-
Poco prima dell’alba
Silenziosi volteggiano
In alto
Oltre i cirri più ostili
In cerca di prede
Acuminati incidono il ghiaccio
Sottile
E mentre feriscono il cielo
Attendono il momento propizio
(Proprio il momento più giusto)
Per fare ciò che i rapaci
più amano al mondo
sabato 24 dicembre 2011
Flavio Villani
I Rapaci
con un commento
di Leonardo Terzo
mercoledì 21 dicembre 2011
Laboratorio MOLTINPOESIA
« Cenai
con un piccolo pezzo di focaccia,
ma bevvi avidamente un'anfora di vino;
ora l'amata cetra tocco con dolcezza
e canto amore alla mia tenera fanciulla. »
ma bevvi avidamente un'anfora di vino;
ora l'amata cetra tocco con dolcezza
e canto amore alla mia tenera fanciulla. »
(Anacreonte,
traduzione di Salvatore Quasimodo)
per un saluto e uno scambio di auguri
c’incontriamo a Milano
c’incontriamo a Milano
venerdì
23 dicembre alle ore 17
nella sala Dopolavoro
Ferroviario sottopasso via
Tonale/Pergolesi Stazione Centrale
(si consiglia di entrare nel sottopasso dalla parte di via Tonale tenendo il lato sinistra)
Portate una poesia da leggere
[L’incontro-festicciola è aperto a tutti i simpatizzanti]
Di seguito qui sotto un'infornata di poesie natalizie composte o suggerite da amici e amiche. Altre potete aggiungerne voi stessi negli spazi commenti.
martedì 20 dicembre 2011
Experimentum moltinpoesia:
Testi poetici da immagini
Leonardo Terzo ci ha segnalato questo suo articolo:
Nei commenti siete invitati a costruire dei testi poetici a partire dalle immagini che illustrano il suo testo. [E.A.]
1
domenica 18 dicembre 2011
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
PER I COMMENTATORI
DEL BLOG
Visto che in diversi lamentano la scomparsa del commento che era apparso pubblicato, sono andato a documentarmi, ponendo il problema su Google e ho trovato che qualcosa di simile accade anche in altri blog di BLOGGER. Invito nuovamente a mantenere copia del commento in modo da poterlo nuovamente inserire, se scomparisse. E a tentare qualche tempo dopo il primo fallito tentativo. O in casi estremi a inviarmelo a: moltinpoesia@gmail.com
Ecco il link dove ho trovato la discussione:
Essa fa capire che il problema non dipende dall'amministratore del blog, ma non dà la soluzione. Se ci fosse qualche esperto che può dare suggerimenti, un grazie anticipato. [E.A.]
Ecco il link dove ho trovato la discussione:
Perché i commenti che lascio nei blog che seguo scompaionosubito ...
www.google.com › Forum
di assistenza › Blogger
› Altro
23 risposte - 9 mag
Perché i commenti che lascio nei blog che seguo scompaiono subito ... che il commento è stato caricato correttamente poi in
realtà sparisce nel nulla. ...
correttamente il commento e compare la scritta che verrà pubblicato in ..
Essa fa capire che il problema non dipende dall'amministratore del blog, ma non dà la soluzione. Se ci fosse qualche esperto che può dare suggerimenti, un grazie anticipato. [E.A.]
sabato 17 dicembre 2011
Giorgio Linguaglossa
«Lingua delle maschere»
(o lingua delle nacchere?)
Ci salveranno i dialetti (e i dialettali)? Tra le varie strade tentate per uscire dalla crisi (per chi l'ammette; poi ci sono quelli che, anche nella palude, sognano cieli sublimi alla Tiepolo) quella del "ritorno al dialetto" o del "recupero dei dialetti" (o delle "radici") sembra attirare molti; ed avere una sua patina persino "politica": i dialetti sarebbere un argine, una forma di resistenza, ai linguaggi commercializzati e all'anglo-americano globalizzato. I dialetti? Quelli che oggi affondano le loro radici in comunità sempre più "provvisorie"o "di plastica" o "elettronificate"? Come non vedere che l'autenticità (dei dialetti, delle comunità, del "popolo", dello stesso "io borghese") è un'invenzione di una tradizione (Hobsbawm) a fini consolatori o politici (si lensi alle "piccole patrie" leghiste)?
Lo scetticismo di questa nota di Linguaglossa, al di là dei giudizi sui singoli poeti su cui qualcuno dissentirà, mi pare condivisibile. Troppa mitologia ( o ideologia pseudo-resistenziale o solo nostagica) pesa sulle operazioni condotte almeno dai dialettali "programmatici" (voglio salvare quelli "spontanei" o naif ) La discussione sul tema non è nuova. Ritorna di tanto in tanto; ed è sintomo della crisi che "ci lavora", più che l'indicazione del varco da cui uscirne. Lo dice uno che il "suo" dialetto non l'ha dimenticato. Ma conservare una reliquia cara non significa resuscitare un mondo perduto. E non si può solo conservare. Si deve cercare. Abbiamo da affrontare una "malattia delle lingue", che colpisce contemporaneamente lingua nazionale e dialetti. Non si sa per quale miracolo questi ultimi ne sarebbero immuni. Insomma, in tempi di "sacrifici" non ci si venga a dire che dobbiamo accontentarci dei dialetti - i "meno abbienti" - o della "sublime lingua borghese" letteraria (Fortini). Esodanti e contrabbandieri, continuiamo a cercare...[E.A.]
Guardando per terra. Voci della poesia contemporanea in dialetto a cura di Piero Marelli LietoColle 2011 pp. 270 € 18,00
(Ivan Crico, Anna
Maria Farabbi, Renzo Favaron, Fabio Franzin, Francesco Gabellini, Vincenzo
Mastropirro, Maurizio Noris, Alfredo Panetta, Edoardo Zuccato)
Mettere mano ad una antologia della poesia in dialetto
significa preliminarmente fare i conti con alcune questioni di fondo, innanzitutto:
dobbiamo credere veramente e ciecamente alla tesi zanzottiana del dialetto
quale «lingua matria»? Quale linguaggio in grado di attingere una immediatezza
più immediata di quanto sia possibile con la lingua maggiore? E che tale
presunta immediatezza sia anche il precipitato di una autenticità altrimenti inattingibile?
