Il 9 dicembre 2008 alla Libreria EquiLibri in Via Farneti 11 (Milano) si è tenuto un incontro con Giancarlo Majorino sul suo poema Viaggio nella presenza del tempo. Pubblico qui sotto le domande che ho proposto a Majorino per approfondire anche con lui il discorso sul suo poema.
La serata “in trasferta” è stata registrata da Nazareno Ferretti con la videocamera. Ferretti si è impegnato a produrre anche un CD-Rom che vedremo poi come utilizzare. Il Laboratorio era presente quasi al completo. Scarsa invece l’affluenza di esterni, malgrado mailing list etc. Il discorso resta aperto. Ora si tratta di continuarlo, come in realtà si sta facendo attraverso gli interventi per posta elettronica.
Un caro saluto
Ennio
MOLTINPOESIA SU VIAGGIO NELLA PRESENZA DEL TEMPO
1) La prima domanda riguarda il poema o, in gergo letterario, la forma-poema.
Nell’epoca presente, in cui dappertutto prevale la simultaneità, la scomposizione, la frammentazione, ogni istanza unitaria sembra fuori posto.
Il poema o viene visto come un meteorite sconosciuto che piomba da un altro mondo o per i più avvertiti culturalmente resta irrimediabilmente legato al mondo antico (Omero, Virgilio, Tasso).
Che tipo di poema è quello che tu hai prodotto in un arco di tempo così lungo?
Possono - è un’obiezione/provocazione che ti avevo già fatto interrogandoti su PROSSIMAMENTE nel 2007 e che ora ti ripropongo - una serie di temi così vari, scomposti, spessi, disarmonici (già presenti nelle tue opere precedenti) essere ricondotti anche solo ad una relativa unità?
Cosa hanno a che fare con i «canti» di un Dante o di altri questi raggruppamenti di «versi, righe, rigaversi»?
Non si tratta di una forzatura? Non rivelano semmai una nostalgia di unità, eticamente irrinunciabile, magari legata a un’esigenza anche esistenziale profonda che si matura con l’età, diciamo pure con la vecchiaia?
Io però guardo con simpatia all’impresa. Mi pèare che fare poema oggi sia una sfida quasi impossibile, eppure da tentare contro la disgregazione del tempo e l’ammasso angoscioso (W. Benjamin!) di macerie che il passato rivela di essere a chi ha ancora il coraggio di guardarlo.
Fino a che punto pensi che la tua sfida abbia raggiunto la meta che ti eri proposto (se te l’eri proposta) o abbia soddisfatto un bisogno profondo. Ed esso è legato più alla tua biografia, alla tua esistenza, alle spinte presenti nella tua generazione o ai problemi emersi nel periodo storico che ti è toccato vivere o hai scelto di far entrare nel poema?
Leggi pag. 83 di VIAGGIO NELLA PRESENZA DEL TEMPO
Leggi pag. 84
2) Spostamento dal codice linguistico comune.
Leggi pag. 20
Le prime reazioni alla lettura del poema si appuntano soprattutto - non so quanto produttivamente - sulla lavorazione a cui hai sottoposto la lingua italiana. I primi commentatori -entusiasti o sconcertati o diffidenti - hanno posto l’accento su questo aspetto.
Il giovane Stefano Raimondi ha scritto di «una parola messa a soqquadro»: Majorino «usa la parola come un’ascia: irrompe, taglia, frantuma la logica del linguaggio comune».
Nella prima discussione del Laboratorio MOLTINPOESIA è stato notato: «Il poema è ricco di parole, il linguaggio poetico personale include molti neologismi e fa pensare a una mancanza di parole adatte; G Majorino usa anche delle abbreviazioni, sembrano parole cercate per semplificare il discorso. Gli stili e i registri usati sono molti e cambiano continuamente passando dalla poesia alla prosa, dalla critica allo stile epistolare e diaristico. La grammatica, la sintassi e la punteggiatura non seguono le regole a cui siamo abituati - soggetto verbo complemento e relazione tra gli elementi di espressione».
