sabato 12 febbraio 2011

CONTRIBUTI
Giorgio Mannacio
Sulla poesia


 Lettera aperta a Ennio [Abate]: non nel senso della polemica ma nel senso della natura pubblica e colloquiale

I.
Ho sempre messo la riflessione sulla poesia ( riflessione che ritengo necessaria ) dopo il fare poesia .Stento , dunque , ad entrare con specifica competenza in un discorso astratto e ideologicamente formulato sulla base di una mancanza di esperienza.
Poiché vivo la mia come una particolare forma di pensare il mondo ( termini che presuppongono una totalità) condivido molte delle tue riflessioni. Rispetto ad esse la mia lettera si presenta – dunque – come pubblica e colloquiale. Le tue considerazioni sono – credo – anche il frutto di quell’esperimento, impegnativo e interessante, che si chiama Moltinpoesia che ha portata teorica oltre che rilevanza pratica. Tale direzione porta inevitabilmente a riprendere , per sommi capi , la questione su come deve parlare la poesia ,nodo nel quale è compresa anche l’altra questione di che cosa si deve occupare la poesia.
Il privilegio che accordo all’analisi di quello che ciascuno sente e di conseguenza elabora nel proprio vissuto mi porta inevitabilmente ad enunciare il mio punto di vista ,dichiarando senza equivoci che si tratta , appunto, del mio punto di vista. Esso è, quindi, messo apertamente in discussione. Alla fine di questa  autoanalisi mi sono trovato davanti alla conclusione di non poter dire con sicurezza di come deve parlare la poesia ,bilanciata però dalla quasi certa conclusione di come non deve parlare la poesia. Questa formula esprime una sorta di opposizione ,funzione che , in sintesi,rappresenta ciò che io attribuisco all’esperienza poetica. Poiché essa si esprime in parole è coerente che il ruolo oppositivo si svolga all’interno del mondo della comunicazione verbale e conduca alla creazione di un linguaggio altro rispetto a quello che è praticato solitamente nel quotidiano di un certo contesto sociale. Credo – senza pretesa di enunciare verità – che l’opposizione  si manifesti ( debba manifestarsi ) nei confronti del linguaggio dei commerci.
La separatezza, date queste premesse, mi è sempre sembrata coessenziale alla parola poetica .So che rispetto a tale conclusione sono state proposte obbiezioni di tipo politico . Quali sono le controbbiezioni? Ogni possibile linguaggio che si utilizza  in un certo contesto sociale ha i propri confini, segnati dalla specifica funzione che esso assolve .
 Una connotazione negativa del termine separatezza  si può porre solo in termini quantitativi ?
Qui si innesta un’osservazione che vedo sintetizzata nella felice espressione pochi/molti. La leggo  come percorso potenziale  di un discorso che parte da una esperienza individuale e si apre a conquista di una dimensione pubblica ( preferisco questa espressione a quella collettiva ) . La selettività della parola poetica dovrebbe mantenersi ferma a livello della qualità , pur tentando l’avventura di modificare quelle proporzioni  che la tengono in minoranza.
A questo punto vi sono altre questioni. Una è relativa al significato del termine opposizione ed
un ‘altra che attiene alla fase di passaggio dall’individuale al pubblico.
Sul primo punto mi sembra ovvio il carattere  relativo del termine. La questione presuppone il rilevamento di un linguaggio della tribù definibile in negativo come non poetico e rispetto al quale il linguaggio della poesia pone il proprio statuto. Ma come varia il primo variano i linguaggi oppositivi .Tale relatività  impone di essere cauti nell’attribuire carattere  rivoluzionario ovvero conservatore  ad un certo tipo di poesia sulla sola base di un requisito formale e trascurando il raffronto tra le forme del linguaggio della tribù  e linguaggio oppositivo.
Relativamente al secondo punto ritorno alla questione – sulla quale ci siamo variamente confrontati in modo, forse, insufficiente – della comunicabilità . Tale requisito – indispensabile per chi assegna al linguaggio poetico un carattere dinamico – si presta a molti equivoci. Uno di essi – il più frequente – legge il termine come sinonimo di semplicità e immediata comprensibilità , conclusione che  va certamente respinta. Ho sempre pensato e – risultati a parte , agito – come se la comunicabilità  avesse a che fare con un progetto di costruzione del mondo ( la citazione di una mia poesia del volumetto che hai è assolutamente involontaria ) che implica un lavoro complesso di predisposizione di materiali disomogenei ( emozioni, storia, costumi,pulsioni etc ) la cui visibilità  non è mai del tutto assicurata . L’esito finale è – appunto – un mondo di memoria nel senso di accumulo di senso che si conserva e si trasferisce.
II.
L’esperienza poetica incontra una situazione  in cui  è facile scorgere una difesa di classe o al contrario una arretratezza culturale. Ma bisogna prendere atto di difficoltà ed aporie. Ho sempre pensato che la scolarizzazione di massa e la morte del canone ( i rapporti di causa ed effetto tra tali termini andrebbero analizzati a fondo in una sorta di antropologia del discorso poetico : i maghi, i sacerdoti,i vati , i profeti,i propagandisti, i vessilliferi etc ) banalizzano il discorso poetico. Un analogo movimento si registra in tutte le arti ma è più intenso nella poesia in ragione della scarsa difficoltà  dei suoi procedimenti tecnico-espressivi. La banalizzazione è tale che induce spesso ad un atteggiamento di disprezzo e rinuncia .In tale senso ti spiego oggi quella mia boutade ( che forse non ricordi: essere necessaria una dose di disprezzo verso la poesia per farla ancora )
Ma nessuno rinuncia al proprio spazio e dunque la poesia banalizzata che vuole sopravvivere come tale si industria a legittimare con tutti i mezzi la propria inalienabile ( iuxta principia ) specificità
Si separa in centri di potere letterario ai quali però – se non sbaglio – neppure il potere politico dà più ascolto. Il poeta encomiasta è figura ridicola. Così la lotta è ristretta in famiglia.
III.
La poesia come modo di pensare ( e costruire ) il mondo può tranquillamente e con una certa indifferenza assumere ogni contenuto. In linea di principio è sbagliato creare scale di valori sulla base di una presunta maggior dignità di un contenuto rispetto ad un altro. Forse – ma è una conclusione che vorrei verificare  nell’esperienza – certi contenuti sono più pericolosi di altri , si prestano cioè più facilmente di altri ad una tradimento della  funzione del linguaggio poetico
Si torna dunque ad esigere da questo il rispetto del proprio statuto. In questa direzione  può essere recuperata la dimensione morale del discorso poetico come fedeltà al proprio statuto che deve essere oppositivo al linguaggio dell’economia se non all’economia tout court. La conclusione è complessa perché i cedimenti e l’infedeltà si manifestano – nella poesia – in modi radicalmente diversi da quelli che si manifestano nel campo delle arti produttive di oggetti commerciabili.
La pornografia letteraria non esaurisce le sue manifestazioni nel campo sessuale ( il più scoperto e dunque il più innocuo ) ma abbraccia ogni tipo di condiscendenza alla volgarità  cioè la rinuncia alla propria specificità.
IV.
Nel pensare il mondo deve essere compresa anche  la possibilità che nell’evoluzione della specie la poesia imploda e scompaia. In realtà il progressivo aumento dell’entropia , secondo il secondo principio della termodinamica, sembra essere una legge economica universale prevalente in senso assoluto su ogni altro tipo di economia. Ma anche rispetto ad essa la poesia potrebbe conservare un valore residuale e provvisorio sintetizzabile – nelle varie opzioni individuali – nella sfida alla condizione umana e- appunto – nella costruzione di un mondo relativamente stabile.
E’ la sfida in senso assoluto e quindi l’opposizione assoluta. Su ciò si fonda la necessaria trasmettibilità dell’esperienza poetica.
Un caro saluto. Giorgio.     