Dobbiamo credere che mediante il dialetto si possa raggiungere il porto sepolto
del ritorno a casa? Che il dialetto permetta un rapporto «ingenuo»,
«inconsapevole» e magico con il «reale»? Dobbiamo ancora credere all’assioma
della lingua irta ed asprigna di un Albino Pierro come quella vetta estetica
irraggiungibile? Personalmente, ho dei dubbi: si tratta di una vulgata, di una
mitologia che, come tutte le mitologie ha un inizio e una fine.
A tal fine citiamo le parole di una intervista di Zanzotto
rilasciata a Renato Minore uscita in questi giorni per i tipi di Donzelli:*
Paolo Pezzaglia
Giunca giunchiglia
Vorrei che fosse “postato” questa mia poesia “giunca giunchiglia” - che in realtà parla di un tumble weed – a commento del bell'articolo di Enzo Giarmoleo.
Grazie e statemi bene.
Vento di terra.
Un secco cespuglio
strappato alle radici.
Un vascello di paglia,
una giunca giunchiglia.
Ti porti al mare
il forte vento di terra.
Ormai sei paglia.
Anche il nome mio
via puoi portare.
venerdì 16 dicembre 2011
Enzo Giarmoleo
Addio George Withman !
Parigi, luglio 1962
Lungo la Senna Jacopo a gambe levate, inseguito dai commessi
di un supermercato del libro. Proiettato in avanti cercando di correre il più
possibile, nelle sue tasche buona parte dell’esistenzialismo francese, Jean Paul
Sartre, Camus, pocket book, edizioni economiche. I commessi segugi gli stanno
alle calcagna, cercano di raggiungerlo. I bateaux mouches lenti tifano per lui,
sta risalendo la Senna, suole di vento, direzione Notre Dame. L’unica via per
salvarsi è tuffarsi nel labirinto del quartiere latino, uno dei luoghi non
sventrati dall’urbanistica poliziesca di metà ottocento che favoriva la
costruzione di vie rettilinee abolendo le vie strette e irregolari che
favorivano focolai di insurrezione. Ancora uno slancio, ora è sul pavè di Quai
de Tuileries. Se arriva a Pont Neuf è fatta! Rue Dauphine e poi un tuffo nei
mille vicoli di Saint Germain des Près che conosce come le sue tasche. Scompare
nell’atrio interno ad un palazzo, trafelatissimo, aspetta.
giovedì 15 dicembre 2011
Ennio Abate
Sulla gestione dellle "buone rovine"
di Franco Fortini
UNA PERSONALE, EXTRA-ACCADEMICA, OPINIONE.
«…‘Vi consiglio di prendere le cose che ho detto e di
buttarne via più della metà, ma la parte che resta tenetevela dentro e fatela
vostra, trasformatela. Combattete!’ »
(Le rose
dell’abisso. Dialoghi sui classici italiani, Boringhieri, Torino, 2000)
1.
Nel dibattito dei moltinpoesia ho, quando ho potuto, richiamato l’attenzione su Franco Fortini
(1917-1994). Su questo blog tra l’ottobre e il novembre 2010 ho dedicato vari
post (si trovano facilmente scrivendo il suo nome in ‘cerca’) per commentare una sua intervista del 1993
concessa alla RAI, «Che cos’è la poesia». È un esempio di discorso
extra-accademico (non automaticamente antiaccademico) sui suoi scritti e la sua figura, che per me ha una lunga
storia alle spalle. Fortini ha influenzato indirettamente la mia ricerca (qui), pur restando per me, anche quando ho avuto modo d’incontrarlo di
persona, «maestro a distanza». Quel mio rapporto con lui fu tardivo e
problematico, ma profondo; e ne ho dato un dettagliato rendiconto (qui).
Dopo la sua morte nel 1994, ho -
prima in samizdat poi sul Web[1] - praticato,
com’egli suggerì, un buon uso delle
rovine: della tradizione culturale e politica del comunismo (usiamola questa parola, anche se sporcata, demonizzata e
divenuta incomprensibile ai più); e, quindi, anche dei suoi libri, che alla
storia di quel grande movimento, in modi sempre vigili e sofferti, si richiamarono
senza i pentimenti o gli sbrigativi autodafé di tanti voltagabbana.
Anna Maria Moramarco
Sette dicembre...
All’inizio
fu un canto disteso.
Come di sentinella
che ha vegliato e sente l’alba
nel cielo ancora scuro di notte.
Poi fu alla fine.
La bara dentro la terra
i fiori a far da cornice,
mestizia.
Il canto si accese inatteso:
il passero era fratello del primo.
Se ne stava, su un albero gemello,
striminzito nel freddo della sera.
Se ne stava su una striscia di sole rosso cupo.
Dall’alba al tramonto,
l’ultimo giorno che vidi il volto di mia madre.
mercoledì 14 dicembre 2011
Ennio Abate
Omaggio a
Gianfranco Ciabatti
Faccio circolare anche tra i moltinpoesia alcune poesie di Gianfranco Ciabatti (1936-1994). Le
prelevo dal «medaglione artigianale» curato da Roberto Bugliani a quindici anni
dalla sua scomparsa su Nazione indiana (16 aprile 2009, qui),
dove si trovano anche informazioni sulla sua vita, la sua militanza politica e un
prezioso rimando al n. 34-35 della rivista Allegoria (gennaio-agosto
2000), che gli dedicò una sezione con interventi di Timpanaro, Luperini,
Fortini, Cataldi, Commare.
