1. Vorrei tornare sull’argomento. E correggere sia l’impressione di aver criticato la “bottega Cucchi” per sbandierare i meriti della “bottega-LaboratorioMoltinpoesia” sia il tiro dei commenti: scandalizzati, rassegnati, incerti. Come se, dopo aver tirato il sasso, si nascondesse la mano. E poi non mi va di far passare l’idea che il denaro sia «sterco del demonio» come fossimo nel medioevo o cedere alla retorica del «gratis è più bello che a pagamento» insinuatasi nel mio titolo. Non ho nostalgia per le società primitive pre-mercantili e pre-capitalistiche. Non sogno una utopistica società del dono. E non ignoro che le scuole a pagamento di scrittura, di poesia (o d’altro) sono tantissime o che un Baricco, ben più di un Cucchi, è diventato un manager della letteratura con la sua Scuola Holden, dove i mezzi analfabeti che escono dalla scuola pubblica pagano profumatamente per scrivere.
2. Oggi, è vero, nulla sfugge al mercato capitalistico.
Le attività in apparenza o realmente gratuite (come la nostra del Laboratorio) o
semigratuite sono piatti di contorno. E molte di esse, poi, sono parassitarie e
finte: si occupano di “cultura” senza averla masticata e digerita, offrono
mezze risposte non dissimili da quelle delle Istituzioni matrigne o sorellastre
contro cui strillano e stanno in piedi per mungere finanziamenti statali,
regionali o comunali.
3. La colpa di
questa «dittatura dell’ignoranza» (Majorino) non è però del mercato o del denaro, che nelle società moderne sono strumenti
indispensabili per scambi d’ogni tipo. Il vero inghippo storico è che mercato e
denaro sono nelle mani dei gruppi
sociali più forti, attentissimi a dominare e ad allargare il loro dominio su
tutti gli aspetti della vita. Poco o nulla interessati oggi a Miss Cultura o a
Miss Poesia, le assumono solo come ancillae
di Miss Pecunia, la loro preferita. E
quasi sempre a part-time . Di solito, da giovani, come escort; e, da vecchi, come
badanti.
4. Fin quando il
vento della storia soffierà, come oggi,
a favore di tali gruppi dominanti, Miss Cultura e Miss Poesia saranno serve e
miss Pecunia padrona. Chi sperasse o tentasse di liberarle dalla loro servitù,
deve vedersela con i loro potenti magnaccia. L’impresa, giudicata folle e tentata in alcuni momenti
rivoluzionari della storia (si pensi alle avanguardie artistiche del
Primo Novecento), è fallita. E non si sa più quando se ne riparlerà. Perciò
oggi la maggior parte dei poeti s’accontenta di godere delle residue grazie di
Miss Cultura e miss Poesia, senza fiatare sul fatto che siano ridotte ad escort
e badanti dei ricchi Epuloni capitalisti. Alcuni di loro (è il caso di Cucchi e
di altri noti), potendo frequentare le Miss in questione nelle dépendance di questi ricchi (università,
case editrici, fondazioni varie), riescono poi anche a farsi pagare per andare a parlare di Miss Cultura o di Miss Poesia in festival, aule magne, case della poesia o, come nel caso di Cucchi, per fornire
«un vero e proprio servizio di
consulenza tecnica» sulle medesime al target pagante dell’odierno “pubblico
della poesia”. Invece gli appartenenti alla “nebulosa poetante”, come noi del
Laboratorio o quella cinquantina di «soggetti culturali» della sola area milanese,
che sabato e domenica prossima 7-8 novembre 2011 convergeranno all’incontro intitolato «Costellazione
Poesia Red-shift a Milano e oltre» organizzato da «Dedalus» in Via Custodi 18,
non sanno bene - diciamocelo - che pesci
pigliare di fronte a questa situazione. E cincischiano, incerti tra stracciarsi moralisticamente le vesti, perché
Cucchi et alii si fanno pagare, o quasi quasi invidiarli e tenersi buoni
questi liberti privilegiati, così forse prima o poi ci potrebbe scappare
qualcosa anche per loro. E perciò, ora che ha tirato fuori dal cilindro questa
proposta, si è disposti al massimo a punzecchiarlo amabilmente o appunto
a scandalizzarsi. E poi? E poi tutto tornerà come al solito: lui e gli altri a brigare
nelle dépendance della Mondadori; e noi
“nebulosa poetante” a invadere in un affannoso carosello qualsiasi salotto,
laboratorio, caffè letterario, rivista, scuola
di scrittura, che sorgono come funghi, per leggere un nostro testo, presentare una
raccolta, avere la nostra brava recensione.
