Questo libro di esordio di Gabriele Gabbia si sostanzia in un atto di fede verso il«senso», nella convinzione che la poesia debba (pur in mezzo agli scossoni che la filosofia moderna ha inflitto alla significatività del senso), e possa sopravvivere alla mancanza di un senso complessivo della totalità. Gabbia invece ribadisce che un senso c’è, purtuttavia. Atto di fede che contempla un allontanamento dall’Origine per creare un universo di senso, un deragliamento, uno smottamento, una caccia verso la «traccia» di un senso che è scomparso, inghiottito dalle sabbie mobili dell’Origine sepolta.
mercoledì 7 marzo 2012
Giorgio Linguaglossa
Su "La terra franata dei nomi"
di Gabriele Gabbia
Questo libro di esordio di Gabriele Gabbia si sostanzia in un atto di fede verso il«senso», nella convinzione che la poesia debba (pur in mezzo agli scossoni che la filosofia moderna ha inflitto alla significatività del senso), e possa sopravvivere alla mancanza di un senso complessivo della totalità. Gabbia invece ribadisce che un senso c’è, purtuttavia. Atto di fede che contempla un allontanamento dall’Origine per creare un universo di senso, un deragliamento, uno smottamento, una caccia verso la «traccia» di un senso che è scomparso, inghiottito dalle sabbie mobili dell’Origine sepolta.
lunedì 5 marzo 2012
Massimo Parizzi
Il traduttore, interprete interpretato
Caro Ennio, ho dato uno sguardo ai post sulla
traduzione (qui).
Mi ha colpito che i nodi principali dei discorsi siano esattamente gli stessi
che avevo cercato di toccare quasi vent’anni fa, nel 1994, tenendo una sorta di
lezione ed esercitazione sulla traduzione a quattro classi di quarta riunite
dell’Itsos, Istituto tecnico statale a ordinamento speciale, di Milano. (Il che
mi ha fatto leggere con ironia il titolo che hai dato alla discussione: “A che
punto siamo oggi?”!) Quell’esperienza, isolata, mi era piaciuta: alcuni
studenti mi erano sembrati molto interessati (mentre altri, seduti in fondo,
dormivano) e, quando eravamo passati all’esercitazione, la traduzione di una
poesia di Heaney, qualcuno si era quasi accapigliato su come tradurre questo o
quest’altro. Pensa, degli studenti che si accapigliano su una poesia!
Fantastico. Insomma, ho riletto il testo di quella lezione e te lo mando.
[Massimo Parizzi]
Partiamo da una citazione, o meglio,
dall’adattamento ai nostri scopi di una citazione. L’autore che voglio citare è
André Corboz, uno studioso di urbanistica, architettura e arte (di cui ho
tradotto un libro sul Canaletto) che, qui (nel saggio Dans l’entre-deux,
in AA.VV., Hommage à Raymond Tschumi, Losanna, L’Age d’Homme,
1990), parla dei problemi della ricerca e dell’interpretazione sia nelle
scienze cosiddette esatte sia in quelle (il suo campo) cosiddette umane: che
cosa sia ricercare il significato del fatto che, se mollo la penna, cade, che
cosa sia interpretare questa caduta; come che cosa sia ricercare il significato
di un dipinto del Trecento, interpretarlo. Forse penserete che la prendo alla
lontana, ma a me invece sembra di prenderla da vicino: un traduttore cerca i
significati di parole, frasi, periodi, interpreta testi, e la parola interprete
designa una categoria di traduttori. Sostituirò quindi a volte alle parole
“ricerca”, “interpretazione”, “ricercatore”, “interprete” di Corboz le parole “traduzione”
e “traduttore”.
sabato 3 marzo 2012
SEGNALAZIONE
Pasolini e le nuvole
Associazione "La Conta"
Storie e culture di genti del mondo
VI INVITA AL
LABORATORIO DI POESIA
DEL PONTE DELLE GABELLE
Serate di poesia, letture aperte e
presentazione di libri di poesia
LUNEDI’ 5 MARZO 2012 - ORE 21,00
SERATA DI POESIA
“PASOLINI E LE NUVOLE”
racconti, interviste, brevi filmati, letture ed altro ancora dedicate a PIERPAOLO PASOLINI
con la partecipazione di
Claudia Ambrosini,
Maria Dilucia,
Enzo Giarmoleo,
Tito Truglia
e altre/i poetesse/poeti
AL CAM PONTE DELLE GABELLE
via San Marco, 45 • Milano
venerdì 2 marzo 2012
SEGNALAZIONE
nei - Fotofonemi (eccipienti creativi)
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI BRERA DIPARTIMENTO DI ARTI VISIVE
www.accademiadibrera.milano.it
Presso la sede del Biennio di Arti Visive e del CRAB
ex chiesa San Carpoforo,
Piazza Formentini 12 Milano
Aperto dal lunedì al venerdì 9,00/19,00
Sabato 9,00/12.00 (domenica chiuso)
MERCOLEDÌ 7 MARZO 2012 ORE 17,00
Presentazione:
nei - Fotofonemi (eccipienti creativi)
Ed.: Onyx Editrice
www.onyxeditrice.com
Stimmung/Roma
immagini di Giorgio Cutini
timografie di Gabriele Perretta
Paesaggi di Passaggio
fotofonemi di Giuliana Laportella
tradotti da Vito Riviello
Intervengono: Maurizio Guerri, Mariella De Santis, Sandro Scarrocchia, Alberto Mari
OPERE ESPOSTE DAL 1 AL 8 MARZO 2012
Donato Salzarulo
C'è una scala
Una decina d’anni fa (suppergiù), scrissi la poesia che
segue. Ho l’impressione che il tema sia proprio quello del dialoghetto di
Abate. Samizdat e il Poeta invisibile sono convinti o no dell’esistenza di una
scala? Mi pare di no. Mi pare che riducano tutto ad un problema di occupazione
di potere (delle redazioni dei giornali, dell’industria editoriale, della
“visibilità”…). Il problema esiste, ma c’è poco da illudersi. Se Samizdat non
fosse ridotto a riordinare macerie e il Poeta invisibile fosse assunto nella candida rosa dei Nobel, si abolirebbe la
scala? Penso di no. Perciò la poesia s’interroga sulla natura di questa scala…
di quel segnor de l'altissimo
canto
che sovra li altri com'
aquila vola.