Le riprendo perché
Ciabatti, non intaccato né dalla sconfitta politica né dalla malattia, ha
voluto e saputo parlare fino al momento della morte in «prima persona plurale», usando un «tu»
collettivo e di classe o il «noi» della
storia ormai di un’altra epoca. Ha mantenuto, cioè, un rapporto conflittuale di fronte alla realtà sociale modellata dal Capitale. Non si è “dato pace” (neppure con il "piacere della lettura", aggiungo maliziosamente!).
Quel «noi», oggi, se siamo vecchi, è svanito dai nostri discorsi, tornati fin troppo facilmente all’«io» o al massimo a un inquieto «io-noi». E, se giovani, non è quasi più pensato come possibile, anzi è spesso deriso. Lo dico senza moralismo. Come presa d'atto di una realtà (ostile e da combattere per me).
Quel «noi», oggi, se siamo vecchi, è svanito dai nostri discorsi, tornati fin troppo facilmente all’«io» o al massimo a un inquieto «io-noi». E, se giovani, non è quasi più pensato come possibile, anzi è spesso deriso. Lo dico senza moralismo. Come presa d'atto di una realtà (ostile e da combattere per me).
Riporto l’attenzione
a questa sua poesia per un’altra ragione. Ciabatti, pur scrivendo poesie (tra
altre cose), adottò, come sottolinea Bugliani, «un lirismo rovesciato o
negativo» e mai abbandonò certi temi “bassi” e “ignobili” alla Brecht. E fu consapevole - per dirla con Fortini - dei confini della poesia . E cioè? Lo spiega bene un commento di ng
sotto lo stesso post di Nazione Indiana: «a differenza di tanti autori che pure
mirano a politicizzare il segno, [Ciabatti] aveva ben presente la differenza (e
la contraddizione) tra la prassi poetica e quella politico-ideologica; ben
sapeva che l’azione nella parola, quand’anche condotta in opposizione, è ben
poca cosa rispetto a quella nel reale, unica veramente capace di trasformare
una situazione». Che, si deve aggiungere, ora che i tempi sono diventati ancora
più bui, è ipotesi più ardua, ma mai da
abbandonare, anche se fossimo costretti per quel che ci resta da vivere soltanto a scrivere poesia. [E.A.]
Dal di
dentro
Poiché dobbiamo
viverci,
teniamo pulita la nostra prigione,
apriamo i vetri all’aria del mattino
zufolando immemori
teniamo pulita la nostra prigione,
apriamo i vetri all’aria del mattino
zufolando immemori
che un giorno il
sole ci accecherà
e la strada sarà troppo grande, per noi,
tremanti passi di convalescente
deboli sotto la madida pelle.
e la strada sarà troppo grande, per noi,
tremanti passi di convalescente
deboli sotto la madida pelle.
Noi dovremo
allora richiamare
gesti antichi alla mente, ricusare
la pace che consente con la legge del silenzio,
tollerare la dura libertà
(aprile 1962)
gesti antichi alla mente, ricusare
la pace che consente con la legge del silenzio,
tollerare la dura libertà
(aprile 1962)
martedì 13 dicembre 2011
Giorgio Linguaglossa
Sull'"Almanacco dello Specchio 2010-2011"
Partendo da un punto alto di riflessione di
cui abbiamo perso memoria - quello
raggiunto agli inizi del Novecento dal poeta russo Osip Mandel’stam, convinto
assertore di un’idea mai mimetica della
poesia, per cui essa « non è parte della natura[…] tanto meno un suo
rispecchiamento», ma semmai la sua “recita” «con l'ausilio di quei mezzi detti
comunemente immagini», Giorgio Linguaglossa può mostrare la gracilità della poesia che si
va facendo, specie in Italia. Di certo, salendo sulle
spalle di un gigante come Mandel’stam, i poeti d’oggi appaiono anche più nani di quello
che sono e troppo severi parrebbero i giudizi sugli autori italiani scelti nell’«Almanacco
dello Specchio» 2010-2011. Eppure la questione che il critico romano pone non è trascurabile: se siamo
a dopo la lirica, il vuoto da essa lasciato può essere colmato da «una gigantesca massa prosastica grigia e informe»? L'impressione che nella produzione
odierna «si vada un po’ alla rinfusa, per tentativi al buio, per privatissimi
sperimentalismi» è difficile da smentire. Resta il fatto che, dichiarando un suo precisoparametro di giudizio, Linguaglossa assolve onestamente a un compito critico oggi fin troppo trascurato. [E.A.]
Almanacco
dello Specchio 2010-2011 a cura di Maurizio Cucchi e Antonio
Riccardi, Mondadori, Milano, 2011 pp. 260 € 16.00
In un famoso articolo sulla poesia di Dante Alighieri degli anni
Venti del Novecento il poeta russo Osip Mandel’stam parlava, a proposito della
poesia del suo tempo (ed è la prima volta, a mio avviso, che viene impiegata
questa terminologia), di «discorso poetico». A lui la parola:
«Il
discorso poetico è un processo incrociato e si genera da due risonanze la prima
delle quali, da noi udibile e percepibile, è la metamorfosi dei mezzi propri
del discorso poetico che emergono via via nel suo erompere; la seconda è il
discorso vero proprio, cioè il lavoro tonale e fonetico che risulta grazie a
quei mezzi.
lunedì 12 dicembre 2011
SEGNALAZIONE
A Milano: Poesia della vita,
Una vita di poesia
Centro Puecher
Spazio
del Sole e della Luna
(ex Casa della Pace)
Via U. Dini 7 – 20141 Milano
(tram 3 e 15; MM2-capolinea piazza Abbiategrasso)
Venerdì 16 dicembre 2011
Ore 20.45
POESIA DELLA VITA,
UNA VITA DI POESIA
Presentazione dell’opera poetica di
Laura Cantelmo,
Eugenio Grandinetti
Attilio Mangano
Carla Spinella
con la partecipazione straordinaria di
Benny (Baroukh Maurice) Assael
Modera
Giuseppe Deiana, presidente
dell’Associazione Centro Comunitario Puecher
Intervengono
gli autori che leggono le loro poesie:
Laura Cantelmo, docente di Lingua
e letteratura inglese
Eugenio Grandinetti, docente di
Lettere
Attilio Mangano, docente di
Lettere
Carla Spinella, docente di
Lettere
Benny Assael, medico, musicista,
letterato
Un critico letterario:
Pasqualina Deriu, poetessa, docente
di Lettere
Dibattito
STUDENTI E CITTADINI SONO INVITATI
Agli studenti verrà rilasciato un attestato di partecipazione
Giorgio Mannacio
Sulle poesie di Emilia Banfi
1.