5. E invece Cucchi
va criticato lealmente perché, facendo queste consulenze a pagamento presso la Casa della Cultura:
- parlerà di poesia solo con
quanti si possono permettere di pagare il «contributo di 80 euro»;
- restaura (o simula) una trasmissione del
sapere gerarchica, individualistica, semisacerdotale e non controllata
da occhi indiscreti (il confronto, infatti, avviene tra il consulente e chi lo paga come in un
confessionale);
- avendo alle
spalle il marchio Mondadori, tra i «moltissimi poeti o aspiranti poeti, di
ogni età», una buona parte andrà da lui non tanto perché poeta, ma perché manager della poesia, quindi per
vedere se può “mettere una buona parola”;
- essendo un
noto poeta, che dirige con altri noti
poeti la Casa della Poesia di Milano, invece di mettersi a fare per proprio conto,
in un’altra Casa (quella della Cultura), delle consulenze a pagamento, sarebbe
stato meglio che avesse inserito questo
suo «servizio di consulenza tecnica» (affiancato magari da altri colleghi) nel programma di
quest’anno della Casa della poesia di Milano (e gratis, come finora state le
iniziative della Casa della poesia); perché “privatizzare” Miss Poesia a uso dei paganti, non va, non si
fa!
8. E poi non
voglio dire che le sue consulenze saranno necessariamente pedanti o frigide e che i nostri incontri, a volte allegri, a volte petulanti e
rissosi, siano migliori. Ma si dovranno pur rompere un bel giorno certi scompartimenti
stagni e smetterla con i gironi poetici di serie A, B o C (costruiti in assenza di qualsiasi Federcalcio poetica); e vedere cosa succede a mescolarli o a confrontare idee, umori, pregiudizi e giudizi, che vengono detti a
quattr’occhi con idee, umori, pregiudizi e giudizi che si dicono davanti
a venti o quaranta o cento occhi? E, soprattutto, non sarebbe ora di tornare a ridiscutere
a fondo, possibilmente tra poeti noti e
poeti «invisibili» (Linguaglossa), su come liberare Miss Poesia dal suo
asservimento a Miss Pecunia?
9. (Dubbio finale e atroce: ma in quelle dependance o nei nostri laboratori, riviste, ecc, gira ancora Miss Poesia o un suo fantasma? ).
9. (Dubbio finale e atroce: ma in quelle dependance o nei nostri laboratori, riviste, ecc, gira ancora Miss Poesia o un suo fantasma? ).
9 commenti:
E' tutto qui Ennio, è davvero tutto qui. Il tuo post è perfettamente chiaro, tristemente vero. Il poeta che paga e si fa pagare è ancora poeta? Chiedo a te, chiedo a voi. Secondo me niente è poesia se per vivere ha bisogno di denaro e quale denaro? Ma sì, poeti noti parliamone tirate fuori le idee, inventate parole e quando il portafogli sarà vuoto, guardateci negli occhi, fra poeti dovremmo capirci. Ciao e grazie Emy
... c'è serie A fin quando c'è un campionato aperto dove ci sono squadre che retrocedono e altre che salgono dalla B alla A... insomma, una cosa è il campionato di calcio e un'altra quello della "poesia"... nel campionato della "poesia" non si retrocede in serie B né si promuove in serie A, tutto è stato già stabilito nelle retrostanze dell'apparato.
In realtà, si tratta di una finzione: tra chi sta in ALTO e chi sta in BASSO, tra i VISIBILI e gli INVISIBILI c'è una separazione numinosa che è decisa ed irrogata dal sistema dell'apparato.
Ritengo che non c'entra niente il mercato e il sistema capitalistico con il malaffare (non quello dei soldi, intendo) dilaganti nel compato poesia...
del resto, ritengo che la "poesia" in sé non esista, come la critica, anzi, non credo che ci sia bisogno di una critica della poesia, i primi a non richiederla sono proprio i poeti di serie A, ai quali sta molto bene che in giro ci sia una simil-critica e una simil-poesia, anche per via del fatto che anche la loro è una simil-poesia...
