venerdì 15 giugno 2012

SEGNALAZIONE
Prossimo incontro
del Laboratorio Moltinpoesia

alla Libreria Linea d’ombra di Milano
Via San Calocero 29 Milano
Telefono: 028321175
Fermata MM Linea verde Sant’Agostino 
Lunedì 18 GIUGNO 2012 ore 17, 30
Letture e dialoghi sul tema
Ironia Satira Grottesco
Introduce Sandro Bajini
 Gli incontri curati da Ennio Abate e Giorgio Mannacio sono aperti a tutti
I partecipanti potranno leggere testi propri o di altri
In preparazione di questo del 18 giugno qui sopra annunciato mi pare utile anticipare oltre alla nota di Sandro Bajini, che qui sotto leggete, anche quelle "integrative" di Giorgio Mannacio, che seguono subito dopo [E.A.]

L’ironia, la satira, il grottesco, a cui si dedica l’incontro del 18 giugno, non sono ingredienti tanto consueti nelle cronache letterarie. Alla mia tenera età continuo ancora a chiedermi come mai la letteratura satirica, che nell’antica Roma era così coltivata da assurgere a genere letterario di prestigio, sia andata nei secoli progressivamente perdendo il suo peso culturale. Dopo la grande stagione latina, nessuno ha mai potuto ripetere come Quintiliano: “Satura tota nostra est”.

E’ vero che anche nei secoli successivi non sono mancate le opere satiriche e burlesche. Ma intanto sono poche e poi non sono tenute in considerazione..
Perché sono poche? Evidentemente  perché sono rari gli scrittori satirici. Anche oggi, mentre si incontrano poeti lirici ad ogni angolo geografico e di calendario, i satirici bisogna andarli a scovare conl’aiuto di un cane da tartufi.
Motivi psicologici spiegano, credo, la carenza. Più che il talento poetico è l'indignazione, ci dice Giovenale, che spinge a scrivere versi satirici; ma la capacità di indignarsi non è tanto diffusa. Unamuno diceva di Anatole France: "E' un grande scrittore ma non sa indignarsi". E si riferiva a uno scrittore dall’ironia sottile, certo, ma satirico la sua parte. Figuriamoci gli altri.
Ma non è solo una questione di temperamento, è anche una questione di convenienza. 
Bisogna superare la remora del "chi te lo fa fare?". Lo scrittore satirico deve essere altamente disinteressato, guardare più attorno a sé che dentro di sé, amare la verità più di se stesso ed esporsi a tutte le conseguenze del caso. Ogni fatto satirico stabilisce per sua natura un contrasto fra un uomo e altri uomini. E' un evento in sé drammatico: oppone, non concilia. 
In altre parole fare della satira non è conveniente sul piano pratico. Chi la fa si crea dei nemici.
Ma non  è conveniente nemmeno sul piano del prestigio letterario perché il genere comico-satirico-burlesco è considerato qualcosa di minore.
Si ha l’impressione  che il Don Chisciotte continui ad essere apprezzato non perché ha carattere satirico ma nonostante abbia questo carattere.  Pensate alla fatica che hanno fatto Carlo Porta e Giuseppe Gioacchino Belli per farsi tenere in sacrosanta considerazione. Ce n’è voluto di tempo per convincersi che meritavano più attenzione di Vincenzo Monti.
Nel Novecento uno scrittore boemo che si chiamava Jaroslav Hašek scrisse uno splendido romanzo satirico che si chiamava Il buon soldato Sc'veik. Ebbene, quante volte abbiamo sentito citare Hašek  nelle cronache letterarie  di questi anni ?  Eppure si tratta di un capolavoro, incompiuto, ma un capolavoro. 
Perché questo, sia pur benevolo, sia pure involontario, ostracismo ?
Perché la società in generale non ama la satira e ne ha paura.
Il poeta satirico è infatti un filosofo che ha abbandonato il linguaggio razionale per quello metaforico-creativo; lì stanno le radici del male. Uomini che non battono ciglio di fronte a un’intemerata espressa in termini  quotidiani si sento feriti quando il linguaggio o si vale dell'ironia e investe gli uomini di ridicolo, o si vale del sarcasmo e investe gli uomini di fantasiose invettive .
Nessuno si scandalizza per un sermone severo di un  vescovo, o per la polemica violenta di un uomo politico. Ma quando cambiano direzione e modi, il discorso viene percepito come un'aggressione, anche da coloro che non ne sono colpiti direttamente.
Talvolta la moralità che anima la satira viene addirittura confusa col suo contrario, con la corruzione e col vizio.  Bossuet, vescovo di Meaux e grande scrittore di Sermoni e di Orazioni funebri, tuonava dal pulpito accusando Molière di immoralità; e dal suo punto di vista aveva delle buone ragioni. Poiché nel comico è ravvisabile l'essenza del demoniaco, come affermerà poi Baudelaire, e dunque ribellarsi al comico (di cui la satira è un aspetto) significa ribellarsi al demonio.
La comicità è distruttiva, vede l'uomo nei suoi aspetti deteriori, lo umilia e lo annichilisce. E lo spettatore finisce per credersi abietto anche quando non avrebbe ragione di farlo. Il sillogismo è il seguente: l'uomo è meschino, io sono un uomo, dunque io sono meschino.
I poeti satirici ci ricordano impietosamente quel che siamo, e noi li vediamo come dispettosi giudici che non si peritano di gridarci in faccia le nostre povere verità. George Meredith, in un suo saggio sulla commedia, ricorda come il pubblico inglese, di fronte a certe opere, dicesse: "E' mai possibile che l'uomo sia questo? si può cadere tanto in basso?". Con la rimozione l'uomo cerca di dimenticare le proprie bassezze; e con le bassezze dimentica il poeta, che appare come un misantropo, un uccellaccio che per la salute pubblica è meglio perdere che trovare.
E la critica letteraria non è meno diffidente dell’uomo della strada nei confronti della satira, poiché il letterato è un uomo come gli altri. Quando è in gioco la letteratura satirica, la critica diventa particolarmente severa, anche se si tratta di autori classici: basta pensare a Mario Praz che nella sua Storia della letteratura inglese stronca Swift senza pensarci su tanto.
Certo l’estetica idealistica ha fatto la sua parte: considerando "impoetica" l'ironia, in quanto elemento razionale e quindi lontano da ogni intuizione, esclude a priori il satirico dalla sfera dell’arte.   
Ma dobbiamo intenderci anche su che cosa si intende oggi per satira. Secondo i dizionari per satira si intende una composizione letteraria o figurativa che mette in ridicolo i vizi, gli usi, i costumi, le credenze di una società, attraverso espressioni più o meni irridenti, che variano dalla ironia sottile, al sarcasmo amaro, all'invettiva feroce.
Senonché ci sono diversi modi per mettersi in rapporto coi propri bersagli. Walter Benjamin  contrappone la piccola parodia di chi è compromesso col potere alla grande satira che ha, dice, una sorta di potenza cannibalesca. Il satirico è la figura sotto la quale la società ammette l'antropofagia, una sorta di antropofagia dello spirito. In altre parole, il rapporto col bersaglio può essere persino finto, nel senso
che non esprime un'autentica opposizione di un mondo a un altro, di un valore al non-valore, o di un valore a un altro valore, ma che opera all'interno dello stesso universo che finge di contrastare, facendo una satira minore, puramente parodistica, o che si rivolge ad aspetti marginali, che non toccano l'essenza di quel mondo. E’ quel che succede oggi con le divagazioni canzonatorie che fanno i comici in televisione, che rimangono un puro “divertissement” basato sull’imitazione di questo o di quello,
Decisiva è anche l’analisi relativistica di Bachtin, che vede nella satira il sentimento carnevalesco del mondo, l'atteggiamento libero che dialetticamente nega ogni certezza opponendogli un contrario, sicché ogni valore perde il senso di verità rivelata e lascia intravedere un'altra verità.
Naturalmente, al di là dei nobili intendimenti, è sempre il talento che decide. Quindi ci può essere della buona e della cattiva poesia satirica, così come accade nella poesia lirica. Ma anche qui non c’è equità. Mentre un mediocre poeta lirico viene facilmente perdonato per le sue nobili intenzioni; il cattivo satirico non viene perdonato proprio per le sue  cattive intenzioni.  E adesso parliamo di ironia, di satira e di grottesco, visto che in definitiva non è proibito, o non è proibito ancora.

