Desidero intervenire nel fitto dialogo tra Abate,
Linguaglossa ed altri (qui). I miei rilievi – che vogliono essere osservazioni su singoli
punti (precisazioni, dubbi, aperture su orizzonti paralleli etc.), nella
ritenuta impossibilità di una sintesi esaustiva – seguiranno,più o meno
fedelmente,l’ordine che hanno assunto,nel blog, i vostri contributi.
LINGUAGLOSSA (1 )
Dici: la poesia apre l’impensato al pensiero. La correzione
che farei è questa: la poesia apre all’impensabile. Non c’è mai nulla di
impensato nella poesia (questa la mia esperienza ) sia nei contenuti che nelle
modalità. Si “ cattura “ l’impensabile – cioè quanto non è definibile in
termini concettuali e/o scientifici – nei confini di un dire in qualche modo
intellegibile. Tale intelligibilità si raggiunge attraverso una “ scienza “ .
In questo senso va inteso l’aforisma “ars sine scientia nihil" attribuito ad uno
dei costruttori del Duomo di Milano.
Il rapporto tra l’impensabile e il pensato della poesia si
può anche descrivere in termini di mimesis (Aristotole, Tommaso) mediata però
dal pensiero leopardiano di cui a Zibaldone, 6
( almeno nella mia lettura ) che privilegia “ la tensione
nell’imitazione” piuttosto che il suo risultato.