Giorgio Linguaglossa
SIMIL-POETI SVEGLIATEVI DITE LA VOSTRA! IL SE' DELLA POESIA NON ESISTE ESISTONO POETI DI SERIE A E DI SERIE B. NON DORMITE SONNI TRANQUILLI LE POESIE SONO SOGNI E DANNAZIONI, DI SERIE A E DI SERIE B. FORSE E' MEGLIO TENERE TUTTO NEL CASSETTO QUALCUNO UN GIORNO LO APRIRA'. cERTE VERITA' INQUIETANO. eMY
mi fa molto piacere osservare un post dedicato al tema così pure i commenti che fin qui leggo.
mi viene in mente buttidda e il pane,non soperchè , ma dopo,prima di schiacciare invia , la cerco nella webiblioteca ( "AGGRATIS" )e la metto..
perchè poesia è come il pane, ma non quello della classica pagnotta all'italiana che ha condizionato gli ambienti "espressivi", peraltro aumentando come in tutti i settori un elemnto che è quello della "competizione",èer giunta falsata da ogni piano, compreso quello agonistico...tutto dopato ( o quasi metafora più ampia del falso che viviamo dove cercare ed essere trovati in angoli di verezza piena,lucida, senza illusioni, senza ipocrisia)
quindi lo scritto di maggior approfondimento, riflessioni ed altro di Ennio , nonchè i commenti di Giorgio ed Emy sono proprio come :
LU PANI SI CHIAMA PANI!
beh dai non continuo che è inutile parlare della plastica.
Grazie del pane Ennio!
dedicata a tutti voi (e a maggior ragione visto la quasi vigilia del vostro sabato del villaggio)
(*_*)
NUN SUGNU PUETA ( Buttitta)
Non pozzu chiànciri
ca l'occhi mei su sicchi
e lu me cori
comu un balatuni.
La vita m'arriddussi
asciuttu e mazziatu
comu na carrittata di pirciali.
Non sugnu pueta;
odiu lu rusignolu e li cicali,
lu venticeddu chi accarizza l'erbi
e li fogghi chi cadinu cu l'ali;
amu li furturati,
li venti chi strammíanu li negghi
ed annèttanu l'aria e lu celu.
Non sugnu pueta;
e mancu un pisci greviu
d'acqua duci;
sugnu un pisci mistinu
abituatu a li mari funnuti:
Non sugnu pueta
si puisia significa
la luna a pinnuluni
c'aggiarnia li facci di li ziti;
a mia, la menzaluna,
mi piaci quannu luci
dintra lu biancu di l'occhi a lu voj.
Non sugnu pueta
ma siddu è puisia
affunnari li manu
ntra lu cori di l'omini patuti
pi spremiri lu chiantu e lu scunfortu;
ma siddu è puisia
sciògghiri u chiacciu e nfurcati,
gràpiri l'occhi a l'orbi,
dari la ntisa e surdi
rumpiri catini lazzi e gruppa:
(un mumentu ca scattu!)...
Ma siddu è puisia
chiamari ntra li tani e nta li grutti
cu mancia picca e vilena agghiutti;
chiamari li zappatura
aggubbati supra la terra
chi suca sangu e suduri;
e scippari
du funnu di surfari
la carni cristiana
chi coci nto nfernu:
(un mumentu ca scattu!)...
Ma siddu è puisia
vuliri milli
centumila fazzuletti bianchi
p'asciucari occhi abbuttati di chiantu;
vuliri letti moddi
e cuscina di sita
pi l'ossa sturtigghiati
di cu travagghia;
e vuliri la terra
un tappitu di pampini e di ciuri
p'arifriscari nta lu sò caminu
li pedi nudi di li puvireddi:
(un mumentu ca scattu!)
Ma siddu è puisia
farisi milli cori
e milli vrazza
pi strinciri poviri matri
inariditi di lu tempu e di lu patiri
senza latti nta li minni
e cu lu bamminu nvrazzu :
quattru ossa stritti
a lu pettu assitatu d'amuri:
(un mumentu ca scattu!)...
