domenica 3 giugno 2012

MARIA ROSARIA MADONNA
(1949 – 2002)
Poesie inedite


Anche in riferimento alla discussione su "Dopo il moderno" di Giuseppe Pedota,  che  vorrei, però, non interferisse con una considerazione autonoma di questi versi di Maria Rosaria Madonna, pubblico qui alcune sue poesie inedite accompagnate da una nota critica di Giorgio Linguaglossa. [E.A.]

*


Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano
il mare sciabordando entrò nel peristilio spumoso
e le voci fluirono nella carta assorbente
d’una acquaforte. E lì rimasero incastonate.


Due monete d’oro brillavano sul mosaico del pavimento
dove un narciso guardava nello specchio
d’un pozzo la propria immagine riflessa e un satiro
danzante muoveva il nitore degli arabeschi
e degli intarsi.



*


È un nuovo inizio. Freddo feldspato di silenzio.
Il silenzio nuota come una stella
e il mare è un aquilone che un bambino
tiene per una cordicella.
Un antico vento solfeggia per il bosco
e lo puoi afferrare, se vuoi, come una palla di gomma
che rimbalza contro il muro
e torna indietro.


*


Con rumore di carrucola venne giù il temporale.
     Città lituana, nitida e trasparente come un merletto di Murano.
«Ricordi?»; «sì, la ricordo come un altoparlante
che abbia inghiottito la voce… non più
di un secolo di luce fa. Forse più, forse meno…».


*
Sono arrivati i barbari


«Sono arrivati i barbari, console! - dice un messaggero
che è giunto da luoghi lontani - sono già 
alle porte della città!».
«Sono arrivati i barbari!», gridano i cittadini nell’agorà.
«Sono arrivati, hanno lunghe barbe e spade acuminate
e sono moltitudini», dicono preoccupati i cittadini nel Foro.
«Nessuno li potrà fermare, né il timore degli dèi 
né l’orgoglio del dio dei cristiani, che del resto 
essi sconoscono…».
E che farà adesso il console che i barbari
sono alle porte? Che farà il gran sacerdote di Osiride?
Che faranno i senatori che discutono nel senato 
con il mantello bianco e le dande di porpora? 
Che cosa chiedono i cittadini di Costantinopoli
al console? Chiedono salvezza? 
Lo imploreranno di stipulare patti con i barbari? 
«Quanto oro c’è nelle casse?» 
chiede il console al funzionario dell’erario 
«e qual è la richiesta dei barbari?».
«Quanto grano c’è nelle giare?» 
chiede il console al funzionario annonario
«e qual è la richiesta dei barbari?».
«Ma i barbari non avanzano richieste, non formulano pretese»
risponde l’araldo con le insegne inastate.
«E che cosa vogliono da noi questi barbari?»,
chiedono i senatori al console.
«Chiedono che gli si aprano le porte 
della città senza opporre resistenza» 
risponde il console avvolto nella sua toga scarlatta.
«Davvero, tutto qui? – si chiedono stupiti i senatori –
e non ci sarà spargimento di sangue? Rispetteranno le nostre leggi?
Che vengano allora questi barbari, che vengano…
Forse è questa la soluzione che attendevamo.
Forse è questa».


*


La luna splende di un lilla sempre più tenue
un cono di luce intenso e fragile.
Io sono nuda davanti allo specchio. 
Sono l’amante del Faraone, le ancelle mi preparano
all’udienza con il dio vivente.
La sfera della luna rotola nel cielo
come un carro trainato da schiavi fenici.
Forse anch’io sono intensa e fragile.
Tra me e il dio c’è una distanza d’aria.
C’è soltanto aria che puoi toccare come una palla da basket.
Tra me e il dio non ci sono parole.
Non c’è bisogno di parole.
Isotopi delle parole i sospiri
come ondate successive di un mare sconosciuto.


*


Era lì, sotto una pila di giornali vecchi,
album, atlanti in disuso. Una lettera,
la calligrafia minuta, assiepata, disordinata, irregolare
come di chi abbia fretta di prendere l’autobus;
mi dicevi, tra le altre cose, che avevi dimenticato
gli occhiali in frigorifero, le chiavi
di casa nell’oblò della lavatrice
e altre sciocchezze senza importanza. 
C’era scritto
che eri andato in America (una sorta di esilio!)
e che lì avevi preso una moglie americana
e poi eri ritornato da dove eri partito. 
«Beh, davvero un bel periplo», mi sono detta…
tra l’altro, c’era scritto che lavoravi 
per i servizi segreti di non so quale nazione
e altre corbellerie…
«Sei sempre stato un buffone», ho pensato. 
In fondo alla lettera c’era una cancellatura: 
tutto un rigo. «Ecco, tutte quelle parole cancellate! 
– mi sono chiesta –
che cosa c’è dietro, sotto le parole
che tu non volevi far vedere? E perché?
Perché?».




*


Sai, nel dottor Zivago c’è il protagonista
chiuso nella casa gelida immersa nella neve…
fuori delle finestre l’ululato dei lupi. 
È un poeta. – che cosa fa? –
fa quello che fanno tutti i poeti: scrive poesie.
Scrive poesie, poesie, poesie.
Si deve sbrigare perché tra poco le guardie rosse
lo verranno a prendere. Davvero,
c’è così poco tempo per scrivere poesie.


*


Dicono i più che la poesia debba attingere 
al dizionario delle parole morte.


Ecco, ci sono parole impossibili:
– difficili da pronunciare –
una di queste è anima 
altre sono: amore, cuore, dolore 
– con annesse rime – 
altre ancora: bello, brutto, sole, primavera,
mare azzurro... 
(con tutto ciò che di sordido
c’è al loro interno… )
e poi… numerose altre: infinito, empireo, angeli
cherubini farseschi, santità, diavoli…
ma sarebbe ben lungo l’elenco.


Se tu lettore vuoi sincerartene non c’è che aprire
a caso il dizionario delle parole morte
e gettarci un’occhiata.


*


Tutto questo favellare, tutto questo balbo
balbutire, mi è ostico - lo capisci?
La lingua dei famuli - lo capisci?
La detesto.




*




In quella posizione del quadrante
tra la lancetta delle ore e quella dei minuti
è convenuto il destino con la sua strada ferrata
dove passano i convogli dei treni merci.


*


C’è chi dice che il mondo
sarà salvato dai ragazzini
c’è chi dice che sarà salvato dai santi
c’è chi dice che il mondo sarà
salvato da una poesia…
Io invece penso che il mondo non sarà 
salvato affatto.
Non ci sarà nessuno a salvare il mondo.
E questa sarà la sua salvezza.


*


Gli angeli sono come gli uccellini
volano via al primo battere delle mani,
i dèmoni invece stanno immobili
appollaiati sui rami degli alberi
emettono il loro singhiozzo disperato.
Essi non possono fuggire… maledetti
dall’eternità sono condannati a star fermi.
Per sempre.


*
Ci sono parole che dormono 
il loro sonno eterno e non è bene
svegliarle. Ci sono altre parole invece
che improvvisamente risorgono 
a vita nuova dopo un sonno eterno…
magari in un’altra lingua, un  altro mondo…
E questa è la vera resurrezione
della carne… la sola, unica e vera.


*


Tu mi chiedi ancora una volta
di tornare al nostro problema principe: 
«quale sia l’origine del male». 
«Ebbene, ed io ti rispondo che se
al male aggiungiamo altro male e al bene
aggiungiamo altro bene, non per questo
avremo più male o più bene, ma ciò
non deve farci recedere di un millimetro
dal nostro proposito». 
Sì, mio caro lettore, dobbiamo 
amare le stelle e andare a passeggio 
con Dante e i personaggi del suo Inferno
piuttosto che tra i beati del Paradiso.
Sì, mio stimato lettore, il male esiste e resiste
a tutte le intemperie…


Ed ora un aneddoto. Sai come si salvò
un tenente italiano fatto prigioniero dai tedeschi?
All’ufficiale della Wermacht che lo interrogava
rispose recitando il primo canto della Commedia…
parlava senza fermarsi della selva oscura
che nel pensiero rinnova la paura
e delle tre fiere che gli sbarravano il passo…
E così si salvò dalla deportazione in un lager.