Inferno, IV,
94-96
C’è una scala, si vede. La puoi
liberamente disegnare.
L’ultimo
gradino non è mai l’ultimo. E’ avvolto nella nebbia.
Tu sai e
non sai fin dove ti puoi spingere.
La scala
c’è. Edificata nel tempo e nello spazio.
Puoi
osservare un gradino centimetro per centimetro e descriverlo.
Puoi dargli
un nome: il Vento del Presente.
Parole-chiave,
rime delle palpebre e delle labbra,
giri di
frasi, catene di significati, lime sentimentali.
L’endoscopio
puoi farlo risalire fino alla flessura epatica.
Il paziente
– chi? Io, tu, noi tutti – riferirà non il dolore
ma la
dolorabilità. E, quando l’avvisterà la telecamera,
come
Colombo, dirà: E’ lì, è lì il noto polipo plurilobato!
Ricamato
come foglia di quercia. E’ lì, a larga base d’impianto.
SEGNALAZIONE
Prossimo incontro
del Laboratorio Moltinpoesia
Laboratorio Moltinpoesia
a cura di Ennio Abate
Palazzina Liberty
Largo Marinai d’Italia, 1 - Milano
«Kamen' rivista di poesia e filosofia e le
tradizioni dell'Europa».
Introduce Amedeo Anelli
«Kamen’ con gli anni è diventata così più che una rivista, un progetto internazionale plurimo e un’ampia comunità di ricerca sulle tradizioni europee e non solo, avendo delle tradizioni un senso progressivo e guardando innanzi tutto a quelle a venire, ma con il sentimento che sia sempre possibile una protenzione inversa dal futuro al presente».
«Kamen’ con gli anni è diventata così più che una rivista, un progetto internazionale plurimo e un’ampia comunità di ricerca sulle tradizioni europee e non solo, avendo delle tradizioni un senso progressivo e guardando innanzi tutto a quelle a venire, ma con il sentimento che sia sempre possibile una protenzione inversa dal futuro al presente».
mercoledì 29 febbraio 2012
Ennio Abate
I moltinpoesia (1)
Dialoghetti a puntate tra Samizdat e il Poeta
Invisibile
sul ‘noi’ che non c’è e alcuni modi provvisori per edificarlo
Samizdat - Ti vedo mogio. Hai perso l’ispirazione? Non hai vinto il concorso di poesia di Vattelapesca? L’editore (X, Y, Z, ecc.) ti ha chiesto troppo per la pubblicazione dell’ultima plaquette? Al reading della Casa della poesia, mentre leggevi, la gente s’è stufata ed è uscita?
Poeta Invisibile - Anche tu a bastonarmi? Che tempi! Ce l’avete tutti con me!
Samizdat - No, no…Sono un bastonato dalla Storia io pure, quanto e più di te. Maneggio le rovine del Novecento. Vedi, questo è quel che resta del Progresso, questo del Socialismo, questo del Comunismo, questo del Marxismo e della Dialettica, questo della Teologia della Liberazione. E nel mio armadio poi, al posto degli abiti, ho solo pacchi di manifesti ingialliti, tazebao del ’68 e i miei saggi politici inediti.
martedì 28 febbraio 2012
Tomaso Kemeny
15 marzo 1848 – 15 marzo 2012
Passano
passano gli anni
ma nei
castelli del Parco di Versailles
risuonano
ancora le trombe
dell’Ingiustizia,
le parole del trattato
che agli
ungheresi negò un equo
referendum
di appartenenza
e la Terra Magiara
fu ridotta
contro natura
di due
terzi della sua complessione
legittima.
Giorgio Linguaglossa
La poesia della superficie superficiaria.
Su Michael Krüger.
Michael Krüger, Il coro del mondo Milano, Mondadori, 2010
Il
linguaggio di poeti come Yeats ed Eliot non è più il linguaggio degli uomini
comuni del tempo di Wordsworth ma è un linguaggio nuovo che ha acquisito una
sofisticatissima colloquialità. Quello che Yeats rimprovera a Eliot noi lo
possiamo rivolgere contro Michael Krüger. Scrive Yeats: «Eliot has
produced his great effects upon his generation because he has described men and
women that get out of the bed or into it from mere habit; in describing this
life that has lost at heart his own art seems grey, cold, dry. He is an
Alexander Pope working without apparent imagination, producing his effects by a
rejection of all rhythms and metaphors used by more popular romantics rather
than by the discovery of his own, this rejection giving his work an
unexaggerated plainness that has the effect of novelty».