datimi na vuci putenti
pirchi mi sentu pueta:
datimi nu stindardu di focu
e mi segunu li schiavi di la terra,
na ciumana di vuci e di canzuni:
li sfarda a l'aria
li sfarda a l'aria
nzuppati di chiantu e di sangu
Gianmario Lucini:
A me vien da ridere se penso che il mercato siamo noi, la poesia siamo noi, la critica siamo sempre noi. Siamo in tanti e ci leggiamo fra di noi, però vorremmo essere editati da loro. C’è qualcosa di puttanesco in questa idea. Perché loro sono i grandi, quelli che stampano tirature alte, quelli che fanno parlare i media, quelli che ci gonfiano anche se siamo indecenti. Quelli che ti inventano una carriera. Quelli che ti inventano. Quelli che ti fanno sognare la foscoliana immortalità e cazzate del genere. Quelli che se vendi mille copie sei poeta laureato. Quelli che ti fanno parlare alla radio e alla televisione (orribili, certe cose che sento, anche su Radio 3...). Quelli che ti danno il marchio, un timbro in culo dove sta scritto “poeta davvero e non per finta: garantisco io” (questo “io” che si chiama potere di decidere chi e che cosa comprare e rivendere).
Siamo noi, poeti che facciamo finta di leggerci l’un l’altro regalandoci i nostri libri, ma che compriamo i loro libri per vedere se davvero stampano poesia degna di questo nome – e intanto li compriamo – ma non compriamo quelli di altri, che pur sappiamo essere bravi, perché tanto lo sappiamo che sono bravi e, se non lo fossero, manco avremmo il diritto di scandalizzarci: se i fari sono lampadine da 15 W allora anche una da 10 W sarà un faretto, non una candelella semispenta. Ma è poi vero che i poeti leggono? Ho seri dubbi. Ne ho conosciuti di emeriti ignoranti, fra i “poeti”, incolti, pasticcioni, copioni, presuntuosi, arroganti. I poeti, credo, sono i primi a non credere alla poesia.
A mio parere la cosa è semplice: smettiamo di comprare poesia managerizzata, punto e basta. Si leggano fra di loro, come facciamo noi. É da almeno 10 anni che non acquisto più un libro targato Mondadori, Einaudi o simili e non ho mai letto tante belle cose come in questi ultimi 10 anni. Non mi sento sminuito nella mia dignità letteraria se non so nulla di Baricco o di Cucchi o di altri: non mi importa nulla e credo che la vita sia più bella senza leggere questi e altri nomi. Lascio gli scazzi a chi vuole scazzarsi e le letture dopate a chi vuole rincoglionirsi: buon divertimento.
Si potrà obiettare che questo atteggiamento mi condanna a star fuori da una “comunità” letteraria. Ebbene: cosa c’è di più bello e gratificante, se “comunità letteraria” è tutto questo nido di vipere e di grandi puttane? Poter leggere cose sensate e basta con questa letteratura di letteratura? Non se ne può più.
Una poesia stupenda la più bella della mia vita
Ho avuto difficoltà nel tradurla ma è stato glio così. Grazie per questo prezioso pane e se puoi mandaci anche la traduzione. Bacio le mani.Emy
Crollando addosso ad Emy con una rosetta,un filoncino e una treccia, rigorosamente di pane di bacetti dellu pani allu pani,gioco forza movimento nella coppetta delle sue mani (poi però sabato quando ci vediamo te li devi "immaginare" precisi precisi reali così sfornati come ora) , ecco la traduzione
(*_*).... però prima un grande grazie della gioia ( so' rimasta 'na pietra troppo all'antica e non hai idea quanta poesia danno 'ste gioie che hai scritto, se fossi poeta ti scriverei una poesia)
Non posso piangere,
ho gli occhi secchi,
e il mio cuore è una pietra pesante.
La vita m’ha ridotto
arido e spezzato
come una carrettata di brecciame.
Non sono poeta;
odio l’usignolo e le cicale,
il venticello che carezza l’erba
e le foglie che cadono con l’ali;
amo le bufere,
i venti che disperdono le nuvole
e puliscono l’aria e il cielo.
Non sono poeta,
ma nemmeno
un insipido pesce d’acqua dolce;
sono un pesce selvatico
abituato ai mari profondi.
Non sono poeta
se poesia significa la luna che pende
e impallidisce le facce degli amanti ;
la mezza luna mi piace quando splende
dentro il bianco dell’occhio del bue.
