lunedì 26 agosto 2024

Il Signore del Creato

 


Riflessioni sotto forma di filastrocche


di Rita Simonitto


Il Signore del Creato Dalle critiche turbato

A rapporto chiamò i suoi.

“Ecco qua: affido a voi

Di andar di qua e di là

E dirmi poi ciò che non va.

No rimborsi ‘piè di lista’

Tranne qualche intervista.

No incontri pilotati

Per sgamare risultati

Che esprimono dissenso

Ricevendone compenso”

venerdì 23 agosto 2024

Ripulitura di una poesia del 2004: Ricordando Massimo Gorla

 



RICORDANDO MASSIMO GORLA1


Da lui. Un saluto. Un blando incitamento.
Il verbale concitato del suo ’68 a Parigi.
In una fredda sera – quando? - un comizio.
Voce arrochita in piazza Missori. Milano.

Autunno amaro e greve di Piazza Fontana.
Ero dei loro. In riunione. Lì vicino. In casa
di Rota. Udimmo il botto. Sarà una caldaia?

La caldaia era l’Italia. Assassini gli idraulici.

Scantinato di via Giason del Majno. Prima
raccolta di figurine proletarie. Tasselli
della classe dai turni intorpidita. Untumi
familiari. Fumo di sigarette. Discorsi
di speranze. Nuova pataria di operai
di studenti di immigrati. Inermi. Corrucciati.

Non più nenie. Scarpe impacciate poi sulla
ghiaia  di via Vetere. Muti nelle conferenze. 
Per anni continuò la spola. Da Cologno
guanto del Sud terrone rovesciato. A Milano
clessidra  di grigia polvere lussuosa. 

Ohi, Berto presto morto. Cauto il Vincenzo
alla Manuli. 
Donato all’Innocenti solitario.
E Ambrogio irruento. 
E Linda suicida.
E Aurelio, Michele, Luigi ed Emilio. 
Più
assottigliate le parole. Sfuggenti gli sguardi.

Con pietosa velenosa coda ripensammo la fine.

Fu dolce stil novo collegiale, Attilio? Se fu
tra di voi fu. Se fu, non staccò mai i già affini
per prebende sindacali aziendali e statali. Né
sciolse gli ammassi. Degli sfigurati dalla fatica.
O dei ricchi di capitale. Dei cinici arrivisti.
Dei di più conoscenze e di bombe provvisti.

Resta un’eco, un brusio la nostra scienza.


(16 novembre 2004/ 29 settembre 2009/ 23 agosto 2024)


1 Massimo GorlaCfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Gorla

mercoledì 21 agosto 2024

Memento inattuale


Nei dintorni di Franco Fortini

PER POETI E POETESSE NAVIGANTI NELL’OMBRA DELLE PAROLE, SGOMITANTI NELLA CACCIA SPASMODICA AL MISTERO E IGNARI DELLA REALTA' CHE I LORO PIEDI CALPESTANO

L’importanza di una più attenta riflessione sulle scritture di servizio è per Fortini un atto necessario di educazione culturale lontana da ogni specialismo o boria professorale:

Per conto mio seguito a credere che la comparsa di un buon manuale scolastico, di un corretto dizionario o di una seria enciclopedia, di una ben fatta collezione economica di classici è avvenimento più importante della comparsa di un buon romanzo, di un felice libro di versi e dell’autorevole edizione critica (lire cinquantamila) di uno di quei nostri classici che l’aspettano da più di un secolo. Dica pure, chi vuole, che sono nemico dei buoni studi.

(Leggendo Chiara Trebaiocchi, Re-schooling Society. Pedagogia come forma di lotta nella vita e nell’opera di Franco Fortini , 2018)



venerdì 19 luglio 2024

I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (5)

