lunedì 5 novembre 2012

Enzo Giarmoleo
Maestri, Compagni di viaggio,
Manipolazioni del potere.
Post Beat e Romantici



Aggiungo in un altro post autonomo (ribaltando il detto "chi tarda arriva peggio alloggia") la risposta di Enzo Giarmoleo al tema  "Lista di maestri per i moltinpoesia" (qui). [E.A.]

Negare in assoluto la possibilità di un maestro o di un compagno di viaggio è difficile; accade a tutti di trovare lungo il proprio percorso un punto di riferimento, una luce, un barlume forse anche un verso che si rivela affine al proprio sentire in maniera episodica o anche duratura. 
Anche se viviamo in una società di massa in cui il rapporto tra poeta e maestro è sicuramente cambiato, in un’epoca in cui tutti vogliono essere giustamente poeti e tutti vogliono essere protagonisti, può accadere ancora oggi che un poeta diventi punto di riferimento.
Quello che vorrei però sottolineare è invece il carattere spesso forzato di una scelta, mi sembra che il poeta, cui capita di fare riferimento sia solo l’immagine del poeta così come ci viene trasmessa dal potere culturale.
A volte questa immagine distorta può riguardare interi movimenti letterari, altre volte questo potere addirittura attua un black out su intere generazioni di poeti.

Per esempio per la maggior parte dei lettori italiani la poesia americana sembra essere terminata con i Beat, i “Black Mountain Poets e  “La New York School” anche se questi ultimi sono passati in Italia nel quasi silenzio. E’ come se in questo paese ci fosse una punta di snobismo perché si pensa che la poesia italiana “sarebbe più avanti rispetto a quella statunitense per profondità e stile” e la regola sembra essere quella di far passare sotto silenzio la poesia americana contemporanea sia a livello di pubblicazioni che nei dipartimenti di letteratura delle università italiane. Al contrario i poeti italiani sono tradotti e conosciuti negli States e la sensazione è che in questo paese si legga poesia più che in Italia. E’ sicuramente vero che in parecchie università americane si legga molto più che nei corrispondenti luoghi in Italia. Un esempio : c’è una pubblicazione dal nome “Belli oltre frontiera” ” (Bonacci, Roma, 1983) dove Belli sta per Gioacchino Belli (per la gioia di Giorgio Mannacio) libro che pochissimi conoscono e invece si sa per certo che  in alcuni dipartimenti letterari questo libro insieme ad altri libri italiani sono ridotti in condizioni pietose poiché particolarmente consumati dalle mani degli studenti lettori americani.
La domanda possibile è “Come posso incontrare un ipotetico maestro se le possibilità di conoscerlo vengono quantomeno vanificate o comunque dimezzate". Certo la domanda potrebbe risultare ingenua poiché esiste anche un web a cui si può attingere. Ma credo vi sia ancora un nesso tra il cartaceo e il virtuale. Nel senso che la pagina pubblicata serve anche da apri-strada per una conoscenza che in questo caso viene boicottata.
Ma torniamo all’esempio del poeta “manipolato” dal sistema. Spesso chi elargisce cultura fa anche opera di macelleria letteraria nel senso che riduce in segmenti l’opera del poeta nascondendo quella parte che il sistema considera cattiva o impoetica e facendo vedere solo la parte considerata “sana” della sua poetica.
Un caso storico è quello di P. B. Shelley .
In Inghilterra l’establishment letterario ma io direi anche  politico ha privilegiato sempre il cosiddetto aspetto lirico del poeta separandolo sapientemente da quella produzione shelleyana più prettamente politica che non collimava certo con gli interessi del potere.
Shelley “il più grande poeta lirico inglese” . Questa definizione è il classico stereotipo che l’establishment ha contribuito a creare, si tratta di quella cultura che dipinge Shelley solo come “Mad Shelley” (Shelley il Pazzo) per il suo aspetto trascurato, il colletto sempre aperto, i capelli lunghi, Shelley frugale, Shelley che prende forti dosi di laudano, Shelley capace di sopravvivere di solo pane, uva passa, miele e tè. Shelley che quando vede gente che soffre ha eccessi di dolore convulso.
Dal punto di vista delle opere si sa che schiere di docenti hanno spesso chirurgicamente diviso, estrapolato le parti da esse ritenute più liriche e che potevano servire all’insegnamento. Ci sono opere come “La maschera dell’Anarchia” o “Queen Mab” che sono state solo raramente oggetto di studio per generazioni di studenti. Da “Queen Mab” ad esempio sono sempre state estrapolate chirurgicamente alcune parti più “liriche” a scapito di altre dove Shelley, pur usando un linguaggio romantico e scenari romantici fatti di spiriti, esseri eterei ecc.,  introduce problemi reali vissuti da persone reali all’interno della società.
Un rapido sondaggio fra la comunità degli insegnanti inglesi di Milano conferma quanto andiamo dicendo. Per essi Shelley è quello che ha scritto  “Ad un’Allodola’ ed è l’immagine che nelle High School e nelle Università Inglesi viene trasmessa oscurando appunto una produzione poetica più prettamente politica. Ancora oggi non v’è interesse ad accennare all’impegno politico della triade Byron, Shelley e Keats poeti che, ognuno in modo diverso, sono testimoni del clima rivoluzionario dell’epopea di Peterloo.
Non allarmatevi! Ho detto proprio Keats; anche lui “maudit” quasi in uno stato di narcosi, restituisce in termini letterari i turbamenti e le aspirazioni di un periodo segnato da guerre , rivoluzioni, repressioni, accese discussioni ideologiche anche se lo fa attraverso la lancinante nostalgia di un ordine sensuoso ispirato dalla bellezza dell’arte greca.
Byron indimenticabile nel suo discorso alla Camera dei Lords nel 1812 contro la proposta di punire con la morte il sabotaggio delle macchine, mette in ridicolo gli sforzi dell’esercito per soffocare la rivolta luddista a Nottingham. Shelley nelle poesie del 1819 si fa portavoce di una rivolta popolare contro quella classe politica britannica che, vincitrice contro la Francia attua feroci repressioni sulla nuova classe operaia inglese.
Di nuovo sorge la domanda “Quale Shelley può diventare l’ ipotetico maestro, Shelley delle nuvole , Shelley del vento occidentale, Shelley delle allodole….. o per contro, Shelley che nel suo “Defence of Poetry” considera i poeti “i legislatori misconosciuti del mondo”, Shelley l’autore di “La Necessità dell’Ateismo” o Shelley che vende per le strade i suoi libelli per la liberazione dell’Irlanda, o che solidarizza con gli scioperi operai del suo tempo.