Dunque, è vero, stimato amico lettore
che la poesia salva la vita e riscatta il mondo
e sono nel falso e nella menzogna
coloro che dicono altro. Tienilo a mente,
o lettore, tu che sei saggio e sai
distinguere la verità dalla menzogna.
E così sia.





*Giorgio Linguaglossa


Caro Ennio Abate
non è qui in questione il problema, come tu affermi, di un «determinismo» che minaccerebbe la posizione critica di un Pedota e mia, il vero problema è che in Italia la «riforma moderata» introdotta da Giovanni Giudici con "La vita in versi" (1965) e da Sereni con "Gli strumenti umani" (1965), hanno portato la poesia italiana in un collo di bottiglia dal quale ne fuoriesce soltanto il talqualismo e il turismo poetico delle ultime generazioni. È ovvio che nelle condizioni di generale mimetismo e omologismo della poesia italiana degli ultimi decenni, venga rimossa la «grande riforma» del parlato introdotta da poeti come Helle Busacca con la trilogia de "I quanti del suicidio" (1972) e di Angelo Maria Ripellino. La vera questione è, schematicamente: 
1)vogliamo veramente uscire dal collo di bottiglia? 
2)C'è una poesia che non adotta la corriva equazione del quotidiano visto dal punto di vista del quotidiano?
3) la vittoria del minimalismo è un problema politico oltre che estetico?
4) l'idea di una poesia modernista che attraversa il secondo Novecento (e arriva fino ai giorni nostri) che vanta poeti di grande spessore come Maria Rosaria Madonna, Maria Marchesi, Luigi Manzi, lo stesso Giuseppe Pedota, è una categoria percorribile?
L'importanza del mio lavoro di critico (e di quello dello scomparso Pedota) è tutto qui: nella valenza di una idea di poesia "altra" rispetto a quella, questa sì "deterministica" (perché determinata dall'alto, dalle Istituzioni deputate).
Ma, in fin dei conti, il generale disinteresse per la poesia epigonica di un Giudici, divenuto manifesto alla scomparsa del poeta lombarda non significa qualcosa? Che quella poesia non ha più nulla da dire ai contemporanei? Non è questa una riprova della scarsa importanza di un poesia, diciamolo, politicamente corretta come quella di Giovanni Giudici?
Tu mi chiedi di fornire una prova di quando vado dicendo? Ecco allora alcuni inediti di Maria Rosaria Madonna che ha pubblicato in vita un solo libro Stige nel 1992 e della quale sto cercando un editore disposto a pubblicare Tutte le poesie 1985-2022).



*Maria Rosaria Madonna nasce a Palermo il 1947 e muore a Parigi nel 2002. Nel 1992 ha pubblicato  "Stige" (Edizioni Scettro del Re, Roma) con una prefazione di Amelia Rosselli, Alcuni suoi inediti sono apparsi sul n. 28 del quadrimestrale di letteratura  "Poiesis". Nel 1995 firma il "Manifesto della nuova poesia metafisica" pubblicato sul n. 7 della stessa rivista. Si può dire che ha vissuto tutta la vita in disparte dal  mondo della poesia italiana.  La sua produzione è per gran parte inedita ed attende una pubblicazione integrale.





28 commenti:

Francesca Diano ha detto...

Ecco, questo è un esempio di come, in certi punti delle poesie di Madonna, la ricerca di uno stile "colloquiale", apparentemente discorsivo, non risulti in una piattezza banale e spenta. Tutt'altro. Si liquefa invece la parola aprendo strade che, a quello che lei chiama "stimato amico lettore", si aprono davanti. Dico "apparentemente" discorsivo, perché in realtà ogni constatazione o dichiarazione è una domanda. E' questo che fa del reale una superficie semitrasparente e non compatta. Che lo trasforma permeabile alla parola poetica.
E proprio la parola poetica è qui chiamata in causa. Le "parole morte", le "parole che dormono", i sospiri come "isotopi delle parole". Ci può essere dichiarazione più forte del ruolo della parola come assoluto nella poesia? Dell'impossibilità di stemperarla in qualcosa di meno "potente" (e, aggiungo, pericoloso nella sua potenza evocatrice. Tanto che il suo ridurla a balbettio la fa "lingua dei famuli", dei servi.
Madonna è stata, ovviamente, un'isolata. Dunque questo le ha permesso di elaborare una lingua sua - apparentemente simile a quella che usiamo - e una sua poetica, che non ha contatti né rapporti con modelli o maestri. In questo la capisco e mi ci ritrovo.

Anonimo ha detto...

Parto per questa raccolta di inediti della poetessa Maria Rosaria Madonna, scomparsa nel 2002, dal primo livello di valutazione del lettore, ovvero dal mi piace/non mi piace: mi sono piaciuti quasi tutti i componimenti brevi mentre ho trovato poco “digeribile” la più lunga e unica con titolo, “Sono arrivati i barbari”, un’incursione nella prosa, secondo me non particolarmente riuscita.
I diversi componimenti brevi mi sembrano accomunati da una scrittura lineare e fortemente immaginativa. Chiari i riferimenti alla classicità, ma anche a personaggi letterari (Dottor Zivago) e a Dante. Anche se in superficie tutto sembra chiaro, si percepisce una sorta di sospensione, un sottofondo di non detto che rimanda a un mistero che non può essere rivelato dalle parole: /Tra me e il dio non ci sono parole./. Le parole, anzi, oltre a non sembrare necessarie, costituiscono quasi un intralcio alla comprensione (/Non c’è bisogno di parole./), definiscono solo “sciocchezze senza importanza” e “corbellerie”.
Dunque il mistero non è rivelabile con parole usuali, non ci sono tavole delle leggi a supportare la conoscenza, ma solo immagini (la vita?), tanto definite quanto fragili, notturne, quasi allucinatorie: un corpo nudo che si riflette nello specchio (/Io sono nuda davanti allo specchio./), monete che brillano sul pavimento (/Due monete d’oro brillavano sul mosaico del pavimento/), in un baluginare aureo che rischiara l’oscurità in cui tutto sembra sfumare. Le immagini appaiono quasi magicamente davanti ai nostri occhi, ci affascinano, ricordandoci continuamente il non dicibile e il mistero. I sospiri sono della stessa sostanza delle parole, ma si differenziano per un particolare: definiscono uno stato emotivo (o della mente) con la potenza delle onde marine, che originano, acquistando forza via via, da lontananze inesplorate: /Isotopi delle parole i sospiri/come ondate successive di un mare sconosciuto./ Versi, a mio modo di vedere, davvero magnifici.
Di questo passo, attratti dalla magia di quelle immagini come in un incanto, seguiamo il poeta nel suo culmine d’insofferenza verso le parole: impossibili da pronunciare, moriranno appena pronunciate o nasceranno già morte. Cosa potrà uscire dalla nostra bocca se non un insopportabile balbettio?
Come già anticipato trovo assai meno riuscita “Sono arrivati i barbari”, secondo me non allo stesso livello degli altri componimenti. Qui l’indefinitezza di base si scontra con la situazione realistica, e con un risultato finale a mio avviso un po’ troppo meccanicista: (/«Sono arrivati i barbari,/console! - dice un messaggero/che è giunto da luoghi lontani - sono già/alle porte della città!»/). “I luoghi lontani” sono un indefinito, un privo di contorni che male si accorda con il tono o “cornice” storica del componimento.
Anche il finale non mi ha convinto per il tono che ho trovato troppo didascalico.
Saluti
Flavio

Anonimo ha detto...

Giorgio Mannacio:


SULLE POESIE DI MADONNA
Di fronte alle poesie di un poeta che non c’è più e sulle quali esprimere un giudizio, mi è difficile non formulare il dilemma eternamente oscillante tra l’aforisma di pietà millenaria ( “ de mortuo nisi bonum”)
e la violenta invettiva del grande Dino Campana ( “ letteratura nazionale – industria del cadavere – si salvi chi può “ ). Leggo i versi di Madonna,troppo pochi per condividere o respingere il giudizio di Linguaglossa che in altre occasioni ho riscontrato più prudente. Linguaglossa parla di poetessa di notevole spessore. Avrà le sue ragioni. I critici – militanti o no – le trovano sempre. Mi sorprende il richiamo al poeta Giudici, richiamo che mi sembra polemico. Non ne capisco le ragioni.
Mi vesto , in queste circostanze, da lettore comune ed esercito il mio gusto alla lettura.
Riconosco i limiti dei miei metodi, dei miei schemi di riferimento. Ma, alla fine, mi si chiede, più o meno esplicitamente : questi versi ti piacciono o no ?
Indicherò i testi con le parole iniziali.

