Adriano Accattino Poesia dell’impoetico Mimesis, Milano, 2012
Molti corrono
lungo la superficie
dell’esterno,altri
al suo interno:
pochi
all’interno dell’interno
e
pochissimi si buttano fuori
dall’interno
nel cavo sfondato.
Ma
veramente speciali sono quelli
che
spaziano su tutto e dall’esterno
dell’interno,e
poi risalgono
nello
spessore fra le due facce.
Se
sloghi
le sue
giunture
se
smonti quella scatola
evi
pratichi aperture,
puoi
trovarti fra le mani
un
resto lucido e bello
o anche
uno sterco
ributtante:
cento volte
questo
e una quello.
Sarebbe
facile
consegnarti
la ricetta;
ma
esiste solo
quando
riesce; la seconda
volta
che la applichi
non
funziona più.
Ogni
voltati tocca
cambiare:
questo rende
la
faccenda divertente.
*
Una
parola non resta
la
stessa: ogni volta che è profferita
si
differenzia dalle mille
apparentemente
uguali
pronunciate
prima.
Per un
granello di diversità
modifica
la muraglia
del
linguaggio:
toglie
qualcosa e aggiunge
qualcos’altro.
Così il
linguaggio risulta
un
corpo variabile,
in
continua avanzata su un lato
e in
continua ritirata su un altro;
in tal
modo si sposta.
*
Poesia
è quanto mai lontana
da ogni
stabile fondamento;
ciò che
viene fermato per forza
di
parola è perduto alla poesia.
La
mobile parole, invece, non lotta contro
il
travolgimento ma lo seconda;
non
fissa il limite all’illimitato,
non
riduce a misura lo smisurato,
non
impone blocchi all’agitato.
La
parola poetica consiste
in
altre condizioni: così
essa
resta all’aperto e nomina.
Se non
possiede la facoltà
diretta
di dare nome ed esistenza,
di
donare senza mediazioni, non serve;
tra
mondo e parola è riuscito
a
infilarsi quel solito terzo incomodo
che fa
da padrone nella storia.
*
Poesia
è un colloquio impossibile.
Non
costituisce certo
il
fondamento su cui
ci
troviamo uniti. Assolutamente
non fa
nulla per sorreggerci.
Non
facilita gli incontri
che
presuppongono l’appartenenza
a uno
stesso piano: qui
le
lingue sono quanto mai distanti.
Ci si
può ridurre in comune a prezzo
d’altezza;
ci si mette
a
comunicare diminuendo
la
velocità. Ma qui altezza
e
velocità sono sempre al massimo.
* Nota di Giorgio Linguaglossa
Questo
libro di Adriano Accattino, un mix di componimenti riflessivi sull’essenza del
«poetico» e di considerazioni sull’«impoetico», è una singolare riflessione
sulla riconoscibilità del «poetico»
nel suo rapporto fenomenologico con l’«impoetico». È una riflessione
sull’essenza ontologica della poesia come di un ente che si situa all’interno e
all’esterno di un altro ente che l’autore chiama l’«impoetico». Che cos’è
l’«impoetico»? Accattino lo rivela subito: il «poetico» è «l’impoetico non
ancora rivelato». E continua la sua interrogazione, si chiede: che cos’è il
«poetico»?, «è agevole individuare una composizione poetica: ci soccorrono la
letteratura, la scuola, l’orecchio; ma di fronte all’impoetico ci troviamo del
tutto impreparati. Esso… è un poetico altro, lontano ancora dal diventare
universalmente noto e accolto. Non è un valore affermato, ma qualcosa che si
deve andare a cercare e si deve imparare a riconoscere… L’impoetico è dunque
una questione di scoperta precoce… Per scovare l’impoetico e cioè il poetico
non ancora rivelato, il cercatore s’indirizza a un segnale, a un richiamo che
l’impoetico stesso alza: l’affermazione… della sua poeticità, mentre tutti sono
convinti del contrario. (…) Il problema sta dunque nel riuscire a captare
l’impoetico nel momento in cui appare…». (p. 114)
Dunque,
tra il «poetico» e l’«impoetico» si instaura una sorta di nemicizia, di
estraneità e di oppositività. Il discorso di Accattino è dunque una riflessione
sulla riconoscibilità di un demanio (il poetico) che esclude sempre l’altro
(l’impoetico); una oppositività non dialettica né dialogica ma, che definirei
ontologica. Ovviamente, con questa impostazione del discorso non resta spazio
alcuno alla interpretazione del testo intesa come attività critica in quanto
essa resterebbe sempre dipendente dal concetto di poeticità prevalente o
maggioritaria. Una sorta di bocciatura in toto del pensiero critico che
proviene dalla stessa percezione dicotomica entro la quale Accattino vede la
questione della poesia. Il risultato di questa impostazione concettuale è la
convinzione secondo cui il poetico apparterrebbe alla sfera del «miracolo»: «la
miracolosa transustanziazione dell’impoetico nel poetico»; «ma quale senso può
mediarsi da ciò che è immediato o non è? (…) La poesia non tollera intermediari
né intromissioni; resta inspiegabile e non sopporta spiegazioni, che in effetti
la impoveriscono. È una lingua speciale che non può essere interrotta dai
nostri grugniti di commento» (p. 87).