Non uno Shelley barricadero! Né uno Shelley rivoluzionario a tutti i costi, vorremmo soltanto ricomporre l’immagine di Shelley. Paradossalmente al contrario di ciò che pensano alcuni critici che vogliono sempre far rientrare i poeti nei loro schemi mentali, neanche i testi più “lirici” di Shelley sembrano così astratti :

“Tu ami, eppure mai hai conosciuto la triste sazietà d’amore”
(Thou lovest- but ne’er knew love’s sad satiety)
(da  “A un’ allodola”)

“se viene l'Inverno, può esser lontana la Primavera?”
(If Winter comes, can Spring be far behind? )
(da “Ode al vento occidentale” )





2 commenti:

giorgio linguaglossa ha detto...

ogni lettura di un poeta è sempre parziale e di settore, è una lettura interessata a decontestualizzarlo dalle problematiche del proprio tempo...
non esiste una lettura totale e onnicomprensiva valida per tutti e per tutti i tempi. Così come non esiste una lettura «ingenua». Gli «ingenui» portano sempre un obolo al carro degli «interessati». Che Shelley sia considerato il più grande poeta lirico di lingua inglese fa il paio con quel luogo comune che indica Leopardi come il più grande lirico it. dell'800, come poeta dell'intuizione lirica e del «pessimismo cosmico»... che sono un cumulo incredibile di sciocchezze e di luoghi comuni. Dificili però da estirpare. È molto comodo etichettare la poesia di Leopardi quale prodotto del suo «pessimismo cosmico», così la si devitalizza e la si presenta come un prodotto del tutto commestibile e digeribile. La lettura di una poesia è sempre un atto politico di politica estetica che l'Istituzione letteraria confeziona, è un pacchetto con tanto di confezione regalo (e con fiocco) per il pubblico, per la Scuola, per gli Istituti di italianistica, per i giornali.
Credere che ci sia un «orizzonte di attesa» che una «cultura» produce entro la propria epoca è un concetto da bottegai della cultura, da impiegati del catasto. In realtà, non c'è alcun orizzonte di attesa, anzi, non c'è attesa affatto. Punto. E non c'è orizzonte affatto. Punto.

enzo giarmoleo ha detto...

Quello che trovo strano è che il fior fiore della intellettualità italiana abbia accettato l’immagine di Shelley così come ci è arrivata d’oltre Manica. Ben vengano però contributi che potrebbero arricchire l’analisi e che smentiscano l’esistenza di uno stereotipo creato dal potere.
E’ quantomeno curioso non trovare in libreria alcun libro su Shelley salvo qualche libretto che riafferma l’immagine stereotipata del poeta. Ho cercato disperatamente a Milano “La Maschera dell’Anarchia”, una delle opere volutamente oscurate, e solo alla Bibblioteca Sormani ho trovato un’eroica edizione di una piccola editrice di Bellinzona di alcuni anni fa. E’ una riconferma che quell’immagine posticcia del poeta sia stata supinamente accettata, che nessuno si è mai chiesto, almeno in Italia, se quella immagine sia stata manipolata. In Inghilterra qualche storico valente, in passato, ha messo in evidenza, cosa che oggi può sembrare strana, i legami tra poesia e avvenimenti storici.
Questo ci riporta alla infuocata polemica contro lo strutturalismo, tra Sincronia e Storia ma sembra ovvio in questo caso eclatante che la biografia del poeta e il background storico siano indispensabili per una maggiore comprensione. Quindi è vero, non si può prescindere dal testo, dalle parole, dalla poesia ma è altrettanto indispensabile attingere alla Storia. La cosa che più appassiona nel caso di Shelley, è appunto questo intreccio tra platonismo, rarefazione dei caratteri razionali, spinta verso il sublime e il suo atteggiamento libertario e radicale influenzato dalla filosofia di William Goodwin che trova una radice storica anche nei segni lasciati da “Levellers” (livellatori) e i “Diggers” che si opponevano, questi ultimi , alle recinzioni della terre simbolo della spietatezza del capitalismo inglese nel suo nascere.
Per capire il clima inglese di quel periodo potremmo citare la dichiarazione di Harriet prima moglie di Shelley, a proposito di “Queen Mab” (“La Regina Mab”) che affermava che il poema non avrebbe potuto essere pubblicato “se non con il rischio della morte”poiché era contrario a ogni istituzione esistente. La cosa straordinaria è che ci troviamo di fronte ad un giallo e rischiamo di morire senza mai sapere che esiste il lato oscurato del poeta, difficile da immaginare a meno che non ci imbattiamo per caso con esso .