Il percorso poetico di E.B si snoda tra la lingua e il
dialetto ( lombardo ). Di fronte a manifestazioni di tale tipo si è tentati ,
oggi, ad attribuire l’adozione del secondo modulo ad una volontà di
“esperimento “. Si pensa che tale adozione sia il tentativo di trovare una
sorta di “ via di fuga “ o di “ uscita di sicurezza “ da una lingua che sta
consumando e banalizzando sempre di più il proprio patrimonio di senso. Ma vi è
anche un’altra direzione o tentazione di indagine , a cavallo di discipline
incerte, come l’antropologia e la psicanalisi . Tale indagine pretende di
ricondurre i due differenti momenti di espressione ad istanze o istinti più
profondi e originari: dialetto come linguaggio naturale o materno; lingua come
idioma culturale o paterno. C’ è qualcosa di arbitrario e insieme di fondante
in questo tipo di indagine dato che nell’esperienza poetica non c’è mai
qualcosa che sia solo istintivo e naturale ovvero solo culturale. Ma la
distinzione può servire a misurare l’esistenza e il peso delle influenze e la
loro concreta incidenza sui risultati del lavoro poetico.
domenica 11 dicembre 2011
Attilio Mangano
Cattolica cultura anni Cinquanta
Cattolica cultura anni cinquanta.
L'anno santo svelava i suoi misteri
di quella jungla che i tigrotti di Mompracem
violavano giocando al dottore.
Scuola privata "Santa Caterina
da Siena", i maschi col grembiule nero
e le bambine col grembiule bianco,
il segno della croce ogni mattina.
Famiglia patriarcale, il padre in testa
Mamma con il tailleur proprio elegante
poi sette figli tutti in fila indiana
che indossano il vestito della festa.
sabato 10 dicembre 2011
SEGNALAZIONE
I moltinpoesia uno per uno
ore 18
alla Palazzina Liberty,
P.zza Marinai d’Italia 1
Milano
Luca Ferrieri e Donato
Salzarulo
parlano di
IMMIGRATORIO
di
Ennio Abate
«Di qui, non serve dirlo,
il titolo forte e attualissimo dell’opera. Questo libro non è però la storia di
una migrazione interna, né solo l’allegorizzazione, per mezzo di quella, dei
grandi movimenti migratori di oggi: è soprattutto la ricostruzione di una
condizione stabile della civiltà moderna, e del modo in cui il soggetto ha
trasformato in destino la scelta dell’emigrazione»
(dalla prefazione di
Pietro Cataldi edizioni CFR - ottobre 2011)
*
*
Oh,
quando l’evidente tornò nel disordine! Come in sospensione: rimescolato il
bestiario d’infanzia assieme ai busti di padri dominatori o inetti del
Novecento e alle fanciulle alle prese con la storia di Carlo V e Lutero.
Oh,
quanta brutta, indigesta metafisica nell’orcio dell’immigratorio d’improvviso
buio! Interamente nella disciplina d’un duraturo purgatorio. O nelle sporche
pause di quieta apparenza, senza code in paradiso. Assillati da notizie storte
di lontani inferni, riattizzanti i vicini. All’opera nella storia i nostri
coetanei delle sacrestie e delle sezioni. O i loro turgidi allievi da rissa.
Luca Ferrieri
Sul piacere della lettura
Replica a Ennio Abate
Intervengo in ritardo, e mi scuso, in questa
discussione di cui sono involontariamente parte in causa. Lo faccio in modo
abbastanza schematico, per punti, disponibile eventualmente a approfondire se
il discorso non fosse chiaro.
Le obiezioni di Ennio riguardano e ingigantiscono un solo
punto dei tanti che Donato nel suo intervento e io nel mio libro
abbiamo toccato, ossia quello del piacere
della lettura. E stiamo pure su
questo, ma teniamo presente che l’ipertrofia del tema è dovuta più alla
controanalisi di Ennio che all’originario approccio della discussione… Peraltro
di questi argomenti con Ennio discutiamo da alcuni decenni ed è sempre un
piacere (oops…) farlo nuovamente.
1.
Non c’è nessuna
ideologia del piacere di leggere. Non
c’è neanche in Roland Barthes, autore refrattario a tutte le ideologie,
figuriamoci nelle nostre modeste chiose epigoniche o collaterali. Per ideologia
infatti intendo una costruzione sistemica, chiusa, tendenzialmente organica organicistica
e totalitaria, fondata sull’obbedienza a interessi e posizionamenti materiali,
“rispecchiati” nella produzione intellettuale. Questa, almeno, è
l’interpretazione di Marx, cui anch’io in questo caso mi attengo, perché mi
sembra scientificamente molto più felice di quella di altri (pure marxisti come
Althusser).
