«Chi ai nostri giorni voglia combattere la
menzogna e l'ignoranza e scrivere la verità, deve superare almeno cinque
difficoltà. Deve avere il
coraggio di scrivere la
verità, benché essa venga ovunque soffocata; l'accortezza di riconoscerla, benché venga
ovunque travisata; l'arte di renderla maneggevole come
un'arma; l'avvedutezza di saper scegliere coloro nelle
cui mani essa diventa efficace; l'astuzia di divulgarla fra questi ultimi.
Tali difficoltà sono grandi per coloro che scrivono sotto il fascismo, ma
esistono anche per coloro che sono stati cacciati o sono fuggiti, anzi
addirittura per coloro che scrivono nei paesi della libertà borghese».
Così
Brecht sintetizza all’inizio di questo scritto i 5 punti che tratterà subito dopo, uno per uno,
analiticamente. Mentre, alla fine
in un Riepilogo conclude:
«
La grande verità della nostra epoca (che non è sufficiente limitarsi a
riconoscere, ma senza la quale non è possibile scoprire nessun'altra verità
importante) è questa: il nostro continente sta sprofondando nella barbarie
perché i rapporti di proprietà dei mezzi di produzione vengono mantenuti con la
violenza. A che cosa servirebbe uno scritto coraggioso dal quale risulti la
barbarie delle condizioni nelle quali stiamo per cadere (il che in sé è
verissimo), se poi non risultasse chiara la ragione per cui veniamo a trovarci
in queste condizioni? Dobbiamo dire che degli uomini vengono torturati perché i
rapporti di proprietà rimangano immutati. Certo, se lo diciamo, perderemo molti
amici che sono contrari alla tortura perché credono che i rapporti di proprietà
si possano mantenere anche senza di essa (il che non è vero).
Dobbiamo
dire la verità in merito alle barbare condizioni del nostro paese, dobbiamo
dire che è possibile fare ciò che è sufficiente a farle sparire, e cioè
qualcosa che modifichi i rapporti di proprietà.
Dobbiamo
dirla inoltre a coloro che di questi rapporti di proprietà soffrono più di
tutti, che hanno il maggiore interesse a cambiarli, ai lavoratori e a coloro
che possiamo trasformare in loro alleati perché in realtà non partecipano
nemmeno loro alla proprietà dei mezzi di produzione, anche se partecipano ai
guadagni.
E
per quinta cosa dobbiamo procedere con astuzia.
E
queste cinque difficoltà dobbiamo risolverle tutte contemporaneamente perché
non possiamo ricercare la verità sulla barbarie di certe condizioni senza
pensare a coloro che soffrono di questo stato di cose; e mentre - combattendo
costantemente ogni impulso di viltà - cerchiamo di scoprire le vere
connessioni, mirando a coloro che sono pronti a utilizzare la loro conoscenza,
dobbiamo anche pensare a porger loro la verità in modo tale che divenga un'arma
nelle loro mani e al tempo stesso con tanta astuzia che il nemico non si
accorga che gliela porgiamo e non possa impedirlo.
Tutto
ciò viene richiesto allo scrittore, quando gli si chiede di scrivere la
verità».
Ha
senso riproporre oggi questo scritto? E riproporlo a chi si occupa di poesia? A
prima vista tutto congiura contro questo mio tentativo di ripensare e
riattualizzare questo Brecht, sia pur in modo critico come
vorrei fare.
Oggi
quasi nessuno:
-
pensa che anche in democrazia la menzogna predomini come minimo - secondo me -
per l’80% nei rapporti sociali e politici (ma anche, di conseguenza, in quelli
interpersonali);
-
si sente ignorante: nel senso di riconoscere che, malgrado i suoi eventuali
studi da diplomato o laureato e la sua esperienza di vita, ignora - e quindi
non è in grado di influire - sulle gigantesche e oscure forze che determinano
la sua esistenza;
-
crede più che la verità sia un obiettivo irrinunciabile (specie in poesia); e
che (specie in poesia) non si debba scrivere (o parlare) “come si vuole”
inseguendo, quando capita e quando se ne ha voglia, cento altri obbiettivi:
divertirsi, divertire, mascherarsi, fingere, simulare, immaginare, godere, far
godere il lettore, dimostrare la propria bravura, ingannare, stupire,
impressionare;
-
pensa che ci sia una verità (o delle verità) da ricercare e da dire agli altri,
perché - si dice - ciascuno avrebbe la sua
e non bisogna, nel rispetto della democrazia o della tolleranza o della
libertà, disturbargliela o contestargliela;
- è in grado di mostrare fondamenta
solide e inattaccabili per la verità o le verità che suppone di possedere.
Perché,
dunque, ritornare su Brecht
e mettere questo cappio della ricerca della verità al collo della gente
democratica (e soprattutto al collo di poeti)? Dio è morto, come dimostrò
Nietzsche, e morti sono anche i cacciatori di verità. (Anche l’amico Giorgio
Linguaglossa ha obiettato su questo blog, a proposito di Fortini, che la
verità è concetto che «resta inquinato dal sedimento
teologico che quella parolina portava (e porta) con sé». Basta con rompicapi invecchiati o
insolubili. Brecht è
superato. Non può essere oggi né maestro, né punto di riferimento.
Non
mi imbarcherò in una discussione per convincere gli scettici o chi la sa più
lunga di me. Semplicemente scommetto sull’utilità di «combattere la menzogna e
l’ignoranza» nelle forme raffinate
che assumono in democrazia e che dominano pure nella poesia contemporanea, del
cui degrado o confusione tanto ci
lamentiamo e dico che uno come
come
Brecht fa comodo, perché nella vita e in poesia ha fatto appunto il cacciatore
di verità.
Prendere però questo scritto di Brecht
del 1935 e piantarlo qui, nell’Italia del 2012, è un’operazione che richiede
cautela e senso critico. Brecht è come un’antica quercia e non è più possibile
trapiantarlo nei piccoli “vasi” culturali che ci ha fornito l’educazione
scolastica democratica di massa. E non è che si può seguire il suo esempio
ripetendo tali e quali i suoi discorsi. O semplicemente parafrasarli. O
ritenere che la crisi che stiamo vivendo oggi sia tale e quale a quella della
sua epoca (la crisi del ’29) e automaticamente
ci
condurrà al fascismo.
Se
le difficoltà di scrivere la verità sotto il fascismo erano grandi, lo sono
altrettanto, anzi di più, oggi in democrazia, che a quasi tutti pare un regime in cui domina la verità,
almeno quella possibile su questa terra.
E
poi bisogna tener conto di un’altra differenza: Brecht possedeva (o credeva di
possedere) la «grande verità» della sua epoca. Che, come qui scrive, per lui
era questa: «il nostro continente sta sprofondando nella barbarie perché i rapporti
di proprietà dei mezzi di produzione vengono mantenuti con la violenza».
Nel
2012 non posso nascondermi che quella sua
«grande verità», in effetti per la prima volta pronunciata da Marx, è stata
ripetuta per oltre 150 anni
in diverse lingue, ma è stata
resa inerte non solo nei paesi democratici ma
anche in quei paesi socialisti che quei
«mezzi di produzione» volevano socializzare dimostrando le menzogne della
democrazia liberale. Il fallimento dei regimi socialisti in Urss e in
Cina ha dimostrato quante
nuove menzogne avevano seppellito la
«grande verità» di Marx. Così le stesse menzogne
della democrazia si sono scolorite. Ed essa appare, comunque, il meno peggio e resta per moltissimi
l’unica verità o la menzogna-verità a cui rassegnarsi.