Eugenio Grandinetti
L’uguaglianza giuridica.
Ovvero la qualità delle persone.
Daumier, Avvocato
L’uguaglianza dei cittadini è necessaria
perché in un paese ci sia democrazia.
Però uguale non vuol certo dire
che tutti siano belli ed aitanti,
che tutti siano ricchi e che comandino
tutti allo stesso modo,
perché non ci sarebbero i belli
se non esistessero anche i brutti,
né potremmo dire che uno è ricco
se mancasse il confronto con coloro
che non hanno nemmeno il necessario;
e inoltre a chi potrebbe comandare uno
se ad ubbidire poi non c’è nessuno?
domenica 26 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Gianmario Lucini
Monologo del dittatore
Ultimo volume di una triologia civile, la raccolta è un secco giudizio negativo della storia e, come sua continuazione, dei recenti fatti geopolitici (la guerra di Libia, l'immigrazione conseguente ad ogni disordine e all'ingiustizia dei rapporti economici fra Stati) fino ai recenti fatti di cronaca nostrana, alle vicende di razzismo e xenofobia di Torino e Firenze. L'excursus inizia dalle antiche guerre romane, risalendo al Medioevo, al Risorgimento, alla Resistenza (con un inedito Luciano Erba partigiano, che poi fugge in Svizzera) e si sofferma sulla guerra di Libia e sulla figura del dittatore Gheddafi (più una icona o un paradigma, che un ritratto) il calvario delle grandi migrazioni contemporanee e, dopo il tetro passaggio di una sezione intitolata "Il respiro del male", sfocia in 24 poesie sulla cronaca degli ultimi mesi del 2011.
giovedì 23 febbraio 2012
CRITICA
Traduzioni: a che punto siamo oggi?
Il
problema del tradurre ricompare a sprazzi nei discorsi che si vanno facendo sul
blog o nella mailing list dei moltinpoesia. Se ne è parlato di
recente a proposito di una poesia di Wislawa Szymborska e adesso nella
segnalazione del poeta Weldon Kees. In passato in un post,
stranamente a zero commenti, erano apparse le traduzioni di Marcella Corsi dai "Poems" di
Katherine Mansfield (qui). Sarebbe ora di ripensare l'arte del tradurre e del tradurre poesia affrontando il senso che hanno tali operazioni oggi, quando culture varie s’intersecano, si sovrappongono o confliggono nel dramma di una globalizzazione caotica. Per dare una spinta alla riflessione
pubblico due testi: il primo di testimonianza diretta, quella di Francesca
Diano, traduttrice di professione (Cfr. sua nota biobibliografica qui ), "L'arte del
tradurre" tratto dal blog "Il Ramo di Corallo" (qui); il secondo (di
inquadramento della storia della traduzione poetica nell’Italia del Novecento) è un
intervento di Luca Lenzini del Centro F. Fortini di Siena in occasione della presentazione
del libro «Lezioni sulla traduzione di Fortini» curato da Maria Vittoria Tirinato (qui).
Il problema del tradurre ricompare a sprazzi nei discorsi che si vanno facendo sul blog o nella mailing list dei moltinpoesia. Se ne è parlato di recente a proposito di una poesia di Wislawa Szymborska e adesso nella segnalazione del poeta Weldon Kees. In passato in un post, stranamente a zero commenti, erano apparse le traduzioni di Marcella Corsi dai "Poems" di Katherine Mansfield (qui). Sarebbe ora di ripensare l'arte del tradurre e del tradurre poesia affrontando il senso che hanno tali operazioni oggi, quando culture varie s’intersecano, si sovrappongono o confliggono nel dramma di una globalizzazione caotica. Per dare una spinta alla riflessione pubblico due testi: il primo di testimonianza diretta, quella di Francesca Diano, traduttrice di professione (Cfr. sua nota biobibliografica qui ), "L'arte del tradurre" tratto dal blog "Il Ramo di Corallo" (qui); il secondo (di inquadramento della storia della traduzione poetica nell’Italia del Novecento) è un intervento di Luca Lenzini del Centro F. Fortini di Siena in occasione della presentazione del libro «Lezioni sulla traduzione di Fortini» curato da Maria Vittoria Tirinato (qui).
Francesca Diano, L'arte del tradurre
Tradurre, è un’arte o una
scienza?
Per chi è convinto del
secondo caso, in italiano è ormai in uso il termine, che io trovo orribile, di
“traduttologia”, esso stesso traduzione del francese “traductologie”. Meglio,
molto meglio, se è questo il modo in cui la si intende, ”teoria della
traduzione”, che si apre a campi molto più vasti del freddo traduttologia, che
tanto mi suona come tuttologia e che relega in una sorta di obitorio livido le
competenze e le qualità letterarie che un traduttore deve avere.