Sono arrivati….
Comincio dalla composizione più lunga che nel titolo e nel “ tema” richiama immediatamente Kavafis. Rilievo negativo ? Niente affatto. Tutta la letteratura è una ripetizione infinita di topoi ricorrenti. Qualcuno
( Eliot ) ha anche detto, con bella provocazione, che i grandi poeti copiano e i mediocri imitano. Nel lungo testo di Madonna non vedo una “ riscrittura “ del tema dei barbari ( non mancherebbero le condizioni per altre riscritture ) e tutto si riduce in una corretta trascrizione calligrafica di un evento esaurito ( nel testo ) a significati ormai defunti. Se il testo è tutto , nel testo mancano spie di una tale riscrittura.

La luna splende….
Non ho nulla contro la luna. L’attacco è preciso, persuade.
Ma chi può mai ricevere qualcosa dal verso “ Sono l’amante del Faraone ? O dalla ancelle che preparano all’udienza del dio vivente ? Le poche immagini veramente vissute diluiscono il tutto

E’ un nuovo inizio….
Molto buona l’immagine del mare quale aquilone ( le connessione tra vento, aquilone, fanciullino con cordicella rende un mondo nuovo e un senso nuovo alle immagini: la saggezza del fanciullo che incatena una immensità che pure gli sfugge… ) ma tale capitale si disperde nel vento ( antico ! ) che… solfeggia.

In quella posizione…
E’ la più riuscita di tutte le composizioni. La situazione reale ( distanza tra sfere ) si trasforma in un luogo in cui è convenuto un destino ( benissimo ) e i treni richiamano molti treni ( amari e gioiosi ). Madonna si ferma qui e ha detto tutto. Ha dato scacco.
C’è chi dice….
E’ un po’ meccanica e la chiusa quasi un artificio retorico scontata.
Per sempre…
La associo, a In quella posizione. Anche in questa la misura è sobria, l’efficacia emotiva notevole, la verità interna (esistenziale ) indiscutibile

[Continua]

Anonimo ha detto...

Giorgio Mannacio (continua):


Il merlo gracchiò….
Si tratta di una composizione in cui predomina una sorta di ossequio alla parola “ bella in sé “.Sarebbe stato meglio non far saltare fuori il satiro. La mitologia o è veramente metaforica o resta freddo esercizio.

Con rumore di carrucola….
Incompiuta.
Sai, nel Dottor……
Sappiamo tutto di Zivago ( o quasi ) e il testo non aggiunge nulla.

Dicono i più….
L’attacco è buono, crea una sorta di favola e la dissacra.E’ compatta nella scrittura e senza fronzoli.

Tutto questo…
Anche questa incompiuta

C’è chi dice….
Estremamente didascalica, quasi sillogistica, ma senza ironia e la chiusa è artificiosa , sa di giochetto.

Gli angeli…..
Lo spunto è vivace e interessante la contrapposizione tra angeli e demoni. Ma non direi che sia vero,poeticamente, che i demoni emettano singhiozzi. Tutt’altro…E allora l’immagine non emoziona ; è solo fatta di parole appropriate.

Tu mi chiedi….
Anche questa appartiene al genere didascalico. L’aneddoto del tedesco è veramente un aneddoto.Sarà vero,non sarà vero ? Ma è “ giornalistico, televisivo” Sai che un tedesco ha…etc

Era lì…..
E’ un racconto in versi, di tipo epico in cui mi ritrovo abbastanza. La realtà descritta con parole precise fa aggio sui significati perché è essa stessa “ il significato “. La chiusa è decisamente buona. Si apre a molti interrogativi e ci pieghiamo sulle parole per svelarne il senso.

Notazioni finali.
Se accogliamo i testi di Madonna nel senso in cui ne accogliamo tanti e cioè nella “ comunione ” di una esperienza di “ tentare una vventura poetica “ oppure di scommettere sul nulla ( di questo alla fine
si tratta ) non ho nulla da eccepire e mi pento – sinceramente – dei miei rilievi ( troppo ) critici.
Non userei per quello che ho letto , la parola “ notevole” estremamente impegnativa per chi la pronuncia e per chi la riceve ( che , purtroppo , non può né convalidarla con altre prove ne smentirla con un naufragio poetico ).
Ho usato – nei miei rilievi – un metodo banalissimo e quasi sicuramente errato. Quanti versi di M. mi lavorano nella mente. ?
Di quelli che mi lavorano e di quelli che non mi lavorano ho detto con onestà.
A tutti un caro saluto. Giorgio Mannacio.

[Fine]

Anonimo ha detto...

Non do un giudizio negativo a queste poesie di Madonna. Certo, siamo ben lontani dalla poesia autodidatta - scritta da poeti non esclusivamente provenienti dal mondo delle lettere - , sa di molte letture, di latinismo... libri, molti libri. Ne risente positivamente il linguaggio che arriva cristallino fin dalla prima lettura. Cristallino significa esatto, privo di alternative, tutti i sinonimi annullati.
Personalmente resto affezionato al verso di Majakovskij: "... / Ed io imparavo l'alfabeto dalle insegne, / sfogliando pagine di ferro e di latta." Ma è un'altra storia, com'è ormai un'altra storia la proliferazione in senso democratico dello scrivere post sessantottino (vero invisibile).
Il clima quindi è restaurativo, ma la disobbedienza, l'andar controcorrente, acquista nuovi significati, più appartenenti all'umanesimo che al politico per come l'abbiamo conosciuto.
Il linguaggio si adatta a scelte comunicative, ma senza scadere. E non manca quella gioiosa e vivace intelligenza (penso alla Yourcenar), che a volte non trovo in altri intellettuali, similmente preparati, forse perché mancano semplicemente di talento.
C'è intelligenza anche nella poesia "Sono arrivati i barbari". Mi ha fatto sorridere. Volendo la si può interpretare come metafora (mai dimenticherò lo spargimento… di sabbia gettata sui nostri poeti esangui nel famoso raduno, in memoria di Pasolini, a Castelporziano, parecchi anni fa). Inoltre è vera storia italiana inventata, quindi, cosa rara, mi sembra abbia respiro internazionale.
Spiace…

mayoor

giorgio linguaglossa ha detto...

... senza entrare nel merito dei rilievi positivi o negativi, quello che colpisce del linguaggio poetico di Madonna è la precisione del lessico, la denotazione esatta, l'eliminazione (direi quasi totale se totale fosse possibile della connotazione), l'esattessa dei pondus all'interno di ogni singolo verso e all'interno del quadro di ogni singola composizione vista come un sistema di forze contrastanti che, tutte insieme, invece di sgretolargi perché divergenti, finiscono per coabitare e unire le forze nell'arco tensioattivo della trabeazione della costruzione. Inoltre, e questo è un fatto notevole, la poesia di Madonna si allontana sensibilmente (anzi abbandona) il genere poesia confessione (da Antonia pozzi ella Merini) per attingere un colloquio solitario che è una modalità per costruire allegorie e dialoghi con altri poeti del Novecento (ad es. Kavafis nella omonima poesia "Arrivano i barbari") con i quali instaura un rapporto di trascrizione e di re-iscrizione. Un rapporto funerario. Un rapporto da pari a pari. L'uso degli aggettivi (qualcuno non ha gradito "antico") è osservato in funzione didascalica, referenziale, oggettiva, senza alcuna concessione agli aspetti di colore. Anche quando aspetti esotici e coloristici intervengono nelle sue poesie, ad es. quando Madonna afferma di esser divenuta l'amante del faraone e quando le ancelle la preparano alla "udienza", anche in questi punti, dicevo, il piano quotidiano colloquiale resta fermo ma con un salto di alcuni millenni, ma senza alcuna retorica, senza sensazionalismi (e, detto fra noi, quanti sensazionalismi sono sparsi nelle poesie della merini o della Rosselli! per citare solo le due più grandi). Infine, come non notare quella sottilissima meta ironia (alla Youcenar è stato detto) che serpeggia, ma come in filigrana, nei suoi testi, dove c'è spazio, molto spazio, anzi a rileggere queste poesie (anche quelle più chiuse) si scopre ogni volta molto spazio! È una lettura straordinaria per l'ampiezza spazio-temporale in cui nuotano queste composizioni (e il lettore con loro).
La poesia "Sono arrivati i barbari" mi sembra una delle più grandi di questo esile mannello, ma soprattutto mi convince la filigrana, le sedimentazioni della civiltà dei secoli. E poi l'oscillazione tra ethos e pathos è talmente vasta da fare venire le vertigini al lettore.
E poi un'ultima parola sulla questione dei "frammenti": la poesia di madonna è frammentaria nel senso che da Novalis in giù tutta la poesia moderna nasce da una costola del frammento, è frammentaria. In questo senso Madonna, come ogni poeta di grande valore, tenta di ricomporre il frammento, ricomporre l'infranto, ricostruire la totalità ma una totalità di frammenti, di relitti e di delitti.
È una grande poesia di relitti, relittuaria, funeraria (non funebre!), c'è la gioia della carne, c'è una gioia pagana irrefrenabile.
Insomma, è una poesia che rimette sul baricentro la tradizione didascalica con quella metaforica e allegorica: un perfetto equilibrio che dà il senso di un classico, pur essendo una poesia fortemente innovativa per gli aspetti appena accennati.

