Note a «Dalla lirica
al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010)»
Eravamo davvero in tanti ieri sera all’incontro con Giorgio
Linguaglossa arrivato da Roma. Per conoscerlo di persona. Alcuni avendo già
letto il suo ultimo libro. Altri per ascoltarlo e farsene un’idea. Linguaglossa
ha confermato di essere uno studioso militante (partigiano e controcorrente)
della poesia del Novecento. E di esserlo
in modi radicali, forse per alcuni persino irritanti. Suggerirei, però, di discutere la sua ricerca come
quella di uno di “noi” o vicino a “noi” , senza bloccarsi di fronte
alle asperità del suo linguaggio, alla
sua eterodossia e neppure a certi suoi
giudizi drastici o, secondo alcuni, “troppo distruttivi”.
Si tratta di ragionare e discutere - senza adesioni gregarie,
ma senza spocchia però! - la sua tesi (politico-estetica)
sulla poesia italiana del Novecento.
Linguaglossa sostiene che essa è stata dominata da un «paradigma moderato»
impostosi già con l’ermetismo e che si
perpetua tuttora nel «minimalismo
romano-milanese», vivacchiante stancamente di rendita (quella anceschiana della
Linea Lombarda).
Di un’«altra storia» possibile, da far emergere anche con
studi più mirati e approfonditi, egli vede tracce nel Montale prima di «Satura»,
nelle resistenze di isolati come Fortini, Ripellino, Flaiano; o di “periferici”
come De Palchi, Guidacci, Calogero, Merini; oppure nella rivolta, anch’essa poi
rientrata, della neoavanguardia.
Questa ricostruzione storico-teorica della poesia italiana
dal 1945 al 2010 delinea un processo di “spappolamento” della forma poesia. E in quella che parrebbe una
“democratizazione” della poesia (la «nebulosa poetante», di cui anche noi moltinpoesia siamo parte) egli vede un sintomo di epigonismo malaticcio e senza
sbocchi di “guarigione”.
Gli orfani della
«poesia lirica», avendo smarrito ogni nozione della forma-poesia,
restano impelagati in «discorsi poetici», giocherellando
con gli scampoli delle tradizioni poetiche forti o sprecandosi in un fai-da-te senza bussola.
Linguaglossa parla di noi tutti, dunque? Forse.
E poiché da tempo la critica o si è azzittita (almeno dagli
anni Settanta) o perlopiù, se torna a parlare, preferisce farlo dai pulpiti
accademici di sempre, lavorando sui “valori certi”, cioè soprattutto sui
poeti canonizzati - i “visibili” (grazie alla grande editoria ) - e spesso
solo per confermare gerarchie consolidate, aggiungendo magari alcune ultime (a
volte dubbie) perle, la ricerca di Linguaglossa, che si spinge anche con molti
azzardi in direzione di “un’altra storia” e tra le nebbie dove operano gli «invisibili», ci dovrebbe
stare a cuore. Linguaglossa può essere
uno dei pochi interlocutori validi con cui misurarci per sciogliere i nostri
dilemmi. Apriamo, dunque, una discussione su questo suo libro. Di seguito le note che ho utilizzato durante
l’incontro alla Palazzina Liberty del 10 novembre 2011 [E.A.]