Parafrasando amaramente l’incipit di Brecht,
potremmo dire, dunque, che, anche quando si è trovato il coraggio di scrivere
la «grande verità» di Marx e l’accortezza di riconoscerla, non è stata trovata «l'arte di renderla maneggevole come
un'arma; l'avvedutezza di saper scegliere coloro nelle
cui mani essa diventa efficace; l'astuzia di divulgarla fra questi ultimi».
E così molti di quelli, che l’avevano appresa e la sostenevano, l’hanno
abbandonata in fretta.
Nel
Novecento trasformazioni imponenti e non indagate del capitalismo, sfuggite
allo stesso Brecht e appena intuite solo da alcuni pensatori marxisti (Lenin,
Mao), hanno impedito di aggiungere a quella «grande verità» le altre verità -
piccole o grandi - sulla
realtà in incessante trasformazione.
Quindi
esiste una differenza forte tra noi e Brecht: noi
non abbiamo nessuna «grande verità» da scrivere, anche se fossimo convinti che
quella di Marx, ripresa da Brecht, sia ancora una «grande verità» incancellabile anche se è stata resa inerte ed è mancato, per così dire, il resto.
Perché una verità non può essere detta una volta per tutte. Né alimenta i
nostri pensieri e le nostre azioni se ripetuta come una giaculatoria.
Si
tratta, dunque, oggi di avere un altro coraggio: non quello di scrivere la verità ma
di cercarla ancora. Mentre gli altri consigli di Brecht mi pare che possano
tutti ancora funzionare.
Possono
i poeti assumersi un tale compito? E perché no. Se essi tanto spesso sostengono che la poesia
è strumento di conoscenza addirittura più duttile di quelli delle scienze o
della filosofia, sarebbe il momento di mettere alla prova questa loro
convinzione. (E perciò insisto con la mia proposta per una poesia esodante…).
P.s.
Pubblicherò sul sito di POLISCRITTURE un articolo più esteso su questo
scritto di Brecht, seguendo più da vicino e nei dettagli tutta la sua analisi.
APPENDICE
APPENDICE
Si tenga conto che questo scritto Brecht
lo pubblica nel 1935, dopo l'avvento di Hitler al potere. Esso circolerà
clandestinamente, mentre egli è ormai in esilio. Brecht si rivolge agli artisti
e agli intellettuali. Il 1935 è anche l’anno in cui il Komintern inaugura la
stagione dei fronti popolari, l'alleanza tra le forze democratiche e i
comunisti per contrastare l'avanzata del nazi-fascismo, in marcia verso la
guerra. Nello stesso anno, lo scrittore viene ufficialmente privato della
cittadinanza tedesca e costretto a peregrinare per diversi paesi europei, prima
del definitivo approdo negli Stati Uniti. In questo contesto drammatico, mentre
si dedica allo studio sistematico delle opere di Marx, Brecht si pone il
problema dell'impegno e della responsabilità dell'intellettuale nella lotta
contro il terrore del nazismo.[E.A.]
Cinque difficoltà per
chi scrive la verità
Chi ai nostri giorni
voglia combattere la menzogna e l'ignoranza e scrivere la verità, deve superare
almeno cinque difficoltà. Deve avere il coraggio di scrivere
la verità, benché essa venga ovunque soffocata; l'accortezza di
riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l'arte di
renderla maneggevole come un'arma; l'avvedutezza di saper
scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace; l'astuzia di
divulgarla fra questi ultimi. Tali difficoltà sono grandi per coloro che
scrivono sotto il fascismo, ma esistono anche per coloro che sono stati
cacciati o sono fuggiti, anzi addirittura per coloro che scrivono nei paesi
della libertà borghese.
Sembra cosa ovvia che
colui che scrive scriva la verità, vale a dire che non la soffochi o la taccia
e non dica cose non vere. Che non si pieghi dinanzi ai potenti e non inganni i
deboli. Certo, è assai difficile non piegarsi dinanzi ai potenti ed è assai
vantaggioso ingannare i deboli. Dispiacere ai possidenti significa rinunciare
al possesso. Rinunciare ad essere pagati per il lavoro prestato può voler dire
rinunciare al lavoro e rifiutare la fama presso i potenti significa spesso
rinunciare a ogni fama. Per farlo, ci vuole coraggio. Le epoche di massima
oppressione sono quasi sempre epoche in cui si discorre molto di cose grandi ed
elevate. In epoche simili ci vuole coraggio per parlare di cose basse e
meschine come il vitto e l'alloggio dei lavoratori, mentre tutt'intorno si va
strepitando che ciò che più conta è lo spirito di sacrificio. Quando i
contadini vengono ricoperti di onori, è prova di coraggio parlare di macchine e
foraggi a buon prezzo, capaci di agevolare quel loro lavoro tanto onorato.
Quando tutte le radio vanno gridando che un uomo privo di sapere e d'istruzione
è meglio di un uomo istruito, è prova di coraggio domandare: meglio per chi?
Quando si discorre di razze superiori e inferiori, è prova di coraggio chiedere
se non siano la fame e l'ignoranza e la guerra a produrre certe deformità. Così
pure ci vuole coraggio per dire la verità sul conto di se stesso, di se stesso,
il vinto. Molti di coloro che vengono perseguitati perdono la capacità di
riconoscere i propri difetti. La persecuzione appare loro, come la più grave
delle ingiustizie. I persecutori, dato che perseguitano, sono i malvagi, mentre
loro, i perseguitati, vengono perseguitati per la loro bontà. Ma questa bontà è
stata battuta, vinta, inceppata e doveva quindi trattarsi di una bontà debole;
di una bontà difettosa, inconsistente, su cui non si poteva fare affidamento;
giacché non è lecito ammettere che alla bontà sia congenita la debolezza così
come si ammette che la pioggia debba per definizione essere bagnata. Per
dire che i buoni sono stati vinti non perché erano buoni, ma perché erano
deboli, ci vuole coraggio. Naturalmente la verità bisogna scriverla in
lotta contro la menzogna e non si può trattare di una verità generica, elevata,
ambigua. Di tale specie, cioè generica, elevata, ambigua, è proprio la
menzogna. Se a proposito di qualcuno si dice che ha detto la verità, vuol dire
che prima di lui alcuni o parecchi o uno solo hanno detto qualcos'altro, una
menzogna o cose generiche; lui invece ha detto la verità, cioè qualcosa di
pratico, di concreto, di irrefutabile, proprio quella cosa di cui si trattava.
Poco coraggio invece ci
vuole per lamentarsi della malvagità del mondo e del trionfo della brutalità in
genere e per agitare la minaccia che lo spirito finirà col trionfare, quando
chi scrive si trovi in una parte del mondo in cui ciò è ancora permesso. Molti
assumono l'atteggiamento di uno che stia sotto il tiro dei cannoni, mentre sono
semplicemente sotto il tiro dei binocoli da teatro. Vanno gridando le loro
generiche rivendicazioni in un mondo amico della gente innocua. Chiedono
genericamente una giustizia per la quale non hanno mai mosso un dito e chiedono
genericamente la libertà, quella di ottenere una parte del bottino che già da
gran tempo è stato spartito con loro. Considerano verità solo ciò che ha un bel
suono. Se la verità ha a che fare con cifre, con fatti, se è cosa arida, che
per essere trovata richiede sforzo e studio, allora non è una verità che faccia
per loro, non ha nulla che li possa inebriare. Solo esteriormente hanno
l'atteggiamento di chi dice la verità. Con loro il guaio è che non
conoscono la verità.