giovedì 8 dicembre 2011
Lorenzo Pezzato
Poesie da "Dipendenze, abbandoni
e strane forme di sopravvivenza"
La selezione di poesie che ho fatto dal libro di Lorenzo Pezzato dovrebbe dare un'idea dell'oscillazione, a mio parere irrisolta, di un giovane poeta (Lorenzo è del 1973) tra modelli vagheggiati (le avanguardie artistiche del primo Novecento a cui nei suoi versi accenna) e volontà di stare in questo nostro tempo per ora di crisi piatta e senza sussulti, in cui anche a lui tocca crescere. "Scapigliato fogliame agitato/ da veloci venti futuristi" è, al presente, solo una pianta (il noce) evocata nei suoi versi, non la gioventù a lui coetanea. Le sue poesie mi paiono la registrazione fredda degli umori, delle irritazioni e degli sgomenti (anche familiari) di un giovane alle prese, come tanti, con la gabbia (dorata? postmoderna? addirittura liquida?) e per ora senza uscite in cui tutti siamo. Rafforzata ancor più dall'uso capitalistico delle nuove tecnologie e dalle sue dinamiche imprenditoriali. Il poeta (fossile di altri tempi?), per il lavoro "non poetico" che gli tocca fare per vivere e che pur lo porta in contatto quotidiano con "cento persone diverse", fronteggia l'insensatezza (una volta si diceva l'alienazione) della società (capitalistica) tenuta sotto controllo da potenze sempre più innominate o indecifrabili. E Pezzato reagisce con gli strumenti di pensiero e linguaggio di cui dispone, continuamente istigato dall'esterno a "riempire il vuoto con altro vuoto". Ne risente anche la sua poesia. Che non ha più Tradizione affidabile a cui ancorarsi (ci sono in questi versi solo alcuni echi distorti e dolenti e inerti di un immaginario religioso più o meno biblico e una volta potente: "maledirai la madre bestemmierai il padre per la
croce". Ho aggiunto alla fine delle poesie due brani dell'introduzione di Giorgio Linguaglossa a questa raccolta. Il critico romano insiste sulla "marginalità linguistica e stilistica" della ricerca di Pezzato e di altri giovani. Epigoni vecchi con lo sguardo volto al passato (il solito angelo di Benjamin...) noi? E smarriti, testardi, solitari esodanti loro? Un problema spinoso da trattare a parte. [E.A.]
La parabola dei talenti
Scagliano versi con fionde rudimentali
come ciottoli da tavole di legge frantumate
nel passaggio al nuovo millennio,
i contemporanei poeti a corta gittata
stelle filanti
talenti in parabola discendente.
Odio l’estate
Odio l’estate la calura il frinire
la funesta eccitazione di cicale antropomorfe
e io formica non mi do pace travaglio immagazzino
prego perché presto giunga l’autunno
a riportar malinconia.
mercoledì 7 dicembre 2011
Ennio Abate
La lettura inquinata dall’ideologia
non regala libertà
Replica 2 a Donato Salzarulo
Avete - parlo al plurale perché so che molti/e la pensano come Donato - un bel dire e applaudire, ma per me l’ideologia del «piacere della lettura» oggi resta una fregatura. E non mi va di vedervi sguazzare dentro come omini e donnine che si abbracciano e si sbaciucchiano nella fontana della giovinezza di qualche affresco medievale. L’acqua del “piacere della lettura” è per me sporca, sporchissima. E di piacere autentico c’è spesso solo l’apparenza. Che Donato, sulla scia di Luca Ferrieri, a sua volta sulla scia di Barthes, metta intelligenza e bella scrittura anche al servizio di questa ideologia è questione che ci divide. Ma non c’impedirà, spero, di continuare discutere per capire meglio e di più e non solo per stabilire “chi ha più ragione” (o consenso). E perciò ribatto ancora.
martedì 6 dicembre 2011
Qui c'era un post
di Erminia Passannanti,
Analisi della poesia
di Franco Fortini,
‘Neve e faine’
con un'appendice di Ennio Abate.
E' stato cancellato
per volontà dell'autrice.
Credo (ancora) nella critica dialogante. La pratico sia con avversari che con amici (Cfr. il "duello" con Salzarulo sul "piacere della lettura") nel Laboratorio MOLTINPOESIA, nella rivista POLISCRITTURE e su siti e blog che non la impediscono. Sulla questione dell'eredità di Fortini, riaffiorata nel post di Linguaglossa (qui), pensavo di potermi confrontare anche con una studiosa dell'opera di Fortini come la Passannanti; e avevo persino sollecitato altri amici a intervenire. Prendo atto che no, non è possibile. Proseguirò in modo autonomo la mia riflessione in un prossimo post. [E.A.]
Fiorella D'Errico
Poesie
da Lettere dal
ventre
*
Se non dormi, scrivi.
O prega: il corpo si piega nello stesso modo.
Ti alzi, lasci il letto – riprendi i nodi che trascini
normalmente al ventre.
Hai paura. Anche stanotte.
domenica 4 dicembre 2011
SEGNALAZIONE
Marina Massenz,
La ballata delle parole vane
Lunedì 5 dicembre, alle ore 21,
alla Libreria popolare di via Tadino 18,
a Milano,
Marina Massenz presenterà
la sua nuova raccolta poetica
(casa editrice L’Arcolaio)
Intervengono
Ennio Abate e Paolo Giovannetti.
Con garbo
Noi che siamo quelli che si amano
che sempre la sera si lavano i denti,
noi che rimbocchiamo il letto prima di
iniziare a litigare, serviamo
il garbo solo come antipasto. Poi io
parto con lo scoppio, esplodo nell’urlo,
“l’aguzzo nasino” ti fracasserei,
ti vorrei fare nero, pesto di pugni
per ridurti in poltiglia, azzerato,
assoluto finalmente il silenzio.
Prego, non c’è di che.
Donato Salzarulo
Il piacere è un fatto.