Siamo sommersi da studi, saggi, convegni sulla traduzione, ci sono dipartimenti
universitari ad essa dedicati eppure, e so di suonare blasfema, di essere una
voce fuori dal coro, di scandalizzare gli “esperti” arroccati nella loro
accademia, sono convinta che tutto questo a poco serva.
mercoledì 22 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Weldon Kees
RAGAZZA A MEZZANOTTE
Poi cammina avanti e indietro, o rigirati nel letto
mentre i proiettili, freddi, ciechi, sibilano a ritroso dal centro del bersaglio,
e di’: “Non rifarò quel sogno. Non sognerò
sussurri da tempo consumati che svaniscono per i corridoi
che attraversano palazzi che non ho mai conosciuto;
lo schiocco dei guanti di gomma; il bimbo alto, cieco,
che grida il mio nome; le lenzuola macchiate
di un’altra ragazza. E poi una campana cupa,
che risuona dentro le ombre al freddo,
disturba lo schermo che è la mia testa nel sonno.
—Il tuo volto non è mai sereno. Rimani sempre
su soglie carbone, al buio. Parte del tuo volto
è scomparso. Dici ‘Solo farla finita con questo accidenti di mondo.
Nebbie contagiose calano. Cristo, potremmo morire
come a volte fanno i cervi, le corna impigliate,
marcendo nella neve’.
martedì 21 febbraio 2012
Mario Mastrangelo
Pe' carnevale
Pe' carnevale
Aggio
deciso,
pe'
carnevale
me voglio
veste
ra uno
normale,
e ghì'
giranno,
allegro,
sicuro,
miez' a curiandule
'e tutt'
'e culure.
lunedì 20 febbraio 2012
Ennio Abate
Su sacro e poesia
Marilena De Angelis, Sacro e profano
Tanti i dubbi (spero fecondi) leggendo i vari commenti. Li sistemo per punti schematici e li ripropongo magari in tutta la loro immediatezza e probabile rozzezza,
ragionandoci a modo mio, senza troppe stampelle teoriche, con l'intento di rilanciare la discussione e trovare anche qualcuno/a che mi aiuti a dipanarli:
1. Il sacro sarebbe «ciò che non muta»? Ma c’è davvero qualcosa
(sacro o meno) che non muta? C’è qualcuno/a che l’ha raggiunto ed ha accertato
(intellettualmente) o sentito (emotivamente) questa sua immutabilità? E come si
fa a dichiarare immutabile qualcosa se non si ha la possibilità di conoscerla o
sentirla? Qualcosa, cioè, d’ignoto, di cui - si dice (dice Mayoor, ad es.) - si
sente «l’influsso… notevole… come quando vai al mare e lo senti ben prima di
arrivare». Al mare ci arrivo e posso accertarmi in qualche modo che ho sotto
gli occhi proprio mare. Il sacro, invece? Chi mi assicura che il qualcosa a
cui mi avvicino o che vedo/sento sia proprio il sacro?
venerdì 17 febbraio 2012
Donato Salzarulo
Il gatto di Fortini
Caro Ennio, ho trovato il tempo, oggi pomeriggio, di dare un’occhiata al blog dei Moltinpoesia e ho letto…Incredibile! Ho pensato che il modo migliore di rispondere a certe sciocchezze sia quello di cominciare a pubblicare il materiale dormiente nei file. Ho scritto “Il gatto di Fortini” nel novembre 1997. Servì da base alla conferenza tenuta nello stesso periodo al Centro “Guido Dorso” di Avellino. Insieme a me c’era Graziella Spampinato. Lei parlò di Zanzotto. Confrontammo i due poeti…A distanza di quasi 15 anni, ritengo, senza falsa modestia, che il pezzo regga ottimamente e dica ancora molto al sottoscritto e a tutti noi. Penso che vada molto bene per avviare, dopo l’appello, scioccamente contestato, il “cantiere” su Fortini. Puoi pubblicarlo sia sul blog dei Moltinpoesia che di Poliscritture Ciao Donato
Del
tuo timido gatto...
Del
tuo timido gatto
che
scendeva la scala
dell'orto
la mattina
con
la sua ombra fina
lungo
le terrecotte
cosa
è rimasto? Nulla
fuor
che l'impronta impressa
dalle
sue zampe nella
gettata
di cemento
dove
annusava incerto
Maria Maddalena Monti
e Lucio Mayoor Tosi
Oltre il paesaggismo
Maria Maddalena Monti e Lucio Mayoor Tosi aprono qui, con una introduzione in comune e due loro poesie, una riflessione sul rapporto con la natura devastata dall'intervento umano. [E.A.]
