È stato difficile affrontare la discussione sul poema Viaggio nella presenza del tempo di Giancarlo Majorino ieri sera , martedì 2 dicembre, nel nostro laboratorio.
Questa l’impressione che ho ricavato dalla serata, che pur ha visto aggiungersi al gruppo dei frequentanti fissi nuovi volti.
Ha introdotto L.C. con una relazione (la farà circolare lei direttamente nei prossimi giorni inviandocela per posta elettronica) che ha accennato alla labile trama del poema, si è soffermata su alcuni passi e espresso le sue impressioni di lettrice, trovando complessivamente “interessante” l’opera, malgrado le zone di “oscurità”.
Poi, per dare qualche altro piccolo assaggio del testo, abbiamo - io, D.S.e L.C. - letto altri passi e commenti.
A questo punto l’intervento di E.G. ha, come si suol dire, messo i piedi nel piatto, manifestando apertamente una certa insofferenza verso il poema.
Due i principali appunti: - il linguaggio dell’opera di Majorino non mira alla comunicazione coi lettori; - neologismi, rottura della sintassi, disorientamento dei riferimenti spaziali e temporali della narrazione rompono il Codice su cui una lingua si basa e sono il sintomo di una ricerca narcistica centrata sull’autore e più o meno gratuitamente tendente all’oscuro.
Eugenio ha ribadito la “comunicabilità” come elemento essenziale, se non esclusivo, della poesia: c’è un Codice linguistico comune a poeta e pubblicoe, a suo parere, non può essere trasgredito senza danneggiare l’istituto stesso della poesia.
Gli interventi successivi hanno visto delinearsi una contrapposizione abbastanza netta: da una parte chi ha condiviso la posizione di E. e dall’altra chi (come me, S.,V. e C. ha giudicato, a certe condizioni, legittima la “sperimentazione linguistica” (di Majorino e di altri esempi illustri precedenti: l’Avanguardia del primo Novecento ad es; ed è stato fatto un riferimento a Guernica di Picasso..).
Ricordo schematicamente i principali argomenti a difesa:
1) Esiste in poesia (e nell’arte in generale) sia una tradizione “classica” sia una tradizione “moderna” e/o “sperimentale”: entrambe hanno prodotto grandi opere e opere deboli o noiose o trascurabili; in entrambe troviamo elementi di “oscurità” (al di là della superficie più ordinata e apparentemente comunicabile, anche le opere “classiche” hanno significati “secondi”, zone complesse non facilmente percepibili senza una preparazione appropriata, ecc.);
2) La “comunicabilità” è uno (e non necessariamente, e non in ogni epoca) degli aspetti della ricerca poetica (e artistica) non necessariamente il principale o l’unico; accanto a grandi opere che hanno dato la prevalenza alla comunicazione, a un linguaggio “comune” e persino “pedagogico”, e quindi almeno in superficie controllabile da un pubblico più o meno vasto, abbiamo anche avuto grandi opere che hanno cercato di esplorare zone oscure dell’esperienza umana (la psiche, gli stati turbati o turbolenti della coscienza, ma anche conflitti sociali negati);
3) Accanto alle opere che proseguono nel solco della tradizione “classica” abbiamo avuto opere “di rottura”, più o meno trasgressive e innovative; invece di negare questa evidenza ( che la poesia non è mai stata una, ma è stata sempre attraversata anch’essa dal conflitto) e affermare che una è la poesia (e l’altra ricerca cosa sarebbe? Non poesia?), sarebbe meglio chiedersi perché si sono verificate certe rotture, quando (perché all’inizio del Novecento e non in epoche più “tranquille”) e se queste “trasgressioni” ad un Codice Dominante hanno avuto una loro giustificazione seria, sono sorte da una necessità più “universale”, hanno ampliato o meno gli orizzonti della conoscenza umana, anche quando avessero avuto elementi elitari e i loro risultati non fossero facilmente usufruibili da un vasto pubblico (È stato fatto l’esempio della teoria della relatività di Einstein, indubbiamente non accessibile se non si ha una buona formazione scientifica a milioni di persone, ma il cui valore universale non è dubbio), nascono da una esigenza sincera e profonda del poeta o dell’artista (o dello scienziato) o sono, invece, giochetto accademico, capriccio, diciamo pure atto masturbatorio; e soprattutto se dalle trasgressioni sono sorte opere che si sono imposte per la loro evidenza poetica (ancora una volta è stato fatto l’esempio di Guernica);
4) Ma perché pretendere dall’artista di essere “comunicativo” o di spiegarci “cosa significa” quello che ha fatto? Sarebbe bene anche chiedersi quanto noi, nelle vesti di lettori, siamo disposti a affrontare la fatica di “entrare nel testo”, di interrogarci a fondo sul senso di una poesia diversa o lontana da quella che a noi piace o che abbiamo imparato ad amare fin dai banchi della scuola; insomma fino a che punto siamo propensi ad affrontare il rapporto con qualcosa che va contro il nostro gusto consolidato, che ci appare quasi “naturale” (ma non lo è): alla fine si può anche concludere che quell’opera a noi non piace, ma il rifiuto a questo punto non appare semplice frutto di un pregiudizio ( e tuttavia, bisogna ammetterlo, anche i “pregiudizi” hanno la loro importanza...).
Questo mi pare il succo della discussione. (Se il resoconto - non neutro, l’ammetto - richiedesse precisazioni, aggiunte o correzioni, basta che chi ha da dire intervenga...). Il suo limite, come annunciato all’inizio, mi pare sia dovuto al fatto che ad aver letto o leggiucchiato l’opera in questione - il poema di Majorino - eravamo in tre o quattro e quindi la discussione, invece che incentrarsi sul testo, è diventata piuttosto “teorica” o “generale”. Se però avesse stimolato curiosità e voglia di approfondire il poema, avrebbe già avuto un buon risultato.
Avevamo previsto questo primo incontro senza Majorino, per permettere una discussione più libera, e deciso d’incontrarlo successivamente per “interrogarlo” direttamente e più a fondo.
Oggi mi sono dato da fare. L’incontro non avverrà alla Palazzina Liberty, ma promosso dal Laboratorio MOLTINPOESIA si terrà MARTEDI 9 DICEMBRE ORE 18 presso la Libreria eQuiLibri, Via Farneti 11 (a 200 metri dalla fermata Lima, MM linea rossa, bus 90,91) - Sarà presente Giancarlo Majorino
Un caro saluto
Ennio
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