GiusCo ha detto...

Mi permetto di suggerire una comparazione tra questi testi di Madonna, secondo me piuttosto sconclusionati ma che Linguaglossa pone a pilastro della sua "pars construens", e quelli di Lucetta Frisa (http://rebstein.wordpress.com/2012/04/14/lemozione-dellaria/), che pure non riesce a tener in piedi l'originalita' del suo stesso spartito perche' il suo bagaglio espressivo non glielo consente; o, a livello ancora piu' alto, con quelli di Claudia Ruggeri (http://rebstein.wordpress.com/2012/06/05/linferno-minore-di-claudia-ruggeri/), che il cerchio lo chiude.

Non intendo fare polemica o scatenare un flame come ne accadono in tanti altri luoghi della rete, solo vorrei capire da Linguaglossa se la scelta dei nomi per la sua "pars construens" (fra cui Madonna) e' realmente convinta o, invece, e' una rendita di posizione da critico emarginato, uno-contro-tutti ecc. ecc., come ama raffigurarsi. Ribadisco invece che la "pars destruens" e' assolutamente puntuta, competente e centrata. Faccio questa domanda perche' da alcuni mesi scandaglio il web poetico in cerca di scritture da valorizzare e sto cercando di farmi un'opinione su quanto presentate su questo blog, al quale sono arrivato solo ieri l'altro. In ogni caso, un saluto cordiale e buon lavoro a tutti. GiusCo.

giorgio linguaglossa ha detto...

Cara Giusi,
durante gli ultimi trenta anni di ricerca e di studi del settore poesia ho rintracciato alcune poetesse di valore. Preciso che prima di emettere un giudizio ho la sana abitudine di leggere tutta l'opera di un autore. Detto questo, posso dire con cognizione di causa che le poetesse di valore degli ultimi trenta anni sono: Maria Rosaria Madonna (quasi tutta inedita, in vita ha pubblicato solo "Stige" del 1992), Maria Marchesi ("L'occhio dell'ala" del 2003 e "Evitare il contatto con la luce" del 2005), Helle Busacca (con la trilogia de "I Quanti del suicidio" del 1972-1980), Laura Canciani (che sta preparando un volume con Tutte le poesie (2983 - 2002); ci sono poi altre poetesse come Anna Ventura, per fare un nome, che meriterebbero maggiore considerazione dalla critica (che non c'è e che si limita a prendere in considerazione soltanto quei nomi che sono usciti con le Sigle maggiori).
Poi, ci tengo a precisare che io non sono "uno contro tutti", ma una persona che esercita il suo ruolo di critico al di là degli steccati e delle fratrie, che quindi si può permettere di esprimete valutazioni che altri critici non possono permettersi perché legati ad interessi editoriali e/o di apparato; non mi ritengo né migliore o più bravo di altri né peggiore o meno bravo di altri; sono un critico indipendente, e questo ha un prezzo: la solitudine. Ma anche il poeta di talento deve pagare un certo prezzo in termini di solitudine giacché nessuno è disposto a riconoscergli quel talento che lui (suo malgrado) possiede.
Un'altra poetessa di grande valore che ha scritto cose straordinarie è Francesca Diano (totalmente inedita), della quale alcune cose sono uscite su questo blog.
Cosa dire? La situazione per un poeta di valore non è bella, deve scontare sulla propria pelle la solitudine, né più né meno del critico indipendente.
Fermo qui il mio discorso alle sole persone di sesso femminile per non menare il can per l'aia, ma c'è anche qualche poeta di buon valore in giro.
Forse la mia solitudine di critico deriva dal fatto che ho l'abitudine alla Zeman di dichiarare spesso che il re è nudo. Ma questo fa parte delle regole del gioco, e si sa che chi osa introdurre nuove regole del gioco corre il rischio di finire in fuori gioco.

Anonimo ha detto...

Anzicchè rispondere dialetticamente ai rilievi critici svolti da alcuni su Madonna,Linguaglossa preferisce ripetere con parole , spesso oscure,quanto già detto.Vi sono
nelle poesie di M.situazioni di arcaismo senza giustificazione emotiva, approssimazioni formali,spezzoni di realtà divenuti aneddoti etc.Confermo i miei rilievi.Che la situazione dei poeti non sia bella lo sappiamo da tempo,ma non è che cambi attraverso la supervalutazione di uno dei tanti che si aggirano, recitando, tra le tombe.Un minimo di equità - questo è quanto desideriamo - esige che il de gustibus non est disputandum sia più esplicito di quanto non sia l'invocare la propria " marginalità " critica. Con cordialità. Giorgio Mannacio

Francesca Diano ha detto...

Non posso non ringraziare ancora Linguaglossa per la considerazione che ha del mio lavoro, condotto da una vita sulla parola, sia nella poesia che nella saggistica e nella prosa.
Per chi critica, come posizioni snob o da frustrato fuori dai giochi (leggi conventicole, fratrie ecc.) chi non si piega alle dinamiche di gruppo e preferisce mantenere une certa libertà di giudizio, vorrei fare alcune considerazioni, anche personali.
Per quanto mi riguarda, se non ho pubblicato ancora con un editore i miei testi poetici è perché ho visto come i grandi editori per i quali ho lavorato e lavoro da almeno tre decenni come traduttrice e saggista, (ma non diversamente i meno grandi) non sono interessati nemmeno a pubblicare grandissimi poeti stranieri e grandi opere da noi sconosciute (ma solo da noi)che negli anni ho proposto con cognizione di causa. La scusa che a me viene opposta è che "la poesia non vende". Vedo invece che quegli stessi editori pubblicano poeti e opere mediocri in traduzioni ancor più mediocri, spacciandoli per grandi, solo perché proposti non da cani sciolti quale sono io. Dunque nemmeno mi ci metto a fare la penosa trafila per la pubblicazione. Meglio l'indipendenza e la libertà. Alla mia età questi sono valori più importanti che, almeno per quanto mi riguarda, penso valga la pena di tutelare. Allo stesso tempo, ho, rispetto alla presente situazione, dei termini di paragone tali, cui sono profondamente debitrice per la mia formazione, che non mi permettono di avere altra posizione che questa.

Sono convinta che c'è un tempo giusto per ogni cosa e che, se dovrà accadere, quello che scrivo verrà pubblicato. Intanto il web mi offre comunque la possibilità, alla faccia degli editori, di comunicare quello che per me è importante comunicare: la mia immagine del mondo. So che la mia convinzione che non gettare nella discarica la tradizione e il lontano passato, ma viverli come parte essenziale e fondante del nostro presente, che lì è buona parte delle risposte che cerchiamo, tutte ancora da scoprire, non trova facile condivisione. Oggi prevale quello che Zolla definisce "l'uomo massa", accecato dall'illusione dell'industria culturale, da lui già denunciata e criticata nel lontano 1959 nell'"Eclissi dell'intellettuale". Questa lucidità nell'osservare la realtà, uscendo dall' "io", permette una serenità e un distacco che sono essenziali per non cadere nelle dinamiche perverse dell'industria culturale e delle sue comparse.

