Aggiungo in un altro post autonomo (ribaltando il detto "chi tarda arriva peggio alloggia") la risposta di Enzo Giarmoleo al tema "Lista di maestri per i moltinpoesia" (qui). [E.A.]
Negare in assoluto la possibilità di un maestro o di un
compagno di viaggio è difficile; accade a tutti di trovare lungo il proprio
percorso un punto di riferimento, una luce, un barlume forse anche un verso che
si rivela affine al proprio sentire in maniera episodica o anche duratura.
Anche se viviamo in una società di massa in cui il rapporto
tra poeta e maestro è sicuramente cambiato, in un’epoca in cui tutti vogliono
essere giustamente poeti e tutti vogliono essere protagonisti, può accadere
ancora oggi che un poeta diventi punto di riferimento.
Quello che vorrei però sottolineare è invece il carattere spesso
forzato di una scelta, mi sembra che il poeta, cui capita di fare riferimento
sia solo l’immagine del poeta così come ci viene trasmessa dal potere
culturale.
A volte questa immagine distorta può riguardare interi movimenti letterari, altre volte questo potere addirittura
attua un black out su intere generazioni di poeti.
Per esempio per la maggior parte dei lettori italiani la
poesia americana sembra essere terminata con i Beat, i “Black Mountain Poets e “La New York School” anche se questi ultimi
sono passati in Italia nel quasi silenzio. E’ come se in questo paese ci fosse
una punta di snobismo perché si pensa che la poesia italiana “sarebbe più
avanti rispetto a quella statunitense per profondità e stile” e la regola
sembra essere quella di far passare sotto silenzio la poesia americana
contemporanea sia a livello di pubblicazioni che nei dipartimenti di
letteratura delle università italiane. Al contrario i poeti italiani sono
tradotti e conosciuti negli States e la sensazione è che in questo paese si
legga poesia più che in Italia. E’ sicuramente vero che in parecchie università
americane si legga molto più che nei corrispondenti luoghi in Italia. Un
esempio : c’è una pubblicazione dal nome “Belli oltre frontiera” ” (Bonacci,
Roma, 1983) dove Belli sta per Gioacchino Belli (per la gioia di Giorgio
Mannacio) libro che pochissimi conoscono e invece si sa per certo che in alcuni dipartimenti letterari questo libro
insieme ad altri libri italiani sono ridotti in condizioni pietose poiché
particolarmente consumati dalle mani degli studenti lettori americani.
La domanda possibile è “Come posso incontrare un ipotetico
maestro se le possibilità di conoscerlo vengono quantomeno vanificate o
comunque dimezzate". Certo la domanda potrebbe risultare ingenua poiché esiste
anche un web a cui si può attingere. Ma credo vi sia ancora un nesso tra il
cartaceo e il virtuale. Nel senso che la pagina pubblicata serve anche da apri-strada
per una conoscenza che in questo caso viene boicottata.
Ma torniamo all’esempio del poeta “manipolato” dal sistema. Spesso
chi elargisce cultura fa anche opera di macelleria letteraria nel senso che
riduce in segmenti l’opera del poeta nascondendo quella parte che il sistema
considera cattiva o impoetica e facendo vedere solo la parte considerata “sana”
della sua poetica.
Un caso storico è quello di P. B. Shelley .
In Inghilterra l’establishment letterario ma io direi anche politico ha privilegiato sempre il cosiddetto
aspetto lirico del poeta separandolo sapientemente da quella produzione
shelleyana più prettamente politica che non collimava certo con gli interessi
del potere.
Shelley “il più grande poeta lirico inglese” . Questa
definizione è il classico stereotipo che l’establishment ha contribuito a
creare, si tratta di quella cultura che dipinge Shelley solo come “Mad Shelley”
(Shelley il Pazzo) per il suo aspetto trascurato, il colletto sempre aperto, i
capelli lunghi, Shelley frugale, Shelley che prende forti dosi di laudano,
Shelley capace di sopravvivere di solo pane, uva passa, miele e tè. Shelley che
quando vede gente che soffre ha eccessi di dolore convulso.
Dal punto di vista delle opere si sa che schiere di docenti
hanno spesso chirurgicamente diviso, estrapolato le parti da esse ritenute più
liriche e che potevano servire all’insegnamento. Ci sono opere come “La
maschera dell’Anarchia” o “Queen Mab” che sono state solo raramente oggetto di
studio per generazioni di studenti. Da “Queen Mab” ad esempio sono sempre state
estrapolate chirurgicamente alcune parti più “liriche” a scapito di altre dove
Shelley, pur usando un linguaggio romantico e scenari romantici fatti di
spiriti, esseri eterei ecc., introduce
problemi reali vissuti da persone reali all’interno della società.
Un rapido sondaggio fra la comunità degli insegnanti inglesi
di Milano conferma quanto andiamo dicendo. Per essi Shelley è quello che ha
scritto “Ad un’Allodola’ ed è l’immagine
che nelle High School e nelle Università Inglesi viene trasmessa oscurando
appunto una produzione poetica più prettamente politica. Ancora oggi non v’è
interesse ad accennare all’impegno politico della triade Byron, Shelley e Keats
poeti che, ognuno in modo diverso, sono testimoni del clima rivoluzionario
dell’epopea di Peterloo.
Non allarmatevi! Ho detto proprio Keats; anche lui “maudit”
quasi in uno stato di narcosi, restituisce in termini letterari i turbamenti e
le aspirazioni di un periodo segnato da guerre , rivoluzioni, repressioni,
accese discussioni ideologiche anche se lo fa attraverso la lancinante
nostalgia di un ordine sensuoso ispirato dalla bellezza dell’arte greca.