La lettura: un atto di libertà
REPLICA AD ENNIO ABATE
1. - «Si dovrebbe guardare allo scarto tra lettori forti, saltuari e non lettori…Esso è secondo me la spia di differenze sociali (o di classe) che poi ritroviamo in tutti i campi del sapere, della politica e dell’economia.» E’ più che probabile. Io, però, non saprei dire se quel 6,9 % di lettori forti appartenga automaticamente ai “capitalisti, ai leader di partiti e agli accademici”. La piatta empiria mi dice il contrario. Non so se gli appartenenti a Moltinpoesia che, stando alla definizione di lettore forte (colui o colei che legge più di 12 libri l’anno), sicuramente lo sono, debbano finire tutti nel mucchio dei “capitalisti, ecc.”. I lettori e le lettrici forti che conosco non li so a capo di aziende, di piccole o medie imprese, dediti al gioco in borsa o alla scalata di qualche banca, alla gestione di una gioielleria, di una macelleria, di un chiosco per la rivendita della frutta. Anzi, ne conosco diversi disoccupati, cassintegrati o disperatamente in cerca di lavoro.
giovedì 1 dicembre 2011
lunedì 28 novembre 2011
SEGNALAZIONE
Paolo Pezzaglia
Il mio circolo è di lettura
«Come sai anche per me la lettura è importante. Con il mio
gruppo a Monza abbiamo letto (o riletto) in ordine Il Castello di Kafka, Ulisse
di Joyce, Proust Chez-Swan, Gogol Le anime morte, il Riccardo III e Antonio e
Cleopatra di Shakespeare. Ora stiamo leggendo Tolstoi e andiamo avanti con
le nostre regolette con grande soddisfazione». Paolo Pezzaglia, amoroso cultore
dei miti, lo sguardo volto ad Oriente, contro il Lucifero (televisivo) propone
l’antidoto del circolo di lettura. E gli trova antecedenti antichissimi: i circoli che si formavano
spontaneamente, di notte vicino al fuoco nel mondo contadino. «I
circoli di lettura hanno un’incredibile forza magnetica, tutta da esplorare ed
utilizzare», dice. Non ci avevo pensato, ma
da sempre, quando ci riuniamo in
Palazzina Liberty, ci mettiamo in circolo per discutere. Magnetismo o spirito democratico? Nel circolo di
Pezzaglia si legge «bene, lentamente, a voce alta, senza esagerare;
un tono medio leggermente impostato, senza voler fare gli attori». Ma è meglio
lasciargli la parola…(E.A.)
Ho recentemente organizzato
un mio piccolo circolo di lettura.
Se dicessi che è stata
un’idea mia, originale, sarei un po’ troppo
egocentrico e, in realtà, è invece solo una vecchia storia: niente
invenzioni, né privative quindi.
Io sono sempre alla ricerca
di qualcosa che smuova la coscienza, la mia per prima.
L’amata preda è sempre lei, Sofia, la conoscenza, sorella della
coscienza…ma avendo la fatale tendenza ad assopirmi, ho ritrovato con gioia
questo vecchio arnese dimenticato, come nuovo! La lettura ad alta voce!
Potrebbe essere considerata
una strana vecchia mania, un po’ da stranotti, come dicevano una volta i
milanesi bene.
Giorgio Linguaglossa
Commento a un commento
di Erminia Passannanti
a "Neve e faine"
di Franco Fortini
"C’è in Fortini l’idea marxista propria del suo tempo secondo cui la poesia deve essere capace di esercitare un ruolo di guida e di educazione dialettica dei lettori di poesia verso i prodotti di poesia nella prospettiva escatologica della lotta di classe". E' possibile ancora oggi pensare alla poesia come la voleva Franco Fortini? E cioè non "aroma spirituale" (per le élites) né "vino dei servi" (per un ceto medio ubriacato dalla società dello spettacolo), ma strumento per "espandere le facoltà critiche dei lettori"? Questo il problema che pone il commento di Linguaglossa a "Neve e faine", un testo che respira ancora in un'epoca di grandi speranze storiche. [E.A.]
Scrive Franco Fortini ne L’ospite ingrato (1966): «La menzogna
corrente dei discorsi sulla poesia è nella omissione integrale o nella
assunzione integrale della sua figura di merce. Intorno ad una minuscola realtà
economica (la produzione e la vendita delle poesie) ruota un’industria molto
più vasta (il lavoro culturale). Dimenticarsene completamente o integrarla
completamente è una medesima operazione. Se il male è nella mercificazione
dell’uomo, la lotta contro quel male non si conduce a colpi di poesia ma con
“martelli reali” (Breton). Ma la poesia alludendo con la propria
presenza-struttura ad un ordine valore possibile-doveroso formula una delle sue
più preziose ipocrisie ossia la
consumazione immaginaria di una figura del possibile-doveroso. Una volta
accettata questa ipocrisia (ambiguità, duplicità) della poesia diventa tanto
più importante smascherare l’altra ipocrisia,
quella che in nome della duplicità organica di qualunque poesia considera
pressoché irrilevante l’ordine organizzativo delle istituzioni letterarie e, in
definitiva, l’ordine economico che le sostiene».
domenica 27 novembre 2011
Salzarulo - Abate
Sul "piacere della lettura":
libertà o ideologia?
Questo scambio di opinioni presuppone la lettura dei commenti al post di Donato Salzarulo Pomeriggio a Milano. La lettura spiegata a chi non legge (qui). Mi pare giusto continuare la discussione in un post autonomo per mettere meglio a fuoco un tema denso di implicazioni di vario tipo. (E.A.)
Donato Salzarulo
Grazie
a tutti per gli interventi e gli apprezzamenti. Il dibattito sviluppatosi è
molto interessante. Non riesco a rispondere a tutti, a meno che non mi metta a
scrivere un altro post di dieci pagine. Mi limiterò a toccare in questa replica
cinque punti:
1. - Quando si diventa “librodipendenti” o “bibliodipendenti” penso che si possa correttamente parlare di “vizio” o di “malattia”. Se c’è dipendenza vuol dire, infatti, che si è di fronte ad un’abitudine, ad un comportamento coatto. Di vizio non parla solo Ferrieri. Lo fa, ad esempio, anche Vittorio Sermonti che intitola una sua antologia personale di letture proprio «Il vizio di leggere» (Rizzoli, 2009).