Capisco che il ribadire di Linguaglossa in più occasioni di essere un critico indipendente e quindi solo, possa dare fastidio o non essere pienamente compreso. Io lo comprendo.

Anonimo ha detto...

Paolo Pezzaglia:

Approfitto dell’accenno fatto dalla Francesca Diano a Zolla per annunciare, se vi fosse sfuggito,che escono in questi giorni le riedizioni dei libri di Elémire Zolla!

Sono trascorsi dieci anni dalla morte, nel maggio del 2002, di Elémire.

E’stato per me un maestro, dapprima molto alla lontana: leggevo i suoi elzeviri sul Corriere da ragazzo, e mi dicevo “ chissà quando capirò quello che scrive Zolla...”.

I suoi argomenti erano già allora conoscenze che andavano ben oltre quello che mi veniva “imposto” a scuola, prima il liceo scientifico, poi la Bocconi.

Io, per reazione, quei professori – Monti era pressappoco un mio compagno di corsi – li avevo presto cancellati dai miei veri interessi, come si cancella, con la coscienza a posto, un doganiere per non aver infranto le sue regole (spesso necessarie ma quasi sempre stupide).

Così, quasi di nascosto, mi interessavo di tutt’altro - basta che non fosse scienza ed economia –.

Ho sempre amato la libertà culturale, la sentivo nell’aria, come un giovane - allora - cane da caccia.

Questo non mi impediva di lavorare sempre con il massimo impegno possibile: in azienda come nello sport, fino a rischiare di schiattare. Il lavoro mi occupava giorno e fastidiosamente - grazie all’insonnia - anche di notte.

Intanto alimentavo sempre le mie inclinazioni, la mia sete di conoscenza - con grande fatica, ma anche ritemprandomi -.

Traevo da libri come quelli di Elémire Zolla segreti flussi d’acqua “lustrale”: lessi tutto di lui.

Poi ho avuto la fortuna di incontrare Francesco Solitario, seguendo suoi corsi privati e poi addirittura organizzandoli a casa mia.

Lui era allora assistente di filosofia estetica alla Cattolica, ma era, oltre che professore della nostra filosofia occidentale tradizionale, documentato e fascinoso maestro di tutte le discipline orientali. Non posso dire filosofie perché questo termine non fa parte del vocabolario delle varie lingue oreintali.

Lo seppi dopo che lui era molto in contatto con Zolla. Solitario meritò l’attenzione di Zolla, e poi fu, meritatamente, premiato con la cattedra all’Università di Siena-Arezzo, in sostituzione di Grazia Marchianò, seconda moglie di Elémire.

La mia passione per questo sapere alternativo aveva trovato un maestro, poi un amico, di quelli che giustamente il proverbio chiama un tesoro: in questo caso posso dire l’oro alchemico, tanto caro alle ricerche di Zolla.

Tutto questo che dico qui è per celebrare il suo ricordo e per raccomandare agli amici la sua lettura, approfittando della riedizione dei suoi libri.

giorgio linguaglossa ha detto...

Gent.le Giorgio Mannacio, proverò a commentare la prima poesia di M.

Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano
il mare sciabordando entrò nel peristilio spumoso
e le voci fluirono nella carta assorbente
d’una acquaforte. E lì rimasero incastonate.


Due monete d’oro brillavano sul mosaico del pavimento
dove un narciso guardava nello specchio
d’un pozzo la propria immagine riflessa e un satiro
danzante muoveva il nitore degli arabeschi
e degli intarsi.

la poesia inizia con un merlo che gracchia sul frontone d'un tempio pagano e prosegue con il rumore dello sciabordare del mare che entra nel peristilio di una villa presumibilmente di età imperiale; Improvvisamente, la poesia da congegno "ottico" e al passato remoto (gracchiò, entrò, fluirono) si muta in congegno "sonoro": «le voci fluirono nella carta assorbente d'una acquaforte». Tutta la prima strofa riposa su questo scarto: le immagini provengono dal passato remoto: «E lì rimasero incastonate». Semplicissimo ed efficacissimo. Non ci sono trucchi. Tutto è chiaro, limpido. Il mondo pagano è tramontato per sempre. Un'altra civiltà si sta per affacciare, il mondo cristiano con le sue ombre e la sua teologia della crocifissione e della resurrezione.
La prima strofa ha un andamento classico e un nitore pagano, qui si respira la dimensione del mito, della mitologia pagana, della civiltà ellenistico-romana che è tramontata... ma tutto ciò senza che il poeta orchestri rimandi o accenni in maniera esplicita quel qualcosa di estraneo che sta al di là della composizione della prima strofa, ma che il lettore sa, perché il lettore abita la contemporaneità del 2012, e sa come sono andate le cose in questi due millenni di Storia. Madonna omette ogni accenno agli accadimenti dei due millenni di Storia e di stragi che si sono succeduti fino ad oggi, e li omette perché estranei alle esigenze di equilibrio e di armonia della prima strofe. La poesia per Madonna è suprema Armonia, suprema Finzione che hanno in sé la propria giustificazione.
La seconda strofe inizia con un accadimento: il passato remoto si muta in passato semplice: «due monete d'oro brillavano sul mosaico del pavimento»; che cosa sono le monete d'oro? Sono il simbolo di qualcosa? Ebbene, proverò ad interpretare: le monete d'oro sono il simbolo di un tesoro che è stato dissipato: l'armonia del mondo pagano è stata infranta per sempre. Adesso tutto è chiaro: chi è quel merlo nero che «gracchia» sul frontone del tempio pagano? E' il poeta nero del tempo del mondo cristino occidentale, costui gracchia, non può che gracchiare, le sue parole sono stridio informe e caotico che non possono più adire all'Armonia e al nitore del mondo pagano, sì, quel mondo scomparso «dove un narciso guardava nello specchio d'un pozzo la propria immagine riflessa e un satiro danzante muoveva...».
Da notare la raffinatissima costruzione di una dimensione liquida, equorea della seconda strofe, dove i movimenti sono colti nell'attimo dell'arresto del tempo, nel momenti di un gesto compiuto dal narciso e dal satiro che muovono «il nitore degli arabeschi e degli intarsi», dove una esilissima motilità è introdotta nell'ultima entità proposizionale; qui il peso specifico della strofe è analogo al peso di un'ala di farfalla, riposa sulla esilissima costruzione del sogno e delle eidola pagane. Qui non c'è arcaismo o senzazionalismo, non ci sono trucchi, le due strofe scorrono liquidiformi sotto gli occhi del lettore il quale deve "leggere" con gli occhi la poesia più che ascoltarla con l'orecchio; deve intelligere dentro la cornice delle sue immagini.
Direi, per concludere, che è una poesia semplicissima e complessa ad un tempo, che ispira grande armonia nel lettore e un senso di nobile melancholia per quanto si è perduto nel trapasso da una civiltà all'altra. Una poesia ottica e immaginifica. Forse la più semplice tra quelle del mannello di poesie pubblicate.

Francesca Diano ha detto...

Caro Paolo, sono molto contenta di questo tuo ricordo di Zolla, che molto presto era stato bollato di "eresia" dalla schiatta conformista e gregaria dei sedicenti "intellettuali" italiani. Conoscevo Zolla e con Grazia Marchianò ho ancora un legame di affetto e amicizia che non si è affievolito negli anni. La settimana scorsa a Montepulciano si è tenuto un bellissimo convegno internazionale per il decennale della morte di Zolla, a cui ho partecipato con un paper sulla tradizione della lamentazione funebre irlandese ritualizzata, di cui mi occupo da lungo tempo. E' stata una bellissima occasione per incontrare grandi studiosi e giovani menti ricchissime di idee e di talento, raccolte attorno all'A.I.R.E.Z l'Associazione fondata da Marchianò per gli studi zolliani. Ora Marsilio ripubblicherà un po' alla volta le opere di Zolla, che aveva anticipato di molti decenni la società in cui viviamo e i suoi mali (ma anche i possibili rimedi)

Anonimo ha detto...