2. L'accortezza
di riconoscere la verità.
Poiché è difficile
scrivere la verità, dato che ovunque essa viene soffocata, i più pensano che
scrivere o non scrivere la verità sia una questione di carattere. Credono che
basti il coraggio. E dimenticano la seconda difficoltà, cioè quella di trovare la
verità. Nessuno potrà mai dire che trovare la verità sia cosa facile.
Prima di tutto non è
affatto facile rendersi conto quale verità valga la pena di
esser detta. Oggi, per esempio, i grandi stati civilizzati vanno sprofondando
l'uno dopo l'altro nell'estrema barbarie davanti agli occhi del mondo intero. È
inoltre noto a chiunque che la guerra interna, condotta coi mezzi più spietati,
può trasformarsi da un giorno all'altro in una guerra esterna che forse ridurrà
il nostro continente a un ammasso di rovine. Questa senza dubbio è una verità,
ma naturalmente ce ne sono anche altre. Così per esempio è perfettamente vero
che le sedie servano per sedersi e che la pioggia cada dall'alto verso il
basso. Molti poeti scrivono verità di questo tipo. Sono simili a pittori che
ricoprano di nature morte le pareti di una nave che sta affondando. Per loro la
nostra prima difficoltà non esiste, eppure si sentono la coscienza tranquilla.
Senza lasciarsi turbare dai potenti, ma altrettanto imperturbabili alle grida
delle vittime della violenza, essi continuano a ripassare il pennello sulle
loro immagini. L'assurdità del loro modo di comportarsi genera in loro stessi
un pessimismo che essi smerciano a buon prezzo e che, a dire il vero, sarebbe
più giustificato negli altri di fronte a tali maestri e a tale smercio. E,
bisogna dire, non è nemmeno facile riconoscere che le loro sono verità del
genere di quelle sulle sedie e sulla pioggia: di solito hanno un suono ben
diverso, come se fossero verità che riguardano cose importanti. Infatti la
creazione artistica consiste proprio nel conferire importanza a una cosa.
Solo a guardare con
molta attenzione ci si rende conto che essi altro non dicono se non che e che .
Codesta gente non è
capace di trovare una verità che valga la pena di scrivere. Altri invece si
occupano realmente dei compiti più urgenti, non temono i potenti né la povertà
e nondimeno non sono in grado di trovare la verità. Mancano loro le nozioni
necessarie. Sono pieni di vecchie superstizioni, di pregiudizi famosi, la cui
felice formulazione risale spesso ai tempi più antichi. Per loro, il mondo è
troppo complicato, non conoscono i dati di fatto e non vedono le connessioni.
Oltre ai principi occorrono delle nozioni che si possono acquisire e dei metodi
che si possono imparare. Tutti coloro che scrivono nella nostra epoca di
rapporti complicati e di grandi mutamenti debbono conoscere il materialismo
dialettico, l'economia e la storia. Sono nozioni che si possono acquisire
mediante i libri e l'insegnamento pratico, quando non faccia difetto la
necessaria applicazione. Parecchie verità, parti di verità e situazioni di
fatto che portano a rintracciare la verità si possono scoprire in modo più
semplice. Quando si ha intenzione di cercare, è bene avere un metodo, ma si può
trovare anche senza metodo e persino senza cercare. In questa maniera casuale è
certo però assai difficile che si riesca a rappresentare la verità in modo tale
che gli uomini, grazie a questa rappresentazione, sappiano come devono agire.
La gente che annota solo i piccoli dati di fatto non è in grado di rendere
maneggevoli le cose di questo mondo. Questo però e nessun altro è lo scopo
della verità. Quella gente non è all'altezza di scrivere la verità.
Quando uno è pronto a
scrivere la verità e capace di riconoscerla, gli restano ancora tre difficoltà
da superare.
La verità deve essere
detta per trarne determinate conclusioni circa il proprio comportamento. Quale
esempio di una verità da cui non si possono trarre conclusioni, o soltanto
conclusioni sbagliate, ci può servire l'opinione largamente diffusa secondo la
quale le condizioni deplorevoli in cui versano certi paesi derivano dalla
barbarie. Tale opinione vede nel fascismo un'ondata di barbarie che si è
abbattuta su certi paesi come una catastrofe naturale.
Secondo tale opinione il
fascismo sarebbe una nuova terza forza accanto al capitalismo e al socialismo
(e al di sopra di essi); secondo essa, non solo il movimento socialista ma
anche il capitalismo avrebbe potuto continuare ad esistere senza il fascismo,
ecc. Questa naturalmente è una affermazione fascista, una capitolazione dinanzi
al fascismo. Il fascismo è una fase storica in cui è entrato il capitalismo, si
tratta quindi di un qualcosa di nuovo, e di vecchio allo stesso tempo. Nei
paesi fascisti il capitalismo non esiste se non come fascismo e il fascismo
non può essere combattuto se non come capitalismo, come la forma più nuda, più
sfacciata, più oppressiva e ingannevole di capitalismo.
Come è possibile che uno
pretenda di dire la verità sul fascismo - del quale è avversario - se pretende
di non dire niente contro il capitalismo che lo genera?
Come è possibile che la
sua verità risulti praticamente applicabile?
Coloro che sono contro
il fascismo senza essere contro il capitalismo, che si lamentano della barbarie
che proviene dalla barbarie, sono simili a gente che voglia mangiare la sua
parte di vitello senza però che il vitello venga scannato. Vogliono mangiare il
vitello, ma il sangue non lo vogliono vedere. Per soddisfarli basta che il
macellaio si lavi le mani prima di servire la carne in tavola. Non sono contro
i rapporti di proprietà che generano la barbarie, ma soltanto contro la
barbarie. Alzano la voce contro la barbarie e lo fanno in paesi in cui esistono
bensì gli stessi rapporti di proprietà, ma i macellai si lavano ancora le mani
prima di servire la carne in tavola.
Le sonanti accuse contro
certi provvedimenti barbarici possono avere efficacia per breve tempo, finché
coloro che le odono siano convinti che nei loro paesi provvedimenti del genere
non siano possibili. Certi paesi sono ancora in grado di mantenere i loro
rapporti di proprietà con mezzi meno brutali che non altri. La democrazia rende
loro ancora quei servigi per i quali gli altri sono costretti a far ricorso
alla violenza; garantisce cioè la proprietà dei mezzi di produzione. Il monopolio
sulle fabbriche, le miniere, le terre genera ovunque condizioni barbariche;
tuttavia qui esse sono meno evidenti. La barbarie diviene evidente non appena
per proteggere il monopolio si rende necessario far ricorso alla violenza
aperta.
Alcuni paesi che non
sono ancora costretti, per salvaguardare questi barbari monopoli, a rinunciare
anche alle garanzie formali dello stato di diritto e a cose piacevoli come
l'arte, la filosofia, la letteratura, prestano ascolto con particolare
compiacimento ai loro ospiti che accusano la propria patria di aver rinunciato
a tali cose piacevoli, dato che ciò può tornar loro utile nelle guerre che si
prevedono. Si può forse dire che abbiano riconosciuto la verità coloro che, per
esempio, vanno richiedendo a gran voce una lotta spietata contro la Germania ?
