martedì 25 novembre 2025

Undici poesie di Franco Fortini scelte per pensare Gaza

 


a cura di E. A. 

Ho scelto  queste undici poesie, scritte da Franco Fortini in tempi da noi oggi lontanissimi, con in mente una domanda: aiutano a riflettere sulla tragedia di  Gaza? La mia risposta è sì.


Sono morti ormai


Sono morti ormai tutti i prigionieri,

le porte sono aperte, sparsa la paglia, il fango è indurito,

non c’è più nessuno. I nemici

li hanno portati in fondo al bosco e uccisi.


Pensavo: con quanta gioia correranno, con quanta

ansia, dai luoghi oscuri! Ma tu sai bene:

si crede di aspettare e la speranza si inaridisce

si spera di ricordare e non si ricorda.


Più oltre li incontreremo: sarà l’orlo viscido

della fossa dove i nostri migliori, anime di una volta,

si corrompono. Non guarderemo, li coprirà la calce.

Siamo soldati, un giorno vale l’altro.

1952

Pag. 141




Ai poeti giovani


Noi dunque conosciamo che la rosa è una rosa,

la parola una cosa, il dolore un discorso,

che la voce più sola accorda molte grida,

che ogni cuore ricorda quante anime ha percorso.


Ma stretti all’ignoranza, al pianto e alla vendetta

impotente crediamo che il male in bene torni...

Il vero è altrove: e aspetta d’essere amato, viene

e va, come il mattino che per noi prega il giorno.

1954

Pag. 157




L’ora delle basse opere

È tutto chiaro ormai,

le parole dei libri diventate

tutte vere. Tutti gli altri lo sanno.

T’hanno detto di fare due passi avanti

in mezzo al cortile d’acqua e vento,

di lumi gialli prima dell’alba.

Vedi cani maestri con grembiali di cuoio

scaricare quarti umani per le celle

refrigerate e crusca

sotto i ganci cromati. Gli scontrini

li timbrano alla porta

dove a battenti aperti aspetta un camion.

Era giorno, i postini

sgrondavano gli incerati nelle guardiole.

Pag. 223




La storia inganna

Guardo giovani donne, gradevoli, anche

felici di sangue, camminare. Non tutte già vili.

Vanno verso il passato, contente, sui tacchi oscillando,

presto irriconoscibili.

Pag. 245





Dopo una strage

(da Lu Hsun)


Le notti lunghe di primavera le passo ormai

con moglie e figlio. Fragili alle tempie i capelli.

Vedo in sogno imprecise lacrime di una madre.

Sulle mura hanno mutato le grandi bandiere imperiali.

Vite di amici diventano spettri, non resisto a vederle.

In ira contro siepi di spade cerco una piccola poesia.

Non lamentarsi. Chino il capo. Non si può scrivere più.

Come acqua la luna illumina la mia veste oscura.

Pag. 309




iv


Il verbo al presente porta tutto il mondo.

Mi chiedo dove sono i popoli scomparsi.

Il fattorino vestito di grigio in cortile mi dice

che alcuni stanno nascosti sotto il primo sottoscala.

Ho portato con me sotto il primo sottoscala

le ceneri di Alessandro, il pianto di Rachele.

Il verbo al presente mi permette di scomparire.

Il fattorino non vede più dove sono scomparso.

Pag. 350




Gli anni della violenza

                       in memoria di E.C.G.

Gli anni della violenza hanno lasciato

il loro segno. Separare la persona umana

dai costumi del passato è necessario

e difficile. Qui ci difenderemo.


Ancora! Ancora! La notte si dirada!

mi dicevo. Ed ecco, eravamo venuti

prima dell’alba a un boschetto

da dove sentivamo i cani abbaiare nei dintorni.

I cavalli sprofondavano nella sabbia

e soffrivano per le pietre.

Sono tornati gli esploratori:

non è possibile passare con gli animali.


Gli uomini sono partiti in recognizione

prima dell’alba. E già la notte si dirada.

Sono solo. Qui ci sorprenderanno.

Negli ultimi giorni i miei ordini sono spesso ignorati.


Il popolo si affolla silenzioso. Non manchi

l’odore dei fiori di campo intorno alla fossa.

Qualche donna è impallidita. I compagni

distinguono le spie nel corteo tra le bandiere.

Pag. 409





Come si è stretto il mondo…


Come si è stretto il mondo. I paesi lontani

sono in fondo al giardino

dove la sera sulla neve

la sera chiusa fra rami con neve

allude ad altro secolo

e alla lunga natura che fu.

E macchie gialle e arancio

oltre i rami, delle macchine

da costruzioni, delle gru

che oggi sabato non vanno.

Oltre il nero dell’orto l’Asia

e i suoi deserti. Più in là colorata di luci

al vento si piega South Kensington.

Di luna in luna si copre la spiaggia del Baltico.

Nella casa vicina qualcuno

accende le lampade. La cabina

in silenzio viaggia.

Pag 430




Al pensiero della morte e dell’inferno


                       da Góngora 1612

Urne plebee, tumuli reali

senza paura, mio pensiero, penetra;

dove segnò il carnefice dei giorni

a passi eguali diseguali l’orme.


Scava tra i tanti resti di mortali

denudate ossa e fame incenerite

mal difese da vane, se non pie,

rare odorose resine orientali.


Scendi sino in abisso, agli antri dove

urlano infamie l’anime e le mura

catene odono sempre e pianto eterno


se mai vorrai, oh mio pensiero, almeno

con morte liberarti dalla morte

e l’inferno schernire con l’inferno.


1953-1983

Pag. 461




«E questo è il sonno...» Come lo amavano, il niente,

quelle giovani carni! Era il ‘domani’,

era dell’‘avvenire’ il disperato gesto...

Al mio custode immaginario ancora osavo

pochi anni fa, fatuo vecchio, pregare

di risvegliarmi nella santa viva selva.


Nessun vendicatore sorgerà,

l’ossa non parleranno e

non fiorirà il deserto.


Diritte le zampette in posa di pietà,

manto color focaccia i ghiri gentili dei boschi

lo implorano ancora levando alla luna

le griffe preumane. Sanno

che ogni notte s’abbatte la civetta

affaccendata e zitta.

Tutta la creazione...

Carcerate nei regni dei graniti, tradite

a gemere fra argille e marne sperano

in uno sgorgo le vene delle acque.

Tutta la creazione...


Ma voi che altro di più non volete

se non sparire

e disfarvi, fermatevi.

Di bene un attimo ci fu.

Una volta per sempre ci mosse.


Non per l’onore degli antichi dèi

né per il nostro ma difendeteci.

Pag. 561




Amici invecchiano i tempi


Amici, invecchiano i tempi

si fa tanto semplice il mondo

e io studio ancora l’inglese.

Sono, le cose che faremo, ancora

tra lievi mattine sospese

e crescono in fondo alle tasche i giornali.


Bianchi e le mani macchiate

di crusca della vecchiaia

parleremo parleremo

delle cose che faremo

e di quelle che non hanno fatte i padri

disegnando, come quando

si giocava a guardie e ladri,

sulla ghiaia.

1948

Pag. 806



(da F. Fortini, Tutte le poesie, Oscar Mondadori 2014)

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