 


di Ennio Abate


Non voglio fare la lezione a nessuno, ma non  posso tacere  il disagio che provo a leggere certa poesia d’oggi (e spesso anche quella che si vuole “poesia civile” o tocca in vari modi proprio il tema della guerra).
Se insisto a pensare alla guerra e ad incitare altri a farlo, non è perché ne sia affascinato. Neppure presumo di  sapere di violenza o di guerra molto di più di quelli a cui ancora a volte mi rivolgo. Anzi ritengo che tutti siamo in estrema difficoltà nel pensare la guerra.
Innanzitutto perché apparteniamo a generazioni che direttamente non l’hanno mai fatta o ne hanno subìto molto indirettamente le sempre pesanti conseguenze. (Io, pur se sono nato nel 1941 in piena Seconda guerra mondale e in una città - Salerno - particolarmente segnata dai bombardamenti, ne sono stato solo sfiorato). E anche l’eventuale conoscenza, che abbiamo potuto avere da libri, film  o giornali sulle guerre dei nostri padri e nonni o sulle guerre in altri Paesi, resta comunque occasionale, limitata e insufficienteMa il mio discorso si rivolge in particolare ai poeti – miei coetanei o delle generazioni più giovani – e ad essi mi sento di porre un problema che riguarda proprio il non rapporto tra poesia e guerra, che rende non impossibile ma  più arduo pensare la guerra e non semplicemente parlarne o esprimere indignazione o sgomento o auspicare che venga sostituita dalla pace. E voglio anche ricordare che, fosse stato un poeta pure su un campo di battaglia (come lo furono Ungaretti e Rebora, ad esempio) o vicino agli eventi più tragici che una guerra sempre produce, è la stessa forma-poesia a  fare da doppio filtro contro la realtà orrorifica della guerra. (Ma posso accogliere l’ipotesi che essa – la forma-poesia – possa essere stata un quasi necessario scudo o paraocchi contro questa Medusa che, guardata in volto, annienterebbe chi la guardi). 
Per la consapevolezza raggiunta di quanto sia inadatta (e persino insidiosa) la forma-poesia a pensare la guerra, da una parte m’irrita la superficialità di molta “poesia civile” che, ignara di questo limite, danza e ricicla versi sulla guerra e le sue vittime: più o meno pensosamente, fin troppo civilmente, inconsapevolmente ipocrita; e, d’altra parte, non sopporto quelli che invitano a cancellare la stessa questione del non rapporto tra poesia e guerra e vogliono continuare a “fare poesia” e basta (o a ”fare quello che i poeti sanno fare, scrivere poesie”). 
Una correzione s’impone. A me stesso e agli altri poeti. Per tentare, tolti il doppio filtro o i paraocchi sia della “poesia autentica” e sia della “poesia impegnata”, una poesia capace di immaginarsi in posizione estrema. Com’è quella – purtroppo realissima – dei civili bombardati. I poeti, cioè, per pensare la guerra devono fare i conti con quelli che la guerra la fanno. Devono almeno immaginare di doversi presentare davanti ai generali, ai boia, ai torturatori professionisti, ai soldati addestrati ad ammazzare o ai politici e banchieri che impassibili si servono di costoro e traggono vantaggi dalle guerre. Devono, cioè, rifiutare prima di tutto di imboccare la via facile e abusata: quella dov'è ancora possibile praticare una poesia  che in fin dei conti si rivolge esclusivamente agli inesperti della guerra,  ai pacifisti "naturali”, ai tantissimi  esorcisti "spotanei" che la guerra non la vogliono né vedere né pensare.

lunedì 15 luglio 2024

lunedì 1 luglio 2024

I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (3)


di Ennio Abate

Su Poliscritture la pubblicazione di un articolo di Marcella Corsi anche le tartarughe  forse nella pioggia ha avviato una discussione sui vecchi temi della differenza (vera o fittizia) tra poesia e poesia d'impegno politico e sul diverso atteggiamento (anch'esso non so quanto reale e quanto immaginario) di uomini e donne nei confronti delle guerre. Ecco la mia posizione. 

venerdì 28 giugno 2024

I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (2)

 


di Ennio Abate

Provate anche voi a leggere di seguito questa recensione (qui), apparsa sulla pagina FB de L'irregolare. Voci, poesie, insubordinazioni, il mio commento e la recensione scritta oggi da Pierluigi Sullo a "Verranno di notte" di Paolo Rumiz (qui) e ditemi se non c'è da preoccuparsi dello stato di crisi della poesia e del sonnambulismo politico in cui viviamo. Pubblico, per comodità del lettore, i tre pezzi citati:

giovedì 27 giugno 2024

L’intelletto delle erbe


 Prove per un approccio ecocritico ai versi di Fortini: Una obbedienza

di

MARCELLA CORSI


Per leggere l'articolo clicca QUI



domenica 23 giugno 2024

I poeti in tempo di guerra non pensano abbastanza (1)