È piuttosto il caso di dire che si tratta di gente stolta, impotente e nociva.
Infatti la conclusione da trarre da tali vaniloqui sarebbe che bisogna
distruggere la Germania. L'intero paese con tutti i suoi abitanti poiché i gas,
quando uccidono, non stanno a scegliere i colpevoli.
La persona superficiale
che non conosce la verità si esprime in termini generici, elevati e imprecisi.
Va cianciando tedeschi, va lamentandosi male e chi lo ascolta, nel migliore dei
casi, non sa che fare. Deve forse decidere di non essere più tedesco? E forse
che l'inferno sparirebbe purché lui fosse buono? Anche i discorsi sulla
barbarie generata dalla barbarie sono della medesima lega. A sentirli, la
barbarie proviene dalla barbarie e sparisce con la civiltà che proviene
dall'istruzione. Tutto ciò viene espresso in termini assolutamente generici,
non in vista di conclusioni da trarne per l'azione e in fondo non è rivolto a
nessuno in particolare.
Un simile modo di
raffigurare le cose mette in luce solo pochi anelli della catena causale e
presenta certe forze motrici come forze incontrollabili. Un simile modo di
raffigurare le cose contiene in sé molti lati oscuri i quali nascondono le
forze che stanno preparando le catastrofi.
Basta un po' di luce
perché si veda che all'origine delle catastrofi ci sono degli uomini! Infatti
noi viviamo in un'epoca in cui il destino dell'uomo è l'uomo.
Il fascismo non è una
catastrofe naturale la cui chiave si possa rinvenire semplicemente nella
«natura» dell'uomo. Ma persino nel caso di catastrofi naturali si possono
raffigurare le cose in maniera degna dell'uomo, facendo cioè appello alla sua
energia combattiva.
Dopo un grande terremoto
che distrusse Yokohama, in molte riviste americane si potevano vedere delle fotografie
che mostravano una distesa di macerie. Sotto c'era scritto (l'acciaio è rimasto
in piedi) e in effetti chi alla prima occhiata non aveva visto altro che rovine
ora, reso più attento dalla didascalia, notava alcuni alti edifici che erano
rimasti in piedi. Tra tutte le possibili maniere di parlare di un terremoto, la
più importante è senza confronto quella degli ingegneri che, tenendo conto
degli spostamenti del terreno, della violenza delle scosse e del calore che si
sviluppa ecc., aprono la via a nuove costruzioni antisismiche. Chi vuole
descrivere il fascismo e la guerra, grandi catastrofi che non sono catastrofi
naturali, deve costruire una verità suscettibile di essere tradotta in pratica.
Deve dimostrare che si tratta di catastrofi a danno delle enormi masse di
coloro che lavorano senza possedere mezzi di produzione propri, provocate dai
proprietari di tali mezzi di produzione.
Quando si vuole scrivere
efficacemente la verità su certe condizioni deplorevoli, bisogna scriverla in
modo che se ne possano riconoscere le cause evitabili. Quando le cause
evitabili vengono riconosciute, le condizioni deplorevoli si possono combattere.
Grazie alle secolari
consuetudini che, sul mercato delle opinioni e delle descrizioni, hanno
regolato il commercio degli scritti, grazie cioè al fatto che lo scrittore
veniva liberato da ogni preoccupazione circa le sorti dei suoi scritti, lo
scrittore si è fatto l'idea che il suo cliente o committente, il mediatore,
provvedesse a mettere i suoi scritti a disposizione di tutti. Pensava: io parlo
e chi vuole sentirmi mi sente. In realtà, egli parlava e chi poteva pagare lo
sentiva. Le sue parole non erano udite da tutti e chi le udiva non voleva
udirle tutte. Questo è un punto di cui si è parlato molto, anche se sempre
troppo poco; qui voglio solo mettere in rilievo che lo «scrivere
per qualcuno» si mutò semplicemente in «scrivere» . Ma la verità non si può
semplicemente scriverla e basta; è indispensabile scriverla per qualcuno che
possa servirsene. La conoscenza della verità è un processo comune a chi scrive
e a chi legge. Per dire delle cose buone bisogna sapere ascoltare bene e udire
cose buone. La verità deve essere detta con calcolo, e deve essere udita con
calcolo. E per noi che scriviamo è importante sapere a chi la diciamo e chi ce
la dice.
La verità su certe
condizioni deplorevoli dobbiamo dirla a coloro che di queste condizioni più
soffrono e da loro dobbiamo apprenderla. Non basta parlare a coloro che hanno
una data opinione; bisogna parlare a coloro ai quali, data la loro situazione,
tale opinione può convenire. E il vostro uditorio muta di continuo! Persino ai
carnefici è possibile parlare, quando per impiccare non ricevono più il salario
o quando la loro professione si fa troppo pericolosa. I contadini bavaresi
erano contrari a ogni rivoluzione, ma dopo che la guerra fu durata abbastanza a
lungo e dopo che i loro figli, tornando a casa, non trovarono più posto nelle
fattorie, allora fu possibile conquistarli alla rivoluzione.
Importante per quelli
che scrivono è trovare il tono giusto per dire la verità. Quello che
comunemente si ode è un tono molto mite e lamentoso, il tono di chi non sarebbe
capace di far male a una mosca. Chi lo ode e si trova in miseria non può che
diventare ancora più miserabile. Così parlano, uomini che forse non sono nemici
ma certo non sono dei compagni di lotta. La verità è combattiva, non solo
combatte la menzogna, ma anche quelle determinate persone che la divulgano.
Vi sono molti che, fieri
di avere il coraggio di dire la verità, felici di averla trovata, stanchi forse
della fatica che costa il ridurla a una forma maneggevole, impazienti di
vederne entrare in possesso coloro i cui interessi essi vanno difendendo, non
ritengono più necessario usare una particolare astuzia per divulgarla. In tal
modo tutto il frutto della loro fatica va spesso in fumo. In tutti i tempi,
quando la verità veniva soffocata e travisata, si è fatto ricorso all'astuzia
per divulgarla. Confucio falsificò un vecchio e patriottico almanacco storico.
Si limitò a cambiare certe parole. Dove era scritto: «Il sovrano di Kun fece
uccidere il filosofo Wan oerché aveva detto questo e quello» , Confucio, invece
di «uccidere», metteva «assassinare» . Se c'era scritto che il tiranno tal dei
tali era rimasto vittima di un attentato, egli metteva che «era stato
giustiziato». Con ciò Confucio aprì la strada a un nuovo modo di giudicare la
storia.
