di Ennio Abate
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1
di Anna Catastini
Non
interrate
neppure
rese edibili
ma
nascoste
dimenticate
nel buio
ora
riemergono
anime
vegetali
liberate
mutate
in foresta
al
mio sguardo
innamorato
che
si bea
delle
piccole cose.
Un brav’uomo nel boschetto Lavorava di seghetto. Tagliato ormai l’ontano Bisognava metter mano Separando dalle frasche Vittoriose di burrasche Rami grossi, ramettini Lavorar da certosini.
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di Ennio Abate
"Raimondi
tende, forse da sempre, a spostare la propria attenzione dall’antagonismo etico-politico alla conciliazione etico-morale,
cioè al piano dell’esistenza in cui è ancora possibile o almeno
sperabile costruire una forma di armoniosa condivisione. "
(Pusterla)
E
già, I poeti in tempi di guerra dell'antagonismo etico-politico se
ne sbarazzano volentieri, senza rimorsi. E, come preti - ah, la
"sporca religione dei poeti"! - mirano alla conciliazione
etico-morale. Si perdonano, ma saranno perdonati? Temo e spero di no.
Anche perché fingono di non sapere che è impossibile costruire
questa benedetta "forma di armoniosa condivisione"
esclusivamente sul "piano dell'esistenza". A meno di non
contentarsi di coltivare il proprio giardino
poetico-esistenziale-quotidiano (se lo hai) disinteressandosi a fatti
come questi: " I cadaveri attirano branchi di cani che vengono a
mangiarli. A Gaza la gente sa che dovunque veda dei cani è meglio
non andare".
*Mio commento a
di Ennio Abate
1.
Se/
obbligato ai tic e vivaci moine
per salotti e soirées/ fra ceti
medi e alti
hai corso
qualcosa di grandioso e
abietto/ sullo sfondo
e in filigrana
feroci e oscure
circostanze
sveli
la tua cartamoneta scritta
Piena
di leggerezza/ allor
sarà nel crash delle utilitarie
la
tua danza davanti alla ghigliottina
RIORDINADIARIO 2011/ MOLTINPOESIA
di Ennio Abate
Se
sto su una spiaggia affollata da molti bagnanti e vedo una persona
che sta per affogare, mi rivolgo ai pochi a me vicini, che mi possono
sentire e darmi una mano. Non alla folla lontana e distratta, alla
quale le mie grida non arrivano o giungeranno incomprensibili. Per
questa scelta qualcuno mi potrebbe mai accusare di aver voluto
rivolgermi a pochi con l’intento di «creare nuove élites»?
L’immagine
che ho della poesia oggi è proprio questa: una persona che sta per
affogare. Tutti noi vorremmo salvarla. Io però vedo attorno molta
agitazione, troppa confusione. E non m’illudo che alla (difficile)
operazione di salvataggio possano partecipare i *molti*,
ai quali pur si richiama nel nome il nostro Laboratorio. Non è
possibile. Non subito almeno.
Le
cause di questo scarto sono tante e complicate: il tipo di vita
convulso che facciamo; il “rumore di fondo” dei mass media che
comunque ci sommerge; gli orientamenti mutevoli dei singoli, ora più
propensi all’autopromozione individualistica ora affascinati
dall’obiettivo di una libera espressività ora diffidenti verso
certi problemi (critica dei testi, rapporto tra tradizione e
innovazione, ecc.) considerati troppo spesso oziosi o fisime per
“intellettuali”.
Se
questo mio punto di vista non è del tutto campato in aria, non mi
sento affatto in contraddizione per aver scritto:
Conclusioni. La critica – almeno quella che ancora sta addosso a «questa realtà oggettiva» e non occulta l’esistenza dei rapporti di forza diseguali (per cui alcuni accedono attivamente ai mass media e altri possono essere solo pubblico passivo o semipassivo dei mass media) - è oggi l’unico salvagente che possiamo buttare alla poesia. Ed i poeti dovrebbero essere i primi ad esercitarla, anche nei propri confronti. Solo avendo presente questo stato di cose, sfavorevole alla ricerca in generale e alla stessa ricerca poetica, si potrà «tornare a chiamare le cose col loro nome». E (forse)a farsi intendere anche dai molti, oggi irraggiungibili. Non esiste più (e non solo in poesia) nessun «codice condiviso», nessuna «comunità che fa uso di quel codice condiviso». La frammentazione è tale che, anche quando si cerca di “comunicare” con le più oneste intenzioni, non ci si intende. E, allora, credo che il discorso di Fortini, solo in apparenza aristocratico, avesse chiara proprio questa realtà; e chiedesse giustamente di tenerne conto; e di far pulizia delle false idee che circolano anche in poesia.
24 gennaio 2011
istante afferra immenso eterno sconosciuto coscienza onde del campo nulla riflette il lago in superficie
A una volpe saputella Borbottavan le budella. Da più giorni non mangiava Le saliva già la bava All’idea di un bel desco
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di Roberto Bugliani
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Da un’ombra gli amici morti
annunciavano: vorremmo aiutarvi.
Impossibile, tra me dicevo. Esitavo,
però, e, per non rompere con loro,
cominciavo: siamo tanto diversi.
(Voi morti ormai, noi vivi, intendevo).
In sogno ancora vi parliamo, dicevano.
Più in allarme, allora, mi chiedevo:
come fossimo vivi? o tutti già morti?
E, per uscire dal dubbio, proponevo:
su, prendiamo un caffè insieme.
Ma no. Volevano restare nel sogno,
non uscirne. E in coro insistevano:
aiutarvi, guidarvi, passarvi la nostra
saggezza.
Sempre scettico aggiungevo: come
riconoscervi? Siete in una folla
immensa. E stizzito: O avete continuato
a invecchiare e a capire più di noi?
Solo morendo, potremmo darvi retta.
Sorridevano ora: con le vostre guerre
che fate, se non morire e far morire?
Troppo ingrossate il popolo dei morti
e trascinate nella nostra ombra
l’azzurro del cielo e del mare, il vento,
gli amori. Avvertirvi, fermarvi, vorremmo.
(9 settembre 2024)
Nella stanza da pranzo
di casa mia, di adesso.
Piatti sporchi, posate.
Sparecchiavo la tavola.
Attilio dall’ombra
mi mostrava un giornale
- uno speciale de il manifesto
di una volta.
Oggi è la sinistra che governa:
mi annunciava serio.
Stupito io. Come può essere? - tra me dicevo - E’ cosa contraria a quel che pensiamo da anni.
Non volevo però contraddirlo.
E ho cominciato: Attilio,
siamo diversi ma possiamo
ancora parlare ...
E per farlo più a lungo possibile:
Prendi un caffè con me, gli proponevo.
(31 agosto 2024)