 



di Ennio Abate

Tirando le somme (amare) dalla rilettura di due mie poesie del 2004/2007 (1). 

e le grida nelle nostre piazze?
cessarono

e gli spari?
si smorzarono

e le speranze?
pure

ora impuniti tramortiscono
giovani donne operai immigrati braccianti

e
altrove?
torturano  e ammazzano
sempre lasciando viva una vittima
che piangendo narri

dall’opulento schermo occidentale?
no, lì si raccontano le serpi
più belle sorridenti e orride

dunque?
bestiole offese vite inermi barcollanti speranze
voi, non vi ascolteranno
secca è la rosa rossa nel bicchiere

Possiamo solo morire?
....



23 giugno 2004

domenica 16 giugno 2024

Il falso vecchio dentro il rumore di fondo

 


Riordinadiario NEI DINTORNI DI F.F. 1996

di Ennio Abate

Questo articolo fu pubblicato su ALLEGORIA n. 20-21, Anno VIII, NUOVA SERIE, 1996, nella rubrica "La ricezione". Il suo sottotitolo, "Rileggendo i necrologi in morte di Franco Fortini", chiariva bene il suo contenuto. La pagina 276, che qui ho copiato, riassume la critica che ha guidato da allora la mia riflessione su Fortini: "la maggior parte della cultura di sinistra italiana [che nel 1996 ancora c'era] non può più onorare Fortini assieme al suo comunismo. Perché se ne era già da tempo disfatta (di quel comunismo e di Fortini)". 

 

sabato 15 giugno 2024

Su "Le poesie italiane di questi anni" (1959), in "Nuovi saggi italiani" di Franco Fortini

 


                                        Appunti 
Riordinadiario moltinpoesia 2002



di Ennio Abate

1.

Alla poesia italiana la storia è ignota, non si assume il proprio stato storico (96) |

[La storia è storia dell’anima, cioè non-storia (105). Vari esempi: Saba: «Il tempo entro cui si dispongono le esperienze… è cronologico-biografico, con i suoi riferimenti a casi familiari e sentimentali, nel senso di un romanzesco privato o microsociale, mentre gli eventi sovraindividuali – prima guerra mondiale o guerra del «fascista abbietto» e del «tedesco lurco» - restano sullo sfondo (106)
Ungaretti: in lui il tempo è categoria metastorica, neppure psicologica (106).
Montale: il tempo si cerca… in prossimità della «crisi» esistenziale… i riferimenti agli eventi sociali e civili s’infittiscono, ma si tratta di un mondo «disertato da esseri umani e attraversato solo da messaggi cifrati, da angeli travestiti da demoni… e da lemuri animali, la riduzione degli eventi umani a quelli naturali e della guerra a «bufera» è continua e spontanea (106)
Mentre nella poesia recente (fine anni ’50, quindi siamo alla
poesia critica di Majorino) «passato, presente e futuro tendono invece a riferirsi a eventi collettivi, su quelli si ordina la biografia.
Il passato è l’infanzia e la giovinezza ma anche e più spesso il tempo del fascismo…
questo inserimento delle biografie in un complesso di eventi ha voluto dire anche inserire il proprio passato e il proprio futuro nel passato o nel futuro di un popolo, o classe o genere umano (107) ]

mercoledì 12 giugno 2024

Su comunicazione (in poesia) a pochi/molti

 




RIORDINADIARIO 2011/ LABORATORIO MOLTINPOESIA DI MILANO

24 gennaio 2011

Ennio Abate a Lucio Mayoor Tosi e a Eugenio Grandinetti 


Se sto su una spiaggia affollata da molti bagnanti e vedo una persona che sta per affogare, mi rivolgo ai pochi a me vicini, che mi possono sentire e darmi una mano. Non alla folla lontana e distratta, alla quale le mie grida non arrivano o giungeranno incomprensibili. Per questa scelta qualcuno mi potrebbe mai accusare di aver voluto rivolgermi a pochi con l’intento di «creare nuove élites»?

martedì 4 giugno 2024

Rifacimento di una poesia di “Immigratorio” (2011)


di Ennio Abate


Ué, Salierne, ire china e zitelle 

cu l’uocchie triste. Cummannata 

ra prievete e avvocatuzze smuorte.

