'indignazione, ci dice Giovenale, che spinge a scrivere versi satirici; ma la
capacità di indignarsi non è tanto diffusa. Unamuno diceva di Anatole France:
"E' un grande scrittore ma non sa indignarsi". E si riferiva a uno
scrittore dall’ironia sottile, certo, ma satirico la sua parte. Figuriamoci gli
altri.
Ma non è
solo una questione di temperamento, è anche una questione di convenienza.
Bisogna
superare la remora del "chi te lo fa fare?". Lo scrittore satirico
deve essere altamente disinteressato, guardare più attorno a sé che dentro di
sé, amare la verità più di se stesso ed esporsi a tutte le conseguenze del
caso. Ogni fatto satirico stabilisce per sua natura un contrasto fra un uomo e
altri uomini. E' un evento in sé drammatico: oppone, non concilia.
In altre
parole fare della satira non è conveniente sul piano pratico. Chi la fa si crea
dei nemici.
Ma non è conveniente nemmeno sul piano del prestigio
letterario perché il genere comico-satirico-burlesco è considerato qualcosa di
minore.
Si ha
l’impressione che il Don Chisciotte continui ad essere
apprezzato non perché ha carattere satirico ma nonostante abbia questo
carattere. Pensate alla fatica che hanno
fatto Carlo Porta e Giuseppe Gioacchino Belli per farsi tenere in sacrosanta
considerazione. Ce n’è voluto di tempo per convincersi che meritavano più
attenzione di Vincenzo Monti.
Nel
Novecento uno scrittore boemo che si chiamava Jaroslav Hašek scrisse uno
splendido romanzo satirico che si chiamava Il buon soldato Sc'veik. Ebbene, quante volte abbiamo
sentito citare Hašek nelle cronache
letterarie di questi anni ? Eppure si tratta di un capolavoro,
incompiuto, ma un capolavoro.
Perché questo, sia pur benevolo, sia pure involontario,
ostracismo ?
Perché
la società in generale non ama la satira e ne ha paura.
Il poeta satirico è infatti un
filosofo che ha abbandonato il linguaggio razionale per quello
metaforico-creativo; lì stanno le radici del male. Uomini che non battono
ciglio di fronte a un’intemerata espressa in termini quotidiani si sento feriti quando il linguaggio
o si vale dell'ironia e investe gli uomini di ridicolo, o si vale del sarcasmo
e investe gli uomini di fantasiose invettive .
Nessuno si scandalizza per un
sermone severo di un vescovo, o per la
polemica violenta di un uomo politico. Ma quando cambiano direzione e modi, il
discorso viene percepito come un'aggressione, anche da coloro che non ne sono
colpiti direttamente.
Talvolta la moralità che anima la
satira viene addirittura confusa col suo contrario, con la corruzione e col
vizio. Bossuet, vescovo di Meaux e
grande scrittore di Sermoni e di Orazioni funebri, tuonava dal pulpito
accusando Molière di immoralità; e dal suo punto di vista aveva delle buone
ragioni. Poiché nel comico è ravvisabile l'essenza del demoniaco, come
affermerà poi Baudelaire, e dunque ribellarsi al comico (di cui la satira è un
aspetto) significa ribellarsi al demonio.
La comicità è distruttiva, vede
l'uomo nei suoi aspetti deteriori, lo umilia e lo annichilisce. E lo spettatore
finisce per credersi abietto anche quando non avrebbe ragione di farlo. Il
sillogismo è il seguente: l'uomo è meschino, io sono un uomo, dunque io sono
meschino.
I poeti satirici ci ricordano
impietosamente quel che siamo, e noi li vediamo come dispettosi giudici che non
si peritano di gridarci in faccia le nostre povere verità. George Meredith, in
un suo saggio sulla commedia, ricorda come il pubblico inglese, di fronte a
certe opere, dicesse: "E' mai possibile che l'uomo sia questo? si può
cadere tanto in basso?". Con la rimozione l'uomo cerca di dimenticare le
proprie bassezze; e con le bassezze dimentica il poeta, che appare come un
misantropo, un uccellaccio che per la salute pubblica è meglio perdere che
trovare.
E la
critica letteraria non è meno diffidente dell’uomo della strada nei confronti
della satira, poiché il letterato è un uomo come gli altri. Quando è in gioco
la letteratura satirica, la critica diventa particolarmente severa, anche se si
tratta di autori classici: basta pensare a Mario Praz che nella sua Storia della letteratura inglese stronca
Swift senza pensarci su tanto.
Certo
l’estetica idealistica ha fatto la sua parte: considerando
"impoetica" l'ironia, in quanto elemento razionale e quindi lontano
da ogni intuizione, esclude a priori il satirico dalla sfera dell’arte.
Ma dobbiamo intenderci anche su che
cosa si intende oggi per satira. Secondo i dizionari per satira si intende una composizione
letteraria o figurativa che mette in ridicolo i vizi, gli usi, i costumi, le
credenze di una società, attraverso espressioni più o meni irridenti, che
variano dalla ironia sottile, al sarcasmo amaro, all'invettiva feroce.