Non sono poeta;
ma se è poesia
affondare le mani
nel cuore degli uomini che soffrono
per spremerne il pianto e lo sconforto;
Ma se è poesia sciogliere il cappio agli impiccati,
aprire gli occhi ai ciechi,
dare l’udito ai sordi,
rompere catene e lacci e nodi:
(un momento che scoppio)…
Ma se è poesia
chiamare nelle tane e nelle grotte
chi mangia poco e veleno inghiotte;
chiamare gli zappatori
curvati sulla terra
che succhia sangue e sudore;
e strappare dal fondo delle zolfare
la carne cristiana
che cuoce nell’inferno:
(un momento che scoppio!) …
Ma se è poesia
volere mille
centomila fazzoletti bianchi
per asciugare occhi gonfi di pianto;
volere letti morbidie
cuscini di seta
per le ossa storcigliate di chi lavora;
e volere la terra
un tappeto di foglie e fiori
che rinfreschi lungo il cammino
i piedi nudi dei poveri:
(un momento che scoppio!..)
Ma se è poesia
farsi mille cuori e mille braccia
per stringere povere madri
inaridite dal tempo e dalla sofferenza
senza latte alle mammelle
e col bambino in braccio:
quattro ossa strette
al petto assetato d’amore:
(un momento che scoppio!…)
Datemi una voce potente
perché mi sento poeta:
datemi uno stendardo di fuoco
e mi seguano gli schiavi della terra,
una fiumana di voci e di canzoni:
gli stracci all’aria
gli stracci all’aria
inzuppati di pianto e di sangue.
1954,Non sono poeta, dallla raccolta Il pane si chiama pane
IGNAZIO BUTTITTA
Ennio Abate:
@ Giorgio Linguaglossa
«Ritengo che non c'entra niente il mercato e il sistema capitalistico con il malaffare (non quello dei soldi, intendo) dilaganti nel comparto poesia...»
Faccio il pignolo. Ho detto «mercato capitalistico». Il malaffare o la criminalità ci trovano un favorevole brodo di coltura. Il «comparto poesia» è una fesseria, se no ci sarebbero già in giro i pescicani e i bombardieri Usa colpirebbero le Case della poesia.
@Gianmario Lucini
«A mio parere la cosa è semplice: smettiamo di comprare poesia managerizzata, punto e basta. Si leggano fra di loro, come facciamo noi. É da almeno 10 anni che non acquisto più un libro targato Mondadori, Einaudi o simili e non ho mai letto tante belle cose come in questi ultimi 10 anni. Non mi sento sminuito nella mia dignità letteraria se non so nulla di Baricco o di Cucchi o di altri: non mi importa nulla e credo che la vita sia più bella senza leggere questi e altri nomi. Lascio gli scazzi a chi vuole scazzarsi e le letture dopate a chi vuole rincoglionirsi: buon divertimento.
Si potrà obiettare che questo atteggiamento mi condanna a star fuori da una “comunità” letteraria. Ebbene: cosa c’è di più bello e gratificante, se “comunità letteraria” è tutto questo nido di vipere e di grandi puttane?»
Anch’io è una vita che non vedo la TV. Ma milioni ogni sera si abbeverano lì. Anch’io mi sono rifiutato di leggere Baricco, ma migliaia pendono dalla sua bocca e non dalla mia o dalla tua. Non vedere la Tv, non leggere Baricco, non acquistare prodotti della multinaziona X o Y sono scelte etiche rispettabili e praticate da minoranze consapevoli, ma - permettimi - politicamente cieche. Perché così facendo, resteremmo sulla soglia dell’inferno storico,all’esterno del«nido di vipere e di grandi puttane». E lasceremmo crescere e agire vipere e puttane. Come ripeto - anch’io vanamente - dialogare, polemizzare, criticare non significa amare «gli scazzi». Significa distinguere gli amici dai nemici e, con gli amici ( è una scommessa, perché anch’essi a volte rivelano in certe occasioni «qualcosa di puttanesco» ) tentare di fare con più forza quello che tanto spesso sei costretto a fare da solo.
Agli editori piace la poesia se si vende e se i poeti non gli creano troppi problemi. Si vende meglio se c'è un nome noto sulla copertina, e si vende meglio se il poeta copre le spese. Rischiassero qualcosa sarebbe loro interesse darsi da fare di più, ma non è così. Nessun rischio... quindi pochissimo impegno da parte degli editori.
A mio parere ai poeti non resta che arrangiarsi, magari cercando la maniera giusta per diventare concorrenti/fornitori/autonimi dell'editoria. Insomma, voglio dire che servirebbero realtà operative non dipendenti dall'editoria che conosciamo. Se non se ne vedono è perché non guardiamo abbastanza bene attorno e fuori dai luoghi comuni. E' un difetto collettivo e molto probabilmente si ha interesse che le cose restino così.
mayoor
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