Questo aspetto formale, di certo non secondario del poema, produce tra i lettori, per quanto ho potuto verificare, due reazioni:
un atteggiamento di curiosità, di apertura, di disponibilità a entrare nella sua trama complessa e contorta, accantonando per il momento le “zone oscure” o linguisticamente impervie, poco familiari, insolite o di difficile comprensione; e viene così preferita una lettura “antologica”, per “frammenti” o episodi che colpiscono, che parlano più immediatamente a discapito della struttura, che viene percepita sullo sfondo, quasi un “guscio vuoto” ed esterno (ricordiamo l’atteggiamento di B. Croce, la sua distinzione «poesia/non poesia» a proposito della Commedia di Dante);
un atteggiamento di diffidenza, delusione, se non di rigetto ( da interpretare e capire però e non semplicemente da snobbare) che vede nei passi meno comunicativi o poco comunicativi del poema (una parte, non la totalità del poema) un pretesto per respingerlo in blocco.
Questa seconda posizione si colora di ambigue istanze “egualitariste” («gli altri quando comunicano hanno il dovere di farsi capire ,anch’io, poeta, ho il dovere di farmi capire e non pretendere che siano gli altri ad avere il dovere di capirmi»).
Oppure produce un corto circuito: colloca, quasi automaticamente, il VIAGGIO nella categoria dell’«avanguardismo (o neo-avanguardismo)» e lo vede irrimediabilmente legato ad una stagione letteraria “superata”.
Il poema allora viene giudicato «un’opera del secolo scorso», ben poco interessante oggi, roba da manieristi, epigoni o ritardatari. Riporto come esemplare il giudizio acido di Davide Brullo su Libero: «marchingegno epico avanguardistico, con tanto di citazioni e trabocchetti grafici, che è Novecento amazzonico, potrebbe essere stato scritto venti, trenta, cinquant’anni fa».
Un’obiezione consimile a queste, ma più seria, ritiene che questa tua lavorazione della lingua si sia abbandonata ad un eccesso di mimesi, che riporterebbe la confusione del mondo nello spazio della poesia, quasi che tra i due poli per te determinanti di poesia e realtà fosse prevalsa brutalmente quest’ultima. Cosa pensi di queste critiche?
3) La storia dell’”uno di molti” dal fascismo ad oggi.
Leggi pag. 87
Potrebbe essere una delle chiavi principali per interrogare il VIAGGIO.
Il contenuto storico del poema è passato, invece, per ora almeno, quasi sotto silenzio. Eppure io tendo a leggere certe critiche alla forma “non comunicabile” o “poco comunicabile” come una sorta di censura o rimozione dei molti contenuti crudamente erotici o in senso lato politici o visceralmente legati alla realtà sociale metropolitana, che sono presenti nel poema. In questione, par di capire, sono soprattutto gli anni ’60-70 del ‘900, ai quali è seguito un dominio che ha cancellato o appiattito le istanze “utopiche” o di cambiamento critico della realtà affiorate in quegli anni. Essi sono stati mal digeriti sia in politica che in campo culturale. E tutto quello che li può anche alla lontana evocare viene esorcizzato.
La rielaborazione che fai nel poema di temi del passato, storico e autobiografico, dal fascismo ad oggi, a me non pare indicare «un ritorno ad un certo clima culturale abbastanza retrodatato da parte di uno scrittore contemporaneo», come ha scritto una delle voci critiche. Mi preme aprire il discorso su questo contenuto storico.
Ti chiederei perciò per iniziare: quanto io/ e quanto noi emerge nella tua rielaborazione; e se non hai finito per privilegiare nell’io/noi più l’io che il possibile noi? E perché questo può essere accaduto, se è accaduto?
Nessun commento:
Posta un commento