Chi al giorno d'oggi
dice «popolazione» invece
di «popolo» e «proprietà fondiaria» invece di «suolo» già
così evita di dar credito a parecchie menzogne. Infatti spoglia le parole del
loro marcio misticismo. La parola «popolo» indica una certa unità e allude a
interessi comuni; la si dovrebbe quindi usare soltanto quando si parla di
diversi popoli, poiché tutt'al più in questo caso è concepibile una comunanza
di interessi. La popolazione di un dato territorio ha interessi diversi, anche
contrastanti, e questa è una verità che si vuole soffocare. Così anche chi dice
«suolo» e rende percepibili al naso e agli occhi i campi che descrive e parla
del loro odore di terra e del loro colore, favorisce le menzogne dei potenti;
giacché ciò che conta non è la fertilità del terreno e nemmeno l'amore e la
cura che l'uomo gli porta, ciò che più conta è il prezzo del grano e del
lavoro. Quelli che traggono il loro utile dalla terra non sono gli stessi che
ne traggono il grano e l'odore di zolla che emana dai campi è ignoto alle
Borse. Esse hanno tutt'altro odore. «Proprietà fondiaria» è invece il
termine giusto; con esso è meno facile imbrogliare. Là dove regna l'oppressione,
la parola disciplina dovrebbe essere sostituita dalla
parola ubbidienza, perché la disciplina è possibile anche
senza i potenti e per questo ha in sé qualcosa di più nobile che non
l'ubbidienza. E meglio della parola onore è
l'espressione dignità umana. Usandola è meno facile che il
singolo scompaia dal campo visivo. Si sa bene che gentaglia si fa avanti per
difendere l'onore di un popolo! E con quanta prodigalità i sazi largiscono
onori a coloro che li saziano soffrendo a loro volta la fame. L'astuzia di
Confucio può venir usata ancora oggi. A dei giudizi ingiustificati su certi
avvenimenti nazionali egli ne sostituiva altri giustificati. L'inglese Tommaso
Moro in un'utopia descrive un paese le cui condizioni di vita erano giuste -
era un paese ben diverso da quello in cui egli viveva, ma gli somigliava in
molte cose, tranne che nelle condizioni di vita!
Lenin, minacciato dalla
polizia dello zar, voleva descrivere lo sfruttamento e l'oppressione dell'isola
di Sakhalin da parte della borghesia russa. Scrisse «Giappone» in luogo
di Russia e «Corea» in luogo di Sakhalin. I sistemi della borghesia giapponese
richiamavano alla mente di ogni lettore quelli della borghesia russa a Sakhalin
ma, dato che il Giappone era nemico della Russia, lo scritto non fu proibito.
Parecchie cose che in Germania non si possono dire della Germania, sono lecite
parlando dell'Austria.
Ci
sono varie astuzie con le quali è possibile eludere la sospettosa vigilanza
dello stato.
Voltaire combatté la
fede clericale nei miracoli scrivendo un poema galante sulla Pulzella
d'Orléans. Egli descrisse i miracoli che senza dubbio erano stati necessari
perché, in mezzo a un esercito, a una corte e fra dei monaci Giovanna restasse
vergine.
Coll'eleganza del suo
stile e descrivendo avventure erotiche, ispirate alla lussuriosa vita dei
potenti, egli induceva costoro ad abbandonare una religione che procurava loro
i mezzi per tale vita dissoluta. Anzi, ciò gli permise di far giungere per via
illegale i suoi lavori a coloro cui erano destinati. I suoi lettori
appartenenti alle classi dominanti ne favorivano o tolleravano la diffusione,
tradendo così quella polizia che proteggeva i loro piaceri. E il grande
Lucrezio dice esplicitamente di fare grande affidamento sulla bellezza dei suoi
versi per la diffusione dell'ateismo epicureo.
L'alto livello
letterario di certe prese di posizione può effettivamente costituire per esse
uno schermo. Sovente però esso desta anche dei sospetti. Allora può essere il
caso di abbassarlo coscientemente. Ciò accade per esempio quando nella
disprezzata forma del romanzo poliziesco si introduce di contrabbando qualche
descrizione di condizioni deplorevoli in punti che non diano nell'occhio.
Descrizioni del genere sarebbero senz'altro sufficienti a giustificare un
romanzo poliziesco. Per ragioni assai meno importanti il grande Shakespeare
abbassò il proprio tono drammatico quando, volutamente, impresse una forma
inefficace al discorso con cui la madre di Coriolano affronta il figlio che sta
per attaccare la sua città natale - egli voleva che Coriolano fosse distolto
dall'attuazione del suo piano non già da argomenti validi o da una profonda
emozione, bensì da una certa inerzia che lo faceva cedere a una vecchia
abitudine. In Shakespeare troviamo anche un esempio di verità propagata con
l'astuzia, nell'orazione che Antonio tiene davanti al cadavere di Cesare. Egli
non si stanca di insistere sul fatto che l'assassino di Cesare, Bruto, è un
uomo onorevole, ma nello stesso tempo descrive l'azione che egli ha compiuto e
la descrive in maniera più efficace di quel che non faccia per il suo
esecutore; l'oratore lascia così che siano i fatti stessi a vincerlo,
conferendo loro un'eloquenza maggiore che non . Un poeta egiziano vissuto
quattromila anni fa si servì di un metodo simile. Era un'epoca di grandi lotte
di classe. La classe fino allora dominante si difendeva a fatica dal suo grande
avversario, cioè da quelle parte della popolazione che fino allora era stata
asservita. Ora, nel poema, si presenta alla corte del sovrano un savio che
esorta a lottare contro i nemici interni. A lungo, con insistenza, egli
descrive il disordine causato dall'insurrezione delle classi inferiori. La
descrizione suona così:
"Non è forse così?
I nobili sono pieni di doglia e gli umili pieni di gioia. Ogni città va
dicendo: scacciamo i forti dal nostro seno.
Non è forse così? Gli
uffici pubblici vengono aperti e presi i registri; gli schiavi divengono
padroni.
Non è forse così? Il
figlio di un notabile non si riconosce più; il bambino della padrona diventa il
figlio della sua schiava.
Non è forse così? Hanno
messo i cittadini alla macina. Coloro che non vedevano mai il giorno sono
usciti alla luce.
Non è forse così? Le
cassette di ebano dei sacrifici vengono fatte a pezzi; del preziosissimo legno
di Sesnem si fanno lettiere.
Guardate, in un'ora la
capitale è crollata.
Guardate, i poveri del
paese sono diventati ricchi.
Guardate, chi non aveva
pane, ora possiede un granaio; le provviste del suo granaio erano proprietà di
un altro.
Guardate come fa bene a
un uomo mangiare il suo pasto.
Guardate, chi non aveva
un chicco di grano ora possiede interi granai; chi chiedeva il grano in
elemosina, ora lo fa distribuire.
Guardate, chi non aveva
un giogo di buoi, possiede ora delle mandrie; chi non si poteva procurare i
buoi per l'aratro, possiede ora degli armenti.
Guardate, chi non poteva
farsi una stanza, ora possiede quattro pareti.
Guardate, i consiglieri
cercano ricovero nei fienili; chi non osava riposarsi nemmeno sui muri, ora
possiede un letto.
Guardate, chi non poteva
costruirsi una barca, ora possiede delle navi; se il proprietario va per
vederle, esse non sono più sue.
Guardate, coloro che
possedevano abiti, ora vanno coperti di cenci; chi non tesseva per sé, ora ha
del lino finissimo.
Il ricco va a dormire
assetato; chi prima chiedeva la feccia del suo bicchiere, ora possiede della
birra forte.
Guardate, chi non
s'intendeva di musica, ora possiede un'arpa; colui per il quale non si cantava,
ora apprezza la musica.
Guardate, chi era tanto
povero da dover dormire da solo, ora trova delle gran dame; colei che mirava il
suo viso nell'acqua, ora possiede uno specchio.
Guardate, i maggiorenti
del paese vanno in giro e non trovano niente da fare. Ai grandi non si portano
più messaggi. Chi prima li portava, ora manda un altro...
Guardate, ecco cinque
uomini mandati dai loto padroni. Essi dicono: ora camminate voi, noi siamo
arrivati."
Evidentemente questa
descrizione ci presenta un disordine che agli oppressi deve apparire molto
desiderabile. Ma sarebbe difficile farne colpa al poeta. La sua condanna di
quel disordine è esplicita, anche se mal condotta...