Dove è
evidente che dichiarare «l’inspiegabile» della poesia equivale a dichiarare la
bancarotta del pensiero.
«La
poesia… tende a trasformarsi nel proprio opposto, l’impoesia, mentre questa, a
sua volta tende alla poesia» (p. 118) «la poesia si nutre del suo contrario e
verso il luogo del contrario si muove e si sviluppa (…) Continuamente
insoddisfatta di sé, si spinge verso qualcosa che le sta fuori e oltre: dilaga
verso l’esterno (…)mentre la poesia si allarga a coprire e incorporare nuovi
spazi, insieme si ritira dai vecchi ambiti ed espelle le vecchie sostanze» (p.
121).
Molto
brillanti e acute sono alcune riflessioni sparse, ad esempio: «spiegare il
senso della poesia è come alitare su uno specchio e disegnare col dito ciò che
si vede dal riflesso»; (p. 87) ma altrettanto indubbio è che l’adozione di un
impianto concettuale dicotomico preclude all’autore un maggiore approfondimento
della questione, questa sì ontologica, della esistenza della poesia nel nostro
tempo.
3 commenti:
"tra mondo e parola è riuscito / a infilarsi quel solito terzo incomodo
..."
avesse scritto tra critica e poesia e sarebbe forse lo stesso, senonché "veramente speciali sono quelli / che spaziano su tutto e dall’esterno / dell’interno,e poi risalgono / nello spessore fra le due facce."
A me sembra pura (e divertente) enigmistica, se ne accorge anche Linguaglossa che quasi ci stava cascando. Dico quasi perché, in conclusione del suo commento, finisce con un generico invito a svolgere un "maggiore approfondimento della questione"... touché.
Uno orizzontale:
... ogni volta che è profferita
si differenzia dalle mille
apparentemente uguali
pronunciate prima.
Un degno competitor a cui si potrebbe rispondere facendo una sola scelta di campo: l'intercapedine che sta tra poetico e impoetico, dove è possibile guardare in entrambi a patto che si resti fedeli all'unicità e alla non ripetitività dell'affermazione.
Mi piace.
mayoor
una persona che conosco mi ha dato il suo libro di poesia, poi quando le ho mandato uno scritto critico mi ha detto che non ha capito nulla della mia nota critica. Indirettametne recrimina contro i critici che scrivono in modo impervio e ostile... ma il linguaggio della critica deve essere impervio, almeno quanto quello della poesia, altrimenti tutto diventa pianura, anzi, discesa. La poesia di qualità richiede al critico una strada in salita, richiede di andare, come dice Accattino, verso l'impoetico, deve sondare l'impoetico. In una parola il poetico non nasce dal poetico. È vero il contrario: che il peotico nasca dall'impoetico. Il rapporto è dialettico e conflittuale.
Per questo motivo ritengo molto importanti le argomentazioni di Adriano Accattino: proprio perché ci consentono di allontanare da noi il poetico...
L'impoetico prevale sul poetico e forma un quadro di assoluta grandezza nel momento in cui Accattino scrive:
"Se sloghi le sue giunture
se smonti quella scatola
e vi pratichi aperture,
puoi trovarti fra le mani
un resto lucido e bello
o anche uno sterco
ributtante: cento volte
questo e una quello"
Nel resto ho trovato però un po' troppo "io", che non passa resta fermo nelle righe a vantaggio forse solo dello stile.
Sto cercando di imparare a considerare la poesia in tutti i suoi aspetti e so di avere davanti un lungo cammino. Emy
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