Concludendo il discorso su La polis che non c’è. Tre modi di
interrogarsi in poesia sul venir meno della polis e della società civile pubblico
gli appunti di lettura di R. Bertoldo sulla mia raccolta Immigratorio [E. A.]
Su Ennio Abate, Immigratorio,
Edizioni CFR, Piateda (SO) 2011
La
scelta dell’intersezione di due generi come la prosa e la poesia per realizzare
la pulsione narrativa originaria ha prodotto, in Immigratorio, un depotenziamento lirico interessante per le scelte
stilistiche che lo veicolano. La sottile trama veristica presente a livello
lessicale e epistemologico – pensiamo a Zichilibò, Babbasciò, ma anche al
vecchio pittore Ans che consiglia a Vulisse di «lavorare dal vero» (p. 47),
anche se poi Vulisse abbandona in parte il disegno «dal vero» (p. 48) – trova
espressione sia nelle elencazioni ellittiche e nelle ripetizioni che l’autore
usa a fini descrittivi non simbolici, sia nella struttura popolare, quasi da
canzone, da cui l’uomo emerge in modo ecumenico.