2 commenti:

Anonimo ha detto...

A Giorgio Mannacio da Emy

Il contributo che hai dato "Sulla poesia" è giunto a me quasi del tutto incomprensibile specialmente nell'ultima parte. Non voglio essere come Renzo dei Promessi Sposi che se la prendeva col latinorum e capisco anche che questo sia un linguaggio da "specialisti", ma sinceramente vorrei saper in quanti l'hanno capito, così anche per non sentirmi troppo sola in questo desiderio di comprensione. Giorgio mi risponderai: se non l'hai capito passa oltre, la cosa non è per te..bene ,potrei farmelo spiegare (non mi manca attorno qualche amico che può farlo), ma il mio problema è questo: perchè non chiederlo a chi l'ha scritto? So che non è certo una richiesta possibile almeno in questo contesto ma resto sempre dell'idea che il chiarimento va richiesto a chi mi ha generato il problema, io o gli altri potremmo travisare quello che tu con tanto impegno hai voluto farci leggere. Capire è necessario frarsi capire è indispensabile e può essere anche il contrario ma il risultato non cambia. Ciao Giorgio e complimenti ancora per la tua pesia. Ciao Emilia

Moltinpoesia ha detto...

Mi allineo con Emilia, anch'io non sono riuscito a capire. Inizialmente mi ha colpito quel DEVE posto delle due domande perché l'avrei evitato. Intuisco che sia un'imposizione da prendere più alla leggera, magari una svista, ma qui alle parole ci si sta attenti. E ho colto anche l'uso della parola ESPERIENZA che invece mi ha fatto piacere perché ne avevo appena scritto anch'io. Grazie Giorgio se vorrai chiarire.

mayoor