E' nella natura che possiamo scorgere la via da intraprendere, e forse ce ne stiamo dimenticando. Siamo così presi da noi stessi e dalle nostre faccende che non ci accorgiamo dell'aria che respiriamo, della devastazione che stiamo creando intorno a noi. Non ci preoccupiamo del pianeta dove abitiamo, forse perché non ne sentiamo individualmente la responsabilità. Ma la responsabilità di cosa stiamo diventando è in ciascuno, riguarda individualmente tutti. Avere uno sguardo capace di guardare alla vita nel suo insieme non significa abbandonare le necessità quotidiane, non significa rinunciare a battersi per i propri diritti. Al contrario, significa dare alle istanze un obiettivo che va oltre le questioni economicistiche, è questione di sopravvivenza in senso lato. Offre obiettivi che, pur comprendendoli, vanno oltre gli interessi delle categorie sociali. I responsabili della devastazione sono gli stessi che ci costringono a vivere secondo leggi idiote perché distruttive, e che quindi ci vorrebbero idioti e distruttivi al pari di loro. Per i poeti però non si tratta più di fare paesaggismo, serve ben altro. I poeti possono generare attenzione alle cose, risvegliare memorie, aiutare la gente a rendersi conto delle ragioni per cui sono/siamo al mondo. E non occorre essere militanti teorici, non occorre schierarsi, non è più questione di ideologie. Capire e vedere aiuterà a capire e a vedere. I poeti non hanno da far sentire alcunché perché la sensibilità è già nelle persone, non proviene dai poeti. I poeti possono farci affidamento. Se così intesa, anche una breve poesia sulla neve può fare più di tante chiacchiere. Non risolverà le difficoltà ma darà un senso, una direzione diversa che oggi quasi non si vede perché occultata da interessi di parte che sfiorano la pazzia. Altrimenti, se non è già così, pazzi lo diventeremo tutti.
E' nella natura che possiamo scorgere la via da intraprendere, e forse ce ne stiamo dimenticando. Siamo così presi da noi stessi e dalle nostre faccende che non ci accorgiamo dell'aria che respiriamo, della devastazione che stiamo creando intorno a noi. Non ci preoccupiamo del pianeta dove abitiamo, forse perché non ne sentiamo individualmente la responsabilità. Ma la responsabilità di cosa stiamo diventando è in ciascuno, riguarda individualmente tutti. Avere uno sguardo capace di guardare alla vita nel suo insieme non significa abbandonare le necessità quotidiane, non significa rinunciare a battersi per i propri diritti. Al contrario, significa dare alle istanze un obiettivo che va oltre le questioni economicistiche, è questione di sopravvivenza in senso lato. Offre obiettivi che, pur comprendendoli, vanno oltre gli interessi delle categorie sociali. I responsabili della devastazione sono gli stessi che ci costringono a vivere secondo leggi idiote perché distruttive, e che quindi ci vorrebbero idioti e distruttivi al pari di loro. Per i poeti però non si tratta più di fare paesaggismo, serve ben altro. I poeti possono generare attenzione alle cose, risvegliare memorie, aiutare la gente a rendersi conto delle ragioni per cui sono/siamo al mondo. E non occorre essere militanti teorici, non occorre schierarsi, non è più questione di ideologie. Capire e vedere aiuterà a capire e a vedere. I poeti non hanno da far sentire alcunché perché la sensibilità è già nelle persone, non proviene dai poeti. I poeti possono farci affidamento. Se così intesa, anche una breve poesia sulla neve può fare più di tante chiacchiere. Non risolverà le difficoltà ma darà un senso, una direzione diversa che oggi quasi non si vede perché occultata da interessi di parte che sfiorano la pazzia. Altrimenti, se non è già così, pazzi lo diventeremo tutti.
giovedì 16 febbraio 2012
Francesca Diano
Il Minotauro
Di terra e pietre il cui disegno esatto
Mesce follia e ragione.
Io nacqui alla vendetta che mia madre
Pasifae – tacque agli dei. Il mio nome
È Asterione e pur del nome m’hanno depredato.
Ma io divino sono
Ché in me riverberando
L’impronta della luce di Elio
Si fa bestiale traccia dell’origine
Tutta della stirpe dell’uomo.
mercoledì 15 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Cantieri di "Poliscritture":
Su Fortini (per "Poliscritture" n. 9)
Pubblico la traccia di lavoro approvata dalla redazione di "Poliscritture". I collaboratori possono inviare suggerimenti, proposte e contributi (testi non superiori alle 15mila battute, spazi inclusi) a poliscritture@gmail.com [E.A.]
“Poliscritture” n. 9 in preparazione/ invito alla collaborazione sul
tema:
FORTINI (1917-1994): BUONE ROVINE PER ESODANTI VECCHI E GIOVANI
«…‘Vi consiglio di prendere le cose che ho detto e di buttarne via più della metà, ma la parte che resta tenetevela dentro e fatela vostra, trasformatela. Combattete!’ » (Le rose dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani, Boringhieri, Torino, 2000)
1.C’è il “Fortini poeta” (titolo dei saggi su di lui scritti da Luca Lenzini). Riproporlo a quanti dopo di lui hanno continuato o cominciato a scrivere poesie. Misurarsi coi suoi versi di una vita, da Foglio di via a Composita solvantur, può essere un primo percorso di lavoro. Farlo liberamente (su alcuni testi o raccolte ritenute “esemplari” o che parlano alla soggettività del lettore-critico) o in modi mirati (ad es. scegliendo alcuni suoi testi “difficili”) e vedere come reagiscono di fronte ad essi i moltinpoesia d’oggi: come interrogano questa sua poesia, come sono interrogati da essa; potrebbe essere interessante tentare degli “esercizi di rifacimento” ( non di imitazione) proprio per misurare vicinanze e distanze.
lunedì 13 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Stefania Portaccio a Milano
e 5 poesie
da "Brodskij di notte"
giovedì 16 febbraio, ore
18.30
LIBRERIA LINEA D’OMBRA
via San Calocero 29 - Milano
lettura di poesie e
presentazione di
LA MATTINA DOPO
di Stefania Portaccio
Passigli Editori
Sarà presente l'autrice, a
dialogo con Stefano Levi Della Torre, saggista e pittore,
e Giulia
Niccolai, fotografa e poetessa
Scompaio da una vita appaio
in posa
ammiraglia
sola in coperta – il vento
gonfia
la nave solca e i pasti
si preparano soli
e i tasti picchiano
e le frasi s’inseguono
come delfini a prora
muto e solerte è
l’equipaggio mentre
scompaio da una vita
d’altrove vivo
di questo
scrivo
Gianmario Lucini
La polis che non c'è (4).
