Poesia e Moltinpoesia. Un percorso, un bilancio (1)
di Ennio Abate
Questi appunti di diario sono stati scritti tra 1977 e 1985 e riordinati nel 1999. Pubblico quelli del 1977.
8 gennaio 1977
Fra
’58 e ‘62/’64 grandi letture solitarie. Poi lungo stacco
(almeno fino al ’75). Ora che riprendo, cosa chiedere a Fortini o
ad altri poeti per non apparire un convertito in ritardo, uno che si
è affannato, ribellato a vuoto per tornare alla fine nella cerchia
dei discorsi dei letterati?
Coincidenze: quando il Gruppo ’63
cominciava, io interrompevo!
Sgretolamento
di una tradizione. Fortini, Majorino, gli scrittori a cui tento oggi
di ancorarmi, si sono formati in quella tradizione compatta. Io
sto in tutt’altra situazione. Anche cercare sodalizi con aspiranti
scrittori è per me difficile. Resta solo la possibilità del
diario?
25 novembre 1977
1.
Lettura. Raboni, Poesie degli anni sessanta. Stimolato dall’Antologia dei Quaderni piacentini, ho riletto quanto dice su Roversi e altri poeti. Ne ho parlato con Grandinetti, anche lui molto schivo ma tenace scrittore di poesie. Entrambi non vogliamo rivolgerci a certi personaggi (Fortini, ad es.) per il timore di passare per arrampicatori. Grandinetti mi confessava quasi disarmato di ritenere che la propria ricerca non abbia detto granché di nuovo rispetto agli altri poeti. E all’industria culturale non ci vuole neppure pensare.
2.
Volontà di riprendere la poesia. Senza struggimenti, mi ripeto. Ho in questi anni accostato poeti “grandi” e “difficili”. Ma un lettore di poesia si costruisce solo sui “grandi”? Fare attenzione ad una base poetica “popolare”, narrativa.
8 dicembre 1977
Rilettura appunti 1975 (poesia/letteratura, quaderno arancione). Restano monologhi: avvio faticoso, genericità, impaccio nell’uso dei concetti. Solo verso la fine, sulla scorta di letture affannose (Fortini, Brecht e Montaldi), riesco ad essere più preciso. Sono tentato dalle scorciatoie. Basterebbe occuparsi solo di poesia? Fatico a districarmi dai pregiudizi antiartistici dell’ambiente di Avanguardia Operaia. Parlo del problema arte-politica in modi poco documentati. I giudizi critici sono grezzi. È un limite non solo mio ma della mia generazione, delle sue scelte di ribellismo? Noto, però, che anche chi ha continuato a fare poesia senza i miei/nostri sbandamenti ha visto rinsecchirsi la sua ricerca. (Cfr. Fortini quando parla di Pasolini in Questioni di frontiera).
12 dicembre 1977
Il sentimento di contorno al mio impulso a raccogliere spunti che mi parevano poetici è stato quello provato spesso al risveglio al mattino: si guarda fuori, nella strada, la quale in quel momento non è ancora strada o agli oggetti, che non sono ancora oggetti.
19 dicembre 1977
Lettura. Cirese, Verga e il mondo popolare. Discorso davvero rivolto ai letterati-letterati, anche quando si occupa di un Verga che ho letto con passione al liceo. M’interessa di meno rispetto al passato.
25 dicembre 1977
1.
Dopo
aver scritto Favola natalizia. Importanza del dialogato.
Trovare qualcuno che la reciti? L’uso del dialetto mi restituisce
il tempo di quando ero ragazzo ed ero attentissimo alle parole che
sentivo pronunciare dagli altri.
2.
Poesie
prodotte negli ultimi 2-3 anni. Mi pare di aver risolto nella pratica
della scrittura certi problemi di espressione e di rapporto tra
linguaggio ed esperienza che a volte mi pongo troppo in astratto,
come se si trattasse di compiti su cui studiare, riflettere, fare
chissà quante letture. C’è un intreccio decente fra fatti,
dialogato e riflessione.
