Ho scelto queste undici poesie, scritte da Franco Fortini in tempi da noi oggi lontanissimi, con in mente una domanda: aiutano a riflettere sulla tragedia di Gaza? La mia risposta è sì.
Sono morti ormai
Sono morti ormai tutti i prigionieri,
le porte sono aperte, sparsa la paglia, il fango è indurito,
non c’è più nessuno. I nemici
li hanno portati in fondo al bosco e uccisi.
Pensavo: con quanta gioia correranno, con quanta
ansia, dai luoghi oscuri! Ma tu sai bene:
si crede di aspettare e la speranza si inaridisce
si spera di ricordare e non si ricorda.
Più oltre li incontreremo: sarà l’orlo viscido
della fossa dove i nostri migliori, anime di una volta,
si corrompono. Non guarderemo, li coprirà la calce.
Siamo soldati, un giorno vale l’altro.
1952
Pag. 141
Ai
poeti giovani
Noi dunque conosciamo che la rosa è una rosa,
la parola una cosa, il dolore un discorso,
che la voce più sola accorda molte grida,
che ogni cuore ricorda quante anime ha percorso.
Ma stretti all’ignoranza, al pianto e alla vendetta
impotente crediamo che il male in bene torni...
Il vero è altrove: e aspetta d’essere amato, viene
e va, come il mattino che per noi prega il giorno.
1954
Pag. 157
L’ora
delle basse opere
È tutto chiaro ormai,
le parole dei libri diventate
tutte vere. Tutti gli altri lo sanno.
T’hanno detto di fare due passi avanti
in mezzo al cortile d’acqua e vento,
di lumi gialli prima dell’alba.
Vedi cani maestri con grembiali di cuoio
scaricare quarti umani per le celle
refrigerate e crusca
sotto i ganci cromati. Gli scontrini
li timbrano alla porta
dove a battenti aperti aspetta un camion.
Era giorno, i postini
sgrondavano gli incerati nelle guardiole.
Pag. 223
La
storia inganna
Guardo giovani donne, gradevoli, anche
felici di sangue, camminare. Non tutte già vili.
Vanno verso il passato, contente, sui tacchi oscillando,
presto irriconoscibili.
Pag. 245
Dopo
una strage
(da Lu Hsun)
Le notti lunghe di primavera le passo ormai
con moglie e figlio. Fragili alle tempie i capelli.
Vedo in sogno imprecise lacrime di una madre.
Sulle mura hanno mutato le grandi bandiere imperiali.
Vite di amici diventano spettri, non resisto a vederle.
In ira contro siepi di spade cerco una piccola poesia.
Non lamentarsi. Chino il capo. Non si può scrivere più.
Come acqua la luna illumina la mia veste oscura.
Pag. 309
iv
Il verbo al presente porta tutto il mondo.
Mi chiedo dove sono i popoli scomparsi.
Il fattorino vestito di grigio in cortile mi dice
che alcuni stanno nascosti sotto il primo sottoscala.
Ho portato con me sotto il primo sottoscala
le ceneri di Alessandro, il pianto di Rachele.
Il verbo al presente mi permette di scomparire.
Il
fattorino non vede più dove sono scomparso.
Pag. 350
Gli anni della violenza
in
memoria di E.C.G.
Gli anni della violenza hanno lasciato
il loro segno. Separare la persona umana
dai costumi del passato è necessario
e difficile. Qui ci difenderemo.
Ancora! Ancora! La notte si dirada!
mi dicevo. Ed ecco, eravamo venuti
prima dell’alba a un boschetto
da
dove sentivamo i cani abbaiare nei dintorni.
I cavalli sprofondavano nella sabbia
e soffrivano per le pietre.
Sono tornati gli esploratori:
non è possibile passare con gli animali.
Gli uomini sono partiti in recognizione
prima dell’alba. E già la notte si dirada.
Sono solo. Qui ci sorprenderanno.
Negli ultimi giorni i miei ordini sono spesso ignorati.
Il popolo si affolla silenzioso. Non manchi
l’odore dei fiori di campo intorno alla fossa.
Qualche donna è impallidita. I compagni
distinguono le spie nel corteo tra le bandiere.
Pag. 409
Come
si è stretto il mondo…
Come si è stretto il mondo. I paesi lontani
sono in fondo al giardino
dove la sera sulla neve
la sera chiusa fra rami con neve
allude ad altro secolo
e alla lunga natura che fu.
E macchie gialle e arancio
oltre i rami, delle macchine
da costruzioni, delle gru
che oggi sabato non vanno.
Oltre il nero dell’orto l’Asia
e i suoi deserti. Più in là colorata di luci
al vento si piega South Kensington.
Di luna in luna si copre la spiaggia del Baltico.
Nella casa vicina qualcuno
accende le lampade. La cabina
in silenzio viaggia.
Pag 430
Al pensiero della morte e dell’inferno
da
Góngora 1612
Urne plebee, tumuli reali
senza paura, mio pensiero, penetra;
dove segnò il carnefice dei giorni
a passi eguali diseguali l’orme.
Scava tra i tanti resti di mortali
denudate ossa e fame incenerite
mal difese da vane, se non pie,
rare odorose resine orientali.
Scendi sino in abisso, agli antri dove
urlano infamie l’anime e le mura
catene odono sempre e pianto eterno
se mai vorrai, oh mio pensiero, almeno
con morte liberarti dalla morte
e l’inferno schernire con l’inferno.
1953-1983
Pag. 461
«E questo è il sonno...» Come lo amavano, il niente,
quelle giovani carni! Era il ‘domani’,
era dell’‘avvenire’ il disperato gesto...
Al mio custode immaginario ancora osavo
pochi anni fa, fatuo vecchio, pregare
di risvegliarmi nella santa viva selva.
Nessun vendicatore sorgerà,
l’ossa non parleranno e
non fiorirà il deserto.
Diritte le zampette in posa di pietà,
manto color focaccia i ghiri gentili dei boschi
lo implorano ancora levando alla luna
le griffe preumane. Sanno
che ogni notte s’abbatte la civetta
affaccendata e zitta.
Tutta la creazione...
Carcerate nei regni dei graniti, tradite
a gemere fra argille e marne sperano
in uno sgorgo le vene delle acque.
Tutta la creazione...
Ma voi che altro di più non volete
se non sparire
e disfarvi, fermatevi.
Di bene un attimo ci fu.
Una volta per sempre ci mosse.
Non per l’onore degli antichi dèi
né per il nostro ma difendeteci.
Pag. 561
Amici
invecchiano i tempi
Amici, invecchiano i tempi
si fa tanto semplice il mondo
e io studio ancora l’inglese.
Sono, le cose che faremo, ancora
tra lievi mattine sospese
e crescono in fondo alle tasche i giornali.
Bianchi e le mani macchiate
di crusca della vecchiaia
parleremo parleremo
delle cose che faremo
e di quelle che non hanno fatte i padri
disegnando, come quando
si giocava a guardie e ladri,
sulla ghiaia.
1948
Pag. 806
(da F. Fortini, Tutte le poesie, Oscar Mondadori 2014)

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