T’assaggiaie. ‘Na cirasa acre ire.


Po sì maturate. E sò maturate 

e figliole ca, qunn’ere giovane

e me ne jette, nun permesse 

accuvate, luntane  viriette. 

 

Mò, si e sere so cumm’allore 

e pe vie toie nu poche chiove 

ancore, a piaghe nun se sana 

chiù e ma porte appriesse.

 

Nun chiù presepie,  munne sì. 

Cumm’ati munni  scumbinate.

E a lengua - mia e toia - accussì 

antiche? E' raggia. O è niente.


4 giugno 2024


Ué, Salerno, eri piena di zitelle / dagli occhi tristi. Comandata/
da preti e avvocatucci pallidi. / Ti assaggiai. Una ciliegia acre eri. //
Poi sei maturata. E sono maturate / le ragazze che, quand’ero giovane e me ne andai,/ vidi proibite,/ nascoste, da lontano. //
Ora, se le sere sono come una volta e per le tue vie nu poche chiove */
ancora, la piaga non guarisce / e me la porto con me. //
Non più presepio, mondo sei. / Come altri mondi scombinata./
E la lingua – mia e tua – tanto /
antica? E’ ira. O è niente.

* da Salvatore Di Giacomo.


Appendice

Versione pubblicata in “Immigratorio” (CFR 2011)


Uè, Salierne!


Che città cummannate ra prievete

chiene r’avvocatucci pallid’e zitelle 

cu l’uocchie triste 

ca ire! 


T’assaggiaie, ‘na cirasa acre ire. 

Sì maturate. Sò maturate 

e figliole ca viriett’e studentess’e 

ma cose nascoste, punizione

sì state 

e sì rimaste! 


Me ne jette nu juorne 

e mò torne ancore. 

È sere, nu poche chiove 

ma rammelle jà 

chelle ca m’accuvaste

quann’ere guaglione 

e ‘mparave a vulà 

cumm’a n’aucielle.


 Sì, vulave, vulave 

e vulive ì luntane!

Ma e scelle erene debbule 

e te l’aje spezzate partenne

prime ro tiempe. 

A piaghe ca te sì purtat’appriess’e 

nun t’a pozze curà cchiù. 

Tuorne viecchie. E vecchia 

me truove. 

Nun sò chiù presepie 

ma munne cumm’ati munni 

tutta scombinate.

Chelle ca teneve to diette: 

sta lengua antiche

lengua e malincunie

ca parlavene e pariente tuoje

pe rusculià storje e mmuorte

ambresse ambresse

accussì strengevene meglie

a raggia mmiezz’e riente.




____________________________ 

Ué, Salerno! 


Che città comandata da preti/ affollata da pallidi avvocatucci e da zitelle/
dall’occhio triste/ fosti //Ti assaggiai, eri una ciliegia acre./
Sei maturata./ Sono diventate mature/ le fanciulle che vidi studentesse/
ma cosa non svelata, punizione/ sei stata/ e sei rimasta!//
Me ne andai un giorno/ e adesso torno ancora.
È sera, nu poche chiove/ma dammelo (suvvia)/
ciò che mi nascondevi/quand’ero ragazzo/
e imparavo a volare/ come un uccellino. //
Sì, volavi, volavi/ e volevi andare lontano!/
Ma le tue ali erano deboli/ e te le spezzasti partendo/
prima del tempo./ La piaga che ti portasti dietro/
io non posso più curartela./ Torni da vecchio. E invecchiata/
trovi anche me.// Non sono più presepe/
ma mondo come altri mondi/ tutta in disordine./
Quello che avevo te lo diedi:/questa lingua antica/
lingua di malinconia/ quella che parlavano i tuoi parenti/
per rovistare nelle storie dei loro morti/
ansiosamente,così stringevano meglio/
la disperazione tra i denti