Il bibliodipendente è un “lettore forte”. Non si accontenta di un libro l’anno, come i lettori censiti dall’Istat. Ne legge più di uno al mese.
Comunque, stando ai dati Istat del 2009, il 45,1 % degli italiani di età superiore ai 6 anni ha letto almeno un libro non scolastico l’anno (25 milioni e mezzo). La maggioranza della popolazione si tiene ben lontana da questa pratica.
La fascia dei lettori saltuari (da 1 a 11 libri l'anno) è consistente: quasi 22 milioni di persone sopra i sei anni d'età.
Chi legge più di 12 libri l'anno, infine, rappresenta solo il 6,9 % (3 milioni e 900 mila).
Siccome il 20% dei laureati non legge MAI un libro, devo dedurre che la “passione di leggere”, se non vogliamo definirla vizio, non si contrae necessariamente frequentando le aule scolastiche o universitarie. Come si contrae?...Le ragioni che possono scatenare l’infezione sono sicuramente molteplici. Ognuno/a ha la sua storia più o meno singolare. Io ho detto la mia, Ferrieri la sua. Voi come siete diventati lettori forti?...
1. - Quando si diventa “librodipendenti” o “bibliodipendenti” penso che si possa correttamente parlare di “vizio” o di “malattia”. Se c’è dipendenza vuol dire, infatti, che si è di fronte ad un’abitudine, ad un comportamento coatto. Di vizio non parla solo Ferrieri. Lo fa, ad esempio, anche Vittorio Sermonti che intitola una sua antologia personale di letture proprio «Il vizio di leggere» (Rizzoli, 2009).
Il bibliodipendente è un “lettore forte”. Non si accontenta di un libro l’anno, come i lettori censiti dall’Istat. Ne legge più di uno al mese.
Comunque, stando ai dati Istat del 2009, il 45,1 % degli italiani di età superiore ai 6 anni ha letto almeno un libro non scolastico l’anno (25 milioni e mezzo). La maggioranza della popolazione si tiene ben lontana da questa pratica.
La fascia dei lettori saltuari (da 1 a 11 libri l'anno) è consistente: quasi 22 milioni di persone sopra i sei anni d'età.
Chi legge più di 12 libri l'anno, infine, rappresenta solo il 6,9 % (3 milioni e 900 mila).
Siccome il 20% dei laureati non legge MAI un libro, devo dedurre che la “passione di leggere”, se non vogliamo definirla vizio, non si contrae necessariamente frequentando le aule scolastiche o universitarie. Come si contrae?...Le ragioni che possono scatenare l’infezione sono sicuramente molteplici. Ognuno/a ha la sua storia più o meno singolare. Io ho detto la mia, Ferrieri la sua. Voi come siete diventati lettori forti?...
sabato 26 novembre 2011
Giorgio Mannacio
Poesia e canone
Giorgio Mannacio s’interroga
e c’interroga sul percorso compiuto dalla poesia: da epoche in cui un
canone - quello del potere dei pochi che sapevano scrivere - era convenzione normale e
indiscussa all’epoca odierna (postmoderna) caratterizzata dalla «babele dei canoni»,
perché «tutti sanno scrivere/scrivere è
facile». La sua tesi: la critica
potrebbe oggi puntare al ristabilimento di un canone (« un metro di valutazione
oligarchico») pur sapendo che esso sarà «smentito dalla realtà delle
esperienze plurime», a patto però di dimostrare che l’esperienza poetica stessa ha
un senso «nella vita delle persone e della società». Bella sfida... (E.A.)
I.
Sono sempre più sorpreso dalla “ rimozione “ , nel discorso
sulla poesia e sulla critica , della dimensione “ politica “ . Si intende: nel
senso della relazione con l’assetto concreto e storicamente ricostruibile con
una determinata organizzazione politico-sociale.
II.
L’esperienza poetica
è universale nel senso che essa è
concretamente riscontrabile in ogni
“ polis “ storicamente esistita ed esistente. All’interno di
essa tale tipo di esperienza ne costituisce uno degli aspetti costanti.Non valgono però per tutte queste comunità socio-politiche
gli stessi criteri di valutazione della qualità delle esperienze poetiche
proprie a ciascuna di esse.Nel corso delle vicende storiche proprie a ciascuna di esse
variano anche i criteri di valutazione
delle qualità di tale esperienza.Dei criteri di valutazione non può essere predicata la “
universalità “ né rispetto allo spazio né rispetto al tempo.
Luigi Fabio Mastropietro
La poesia è morta viva la poesia
Il libro di Giorgio
Linguaglossa Dalla Lirica al discorso
poetico continua a ricevere commenti
e riflessioni. Questo intervento di Luigi Fabio Mastropietro presenta una prima parte di
denuncia risentita (e moraleggiante) del « MinCulPop di una letteratura e di
una poesia anodine e neutrali» gestito «dai poetarchi e dai loro porno
protettori governativi» e una seconda in cui ipotizza una visione salvifica e sacrificale del
compito dei poeti. (E.A.)
1
Questa ultima opera di Giorgio Linguaglossa – critico dalla sensibilità finissima quanto eversiva, impegnato da anni in una solitaria lotta contro la satrapia mediatica di poetarchi e poetastri che da decenni costringe in catene la poesia e la fa marcire – non è solo uno studio storico–critico sulla poesia italiana contemporanea che riannoda i fili di un epos letterario tanto ampio e articolato, per ricondurlo ad una omogenea cornice critico–ermeneutica e per colmare una lacuna storica ormai annosa. Questa storia della poesia è anche e soprattutto un’arma a disposizione del libero pensiero. Una delle poche armi oggi disponibili per pensare. Una cartina di tornasole che rivela il vuoto autoreferenziale che si cela dietro l’entertainment pseudominimalista dominante in poesia e in letteratura.
venerdì 25 novembre 2011
Donato Salzarulo
Pomeriggio a Milano.