Sandro Bajini




Giorgio Mannacio, Alcune note per la sera del 18 giugno a Linea d’ombra.

Sandro Bajini ci mostra, con le sue osservazioni,sia le “ diverse origini e funzioni della satira “ sia l’ambiguità delle valutazioni che ne hanno segnato la vita nel mondo delle lettere.
Non so – e in verità non ha grande importanza – se le mie osservazioni siano una premessa o una integrazione. Le si può prendere e collocare come si vuole.
Vorrei difendere, in primo luogo e nel modo che vedrete, la categoria dei “ generi letterari”. Se intesa in modo giusto tale distinzione non è un vezzo inutile o un esercizio astratto. Io la intendo come un metodo per individuare e distinguere – all’interno del fenomeno scrittura – atteggiamenti antropologici dello spirito umano, individuarne le caratteristiche e  il senso e attraverso tali operazioni chiarirne la portata storica e l’esigenza pratica che esse soddisfano.
Come avete visto nelle osservazioni di S.B ciascuno può ritagliare all’interno della propria esperienza di scrittura satirica il “ senso che ad essa intende attribuire “.
Io ,per conto mio,credo di riconoscermi nella posizione di Bachtin, come spero di poter dimostrare attraverso la lettura di qualche testo.
In secondo luogo mi piace ricordare – non per sfoggio di cultura ma per  arricchire di contenuti concreti il ns discorso – che il termine satira – in latino satura – deriva da lanx satura, un piatto della antica cucina latina,una sorta di minestrone in cui venivano mescolate un po’ alla rinfusa verdure e legumi veri.
Ancora una volta resto ammirato dalla spregiudicata acutezza degli antichi che con due parole riescono a sintetizzare quella che mi sembra – sotto l’aspetto formale – l’aspetto saliente della satira.
 Essa – nelle sue modalità esterne di manifestazione – non si limita ad un “ingrediente “ soltanto ma mescola “ingredienti diversi “. Utilizza – in un unico contesto – lo stile sublime, la bizzarria grottesca,l’ironia ( nelle due forme canoniche della socratica e della romantica ) ,il comico ed il tragico. Può avere impennate liriche ma le inserisce in testi discorsivi non cedendo mai ad un’unica opzione espressiva.
Questo sembra coerente con il rifiuto di “ vedere le cose da un unico punto di vista “,con la relativizzazione del suo discorso.
In un certo senso , mi pare, che la satira rappresenta una sorta di estremizzazione anche formale della tendenza ironica che si alimenta di dissimulazioni.



1 commento:

Anonimo ha detto...

Alla poesia italiana farebbe bene ( certo non farebbe male ) recuperare la dimensione originaria in cui il comico/giocoso parlò nella nostra letteratura : il realismo , certo rivisitato in età telematica , ma sempre istanza primaria della scrittura . La poesia comica è allora la chiave per guardare alla realtà delle cose , alla loro natura storica e linguistica . Ridere delle cose e delle persone vuole dire , ancora una volta , conoscere il mondo .

leopoldo attolico -