Su "Pergamena dei ribelli"
di R. Bertoldo
Proseguendo il discorso su La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile ecco gli appunti della lettura di G. Lucini su "La pergamena dei ribelli" [E. A.]
Appunti
su La pergamena dei ribelli, di Roberto Bertoldo
“Pergamena”
rimanda alla testimonianza di una vicenda ormai chiusa storicamente. I
“ribelli”, nell’intenzione della raccolta, sono coloro che non accettano le
regole (incivili, inumane o inumanistiche) un “sistema”, che però si dà per
vincente. Un messaggio alla posterità, visto che oggi nessuno vuole udirlo.
Tono, dunque, di forte pessimismo, ma non di scoramento. Se “resa dei conti”
deve esserci, lo sarà dopo questa era, in un futuro salvifico ma che deve
avvenire (la speranza – nell’uomo, anche). Messaggio a futura memoria, dunque,
perché col presente non è possibile alcun dialogo.
Gianmario Lucini
La polis che non c'è (3).
Su "Immigratorio" di E. Abate
Proseguendo il discorso su La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile pubblico pubblico gli appunti di di lettura di G. Lucini sulla mia raccolta Immigratorio [E. A.]
Appunti per una lettura di “Immigratorio”, di Ennio Abate
“Immigratorio” è un’opera polimorfa, non nel senso di avere
più di una forma (è, anzi, un qualcosa in sé unico, anche se sulla scia di
diverse scritture, anche italiane: mi viene in mente ad esempio a Giovanni e
le mani, di Fortini) ma nel senso che sta dentro la logica di diverse forme
di scrittura. E’ un romanzo storico, ma è anche un poema, è un racconto
personale di vita e di identità ma è anche un racconto paradigmatico e
generazionale o anche di classe (quella degli immigrati), è un’opera di poesia,
ma anche una testimonianza sociologica che tratta dell’incontro di due realtà
ambientali molto diverse e, infine, capace di alludere anche alla realtà
dell’immigratorio contemporaneo, dai paesi poveri al nostro Paese. E infine vi
è il risvolto linguistico che fa dialogare lingua e dialetto in maniera viva e
sinergica.
domenica 12 febbraio 2012
Giorgio Linguaglossa
Su "Sensi e sentimento dei sogni"
di Laura Sagliocco
Scriveva nel 1969 Franco Fortini: «L’attitudine (e l’uso) del dialetto, e dei gerghi e – al limite – della lingua privata è l’altra faccia della costituzione di nuovi linguaggi internazionali. Scrivo un verso in italiano e so di scrivere in una lingua morta, in un dialetto agonizzante; scrivo invece queste righe traducibili in qualsiasi congresso con prenotazione alberghiera, presidenza e microfoni, e so di star scrivendo una specie di latino, nella lingua della clericatura. La dolce e infame anarchia del ghetto fa fiore e muffa per entro il Sacro Capitalistico Impero».
Questo libro d’esordio della romana Laura Sagliocco è un tipico prodotto del Sacro Mediatico Impero, e lo dico nel senso migliore, nel senso che la Sagliocco mette in mostra l’autobiologia delle proprie esperienze di vita in modo davvero sorprendente; una poesia di rabbia e d’amore, passionale, ben scandita su un verso libero che corre veloce senza mai tradire alcun impaccio.
Questo libro d’esordio della romana Laura Sagliocco è un tipico prodotto del Sacro Mediatico Impero, e lo dico nel senso migliore, nel senso che la Sagliocco mette in mostra l’autobiologia delle proprie esperienze di vita in modo davvero sorprendente; una poesia di rabbia e d’amore, passionale, ben scandita su un verso libero che corre veloce senza mai tradire alcun impaccio.
giovedì 9 febbraio 2012
SEGNALAZIONE
Prossimo incontro
del Laboratorio Moltinpoesia
martedì 14 febbraio 2012, ore 18
I MOLTINPOESIA UNO PER UNO
a cura di Ennio Abate
GIORGIO MANNACIO, DALLA PERIFERIA DELL’IMPERO
di quegli atti meschini e innominabili
solo un ritratto fu testimone
e non ha voce
Introduce Sandro Bajini
La Casa della Poesia, Palazzina Liberty, Largo Marinai d'Italia 1,Milano
Giorgio Linguaglossa
Su "Senso comune (2004-2009)"
di Jacopo Galimberti
Jacopo Galimberti Senso comune (2004-2009)Le Voci della Luna, Milano, 2011
Recentemente mi è stato chiesto di commentare una mia
affermazione che qui riporto per comodità del lettore: «La poesia che ha luogo
nel Moderno è come un compasso che giri a vuoto o un binocolo che spii
l’orizzonte immobile; disarcionata dalla sua sella, la poesia moderna è
costretta a un perenne ricominciare daccapo, una fatica di Sisifo se volete, un
riprendere a tessere la tela che la notte disbroglia, ad un tempo Cloto,
Lachesi e Atropo...».