Senonché ci sono diversi modi per
mettersi in rapporto coi propri bersagli. Walter Benjamin contrappone la piccola parodia di chi è
compromesso col potere alla grande satira che ha, dice, una sorta di potenza
cannibalesca. Il satirico è la figura sotto la quale la società ammette
l'antropofagia, una sorta di antropofagia dello spirito. In altre parole, il
rapporto col bersaglio può essere persino finto, nel senso
che non esprime un'autentica
opposizione di un mondo a un altro, di un valore al non-valore, o di un valore
a un altro valore, ma che opera all'interno dello stesso universo che finge di
contrastare, facendo una satira minore, puramente parodistica, o che si rivolge
ad aspetti marginali, che non toccano l'essenza di quel mondo. E’ quel che
succede oggi con le divagazioni canzonatorie che fanno i comici in televisione,
che rimangono un puro “divertissement” basato sull’imitazione di questo o di
quello,
Decisiva è anche l’analisi
relativistica di Bachtin, che vede nella satira il sentimento carnevalesco del
mondo, l'atteggiamento libero che dialetticamente nega ogni certezza
opponendogli un contrario, sicché ogni valore perde il senso di verità rivelata
e lascia intravedere un'altra verità.
Naturalmente, al di là dei nobili
intendimenti, è sempre il talento che decide. Quindi ci può essere della buona
e della cattiva poesia satirica, così come accade nella poesia lirica. Ma anche
qui non c’è equità. Mentre un mediocre poeta lirico viene facilmente perdonato
per le sue nobili intenzioni; il cattivo satirico non viene perdonato proprio
per le sue cattive intenzioni. E adesso parliamo di ironia, di satira e di
grottesco, visto che in definitiva non è proibito, o non è proibito ancora.
Sandro Bajini
Giorgio Mannacio, Alcune note per la sera del 18
giugno a Linea d’ombra.
Sandro Bajini ci mostra, con le
sue osservazioni,sia le “ diverse origini e funzioni della satira “ sia l’ambiguità
delle valutazioni che ne hanno segnato la vita nel mondo delle lettere.
Non so – e in verità non ha
grande importanza – se le mie osservazioni siano una premessa o una
integrazione. Le si può prendere e collocare come si vuole.
Vorrei difendere, in primo luogo
e nel modo che vedrete, la categoria dei “ generi letterari”. Se intesa in modo
giusto tale distinzione non è un vezzo inutile o un esercizio astratto. Io la
intendo come un metodo per individuare e distinguere – all’interno del fenomeno
scrittura – atteggiamenti antropologici dello spirito umano, individuarne le
caratteristiche e il senso e attraverso
tali operazioni chiarirne la portata storica e l’esigenza pratica che esse
soddisfano.
Come avete visto nelle
osservazioni di S.B ciascuno può ritagliare all’interno della propria
esperienza di scrittura satirica il “ senso che ad essa intende attribuire “.
Io ,per conto mio,credo di
riconoscermi nella posizione di Bachtin, come spero di poter dimostrare
attraverso la lettura di qualche testo.
In secondo luogo mi piace
ricordare – non per sfoggio di cultura ma per
arricchire di contenuti concreti il ns discorso – che il termine satira
– in latino satura – deriva da lanx satura, un piatto della antica cucina
latina,una sorta di minestrone in cui venivano mescolate un po’ alla rinfusa
verdure e legumi veri.
Ancora una volta resto ammirato
dalla spregiudicata acutezza degli antichi che con due parole riescono a
sintetizzare quella che mi sembra – sotto l’aspetto formale – l’aspetto
saliente della satira.
Essa – nelle sue modalità esterne di
manifestazione – non si limita ad un “ingrediente “ soltanto ma mescola
“ingredienti diversi “. Utilizza – in un unico contesto – lo stile sublime, la
bizzarria grottesca,l’ironia ( nelle due forme canoniche della socratica e
della romantica ) ,il comico ed il tragico. Può avere impennate liriche ma le
inserisce in testi discorsivi non cedendo mai ad un’unica opzione espressiva.
Questo sembra coerente con il
rifiuto di “ vedere le cose da un unico punto di vista “,con la
relativizzazione del suo discorso.
In un certo senso , mi pare, che
la satira rappresenta una sorta di estremizzazione anche formale della tendenza
ironica che si alimenta di dissimulazioni.
1 commento:
Alla poesia italiana farebbe bene ( certo non farebbe male ) recuperare la dimensione originaria in cui il comico/giocoso parlò nella nostra letteratura : il realismo , certo rivisitato in età telematica , ma sempre istanza primaria della scrittura . La poesia comica è allora la chiave per guardare alla realtà delle cose , alla loro natura storica e linguistica . Ridere delle cose e delle persone vuole dire , ancora una volta , conoscere il mondo .
leopoldo attolico -
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