Caro Linguaglossa,grazie del puntualissimo riscontro.Credo di avere, da parte mia,dato conto dei miei rilievi e di aver segnalato punti di interesse. Mi sembre che tu " dica molto di più" di quello che " il testo" dica o suggerisca.Ed è proprio la semplicità di esso che mi lascia " perplesso"( una delle regioni che mi tiene lontano dalla c.d linea lombarda ).Il faraone di M.è, per così dire, IL FARAONE e basta e così lE ANCELLE.Può il linguaggio del testo fare a meno della metafora?Spero di averti indicato uno dei possibili punti del ns civilssimo dissenso. Ma la metafora deve essere velata e rivelata dal testo e non dalle acute parole di Giorgio Linguaglossa.Un cordialissimo saluto, con speranza di continuare il dialogo.Giorgio Mannacio.

giorgio linguaglossa ha detto...

Caro Giorgio Mannacio,
non posso che ringraziarti per le tue acute puntualizzazioni; il nostro "civilissimo dissenso" come tu lo chiami, dimostra, ancora una volta, che la poesia di qualità ha bisogno come non mai della critica di qualità, non ne può fare a meno. Critica e poesia devono viaggiare sullo stesso binario, ma quando la critica è assente (o distratta da questioni allotrie) anche la migliore poesia accusa il colpo della propria incomunicabilità. La critica (disinteressata) è essenziale alla poesia di qualità, senza il corrispondente del versante critico anche la poesia cessa di parlare ai contemporanei. Il problema che la poesia di Madonna mette in evidenza è che la sua poesia riposa su sottilissimi scarti, quasi invisibili a occhio nudo o a una lettura frettolosa, fatta di equilibri sottilissimi e fragili, talché basta un soffio di vento (un verbo o una immagine roboante) che tutta la costruzione rischia di sbilanciarsi e crollare come un incastro di ali di farfalla.
È una poesia fragile, ma al tempo stesso a me dà l'impressione di grande impenetrabilità, durezza diamantina.

Anonimo ha detto...

Caro Linguaglossa,ti rispondo subito condividendo in pieno quanto dici.Senza avere alcuna autorità in merito, sostengo da tempo che ci troviamo ad un bivio: o facciamo nostra la conclusione della morte delle arti ( tutte: poesia compresa) , ipotesi che rifiuto, o crediamo ancora,nonostante tutto," all'enigma della bellezza"( come si esprime Rella )e ne indaghiamo i fondamenti ( anche,o forse soprattutto, filosofici ).E chi ha tale " missione" se non la critica?Ma il nostro tempo è capace di onestà,studio profondo,passaione ?Hic sunt leones.A questo punto i nostri " dissensi " su M.diventano, in un certo senso, marginali.Un cordiale saluto.G.Mannacio.

Anonimo ha detto...

Caro Linguaglossa, ti rispondo subito perchè condivido in pieno le tyue ultime osservazioni.Da tempe e senza alcuna autorità ritengo si sia giunti a un bivio.O la poesia è morta defintivamente( prospettva che rifiuto ma che si deve dialetticamente accettare )o continua a vivere e va " giudicata" secondo criteri estetici, dunque secondo prospettive che sino anche filosofiche. Cone sciogliere " l'enigma della bellezza "( Rella )? Non può essere che opera dei critici.Critica onesta, appassionata, preparata nei suoi presupposti anche " tecnici".Siamo pronti a quest>?>Hic sunt leones.Un cordale saluto. Giorgio Mannacio.

giorgio linguaglossa ha detto...

gent.mo Giorgio Mannacio,
il fatto della sordità dell'interpretazione critica verso una poesia come quella di Madonna (ma potrei fare altri nomi, ad es. di Giorgia Stecher morta nel 1996 della quale pubblicai un fondamentale libro: "Altre foto per Album") che è costruita da un tessuto metaforico e allegorico sottilissimo, deriva dall'antefatto che la "critica" italiana (lasciamo da parte per carità quella accademica) fatta dagli stessi poeti si è educata alla fonte della poesia maggioritaria del minimalismo romano-milanese e dell'esistenzialismo milanese secondo la quale la priorità va all'accumulo di «quotidiano» e di «cronaca» che si trova nei libri di poesia.
Con la lente del quotidiano non si capisce niente né della poesia di Madonna, né in quella di Ripellino, né in quella di Helle Busacca e così via... fino ad arrivare a Giorgia Stecher... ma neanche della poesia di Francesca Diano o della stessa Giusi Maria Reale che ha interloquito in questo Forum.
Allora, c'è bisogno di una inversione di rotta da parte della critica del contemporaneo
Non c'è altra via percorribile che quella di abbandonare la poetica del «quotidiano» così come è stata professata da professori improvvisati. E poi mi dovrebbero spiegare che cosa si intende per «quotidiano», forse le stelle non appartengono al nostro «quotidiano»? e la «metafora» non appartiene al nostro «quotidiano»? e così via...
In conclusione, ho l'impressione che i pessimi maestri in questi ultimi decenni abbiano avuto vita facile.

Anonimo ha detto...

Tra le poesie di Maria Rosaria Madonna risulta interessante il componimento breve " Ci sono parole che dormono...", strutturato, come del resto molte altre, in un'unica strofa.
La poesia esprime un elogio rivolto alla parola, a ciò che viene e/o non viene detto.
Il testo invita ad una riflessione sulla necessità, a volte, di tacere oppure di esprimere con coraggio e convinzione parole come idee, pensieri che all'improvviso risorgono dopo un lungo letargo.
" Ci sono parole che dormono...ed è bene non svegliarle.." Perché non svegliarle? Forse è preferibile tacere una verità per evitare di fare del male oppure non svegliare il sonno eterno delle parole evitando di fare affermazioni banali. Ritengo sia più credibile la prima ipotesi.
Ma all'improvviso a partire dal terzo verso le parole risorgono ed è interessante l'accostamento "ed è questa la vera ressurezione della carne" per ribadire invece la necessità, l'importanza di esprimere, quasi "gridare" a gran voce i nostri pensieri.
La poetessa usa tre aggettivi in un climax ascendente " sola, unica, vera" e quest'ultimo aggettivo sottolinea proprio il peso incommensurabile, il valore profondo che la parola ha in sè, ancor prima di qualsiasi gesto o azione l'uomo voglia compiere.
Lucy

Anonimo ha detto...

"... da Novalis in giù tutta la poesia moderna nasce da una costola del frammento, è frammentaria. In questo senso Madonna, come ogni poeta di grande valore, tenta di ricomporre il frammento, ricomporre l'infranto, ricostruire la totalità ma una totalità di frammenti, di relitti e di delitti." Linguaglossa.
Annoto con interesse questa osservazione: il frammento ha il pregio di togliere lo scontento dovuto a imbellettamenti, e fa sperare in una ripartenza.
mayoor

giorgio linguaglossa ha detto...

gent.mi Giorgio Mannacio e lettori esigenti, vorrei leggere e commentare un'altra poesia breve di Madonna:

Con rumore di carrucola venne giù il temporale.
Città lituana, nitida e trasparente come un merletto di Murano.
«Ricordi?»; «sì, la ricordo come un altoparlante
che abbia inghiottito la voce… non più
di un secolo di luce fa. Forse più, forse meno…».