In un libello Jonathan
Swift propose, per portare il benessere nel paese, di mettere in salamoia i
bambini dei poveri e venderli come carne. Fece dei calcoli esatti che
dimostravano quanto si possa risparmiare purché si lasci da parte ogni scrupolo.
Swift faceva il finto
tonto. Difendeva con molto zelo e precisione una certa mentalità che detestava
e lo faceva a proposito di una questione in cui l'infamia di quella mentalità
doveva risultare chiara a chiunque. Chiunque poteva essere più intelligente di
Swift, o almeno più umano, soprattutto chi fino ad allora non aveva badato alle
conseguenze che derivano da certe opinioni.
La propaganda perché la gente
ragioni, in qualsiasi campo la si faccia, è sempre utile alla causa degli
oppressi. Questa propaganda è altamente necessaria. Sotto i governi che
servono gli sfruttatori, il ragionare è considerato cosa bassa e volgare.
Si giudica basso e
volgare ciò che è utile a quelli che sono tenuti in basso. Si giudica bassa e
volgare la continua ansia di riuscire a saziarsi; il disprezzo per gli onori
che vengono fatti balenare davanti agli occhi di colui che dovrebbe difendere
il paese in cui soffre la fame; i dubbi nei riguardi di un condottiero che
conduce alla rovina; l'avversione per il lavoro che non nutre chi lo compie; il
ribellarsi quando viene imposta una condotta insensata; il disinteresse per la
famiglia cui l'interesse non servirebbe più a nulla. Quelli che hanno fame
vengono insultati per la loro ingordigia, quelli che non hanno niente da
difendere per la loro codardia, quelli che dubitano del loro oppressore per i
loro dubbi sulla propria forza, quelli che vogliono farsi pagare il lavoro che
fanno per la loro pigrizia, ecc. Sotto simili governi il ragionare è
considerato in genere cosa bassa e volgare e viene screditato. Non si insegna
più a pensare e il pensiero viene perseguitato ovunque si manifesti. Ciò
nonostante ci sono sempre dei campi in cui è possibile additare senza pericoli
i successi del pensiero; sono quei campi in cui le dittature hanno bisogno di
esso. Per esempio è possibile mostrare i successi del pensiero nel campo della
scienza militare e della tecnica. Anche per rimediare, grazie all'organizzazione
e all'invenzione di surrogati, all'insufficienza delle riserve di lana è
necessario il pensiero. Il peggioramento dei generi alimentari, l'addestramento
dei giovani per la guerra, sono tutte cose che richiedono l'uso del pensiero: e
questa è una cosa che è possibile descrivere. Si può invece astutamente evitare
l'elogio della guerra, dello sconsiderato scopo di tanto sforzo cerebrale; così
il ragionamento derivante dalla domanda può portare a domandarsi e si può
applicare alla domanda
Naturalmente è ben
difficile porre pubblicamente una simile domanda. Non è dunque possibile
sfruttare il pensiero che si è propagato, renderlo cioè efficace? Sì che è
possibile.
Perché in un'epoca come
la nostra continui ad essere possibile l'oppressione che permette a una parte
della popolazione (la meno numerosa) di sfruttare l'altra (la più numerosa), è
indispensabile da parte della popolazione un ben preciso atteggiamento di fondo
che investa tutti i campi. Una scoperta nel campo della zoologia come quella dell'inglese
Darwin poteva da un momento all'altro mutarsi in un pericolo per gli
sfruttatori; tuttavia per un certo tempo fu solo la chiesa a preoccuparsene,
mentre la polizia non si accorgeva di niente. In questi ultimi anni le ricerche
dei fisici hanno portato a certe conclusioni nel campo della logica che senza
dubbio potrebbero rappresentare un pericolo per tutta una serie di dogmi utili
all'oppressione. Hegel, il filosofo dello stato prussiano, occupato in ardue
indagini nel campo della logica, ha fornito a Marx e a Lenin, i classici della
rivoluzione proletaria, metodi di inestimabile valore. Lo sviluppo delle
diverse scienze avviene in maniera organica ma non uniforme e lo stato non è in
grado di tenere d'occhio ogni cosa. I pionieri della verità possono scegliere
posti di combattimento che passano relativamente inosservati. L'unica cosa che
conta è che si insegni un modo giusto di ragionare, un modo di ragionare che in
ogni cosa e in ogni avvenimento ricerchi il lato transitorio e mutevole. I
potenti nutrono una forte ostilità nei riguardi dei grandi mutamenti.
Vorrebbero che tutto restasse com'è, possibilmente per mille anni. La cosa
migliore sarebbe che la luna si fermasse, che il sole non girasse più! Allora a
nessuno verrebbe fame e nessuno pretenderebbe di cenare la sera. Dopo che hanno
sparato loro, il nemico non dovrebbe più avere il diritto di sparare,
vorrebbero che il loro colpo fosse l'ultimo. Considerare le cose mettendo in
particolare rilievo il loro lato transitorio è un buon sistema per rianimare
gli oppressi. Mostrare che in ogni cosa, in ogni condizione, sorge e si
sviluppa una contraddizione: anche questo è un fatto che bisogna opporre ai
vincitori. Un simile modo di ragionare (cioè la dialettica e la dottrina del
flusso delle cose) si può adottare per settori di ricerca che per qualche tempo
sfuggono ai potenti. Lo si può applicare alla biologia o alla chimica. Ma anche
descrivendo il destino di una famiglia ci si può esercitare ad applicarlo senza
dar troppo nell'occhio. La dipendenza di ogni cosa da molte altre che mutano di
continuo è un pensiero, pericoloso per le dittature e lo si può presentare in
molti modi senza offrire appigli alla polizia. Una descrizione completa di
tutte le circostanze, di tutte le procedure in cui si trova coinvolto un uomo
che apra una tabaccheria può rappresentare un serio colpo contro la dittatura.
Basta che uno ci rifletta un poco per capire il perché. I governi che conducono
le masse umane alla miseria devono evitare che nella miseria si pensi ai governi.
Parlano molto del destino. Il destino - non già i governi - è responsabile
dell'indigenza. Chi tenta di scoprire le cause dell'indigenza viene arrestato
prima che si imbatta nel governo. Tuttavia è possibile opporsi in termini
generali ai discorsi sul destino; si può dimostrare che chi fa il destino
dell'uomo sono gli uomini.
Anche a questo si può
arrivare in diversi modi. Per esempio, si può raccontare la storia di una
fattoria, mettiamo una fattoria di contadini islandesi. Tutto il paese va
dicendo che sulla fattoria pesa una maledizione. Una contadina si è buttata nel
pozzo, un contadino si è impiccato. Un bel giorno si conclude un matrimonio, il
figlio del contadino sposa una ragazza che porta in dote alcuni campi. E la
maledizione sparisce. Il villaggio non è concorde nel giudicare questa svolta
felice. Gli uni l'attribuiscono all'eccellente carattere del giovane contadino,
gli altri ai campi che la ragazza ha portato in dote e che hanno permesso al
podere di cominciare a fruttare. Ma persino in una poesia che descrive un
paesaggio si può raggiungere qualche risultato, e precisamente nel caso che
nella natura si incorporino le cose create dall'uomo.
Per diffondere la verità
ci vuole astuzia.