La lettura spiegata a chi non legge.
Dalla videopoesia del post precedente a questa cronaca simpatetica da lettore classico, incallito, anzi "nevrotico consumista"confesso. Si parla della presentazione a Milano di un libro che di lettura e lettori tratta. Ferrieri - scrive Salzarulo - parla della lettura, accentuandone la dimensione del piacere. Lettura come «promessa di felicità». E aggiunge:...e definisce clinicamente il lettore un ammalato, una persona che ha contratto il vizio di leggere. Tra lettura e poesia il passo è breve o lungo? La videopoesia è un mezzo per sfuggire alla malattia del lettore o no? [E.A.]
1. - Non ricordo l'ultima volta che ho preso la metro. Mesi fa, sicuramente. Sono un habitué della periferia, un amante degli angoli colognesi. I miei percorsi quotidiani sono quasi sempre gli stessi: casa, edicola, ufficio, villa Casati, libreria Celes, piazza della Resistenza, piazza Castello, piazza XI Febbraio...Un consumo veloce, indaffarato e, a tratti, inavvertito dell'esistenza e dei giorni. Decido di riprendermi questo pomeriggio, il venerdì pomeriggio di questo 14 Ottobre, col sole e i primi freddi, un po' malinconico e luttuoso. L’estate è durata un altro mese (ancora ne indosso i panni), ma s’appresta celermente a morire.
Decido di riprendermelo perché l'occasione è buona. A Palazzo Sormani, nella Biblioteca civica milanese, verrà presentato l'ultimo libro di Ferrieri. Luca me lo regalò a fine maggio. Lo lessi con curiosità e attenzione partecipe. Ho ancora l'impressione di una scrittura mossa e intelligente, affinata e sapiente. L'argomento, paradossale sin dal titolo («La lettura spiegata a chi non legge»), è nelle mie corde. Mi gira in testa pure qualche pensiero. Meglio, però, ascoltare presentatori autorevoli, sentire i loro argomenti. Più facile e anche più rilassante. L’accidia non è un vizio capitale che detesto e ho proprio bisogno di distendere nervi e muscoli.
SEGNALAZIONE a cura di E.A.
Per farsi un'idea
della videopoesia
Un esempio tra i tanti:
Nazim Hikmet - L'uomo
Un assaggio:
La videopoesia, nota con vari nomi, come: poema video, poema filmico, videopoem opera, poetronica, cin(e)poetry, poesia video-visiva, a seconda delle tecniche usate, dell'intervento più o meno ampio di elaborazione, e anche in relazione alla lunghezza del lavoro filmico, è una categoria molto ampia in cui sono confluite tipologie molto diverse di opera d'arte.
Talvolta la videopoesia si avvale di notevole elaborazione digitale, assumendo i caratteri della computer poetry, interamente elaborata o del tutto generata da software, altrove è povera di effetti elettronici, avvicinandosi alla performance di poesia sonora o al reading registrati in video. In molti lavori di videopoesia sono evidenti i legami con la videoarte, tanto che la videopoesia può essere anche definita una videoarte contenente testo poetico variamente elaborato a livello visivo e acustico.
Lucio Mayoor Tosi
Cinetico e carnivoro
Cinetico e carnivoro.
Gommoso.
Gomma su acciaio. Principalmente giallo.
Nero. Non molto, ma dovunque.
Nero a togliere, separare. Nero non altro ancora.
Cambierà poi. Bisogna andarci piano.
Carnivoro il cappello e carnivore le scarpe.
Carnivoro e cinetico homo sapiens.
giovedì 24 novembre 2011
Nicoletta Saccon
Poesie
Ripeterò da ora in poi l'invito per tutti i post contenenti poesie.[E.A]
FINIS TERRAE
Dunque è questo, l’arrivo.
Questo odore di
chiuso, di polvere nei tappeti,
il silenzio sigillato dal giro di chiave
che si sfalda in echi sulle scale,
il tocco incerto sulle pareti
che frantuma la distanza:
e qualcosa di un giorno
impigliato per le stanze,
quasi dimenticato lungo
il viaggio
- i mille occhi smarriti dentro l’aria -.
Ennio Abate
I MOLTINPOESIA UNO PER UNO
Sul mio tavolo (e negli allegati di posta
elettronica) si accumulano le scritture - poesie, saggi, romanzi, testimonianze
- di amici e amiche o conoscenti, che - chi più, chi meno e senza
alcun spirito di corpo o tesseramento - ruotano attorno al
Laboratorio/Blog MOLTINPOESIA.
Di solito riesco a darci soltanto un’occhiata. A
volte riesco a leggere di più e persino a trovare il tempo per rifletterci e
scriverci qualcosa di meditato. Altre
volte metto sul blog qualche testo (spedisco un messaggio in bottiglia in
effetti), sperando che altri leggano,
commentino, si appassionino fino a decidersi di scrivere essi da
critici-lettori. Andando oltre i complimenti, che fanno piacere sì, ma restano segni di cortesia e poco più. Nessuno credo può essere critico-lettore sempre, sistematicamente; e non burocraticamente o
per compiacere. Ma di questa figura oggi più che mai abbiamo bisogno.
QUI C'ERA UNA VIDEO-POESIA
...e ora non c'è più per volontà dell'autrice. Le ragioni della cancellazione si possono arguire dai commenti che ho lasciato inalterati. Chi volesse vedere le video-poesia di Erminia Passannanti può cliccare il link da lei indicato: http://www.youtube.com/user/Erodiade2008?feature=mhee [E.A.]
- Erminia Passannanti ha detto...
- questa è una mia recente poesia: video-poesia...fatemi gentilmente
sapere come vi sentite, dopo di essa. se avrete freddo o caldo.
grazie per guardare questa video-poesia e mi scuso di averla postata.
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