Notiamo subito che per «indicare» il «temporale» l'autrice impiega un procedimento "a contrario" descrive la causa a partire dal suo effetto: il «temporale» viene spiegato dal suo effetto sonoro: «con rumore di carrucola» e ottico, infatti la «carrucola» è quel congegno che consente ad un oggetto di percorrere in verticale una distanza partendo dall'alto verso il basso (del pozzo che il lettore deve immaginare per interposta nominazione della «carrucola»). Madonna utilizza quindi una metafora ottica "in verticale". Il tutto viene introdotto con un verbo al passato remoto («venne giù») per indicare che trattasi di un ricordo che l'autrice condivide con un altro personaggio con il quale (presumibilmente, pensiamo noi lettori) ha condiviso una esperienza («la città lituana»). «Ricordi?» dice l'io poetico al personaggio in questione; ma la risposta è enigmatica, ed è affidata ad una proposizione che è anche una metafora complessa (una metafora cinetica) dove il moto della voce viene presentato all'indietro («un altoparlante che abbia inghiottito la voce»), dove il percorso a ritroso della «voce» vuole sottolineare il percorso all'indietro nel tempo fatto dal ricordo condiviso (il lettore a questo punto deve supporre che quel ricordo, quella «città lituana» racchiuda una esperienza significativa che, per qualche ragione l'io poetico non dichiara al lettore, preferendo la privacy alla esibizione del ricordo a sguardi indiscreti). Ma quando è avvenuta questa esperienza significativa? «non più
di un secolo di luce fa. Forse più, forse meno…». È la risposta sibillina dell'autore della poesia. Il fatto di cui qui si discute è un non-detto, un non-dichiarato. E la poesia gira intorno ad un non-nominato come un commissario gira intorno al luogo di un delitto. In tal senso tutta la costruzione ruota intorno ad un perno, risponde ed obbedisce alla logica interna del «climax» (come è stato giustamente rilevato dal post che mi ha preceduto). Tutte le composizioni di Madonna obbediscono alla legge strutturale che richiede un momento ascendente (che possiamo denominare climax) e un momento discendente (che possiamo denominare anti climax). Questo duplice movimento è sempre intrecciato a spirale, così che le metafore di Madonna si dispiegano lungo un percorso concentrico, a chiocciola, secondo due direzioni oppositive: ascendente e discendente. Sicché queste direzioni cinetiche divergenti introducono nella composizioni di Madonna una tensione interna che tende a piegare gli equilibri semantici alle esigenze delle funzioni ottiche e metaforiche, cioè alle funzioni della fisiologia del poetico. È questa la grande novità della poesia di Madonna.

Anonimo ha detto...

da Rita Simonitto

a) Giorgio Mannacio:

“Mi sembre che tu " dica molto di più" di quello che " il testo" dica o suggerisca.Ed è proprio la semplicità di esso che mi lascia " perplesso"( una delle regioni che mi tiene lontano dalla c.d linea lombarda ).Il faraone di M.è, per così dire, IL FARAONE e basta e così lE ANCELLE.Può il linguaggio del testo fare a meno della metafora?Spero di averti indicato uno dei possibili punti del ns civilssimo dissenso. Ma la metafora deve essere velata e rivelata dal testo e non dalle acute parole di Giorgio Linguaglossa”.

b) Giorgio Linguaglossa:
“Il problema che la poesia di Madonna mette in evidenza è che la sua poesia riposa su sottilissimi scarti, quasi invisibili a occhio nudo o a una lettura frettolosa, fatta di equilibri sottilissimi e fragili, talché basta un soffio di vento (un verbo o una immagine roboante) che tutta la costruzione rischia di sbilanciarsi e crollare come un incastro di ali di farfalla.
È una poesia fragile, ma al tempo stesso a me dà l'impressione di grande impenetrabilità, durezza diamantina”.

c) Giorgio Mannacio:
“o facciamo nostra la conclusione della morte delle arti ( tutte: poesia compresa) , ipotesi che rifiuto, o crediamo ancora,nonostante tutto," all'enigma della bellezza"( come si esprime Rella )e ne indaghiamo i fondamenti ( anche,o forse soprattutto, filosofici ).E chi ha tale " missione" se non la critica?Ma il nostro tempo è capace di onestà,studio profondo,passaione ?Hic sunt leones.A questo punto i nostri " dissensi " su M.diventano, in un certo senso, marginali.Un cordiale saluto.”


Il mio commento viene da una posizione pro-fana, ovvero esterna alla competenza sia di Linguaglossa sia di Mannacio. Le citazioni a) e b), che ho estratto dai loro ricchi commenti, non le intendo antitetiche ma ne vedo una loro possibile complementarietà qualora le contemplassimo alla luce del passo c) in cui Mannacio chiama in causa l’enigma della bellezza per indagarne i fondamenti.
Da un lato sono d’accordo con G. Mannacio quando sostiene che G. Linguaglossa ci aggiunge del suo nella lettura dei testi poetici di M.R.Madonna, mentre la critica al testo andrebbe fatta ‘attraverso’ il testo. Però sappiamo anche come ci sia una metafisica interna alla cosa stessa (Bataille) che ci fa accedere a dimensioni ulteriori. Ma è sempre dalla ‘cosa’ che si deve svolgere questo filo, né più né meno di come accade all’interpretazione di un sogno, che dev’essere quello del paziente e non quello dell’analista (anche se il ‘sogno’ dell’analista gli può fare da sostegno).
(Continua)

Anonimo ha detto...

(continua)
Quanto alla bellezza e al suo enigma si può supporre che la bellezza non sia soltanto l’espressione di un godimento fine a se stesso (o dispiacere, quando diciamo che la bellezza non c’è).
E’ l’esito di una relazione sensuale con un oggetto di interesse. Oggetto che, a sua volta, è espressione di permanenza e di impermanenza, ragion per cui la percezione estetica del bello vibra di presenza e di caducità.
Il conflitto tra la frustrante violenza del tempo che passa, unita al desiderio di possedere il bello e accettare di perderlo, è anche ciò che accompagna la ricerca poetica nel suo rapporto con il reale nel tentativo di interpretarlo.
Per queste ragioni trovo “belli” e ricchi di suggestioni che appartengono al testo, questi quattro versi di M.R.Madonna: “Il merlo gracchiò sul frontone d’un tempio pagano/il mare sciabordando entrò nel peristilio spumoso/e le voci fluirono nella carta assorbente/d’una acquaforte. E lì rimasero incastonate”.
Belli in quanto la poetessa ci fa sperimentare la tragica esperienza del fallimento di un legame estetico, legame/incontro che si può leggere su più piani, su più livelli. Quello personale (lo struggimento per un incontro, – “il mare entrò nel peristilio” - sterile -“nella carta assorbente” che non rimanda che macchie -, tra corporeità e spiritualità) e quello collettivo (il rapporto tra il tempo liquido dell’oggi e il tempo storico del passato). La condanna al silenzio, alla fissità immobile del tempo, (“E lì [le voci] rimasero incastonate”) può essere legata sia alla difficoltà a stare sul limite tra storia e memoria (per cui si precipita o da una parte o dall’altra) e sia all’esito del rifiuto di accogliere il mito nella sua funzione rappresentativa.
La ‘spumosa’ imprendibile bellezza di Afrodite (chiamata“la spumosa”, appunto) non è riuscita a rendere fecondo (nel foscoliano “e [Venere] fea quelle isole feconde del suo eterno sorriso”) alcun incontro. E’ l’incontro con l’enigma della bellezza che viene a mancare. E non essendoci l’incontro non potrà esserci lutto, non perdita. Non è il lutto foscoliano. Altrimenti l’incipit avrebbe contemplato il corvo (è lui che gracchia. Il merlo, pure nero, ha un canto gioioso); il corvo, figura psicopompa, che accompagna all’Ade le anime dei morti, avrebbe comunque contemplato un lutto.
Forse la ‘ipotetica’ risposta sta nei versi successivi: “Due monete d’oro brillavano sul mosaico del pavimento/dove un narciso guardava nello specchio/d’un pozzo la propria immagine riflessa/ e un satiro/danzante muoveva il nitore degli arabeschi/e degli intarsi”.
Le monete d’oro del narcisismo e dell’edonismo dionisiaco non permettono di prendere in considerazione l’esistenza di un Altro da sé, verso cui muoversi, verso cui sperimentare la spinta verso la bellezza e il conflitto estetico che ne deriva.
(Fine)

Rita S.

Anonimo ha detto...

L' altro breve componimento sempre dedicato alla parola è un frammento in cui l'io lirico esprime il suo astio nei confronti del "favellare". "Tutto questo favellare...mi è ostico" ed è sottolineato dai termini "balbo balbutire" con l'accostamento in funzione onomatopeica sul piano musicale e accostamento pleonastico sul piano morfologico. Tutto questo per conferire da un lato musicalità ai versi, dall'altro far riflettere sulla banalità di un favellare che esrpime incertezza ed insicurezza. Convincente risulta anche la scelta dei termini "favellare" e "famuli" rispettivamente( quasi per antitesi) dal latino medievale fabellare e famulus (vox docta). L'io lirico si rivolge ad un destinatario immaginario, ribadendo nel verso finale, quasi in modo lapidario, di detestare un parlare servile (cortigiano?) di nessun valore.
Lucy

Anonimo ha detto...