In
premessa, resta un punto da illuminare: quello della differenza tra il discorso
poetico di finzione e il discorso poetico (e narrativo) referenziale: il
romanzo poliziesco versus il rapporto di un commissariato di
polizia, la verosimiglianza contro la verità (il documento a validità
legale contro il documento a validità estetica). Il racconto storico versus la Storia.
martedì 7 febbraio 2012
Ennio Abate
La polis che non c'è (2)
Su "Il disgusto"
di Gianmario Lucini
1. L’affermazione nella Nota dell’autore
(Bertoldo) in Pergamena dei ribelli: “la poesia non proviene dal nostro gusto ma,
piuttosto, dal disgusto” può ben
introdurre alla raccolta di Lucini.
Il ‘disgusto’ è,
infatti, non solo il titolo di queste poesie, ma anche il sentimento che vi domina. Rispetto a Bertoldo,
però, quello di Lucini è un disgusto
espresso da un “io minore”. Il suo
sguardo è dal basso ed ansioso. Non è
l’io eroico (romantico) di Bertoldo. Egli muove da una “morale di servi” di matrice
cristiana, non quella di signori. Ne parlò con grande realismo storico e
antropologico Fortini in un passo di Insistenze che riporto in nota.[i] Lucini
proviene da questa cultura cristiana combattiva e non chiesastica. E mentre
Bertoldo contrappone “ribelli” e
“uomini mediocri”, egli distingue i poveri,
termine antico (e problematico), dalla gente,
termine oggi abusato, che occulta le differenze
sociali, specie quelle di classe, ed è, qui in Italia, diventato emblema di un’epoca
politicamente vischiosa e ben distinguibile, quella berlusconiana:
lunedì 6 febbraio 2012
Rita Simonitto
Sugli ultimi commenti
apparsi in Moltinpoesia
Sui commenti al post “Omaggio a Wislawa Szymborska” (qui) tornano queste
osservazioni puntigliose e appassionate di Rita Simonitto. Vuol dire che a quei
temi che avevo elencato in uno dei miei interventi intitolato “Riepilogando”
non si può apporre nessun conclusivo Amen!, come
auspicava Emy. Continuiamo dunque, se possibile, la discussione. Forse è questa
la via stretta su cui proseguire per arrivare, senza alcuna garanzia, a
"un grado più alto di verità" [E.A.]
La
velocità in questi giorni degli inserimenti e il numero impressionante dei
commenti che – come in ogni blog che si rispetti - sono in parte significativi
e in parte “rumore”, renderanno forse questo mio intervento obsoleto, superato
dall’incalzare dei passi di chi viene in successione. Così come accade nella
vita di oggi, né più né meno. Tuttavia mi sono decisa a portare la mia quota di
“rumore” e, spero, di significatività.
Partirei
dalla considerazione di Mayoor sul
sacro e la poesia, in una sua risposta a g.b. Egli sostiene:
“Ma il sacro è altra cosa, giusto distinguerlo dalle
religioni. Il sacro è ciò che non muta. Le verità cambiano ma non cambia la
ricerca della verità. Pertanto è sacra la ricerca e non la verità. E' sacra la
poesia, non è sacro il modo di scriverla, almeno non lo è fin quando l'autore
non abbia incontrato se stesso”.
sabato 4 febbraio 2012
Marcella Corsi
Una poesia
Marc Chagall
il prolungato non uso rende impossibile
lo scatto, peccato: immobile inaspettata
un’ innocenza incoerente allarga lo sguardo
al risveglio – 4 febbraio, anno duro di crisi
ma una sposa incauta ha steso la sua gonna
sulle chiese di Roma, adesso in silenzio
riposa il respiro nel respiro fermo degli alberi
finché piede di uomo non calpesti –
e la rabbia che corrode il mattino non regge
a tanto immacolato splendore
(come si conserva il volo dei passeri
sotto una notte di venti
centimetri di neve
(4 feb. 2012)
Ennio Abate
La polis che non c’è.
Su "Pergamena dei ribelli"
di Roberto Bertoldo
L’incontro del 31
gennaio 2012 del Laboratorio Moltinpoesia era intitolato La polis che non c’è. Tre modi di interrogarsi in poesia sul venir meno
della polis e della società civile. Si partiva da tre recenti raccolte (la
mia, Immigratorio; quella di Roberto Bertoldo, Pergamena dei ribelli e quella di Gianmario Lucini, Il disgusto), chiedendo a ciascuno degli
autori di pronunciarsi su quelle degli altri due. Pubblico per ora sul blog i miei appunti di lettura sulla raccolta di
Bertoldo. Successivamente pubblicherò quelli sulla raccolta di Lucini. Ed
invito entrambi a rendere noti, quando possono e se vogliono, i loro. [E.
A.]