La grande verità della
nostra epoca (che non è sufficiente limitarsi a riconoscere, ma senza la quale
non è possibile scoprire nessun'altra verità importante) è questa: il nostro
continente sta sprofondando nella barbarie perché i rapporti di proprietà dei
mezzi di produzione vengono mantenuti con la violenza. A che cosa servirebbe
uno scritto coraggioso dal quale risulti la barbarie delle condizioni nelle
quali stiamo per cadere (il che in sé è verissimo), se poi non risultasse
chiara la ragione per cui veniamo a trovarci in queste condizioni? Dobbiamo
dire che degli uomini vengono torturati perché i rapporti di proprietà
rimangano immutati. Certo, se lo diciamo, perderemo molti amici che sono
contrari alla tortura perché credono che i rapporti di proprietà si possano
mantenere anche senza di essa (il che non è vero).
Dobbiamo dire la verità
in merito alle barbare condizioni del nostro paese, dobbiamo dire che è
possibile fare ciò che è sufficiente a farle sparire, e cioè qualcosa che
modifichi i rapporti di proprietà.
Dobbiamo dirla inoltre a
coloro che di questi rapporti di proprietà soffrono più di tutti, che hanno il
maggiore interesse a cambiarli, ai lavoratori e a coloro che possiamo
trasformare in loro alleati perché in realtà non partecipano nemmeno loro alla
proprietà dei mezzi di produzione, anche se partecipano ai guadagni.
E per quinta cosa
dobbiamo procedere con astuzia.
E queste cinque
difficoltà dobbiamo risolverle tutte contemporaneamente perché non possiamo
ricercare la verità sulla barbarie di certe condizioni senza pensare a coloro
che soffrono di questo stato di cose; e mentre - combattendo costantemente ogni
impulso di viltà - cerchiamo di scoprire le vere connessioni, mirando a coloro
che sono pronti a utilizzare la loro conoscenza, dobbiamo anche pensare a
porger loro la verità in modo tale che divenga un'arma nelle loro mani e al
tempo stesso con tanta astuzia che il nemico non si accorga che gliela porgiamo
e non possa impedirlo.
Tutto ciò viene
richiesto allo scrittore, quando gli si chiede di scrivere la verità.
1935.
(da B. Brecht, Scritti
sulla letteratura e sull'arte, Einaudi,
Torino 1973)
14 commenti:
La difficoltà maggiore nel cercare o raccontare la verità, sta nel fatto che ha bisogno di SINCERITA'. la nostra sincerità e il nostro modo di rapportarci con gli altri spessissimo non è sincero. Spessissimo assumiamo un certo atteggiamento quando siamo nell'ambiente di lavoro, quando parliamo delle nostre passioni, quando insomma dobbiamo studiare un comportamento adatto all'occasione. Solo quando viviamo a lungo con qualcuno per il quale o per la quale per una questione sentimentale, ci siamo rivelati nel tempo, solo allora viene fuori la nostra vera sincerità, la stessa che avremmo dovuto riconoscere anche fuori da questo sentimento. Certamente prima di cercare la verità, dovremmo pensare alla nostra sincerità, lo siamo? Non lo siamo? Per quanto riguarda l'astuzia sento, non penso, che non faccia parte della sincerità che ricerca la verità, certo è un mezzo per poter arrivare ad un grande fine ma solo un mezzo che dovrebbe poi essere chiarito. Questo post di grande importanza e chiarezza mi è giunto con una forza che solo un grande può esprimere. Grazie ad Ennio che insiste sull'importanza della verità, che se anche nel tempo può cambiare di significato, non può però mai essere ingannata. Emy
Ennio ti ringrazio per questo prezioso articolo, su Brecht
Un saluto Angela
Giuseppe Beppe Provenzale
1935! Lo stesso Brecht avrebbe rivisto questo testo. Allora gli mancavano Stalin, il Maccartismo, Mao, Pol Pot, la bancarotta dell'URSS e la sparizione dell'aggettivo marxista, l'indebitatissima Cina e gli assegni lasciate sulle poltrone degli illustri.
Leggere questo lunghissimo testo é sicuramente utile se si riesce ad avere pazienza, ma omettendo le successive informazioni non ha senso chiosarlo per renderlo attuale. In queste condizioni é un esercizio quasi masochistico.
GBP
Ps. correggo 'lasciate' in 'lasciati' e mi scuso dell'errore di battitura.
Ennio Abate:
Non ho nessuna intenzione di omettere le "successive informazioni". Lo si vede, credo, già da questa breve riflessione.
Ho (come indicato in P.s.) semplicemente rinviato a un saggio approfondito che sto scrivendo.
Bisogna... avere pazienza.
Lei ha proprio ragione, infatti i rapporti vengono mantenuti con la pace, soprattutto quella dei premi nobel. Se si ricorda Mayoor -in un carteggio della lista moltinpoesia(quando non ero ancora stata butta fuori)- s'era definito il diavolo e lei l'acqua santa, facciamo dunque una bella bevuta.Cin Cin.
Trovo questo contributo indiscutibile (non commendabile). Non perché condivida appieno le analisi, che per me si sono fatte ormai dilaganti verso nuovi approdi, ma perché vi si legge un "come fare" che regolarmente viene saltato nel dibattito solo-teorico. Non credo manchi l'impegno sociale, in ogni poeta, però può essere utile una iniezione di fiducia verso le proprie verità nascoste.
mayoor
Certo la "sceneggiatura" delle 5 difficoltà, andrebbe attualizzata specie per tutti quei problemi trasversali che non hanno il solo centro di gravità intorno al tema dei rapporti di proprietà. Dire che " Chi tenta di scoprire le cause dell'indigenza viene arrestato prima che si imbatta nel governo" è concetto di sorprendente attualità (brutta cosa, perché vuol dire che niente è cambiato). L'impianto resta valido poiché la narrazione fuori esce dalla logica prettamente ideologica. Si parla di ricerca verità, che ricorda i discorsi dei movimenti anti globalizzazione che hanno fatto pulizia ideologica rifiutando complesse strategie politiche che portano all'indottrinamento. Del resto non siamo esattamente nell'area delle posizioni politiche ortodosse, Brecth aveva aderito al movimento spartachista caratterizzato da una forte componente libertaria. enzo g.
Ennio Abate a Enzo G.:
Quando parliamo di un qualsiasi scrittore dovremmo essere in grado di capire quanto più possibile testo (i suoi scritti) e contesto (biografia, epoca storica, ideologia esplicita o implicita che egli ha inevitabilmente assorbito, anche quando dicesse che lui è “contro tutte le ideologie”). Per i più vari motivi tendiamo invece a ritagliarci un segmento soltanto di questo tutto complesso o a privilegiare una parte contro un’altra.
A Brecht, dopo la sua morte, è toccato un po’ la sorte che è toccata a Fortini. La loro ideologia di riferimento era il comunismo e il comunismo per una buona parte del pubblico colto occidentale è stato sempre e solo opera del demonio (sicuramente meno del nazismo, vista la collaborazione fra Chiesa e fascismo/nazismo), mentre per i suoi simpatizzanti è diventato sempre più qualcosa di indifendibile: hanno dovuto prima accorgersi delle sue difficoltà, poi delle sue crepe ( già vivo Brecht si ebbe nel 1953 una rivolta operaia nella Berlino Est sedata dall’intervento dei carri armati sovietici e nel 1956 ci fu quella d’Ungheria) e infine del suo crollo. Moltissimi (anche ex comunisti) sono passati armi e bagagli al liberalismo e altri, che si occupavano di letteratura, hanno pensato bene di stendere un velo pietoso su questi “trascorsi comunisti” di certi letterati e hanno cominciato a parlare di Fortini soprattutto e solo come poeta, sorvolando sul contesto storico della sua poesia. Lo stesso si è fatto anche per Brecht (ma possiamo dire si è fatto per Dante, per Céline, per Benn, per i futuristi, ecc.).