L'altro componimento sempre dedicato alla parola è un breve frammento in cui l'io lirico si rivolge ad un destinatario immaginario affermando la sua ostilità e difficoltà nei confronti del "favellare".
"Tutto questo favellare...mi è ostico" dice la poetessa e per confermare ciò fa uso di un accostamento in funzione onomatopeica "balbo balbutire" per conferire musicalità al verso e in funzione pleonastica sul piano morfologico per sottolineare che il "favellare. balbutire" infonda insicurezza ed inertezza.
Convincente anche la scelta lessicale di "favellare" dal latino nedievale fabellare e "famuli" dal latino famulus (vox docta), due termini in antitesi sul piano etimologico, ma accostamento efficace quando si rivolge al tu indeterminato "lo capisci?".
La poetessa chiude il frammento con un verso lapidario "la detesto", quasi una scelta categorica per ribadire la sua difficoltà e ostilità verso un parlare privo di qualsiasi profondo valore.
Lucy

giorgio linguaglossa ha detto...

«Sono arrivati i barbari, console! - dice un messaggero
che è giunto da luoghi lontani - sono già
alle porte della città!».
«Sono arrivati i barbari!», gridano i cittadini nell’agorà.
«Sono arrivati, hanno lunghe barbe e spade acuminate
e sono moltitudini», dicono preoccupati i cittadini nel Foro.
«Nessuno li potrà fermare, né il timore degli dèi
né l’orgoglio del dio dei cristiani, che del resto
essi sconoscono…».
E che farà adesso il console che i barbari
sono alle porte? Che farà il gran sacerdote di Osiride?
Che faranno i senatori che discutono nel senato
con il mantello bianco e le dande di porpora?
Che cosa chiedono i cittadini di Costantinopoli
al console? Chiedono salvezza?
Lo imploreranno di stipulare patti con i barbari?
«Quanto oro c’è nelle casse?»
chiede il console al funzionario dell’erario
«e qual è la richiesta dei barbari?».
«Quanto grano c’è nelle giare?»
chiede il console al funzionario annonario
«e qual è la richiesta dei barbari?».
«Ma i barbari non avanzano richieste, non formulano pretese»
risponde l’araldo con le insegne inastate.
«E che cosa vogliono da noi questi barbari?»,
chiedono i senatori al console.
«Chiedono che gli si aprano le porte
della città senza opporre resistenza»
risponde il console avvolto nella sua toga scarlatta.
«Davvero, tutto qui? – si chiedono stupiti i senatori –
e non ci sarà spargimento di sangue? Rispetteranno le nostre leggi?
Che vengano allora questi barbari, che vengano…
Forse è questa la soluzione che attendevamo.
Forse è questa».

La poesia "Sono arrivati i barbari" è una macro metafora e una allegoria. A tema. Il tema è che i barbari sono già qui, sono fuori delle porte della città e bussano. Essi non pongono condizioni, chiedono soltanto che si aprano loro le porte della città. Mentre i senatori discutono i barbari non pongono condizioni. Perché? Perché essi hanno già vinto. I senatori e gli abitanti di Costantinopoli non lo sanno ma essi sono gli sconfitti, non possono fare altro che spalancare pacificamente le porte della città all'invasore. I barbari hanno già vinto, e vogliono soltanto risparmiare un altro inutile spargimento di sangue. Ma i senatori e i cittadini che discutono nell'aula del senato e nell'agorà non lo hanno ancora capito.
È la metafora del nostro tempo. I barbari hanno già vinto, ed è inutile resistere. Ma chi sono per Madonna i barbari? È la nuova civiltà mediatica che ha già imposto le proprie condizioni: la resa definitiva e senza condizioni dei cittadini di Costantinopoli.
Forse è questa la soluzione, si chiede il console: sono essi i barbari la soluzione. Forse è questa la soluzione. Così si chiude la poesia, con una sobria e spoglia ammissione da parte del console che "Forse è questa la soluzione".
In un linguaggio protocollare tombale relittuale Madonna vuole comunicarci la notizia che è stata trovata la soluzione e che occorre accettarla senza ambasce né resistenze. Occorre prendere atto dei nuovi rapporti di forza. Di qui (ma la poesia non lo dice) nascerà una nuova forma di civiltà. Chi parla è un sopravvissuto? Ma la poesia non ci dice nulla neanche su questo punto.

Anonimo ha detto...

La poesia "Gli angeli sono come...", strutturata sempre in un'unica strofa, propone un'antitesi tra le due entità sovrannaturali, paragonate rispettivamente ad uccellini che, spaventati da un batter di mano ( presenza umana?, volano via mentre i demoni immmobili esprimono il loro dolore singhiozzando.
Gli angeli volano via simboleggiando la fuga dalla realtà, i demoni sono costretti a star fermi per sempre; questo avverbio finale sottolinea proprio la drammatica consapevolezza della condanna eterna a rimanere legati ad una realtà che soffoca ed opprime la libertà individuale.
La poesia, infatti, può essere letta in tal modo: una fuga dala realtà ( il volare degli angeli) come espressione della propria libertà (anelito all'infinito) contro la disperata consapevolezza della debolezza ed incertezza umana e dell'accorata "disperazione singhiozzata" dai demoni.
Gli angeli e i demoni: La luce contro le tenebre, lo splendore contro il buio, la vita contro la morte, il bene contro il male.
Da notare ancora che la poetessa dedica il maggior numero dei versi alla condanna dei demoni contro il volare degli angeli, come eterna dicotomia dell'essere umano che ha attraversato la cultura religiosa e la filosofia greca. Già nella civiltà greca Platone sosteneva:" che c'è dentro di noi uno spirito divino e uno demoniaco". Forse è questo ciò che l'autore del componimento vuole comunicare, lo scontro perenne nell'uomo tra il bene e il male.
Lucy

giorgio linguaglossa ha detto...

Tutto questo favellare, tutto questo balbo
balbutire, mi è ostico - lo capisci?
La lingua dei famuli - lo capisci?
La detesto.

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C’è chi dice che il mondo
sarà salvato dai ragazzini
c’è chi dice che sarà salvato dai santi
c’è chi dice che il mondo sarà
salvato da una poesia…
Io invece penso che il mondo non sarà
salvato affatto.
Non ci sarà nessuno a salvare il mondo.
E questa sarà la sua salvezza.

Nella prima delle due poesie qui postate c'è tutta la poetica di Madonna: il rifiuto di tutto «il balbo balbutire» della poesia dei giorni nostri. Da notare la raffinatissima proposizione utilizzata dall'autrice per bollare d'infamia il volgare del volgo. C'è qui una presa di posizione che va dritta contro i linguaggi della piccola borghesia impiegatizia del mondo occidentale, contro il loro parlarsi addosso e intorno ma non verso la «cosa»; la «cosa» rimane ostica e sconosciuta. e qui c'è una precisa posizione di poetica: il linguaggio poetico si eventualizza a chi rifiuta i linguaggi maggioritari, i linguaggi utilizzati per una posizione di visibilità e di potere. Il linguaggio poetico di madonna invece eccelle per la sua assoluta alterità, non vuole sedurre, non vuole suonare il piffero delle proprie credenziali, non si pone nelle condizioni di condizionare il lettore con la propria veste rabescata; è un linguaggio impermeabile alla ricezione del medio ceto letterario e, infatti, è un linguaggio dimenticato. Ma è proprio quello l'obiettivo di Madonna! pore il suo linguaggio poetico come un vetro di Murano dentro una teca di fragilissimo cristallo, e dì durare per dimenticanza. È un linguaggio poetico privo di interlocutore, che non vuole interloquire con «il balbo balbutire» (la genesi del quale il precedente acuto commento ha evidenziato).
La salvezza del mondo, e quindi della poesia sarà, per Madonna, risiede nel fatto che «non ci sarà nessuno a salvare il mondo». «E questa sarà la sua salvezza».
Mi sembrano parole chiare e inequivoche. La poesia di Madonna va contro il «mondo», senza mezzi termini né condizioni; contro il Progresso e/o il Regresso. E questo è il suo miglior biglietto da visita. Credo.