3.
Revisione
delle mie poesie giovanili scritte a Salerno e non
pubblicate. (Alcune le avevo incollate su fogli assieme e
in fretta e senza convinzione). Mi sento di farci un lavoro di
restauro e di sviluppo dei temi enucleati. Per qualche poesia (ad
es. Gabriella) ho già tentato una riscrittura secondo la
sensibilità d’adesso. È un’operazione diversa
dall’autocommento che tentai anni fa. Allora puntavo soprattutto a
spiegare le circostanze esterne in cui le avevo scritte.
27 dicembre 1977
1.
Esercizio
antinarcisistico. Scavare non solo su quanto ho scritto io, ma sulle
poesie degli altri.
2.
Prendere
contatto direttamente coi testi dei poeti che mi attraggono. Lasciar
stare quelli che considero inaccessibili (Fortini).
3.
Giancarlo
Majorino, Poesia e realtà '45-'75, Edizioni Savelli:
“ chi scrive non può che scrivere stando in mezzo alla gente, non sopra o, comunque, staccato. Era già una delle indicazioni più suggestive di Saba... si consolida in casi come questi, di poeti che scrivono stando tra i proletari, e non per temporaneo transito, ma perché essi stessi proletari, come collocazione nel processo produttivo, come vita quotidiana, nel lavoro, nei rapporti usuali” ( Vol 1, pag. 129)
28 dicembre 1977
1.
“Stare
in mezzo alla gente” per un poeta? Vuol dire anche guastarsi. Non
solo ridimensionarsi come poeta, perdere fiducia nella poesia come
assoluto, ma proprio smarrirsi, magari persino ridursi al silenzio. E
non è un processo del tutto negativo. Sia quando ci riesce di
seguire il proprio smarrirsi conservando una "coscienza poetica"
sia quando ci si smarrisce e basta. Questo smarrimento oggi è
inevitabile, è un fatto storico da vivere in pieno. Non aspettarsi
di evitare tale prova.
2.
Ho
alternativamente sopra/sottovalutato lo sforzo di scrivere che feci
attorno ai vent’anni. Il tragitto compiuto (grosso modo in due
tappe: da Salerno al ’68; dal ’68 al ’75) è contorto. Ma ci
sono elementi positivi di continuità. Non esiste nel mio caso un
periodo tutto poetico e uno tutto politico, anche se ho sentito
grosse lacerazioni tra i due periodi.
3.
Mi
chiedo (mi potrebbero chiedere): perché tutto questo lavorio su 100
fogli scampati alle vicende della mia giovinezza? cosa pensi di
spremerne? non era meglio disfarsene, ripartire da zero? No. Mi do il
compito di riunificare il mio percorso; e, per farlo, tutte le tracce
potrebbero servire. Ad es. i commenti andrebbero sviluppati nel
nucleo narrativo che contengono.
4.
Ma
che te ne fai di poesie-tracce, documenti quasi tutti da
reinterpretare? Cosa le distingue da altre tracce (un ricordo, un
appunto)?
5.
Sulle
mie poesie ‘62-’64 dopo il trasferimento da Salerno a Milano.
Forte il segno dell'isolamento. Una difficoltà di stabilire un
rapporto con gli altri se non sul piano emotivo. Sono ossessive.
29 dicembre 1977
1.
Preparando Poesia
della crisi lunga. Ho costruito prima uno scheletro di pensieri
su una scelta quotidiana che mi premeva (avere o no rapporto con i
compagni di Cologno che fanno il giornaletto Leggere
Cologno). Poi ho aggiunto “carne poetica”. A metà lavoro mi
sono accorto della contraddizione di parlare come se essi,
sempre più distanti da me, fossero i miei unici e veri
interlocutori. Ho scelto allora la forma del monologo, senza
preoccuparmi delle eventuali critiche di apoliticità o asocialità.

3 commenti:
Nulla è sicuro, ma tu scrivi
Non sono anonimo sono Paolo rabissi
Grazie e ciao
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