Byron indimenticabile nel suo discorso alla Camera dei Lords
nel 1812 contro la proposta di punire con la morte il sabotaggio delle
macchine, mette in ridicolo gli sforzi dell’esercito per soffocare la rivolta
luddista a Nottingham. Shelley nelle poesie del 1819 si fa portavoce di una
rivolta popolare contro quella classe politica britannica che, vincitrice
contro la Francia attua feroci repressioni sulla nuova classe operaia inglese.
Di nuovo sorge la domanda “Quale Shelley può diventare l’
ipotetico maestro, Shelley delle nuvole , Shelley del vento occidentale,
Shelley delle allodole….. o per contro, Shelley che nel suo “Defence of Poetry”
considera i poeti “i legislatori misconosciuti del mondo”, Shelley l’autore di
“La Necessità dell’Ateismo” o Shelley che vende per le strade i suoi libelli
per la liberazione dell’Irlanda, o che solidarizza con gli scioperi operai del
suo tempo.
Non uno Shelley barricadero! Né uno Shelley rivoluzionario a
tutti i costi, vorremmo soltanto ricomporre l’immagine di Shelley.
Paradossalmente al contrario di ciò che pensano alcuni critici che vogliono
sempre far rientrare i poeti nei loro schemi mentali, neanche i testi più
“lirici” di Shelley sembrano così astratti :
“Tu ami, eppure mai hai conosciuto la triste sazietà
d’amore”
(Thou lovest- but ne’er knew love’s sad satiety)
(da “A un’ allodola”)
“se
viene l'Inverno, può esser lontana la Primavera?”
(If Winter comes, can Spring be
far behind? )
(da “Ode al vento occidentale” )
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2 commenti:
ogni lettura di un poeta è sempre parziale e di settore, è una lettura interessata a decontestualizzarlo dalle problematiche del proprio tempo...
non esiste una lettura totale e onnicomprensiva valida per tutti e per tutti i tempi. Così come non esiste una lettura «ingenua». Gli «ingenui» portano sempre un obolo al carro degli «interessati». Che Shelley sia considerato il più grande poeta lirico di lingua inglese fa il paio con quel luogo comune che indica Leopardi come il più grande lirico it. dell'800, come poeta dell'intuizione lirica e del «pessimismo cosmico»... che sono un cumulo incredibile di sciocchezze e di luoghi comuni. Dificili però da estirpare. È molto comodo etichettare la poesia di Leopardi quale prodotto del suo «pessimismo cosmico», così la si devitalizza e la si presenta come un prodotto del tutto commestibile e digeribile. La lettura di una poesia è sempre un atto politico di politica estetica che l'Istituzione letteraria confeziona, è un pacchetto con tanto di confezione regalo (e con fiocco) per il pubblico, per la Scuola, per gli Istituti di italianistica, per i giornali.
Credere che ci sia un «orizzonte di attesa» che una «cultura» produce entro la propria epoca è un concetto da bottegai della cultura, da impiegati del catasto. In realtà, non c'è alcun orizzonte di attesa, anzi, non c'è attesa affatto. Punto. E non c'è orizzonte affatto. Punto.
Quello che trovo strano è che il fior fiore della intellettualità italiana abbia accettato l’immagine di Shelley così come ci è arrivata d’oltre Manica. Ben vengano però contributi che potrebbero arricchire l’analisi e che smentiscano l’esistenza di uno stereotipo creato dal potere.
E’ quantomeno curioso non trovare in libreria alcun libro su Shelley salvo qualche libretto che riafferma l’immagine stereotipata del poeta. Ho cercato disperatamente a Milano “La Maschera dell’Anarchia”, una delle opere volutamente oscurate, e solo alla Bibblioteca Sormani ho trovato un’eroica edizione di una piccola editrice di Bellinzona di alcuni anni fa. E’ una riconferma che quell’immagine posticcia del poeta sia stata supinamente accettata, che nessuno si è mai chiesto, almeno in Italia, se quella immagine sia stata manipolata. In Inghilterra qualche storico valente, in passato, ha messo in evidenza, cosa che oggi può sembrare strana, i legami tra poesia e avvenimenti storici.
Questo ci riporta alla infuocata polemica contro lo strutturalismo, tra Sincronia e Storia ma sembra ovvio in questo caso eclatante che la biografia del poeta e il background storico siano indispensabili per una maggiore comprensione. Quindi è vero, non si può prescindere dal testo, dalle parole, dalla poesia ma è altrettanto indispensabile attingere alla Storia. La cosa che più appassiona nel caso di Shelley, è appunto questo intreccio tra platonismo, rarefazione dei caratteri razionali, spinta verso il sublime e il suo atteggiamento libertario e radicale influenzato dalla filosofia di William Goodwin che trova una radice storica anche nei segni lasciati da “Levellers” (livellatori) e i “Diggers” che si opponevano, questi ultimi , alle recinzioni della terre simbolo della spietatezza del capitalismo inglese nel suo nascere.
Per capire il clima inglese di quel periodo potremmo citare la dichiarazione di Harriet prima moglie di Shelley, a proposito di “Queen Mab” (“La Regina Mab”) che affermava che il poema non avrebbe potuto essere pubblicato “se non con il rischio della morte”poiché era contrario a ogni istituzione esistente. La cosa straordinaria è che ci troviamo di fronte ad un giallo e rischiamo di morire senza mai sapere che esiste il lato oscurato del poeta, difficile da immaginare a meno che non ci imbattiamo per caso con esso .
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