Io sono convinto che bisogna distinguere il poeta dal suo mondo ideologico, ma lasciarglielo sullo sfondo, non cancellarglielo e soprattutto continuare a indagare sia sui suoi testi sia sui legami col suo mondo ideologico (esplicito o implicito).
Brecht così sfuggirebbe agli stereotipi che lo presentano come "grande poeta, ma opportunista, vigliacco di fronte ai crimini di Stalin, propagatore di una visione politica che "per nostra fortuna" non si è mai realizzata e che comunque non andrebbe presa seriamente in considerazione" (da Peter Kammerer, Bertolt Brecht scopre come suo unico spettatore Karl Marx, in "L'ALTRO NOVECENTO.Comunismo eretico e pensiero critico" a cura di P.P.Poggio, Jaka book 2010).
Il suo amico, il musicista Hans Eisler, lo definiva un "bolscevico senza tessera”. Kammerer dice pure che "il comportamento di Brecht era molto complesso ed era, nell'insieme, quello di un saggio, di un poeta, di un militante che lotta e di un uomo che gode tra i tanti piaceri anche quello di un uso raffinato della dialettica". E la sua figura è interessante proprio «per la tensione provocata dallo scontro tra un Brecht dalle forti venature anarchice e un Brecht in cerca di comunismo, principio di un ordine ragionevole. Insomma un duello tra Rimbaud e Lenin».
[continua]
Ennio Abate (continua):
Anche i suoi problematici rapporti con lo stalinismo non sono di piatta subordinazione. Kammerer ricorda che «pur conoscendo almeno in parte i crimini e le illegalità commesse, Brecht ha visto Stalin come una necessità storica con una funzione, sempre dal punto di vista storico, positiva, ed ha creduto, con una fede di tipo religioso, che il superamento della proprietà privata nell’Unione sovietica costituisse un salto diqualità nella storia dell’umanità e fosse un fatto irreversibile. Da queste convinzioni discendono tutte le sue prese di posizione e tutti i suoi silenzi, che pesano forse ancora di più. Brecht si rifuta di merttere in discussione il carattere socialista dell’Urss e affronta lo stalinismo, la sua ortodossia e la sua prassi criminale di potere, con una strategis fatta di allusioni, di parabole, di riferimenti impliciti» (p. 375).
Una attualizzazione di Brecht non può semplicemente cancellare le convinzioni principali che guidarono il suo lavoro di drammaturgo e poeta. La sua persuasione marxiana della centralità dei «rapporti di proprietà» non può essere accantonata. Noi che abbiamo assistito al fallimento dell’Urss, che lui non ha visto, ma stiamo assistendo anche ai chiari di luna della globalizzazione (con il suo strascico di continue guerre), dobbiamo interrogarci sia sulle ragioni di quel fallimento ma anche sul perché, finito il comunismo, la democrazia è diventata guerrafondaia e non è il “migliore dei mondi possibili”. Nei suoi confronti siamo come Brecht davanti allo stalinismo. Non pesano i nostri silenzi sulle guerre “democratiche” o “umanitarie” contro Irak, Afghanistan, Libia e ora le manovre dei vari servizi segreti in Siria? Potremmo imparare qualcosa anche da Brecht e dalle sue ambivalenze.
[Fine]
Grazie per le delucidazioni riguardanti lo scontro tra un Brecht dalle forti venature anarchice e un Brecht in cerca di comunismo..... Insomma un duello tra Rimbaud e Lenin». enzo g.
È interessante notare come in assenza di libertà politica e di espressione, Brecht sproni le coscienze intellettuali alla verità per denunciare violenza e barbarie, in modo che la verità possa farsi essa stessa veicolo di libertà e riscatto morale. Attribuendole cioè quel ruolo di affrancamento (mediante l’indignazione e la rivolta), che solo la libertà può offrire.
Verità e libertà dovrebbero andare di pari passo, quando ciò non è possibile (nei regimi autoritari non lo è mai), mancando la libertà la verità può solo richiamarla all’appello. Un messaggio senza dubbio attuale.
Giuseppina Di Leo
Certo Giuseppina,
oggi abbiamo davvero bisogno di rileggere questo Brecht, oggi in cui la libertà politica e di espressione sembra ormai un'illusione. Chi si azzarda a comunicare libertà e verità, viene tacciato come incosciente o pazzo.Le dinamiche, il motore, che spinge l'umanità a denunciare e a ribellarsi, sono sempre gli stessi , ma spesso ce ne dimentichiamo. Emy
Condivido le cautele e le avvertenze con cui Abate ha ri-portato questo scritto di Brecht sulla scena artistico-culturale e politica contemporanea. Brecht l'ha scritto in una situazione particolare (dopo l'ascesa al potere di Hitler), ma gli elementi che esso pone alla riflessione sono stimolanti anche oggi. Data la loro ampiezza, voglio concentrarmi sulla terza delle "5 difficoltà",ossia l'arte di rendere maneggevole come un'arma uno scritto. Oltre alla "chiarezza della ragione per cui veniamo a trovarci in queste condizioni", in altri termini oltre alla lucidità dell'enunciato, mi pare ci sia anche una faccenda estetica, per così dire, vale a dire di stile, di forma. Naturalmente faccio un po' violenza all'interpretazione letterale di questo scritto di Brecht, perché nel contesto "arte" ha il significato di "capacità", mentre qui la intendo come capacità formale. Ora, se la forma è ciò che consente la mediazione tra la "verità della barbarie", di ordine storico-sociale, e la bellezza (o godibilità) di un testo, di ordine estetico, è nella forma che si concentra la specificità conoscitiva di un testo, ed è la forma a sussumere su di sé gli altri quattro requisiti brechtiani. Questo per distinguere un testo letterario da un volantino o da un pamphlet, riduzione che non piaceva nemmeno a Engels. Ciò nondimeno, la forma in letteratura è squisitamente politica, come sosteneva Fortini quando, ad esempio, avvertiva che una poesia sugli uccelletti del bosco, che lo si voglia o no, parla (anche) d'altro. Per cui, ritengo che la "grande verità" esista sempre in qualsiasi epoca storica, anche nella nostra, e che è sempre possibile esprimerla, che lo scrittore ne sia consapevole o no, semmai è una questione politica, nell'analisi teorica come nell'espressione letteraria, e semmai si tratta di strumenti analitici insufficienti o inadeguati per quanto concerne il discorso politico-economico, e di forme politicamente insufficienti o inadeguate per quando concerne il "discorso" letterario. Per concludere, vorrei dire che a questo testo di Brecht sarebbe opportuno, per scendere nello specifico estetico, affiancare le considerazioni di Benjamin a proposito della bellezza e dell'orrore insiti in un'opera d'arte, quando cioè Benjamin invitava a leggere con orrore (dovuto al contesto storico di barbarie in cui l'opera è sorta)ciò che per la sua bellezza ci da un godimento estetico. Per fare un esempio concreto, la forma politica a cui faccio riferimento, legata alla conoscenza del mondo sociale fornita da un testo letterario, la trovo nei romanzi di Houellebecq ("Le particelle elementari" in particolare).
Posta un commento