1. Vorrei che non parlassimo in
generale sul tema della polis che manca,
ma partendo dalle nostre raccolte recenti. In quelle cercherei i segni di
questa mancanza, di questo vuoto (della polis, della società civile).
2. La ragione dell’accostamento,
improvvisato ma non capriccioso o casuale, delle nostre tre raccolte si
giustifica per un elemento che le accomuna: tutte e tre tendono a un bilancio, a
un rendiconto: di un vita di un certo Vulisse[i] e di un pezzo di storia dell’Italia (dal
dopoguerra agli anni Settanta) la mia; di un’epoca più generale e senza date
(Bertoldo); di un vicinissimo biennio 2009-10 (Lucini).
venerdì 3 febbraio 2012
Maria Dilucia
Omaggio a Wislawa Szymborska
Wislawa non
c’è più, rimangono le sue parole che sono Poesia e Filosofia assieme. La
sua grandezza sta nel riconoscere i difetti degli esseri umani e
mostrarceli ma senza giudizio anzi a volte addolorata per il destino
di questo piccolo uomo creato ed abbandonato a se stesso su questo mondo.
Ha conosciuto la disillusione ma non ha ceduto alla disperazione,
differentemente da molti altri poeti, lei ha continuato, ha capito di aver
sbagliato lo ha riconosciuto e ha continuato, continuato ad
ESSERE nella sua Poesia. Ha trovato la strada dell’ironia e come
altro possiamo
salvarci noi esseri umani se non con l’ironia? Ha mutuato la sua
sofferenza in lucidità, si è elevata ed è riuscita a vedere non il singolo
uomo ma tutti gli uomini, i comportamenti degli uomini e dall’alto
guardandoli muoversi, agitarsi, faticare a vivere, e con amore ci ha tolto
la colpa, quasi come una madre che giustifica gli errori del figlio. [Maria Dilucia]
Utopia di
Wislawa Szymborska
Isola dove tutto si chiarisce.
Qui ci si può fondare su prove.
L'unica strada è quella d'accesso.
Gli arbusti si piegano sotto le risposte.
giovedì 2 febbraio 2012
Giorgio Linguaglossa
"Solo la terra"
di Cristina Sparagana
Pistoletto, Venere degli stracci
Cristina Sparagana Solo la terra Passigli, Firenze, 2011
Se si guarda alle diramazioni stilistiche della poesia del
tardo Novecento, molti elementi inducono a ritenere che sul terreno delle
istituzioni stilistiche degli ultimi
trenta anni della poesia al femminile il
tempo non è passato invano. Già la poesia femminile degli anni Novanta aveva
abbandonato le tematiche della rivendicazione del «politico», del «privato» e
del «quotidiano» della generazione immediatamente precedente. Ad un ambito più vasto
della questione della crisi dei
generi narrativi, la poesia si avviava sempre di più verso la radura della
propria irrilevanza culturale
Quello che all’inizio degli anni Novanta si delinea è un
orizzonte del tutto nuovo: la crisi definitiva delle istituzioni stilistiche
esautorate ed occupate dagli uffici stampa degli editori maggiori. Accade così
che nella poesia degli anni Dieci del nuovo secolo, non c’è modello né
secondarietà né retroterra di istituzione stilistica che resti immune da questo
processo che la poesia possa far valere quale suo corrispettivo e/o funzione. Il
perché è chiaro: c’è «funzione» soltanto là dove c’è secondarietà, commissione,
servizio, utenza; là dove invece non c’è una utenza cessa anche,
corrispettivamente, la necessità di una «funzione» poetica, con tutto il suo
bagaglio di retorizzazioni, di stilizzazione e di tematiche che la «funzione» e
la «finzione» poetica comportano.
martedì 31 gennaio 2012
Flavio Villani
L'assedio di Saigon
Invio la nuova versione dell'Assedio di Saigon. Penso che essendo lavoro
che si pone (con convinzione) al limite fra poesia e prosa, sfruttando
in modo, credo, non del tutto convenzionale entrambi i
linguaggi, potrebbe fornire materiale di discussione sulle questioni
sollevate dal dibattito aperto di recente sull'argomento. La scelta di
scrivere questo particolare testo in tale forma è dipesa, come spesso
avviene, da plurime considerazioni, difficilmente sintetizzabili in
poche parole, non ultima la mia personale propensione verso forme
narrative, per così dire, "ibride", dove versi e prosa narrativa
e teatrale si possono comporre a costituire un insieme eterogeneo. La
possibilità, propria della poesia, d'infrangere le barriere imposte
dall'unità di tempo e di spazio del racconto è stata per me ulteriore
forte motivazione per esplorare questa via. [Flavio Villani]
Il tempo è tutto. Tutto.
In
ogni dramma il tempo è tutto.
In
questo dramma il tempo è l’aprile del
settantacinque.
Non
è un caso. No non credo che lo sia.
Lucio Mayoor Tosi
Milanesi
Parecchi di qui sono tedeschi
morti sotto i bombardamenti di Dresda e Berlino.
Tutta brava gente.
A Roma e a Napoli ce ne sono meno
qualche artista e qualche menagramo.
In Africa quelli che avrebbero voluto scappare
ma non ce l'hanno fatta.
Gli artisti per bene sono tedeschi di Berlino.
Quelli di Napoli son bombardati.
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